Concessa l’autorizzazione a lasciare il domicilio per svolgere il proprio lavoro

In tema di autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari, la nozione di indispensabili esigenze di vita deve essere intesa non in senso meramente materiale o economico, ma tenendo conto della necessità di tutelare i diritti inviolabili della persona ex art. 2 Cost

Lo ribadisce la sentenza della corte di Cassazione n. 14207/20, depositata l’8 maggio. Il Tribunale del riesame di Bologna, su appello del PM sostituiva nei confronti dell’imputato la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria con quella degli arresti domiciliari . L’imputato propone così ricorso per cassazione avverso tale decisione sostenendo che il Tribunale del riesame non aveva tenuto conto dei gravi indizi di colpevolezza, da ritenere insussistenti alla luce delle dichiarazioni del coimputato. Ed inoltre l’ordinanza non avrebbe autorizzato il ricorrente a lasciare il domicilio per svolgere il lavoro per il quale è regolarmente assunto. Sul punto, occorre ricordare il principio in virtù del quale, l’appello del PM avverso un’ordinanza cautelare, ex art. 310 c.p.p., i cui motivi siano riferiti al solo punto dell’adeguatezza della misura emessa come nel caso di specie non attribuisce al tribunale del riesame la cognizione anche sui punti della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari, fatta salva l’applicazione dell’art. 299, comma 1, c.p.p E a tale principio il Tribunale si è correttamente conformato. Invece, per contro, la S.C. ritiene che l’ordinanza debba essere annullata con riferimento alla censura con cui si deduce la violazione dell’art. 284, comma 3, c.p.p Il Tribunale, in particolare, non ha autorizzato l’imputato ad allontanarsi dall’abitazione per svolgere il proprio lavoro, senza valutare quanto dalla difesa documentato. Al riguardo deve ribadirsi il principio per cui, in tema di autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari , la nozione di indispensabili esigenze di vita deve essere intesa non in senso meramente materiale o economico, bensì tenendo conto della necessità di tutelare i diritti inviolabili della persona ex art. 2 Cost. A ciò consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata con riferimento all’autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari, rinviando al Tribunale per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 28 febbraio – 8 maggio 2020, n. 14207 Presidente Aceto – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 18/10/2019, il Tribunale del riesame di Bologna, su appello del pubblico ministero ed in parziale riforma del provvedimento emesso il 19/9/2019 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena, sostituiva - nei confronti di B.N.E. - la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria con quella degli arresti domiciliari, e manteneva la prima nei confronti di A.C.Y. . 2. Propone ricorso per cassazione il B.N. , a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi - inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 110 c.p. e art. 273 c.p.p. mancanza di motivazione. Il Tribunale del riesame non avrebbe compiuto alcuna valutazione circa i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, peraltro da ritenere insussistenti alla luce delle dichiarazioni del coimputato che avrebbe confermato di esser l’unico proprietario dello stupefacente e dell’assenza di qualunque elemento a sostegno di una partecipazione nel delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, potendo emergere, al più, una mera connivenza non punibile - inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 284 c.p.p., comma 3. L’ordinanza, pur sollecitata al riguardo, non avrebbe autorizzato il ricorrente a lasciare il domicilio per svolgere il lavoro per il quale è regolarmente assunto, e conterrebbe sul punto una motivazione viziata in tal modo, sarebbero state del tutto ignorate le indispensabili esigenze di vita di cui alla norma citata, legate per sé e per il nucleo familiare moglie e figlia di sei mesi - proprio all’impiego in corso, necessario per il sostentamento di tutti, in uno con una modesta indennità NASPI percepita dalla moglie - manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle esigenze cautelari. Contrariamente all’assunto del Tribunale, la menzionata attività lavorativa lecita escluderebbe il pericolo di reiterazione del reato, sì da apparire ulteriormente illogica la mancata autorizzazione a svolgere lo stesso lavoro. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta parzialmente fondato. 4. Con riguardo alla prima censura, occorre innanzitutto ribadire il costante indirizzo - cui il Collegio aderisce - in forza del quale l’appello del pubblico ministero avverso un’ordinanza cautelare, ex art. 310 c.p.p., i cui motivi siano riferiti al solo punto dell’adeguatezza della misura emessa come nel caso di specie , non attribuisce al tribunale del riesame la cognizione anche sui punti della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari, fatta salva l’applicazione dell’art. 299 c.p.p., comma 1, in ordine ad elementi nuovi o diversi, non precedentemente valutati dal giudice che ha emesso la misura tra le altre, Sez. 2, n. 24811 dell’11/4/2019, Matic, Rv. 276448 Sez. 6, n. 6592 del 25/1/2013, Lacu, Rv. 254578 . Tanto premesso, a questo principio il Tribunale di Bologna ha correttamente aderito, rilevando - nell’incipit della parte motiva - che l’unico tema da trattare è quello dell’adeguatezza o meno del presidio cautelare disposto dal G.I.P. nei confronti degli appellati . Ne consegue che nessuna valutazione dei gravi indizi di colpevolezza doveva esser compiuta dal Collegio della cautela, con conseguente inammissibilità della doglianza in esame peraltro, formulata con argomenti di puro merito . 5. Ritiene la Corte, per contro, che l’ordinanza impugnata debba esser annullata con riguardo alla terza censura, con la quale si deduce la violazione dell’art. 284 c.p.p., comma 3, Se l’imputato non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza, il giudice può autorizzarlo ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa . Il Tribunale, in particolare, non ha autorizzato il B.N. ad allontanarsi dall’abitazione per svolgere il proprio lavoro, in quanto in atti non vi sono gli elementi da cui evincere lo stato di indigenza in cui egli verserebbe senza valutare, dunque, quanto dalla difesa documentato ed allegato anche al ricorso con riguardo, per un verso, all’attività lavorativa svolta dall’indagato e, per altro verso, allo stato di disoccupazione della moglie che risulterebbe certificato da una riconosciuta indennità NASPI , peraltro madre della sua giovanissima figlia. 6. Questa valutazione deve esser compiuta. Al riguardo, infatti, deve ribadirsi il principio per cui, in tema di autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari, la nozione di indispensabili esigenze di vita deve essere intesa non in senso meramente materiale o economico, bensì tenendo conto della necessità di tutelare i diritti inviolabili della persona individuati dall’art. 2 Cost., atteso che tali esigenze vanno riferite ai bisogni primari dell’individuo e dei familiari a suo carico, ai quali non può essere data soddisfazione se non tramite il lavoro o, comunque, assentandosi dal domicilio tra le altre, Sez. 6, n. 1733 del 27/9/2018, Tamba, Rv. 274841 Sez. 2, n. 16964 del 30/3/2016, Micalizzi, Rv. 266533 . L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio limitatamente a tale profilo, con assorbimento dell’ultimo motivo proposto e dichiarazione di inammissibilità nel resto. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Bologna, sezione riesame. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.