Velocità eccessiva e sorpasso troppo stretto: ciclista condannato per lo scontro col runner

Nessuna giustificazione per l’uomo che in un parco alla guida di un velocipede ha colpito e fatto cadere un uomo impegnato a fare jogging. Evidente per i giudici l’imprudenza compiuta dal ciclista che avrebbe dovuto moderare la velocità e tenere in debito conto la presenza di persone dedite alla corsa.

Troppo veloce e perciò colpevole il ciclista. Sacrosanta, difatti, secondo i giudici, la sua condanna per lo scontro con un uomo impegnato a fare jogging se avesse tenuto una condotta più prudente alla guida del velocipede, difatti, avrebbe potuto reagire prontamente allo spostamento del corridore Cassazione, sentenza n. 13591/20, sez. IV Penale, depositata il 5 maggio . Scontro. Scenario dell’incidente è un parco della Capitale. Protagonisti un ciclista e un uomo impegnato a fare jogging. Secondo la ricostruzione dell’episodio, verificatosi nel settembre del 2011, il corridore si è spostato all’improvviso ed è stato colpito dal ciclista che teneva un’andatura sostenuta ed era impegnato in una sorta di manovra di sorpasso nei suoi confronti. E per i giudici di merito gli elementi probatori a disposizione sono sufficienti per ritenere il ciclista colpevole del reato di lesioni personali colpose, con pena fissata in 800 euro di multa, a cui si aggiunge il risarcimento dei danni in favore del corridore. In sostanza, al ciclista viene addebitato di avere proceduto ad una velocità non adeguata alle circostanze di tempo e di luogo e di avere perciò investito un uomo che passeggiava all’interno del parco, cagionandogli la frattura composta della spalla sinistra e numerose altre fratture, lesioni giudicate guaribili in trenta giorni Il runner ha spiegato che stava praticando jogging quando è stato urtato violentemente da dietro alla schiena da un ciclista e scaraventato a terra e ha aggiunto che non era riuscito ad alzarsi . Il ciclista ha ribattuto di aver visto il pedone situato alla propria destra e di aver impegnato la parte sinistra per evitarlo, ma, mentre con la ruota anteriore lo aveva sorpassato, il pedone si era spostato verso sinistra e si era determinato un contatto tra la propria spalla e quella del pedone . Per i giudici di merito, però, poiché l’incidente è avvenuto all’interno di un parco, al ciclista era richiesta una particolare diligenza nell’affrontare i sentieri del parco stesso, evitando l’investimento di pedoni, la cui presenza era prevedibile . Ciò significa, secondo i giudici, che il ciclista avrebbe dovuto prefigurarsi la possibilità di incontrare corridori e avrebbe dovuto adeguare la propria condotta di guida, secondo normali criteri di prudenza , e difatti, in questo caso, se il ciclista avesse commisurato la velocità allo stato dei luoghi, avrebbe potuto impedire l’impatto col corridore frenando prontamente la bicicletta . Peraltro, il ciclista avrebbe anche dovuto segnalare la propria presenza al corridore mediante i dispositivi acustici, dei quali la bicicletta doveva essere dotata . Prudenza. La prospettiva adottata prima dal Giudice di pace e poi dal Tribunale è condivisa in pieno dalla Cassazione, che difatti conferma in toto la condanna a carico del ciclista. Inutili le obiezioni difensive proposte nel contesto del ‘Palazzaccio’, e centrate su alcuni precisi elementi la particolare diligenza richiesta ai soggetti dediti allo jogging l’imprevedibilità del mutamento di direzione da parte del corridore c l’irrilevanza della presunta inadeguata velocità del ciclista, in quanto l’urto si è verificato tra la spalla sinistra della parte offesa e quella destra dell’imputato, cioè quando i due erano affiancati e la metà anteriore della bicicletta aveva già superato il pedone d la mancanza di un obbligo del ciclista, al di fuori degli ambiti della circolazione stradale, di dotarsi di campanello l’impossibilità di stabilire la velocità dell’imputato la ricollegabilità delle lesioni all’urto contro il terreno . Senza dimenticare poi, sempre in ottica difensiva, il fatto che il runner non aveva rispettato l’obbligo previsto per i pedoni di transitare, nelle strade sprovviste di marciapiedi o di banchine, lungo il margine opposto alla marcia dei veicoli . Per i giudici della Cassazione, però, correttamente è stata sancita la responsabilità penale del ciclista, proprio alla luce della dinamica dell’incidente, ricostruita grazie alle dichiarazioni della persona offesa, dichiarazioni compatibili con le lesioni da essa subite e con tutti gli ulteriori elementi probatori acquisiti. Decisiva, in sostanza, la evidente violazione delle regole generali di prudenza e di diligenza ad opera del ciclista, anche tenendo presente la prevedibilità della presenza di corridori e dei loro ipotetici spostamenti laterali . Ciò significa che il ciclista avrebbe dovuto moderare la velocità e superare il runner mantenendo un ampio margine di distanza di sicurezza da lui .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 febbraio – 5 maggio 2020, n. 13591 Presidente Di Salvo – Relatore Esposito Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Roma ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Roma del 4 settembre 2017, con cui To. Fa. era stato condannato alla pena di Euro ottocento di multa e al risarcimento dei danni in favore della parte civile in relazione al reato di cui all'art. 590 cod. pen. perché, alla guida di una bicicletta, per colpa generica, procedendo ad una velocità non adeguata alle circostanze di tempo e di luogo, investiva Ca. De Me., che passeggiava all'interno del Parco degli Acquedotti, cagionandogli la frattura composta della spalla sinistra e numerose altre fratture, lesioni guaribili in giorni trenta - fatto del 15 settembre 2011, in Roma, nel parco degli Acquedotti . Il De Me. dichiarava che, alle ore 17.30/18.00, mentre stava praticando jogging, veniva urtato violentemente da dietro alla schiena da un ciclista scaraventato a terra e non era riuscito ad alzarsi. Il To. riferiva di aver visto il pedone situato alla propria destra e di aver impegnato la parte sinistra per evitarlo, ma, mentre con la ruota del manubrio lo aveva sorpassato, il pedone si era spostato verso sinistra e si era determinato un contatto tra la propria spalla e quella del pedone. Secondo il Tribunale, il Giudice di Pace aveva fatto corretto uso dei criteri di valutazione delle prove e dei principi in materia di prova logica. Il Tribunale ha dato atto della linearità del racconto reso dalla parte civile, dell'assenza di intento calunnioso nei confronti dell'imputato e dei riscontri alla sua deposizione costituiti dalla documentazione medica e dall'esame testimoniale dell'operante e del teste di difesa. Trattandosi di incidente avvenuto all'interno di un parco, al ciclista era richiesta una particolare diligenza nell'affrontare i sentieri del parco stesso, evitando l'investimento di pedoni, la cui presenza era prevedibile. Nella fattispecie, il ciclista avrebbe dovuto prefigurarsi la possibilità di incontrare corridori e avrebbe dovuto adeguare la propria condotta di guida, secondo normali criteri di prudenza. Se il To. avesse commisurato la velocità allo stato dei luoghi avrebbe potuto impedire l'impatto col corridore frenando prontamente la bicicletta. Tale circostanza era avvalorata dall'agevole sorpasso del pedone ad opera del ciclista Marcangeli Federico, teste di difesa. L'imputato avrebbe dovuto segnalare la propria presenza al De Me. mediante i dispositivi acustici, dei quali la bicicletta doveva essere dotata. Il riferimento alle norme del Codice della Strada risultava sovrabbondante, dovendosi giungere alle medesime conclusioni applicando le regole di diligenza di cui all'art. 590 cod. pen 2. Il To., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale, proponendo due motivi di impugnazione. 2.1. Violazione di legge con riferimento all'art. 192 cod. proc. pen Si rileva che il giudice di secondo grado è incorso in molteplici carenze motivazionali, non avendo valutato quanto segue a la particolare diligenza richiesta ai soggetti dediti allo jogging b l'imprevedibilità del mutamento di direzione da parte del corridore c l'irrilevanza della presunta inadeguata velocità del ciclista, in quanto l'urto si verificava tra la spalla sinistra della parte offesa e quella destra dell'imputato, cioè quando i due erano affiancati e la metà anteriore della bicicletta aveva già superato il pedone d la mancanza di un obbligo del ciclista, al di fuori degli ambiti della circolazione stradale, di dotarsi di campanello e l'impossibilità di stabilire la velocità dell'imputato f la ricollegabilità delle lesioni all'urto contro il terreno. I seguenti fattori minavano la credibilità e l'attendibilità del dichiarante 1 il De Me. era portatore di un interesse patrimoniale ingente, avendo richiesto la somma di Euro quarantaduemila a titolo di risarcimento 2 il De Me. sosteneva che il ciclista proveniva a velocità inadeguata, mentre, avendo lo sguardo rivolto dinanzi a sé, non poteva conoscerne l'andatura 3 le dichiarazioni della vittima erano prive di riscontri, in quanto gli altri testi non avevano visto la dinamica dell'incidente 4 il De Me. non aveva rispettato l'obbligo previsto per i pedoni di transitare, nelle strade sprovviste di marciapiedi o di banchine, lungo il margine opposto alla marcia dei veicoli. 2.2. Violazione di legge in riferimento all'art. 533 cod. proc. pen Si osserva che, come sostenuto dal To., il De Me. aveva compiuto un brusco scarto laterale alla propria sinistra di circa 1/1,5 m Qualora la bicicletta lo avesse urtato da tergo, l'impatto sarebbe avvenuto con la ruota anteriore o col manubrio ed avrebbe riportato lesioni agli arti inferiori o all'altezza dell'anca. 3. Con memoria difensiva ex art. 611 cod. proc. pen. della difesa della parte civile De Me. Ca., si rileva che i motivi di ricorso si risolvono in una diversa prospettazione del fatto priva di riscontri probatori. Sono altresì censurate tutte le argomentazioni considerate dal ricorrente quali indici di contraddittorietà della motivazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. Con riferimento ad entrambi i motivi di ricorso, con cui si formulano plurimi rilievi alla tenuta logica dell'impianto probatorio della sentenza impugnata in riferimento alla carenza di elementi idonei ad affermare la responsabilità di To. Fa. in relazione al reato ascrittigli, è manifestamente infondato. Va premesso che, secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, l'impugnazione di legittimità è proponibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento gravato, secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando attiene a censure che - benché formalmente prospettanti una violazione di legge o un vizio di motivazione - mirano in realtà a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti o una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178 Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997 . Alla Corte di Cassazione spetta soltanto di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, la congruenza logica e l'adeguatezza della motivazione sul punto Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460 , senza nessun potere di revisionare le circostanze fattuali della vicenda. 2. Il Tribunale ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, la quale è sorretta da motivazione lineare e coerente e, pertanto, è sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità. Dalla logica ricostruzione della vicenda criminosa emerge che il giudice a quo ha illustrato le ragioni della credibilità e dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, ritenendole compatibili con le lesioni da essa subite e con tutti gli ulteriori elementi probatori acquisiti. Nella sentenza impugnata la responsabilità è stata affermata alla luce della riscontrata violazione delle regole generali di prudenza e di diligenza e della prevedibilità della presenza di corridori e dei loro ipotetici spostamenti laterali, in quanto il To. avrebbe dovuto moderare la velocità e superare il De Me., mantenendo un ampio margine di distanza di sicurezza da lui. Le doglianze difensive, benché formalmente dirette a denunciare la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione resa dal Tribunale capitolino, si esauriscono in realtà in una contestazione, nel merito, degli elementi di fatto e delle risultanze d'indagine che il giudice a quo giudicava idonei a integrare il compendio probatorio. 3. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Il ricorrente va condannato altresì al pagamento delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile Ca. De Me., che, tenuto conto della relativa complessità del procedimento, vanno liquidate nell'importo di Euro tremila, oltre accessori come per legge. P. Q. M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile Ca. De Me., che si liquidano in Euro tremila, oltre accessori, come per legge.