Figlio “dittatore”: condannato per l’incubo vissuto dalla madre

Definitiva la condanna per l’uomo, punito con due anni e due mesi di reclusione. Inequivocabili i comportamenti da lui tenuti nei confronti dell’anziana donna, comportamenti aggressivi che hanno causato in lei ansia, agitazione e prostrazione.

Condotta dittatoriale tra le mura domestiche aggressioni verbali e fisiche nei confronti della madre – 70 anni di età –, così da costringerla a preparargli da mangiare e a dargli dei soldi. L’incubo vissuto dall’anziana donna, e durato ben sei mesi, è sufficiente per condannare il figlio per il reato di maltrattamenti in famiglia. Irrilevante il fatto che l’uomo abbia manifestato affetto nei confronti della madre, e che comunque vi siano stati periodi di civile convivenza tra loro due a casa Cassazione, sentenza n. 13699/20, sez. VI Penale, depositata il 6 maggio . Aggressivo. Scenario della triste vicenda è la provincia veneta. Lì un uomo finisce sotto processo per i comportamenti aggressivi e violenti – frutto anche di alcool e droga – tenuti a casa nei confronti della madre. Per i giudici di merito, le dichiarazioni della donna – supportate da quelle di alcuni congiunti e delle forze dell’ordine – sono sufficienti per condannare il figlio, ritenuto colpevole del reato di maltrattamenti in famiglia e punito in Appello con due anni e due mesi di reclusione. Il figlio prova a difendersi in Cassazione, sostenendo l’inattendibilità della madre e puntando sulla mancanza di coscienza e volontà di sottoporla a un regime di vita insostenibile , e in questa ottica aggiunge di avere dichiarato di volere bene alla madre . Regime. Il richiamo all’affetto per la madre non può però mettere in discussione la gravità dei comportamenti tenuti nei suoi confronti dal figlio, ribattono i giudici della Cassazione. Il riferimento è non solo alle forme di violenza verbale parolacce, bestemmie e minacce che costituivano il registro comunicativo dell’uomo con la madre per chiederle soldi e di preparargli da mangiare, anche di notte , ma pure alle vere e proprie aggressioni fisiche, con il ricorso a spintoni, per costringere la donna a fare quanto richiestole . Senza dimenticare, poi, il ricorrente danneggiamento del mobilio e di suppellettili di casa operato dall’uomo. Tutti questi comportamenti sono esemplare testimonianza di un maltrattamento psicologico che ha ingenerato nella persona offesa – 70 anni di età – uno stato di ansia, di agitazione e di prostrazione che l’avevano spinta addirittura ad apporre cancelli di ferro alle finestre e alla porta di casa per difendersi dalle incursioni del figlio, spesso ubriaco o in preda a crisi determinate dall’assunzione di sostanze stupefacenti . Sacrosanta, quindi, la condanna per maltrattamenti in famiglia , reato che, chiariscono i giudici, non richiede la sistematicità della violenza e di condotte aggressive e umilianti per i congiunti ma la loro ricorrenza – che si riassume nell’abitualità – e, dunque, non postula che l’unico registro comunicativo tra autore e vittima del reato sia costituito da comportamenti aggressivi e violenti, sicché periodi di ricomposizione dei rapporti, sul piano della civile convivenza e, in questo caso, la dichiarazione di affetto del figlio verso la madre nel corso dell’interrogatorio di garanzia non possono mettere in discussione la illiceità della condotta tenuta dall’uomo e subita dalla donna. Inequivocabile, in sostanza, il regime di vita imposto dal figlio all’anziana madre e caratterizzato da aggressioni fisiche e verbali e dal danneggiamento di mobilio e suppellettili . Irrilevante, invece, il fatto che la condotta dell’uomo sia stata caratterizzata anche da periodi di normalità e di accordo con la madre.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 25 febbraio – 6 maggio 2020, n. 13699 Presidente Villoni – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Os. Ba. impugna la sentenza con la quale la Corte di appello di Venezia ha rideterminato in anni due e mesi due di reclusione la pena inflittagli per il reato di cui all'art. 572 cod. pen., in danno della madre, commesso in Albignasego dal settembre 2017 al febbraio 2018. 2. Con motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., denuncia 2.1. vizio di motivazione, per contraddittorietà, illogicità e travisamento della prova dichiarativa, in relazione al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato, con particolare riferimento alla collocazione, nel tempo delle condotte ascritte all'imputato erroneamente ritenute riscontrate, secondo la Corte distrettuale, dalle dichiarazioni di testi diretti i quali, tuttavia, nulla erano stati in grado di riferire su condotte violente o aggressive dell'imputato in danno della madre 2.2. analoghi vizi di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione inficiano le conclusioni della Corte in merito alla coscienza e volontà dell'imputato di sottoporre la madre ad un regime di vita insostenibile, erroneamente ricondotta alla confessione dell'imputato che, tuttavia, ha dichiarato di volere bene alla madre aspetto, questo non superato dalla sentenza impugnata se non con motivazione apparente laddove riconduce la condotta abusante ai momenti nei quali l'imputato necessitava di denaro. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi generici e manifestamente infondati. 2. Le censure difensive si risolvono, precipuamente, nella richiesta di valutazione alternativa delle dichiarazioni accusatorie a fronte della logica motivazione delle convergenti sentenze di merito poste a sostegno del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa che, per come rilevato dalla Corte distrettuale, non ingenerano alcuna confusione circa l'epoca di commissione dei fatti con il rischio di sovrapporli ad episodi, risalenti nel tempo, per i quali l'imputato era già stato condannato. Men che mai è ravvisabile nel procedimento seguito dai giudici a quibus il denunciato vizio di travisamento della prova che è configurabile ex multis Sez. 2 , Sentenza n. 27929 del 12/06/2019, Borriello Filadelfo Rv. 276567 quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia e non quando, secondo la stessa prospettazione fattane con il ricorso, con riguardo al contenuto delle dichiarazioni rese da congiunti della persona offesa e dall'imputato, il ricorrente proponga una pure plausibile lettura alternativa del dato probatorio. La sentenza impugnata, che richiama a questo riguardo quella di primo grado molto più analitica nell'analisi del compendio dichiarativo, si fonda, infatti, sulle dichiarazioni rese dalla madre dell'imputato che hanno trovato riscontro in quelle dei numerosi congiunti sentiti in dibattimento e nelle relazioni di servizio redatte in occasione dell'intervento di Polizia e Carabinieri presso l'abitazione della vittima. E, in particolare, dalla sintesi delle dichiarazioni contenuta nella sentenza di primo grado emerge una congerie di condotte che ricomprendono oltre a forme di violenza verbale -parolacce, bestemmie e minacce che costituivano il registro comunicativo dell'imputato con la madre per chiederle soldi e di preparargli da mangiare, anche di notte ma anche da vere e proprie aggressioni fisiche, con il ricorso a spintoni, per costringere la donna a fare quanto richiestole e nel ricorrente danneggiamento del mobilio e suppellettili di casa. Comportamenti che gli stessi congiunti hanno descritto come forme di maltrattamento psicologico che ingeneravano nella settantenne persona offesa uno stato di ansia e di agitazione rilevato dagli agenti di polizia in occasione di loro interventi e che avevano costretto la vittima finanche ad apporre cancelli di ferro alle finestre ed alla porta di casa per difendersi dalle incursioni del figlio, spesso ubriaco o in preda a crisi determinate dall'assunzione di stupefacenti. 3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso poiché la struttura del reato di maltrattamenti in famiglia non richiede la sistematicità della violenza e di condotte aggressive e umilianti per i congiunti ma la loro ricorrenza che si riassume nell'abitualità e, dunque, non postula che l'unico registro comunicativo tra autore e vittima del reato sia costituito da comportamenti aggressivi e violenti sicché periodi di ricomposizione dei rapporti, sul piano della civile convivenza, e la dichiarazione di affetto verso la madre di cui l'imputato ha fatto mostra nel corso dell'interrogatorio di garanzia, non valgono ad elidere la illiceità della condotta. Il regime di vita imposto dall'imputato all'anziana madre, ben compendiato nel capo di imputazione nel quale sono enucleate le aggressioni fisiche e verbali e il danneggiamento di mobilio e suppellettili, integra, per la ricorrenza delle condotte abusanti e lo stato di prostrazione che ne era derivato alla persona offesa dal reato, il reato di maltrattamenti. Questo è ravvisabile in presenza del compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato e nel caso in esame, peraltro, protrattisi per anni, non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo ovvero la detenzione o altre forme di restrizione per effetto di provvedimenti adottati dall'autorità giudiziaria che non recidono i legami tra i componenti del nucleo familiare a prescindere dall'attualità della convivenza. 4. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, essendogli imputabile la colpa nella proposizione di siffatto ricorso, al versamento della somma indicata in dispositivo in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.