Cessione di cocaina: la Corte rimarca i criteri di giudizio sulla colpevolezza dell’imputato secondo il crisma dell’oltre ogni ragionevole dubbio

Il criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio consente di pronunciare sentenza di condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto ricostruzioni alternative costituenti eventualità remote e la cui realizzazione in concreto risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali. In tema di cessione di sostanze stupefacenti ciò implica che, in caso di una prospettazione alternativa del fatto, siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi accusatorie della cessione e sia motivatamente esclusa la plausibilità della tesi difensiva sull’uso personale.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la sentenza n. 13155 depositata il 28 aprile 2020. Uso personale o detenzione finalizzata allo spaccio? L’eterno dilemma dell’art. 73, d.p.r. n. 633/1972. Com’è noto, l’art. 73 d.p.r. n. 633/1972 è posto a tutela del bene giuridico della salute pubblica, che può essere lesa o messa in pericolo dall’attività di spaccio e vendita di sostanze stupefacenti, tanto con riguardo alle droghe c.d. leggere quanto per quelle pesanti. La questione dell’interesse tutelato, lungi dall’arrestarsi ad uno stadio meramente teorico ed astratto, è dirimente al fine di qualificare o meno la condotta dell’agente come penalmente rilevante. Difatti, soltanto la comprovata cessione a terzi dello stupefacente può integrare la fattispecie delittuosa in esame, in quanto idonea ad inficiare la salute altrui, e non anche l’uso personale della sostanza stessa poiché, in quest’ultimo caso, l’offensività della condotta rimane circoscritta alla sfera dell’agente e non è in grado di ledere la collettività. Ecco perché nelle aule di giustizia non è raro assistere alla contrapposizione tra la tesi difensiva dell’uso personale e quella accusatoria della cessione. Censura del ricorrente manifesta illogicità della motivazione e violazione del canone del superamento di ogni dubbio ragionevole. Nel caso di specie, l’imputato - condannato in doppia conforme per la detenzione di circa 10 grammi di cocaina finalizzata alla cessione - proponeva ricorso per cassazione dogliandosi dell’illogicità della motivazione con cui la Corte territoriale aveva desunto la destinazione a terzi della sostanza stupefacente. La condanna era stata fondata sulla quantità della sostanza rinvenuta, dalla detenzione minima anche di sostanza di tipo differente e dalla inverosimiglianza della tesi difensiva, in ragione delle inadeguate condizioni economiche dell’imputato figlio di un’impiegata con reddito modesto e del fatto che non fosse un consumatore abituale. Il ricorrente denunciava la manifesta illogicità di tale motivazione e l’insufficienza degli elementi a sostenere un giudizio di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. Adduceva in proposito che la sostanza era stata rinvenuta su indicazione dell’indagato era custodita in un unico involucro e non suddivisa in dosi non è stata sottoposta ad indagine tossicologica essendo quindi ignota la quantità di principio attivo non sono stati rinvenuti strumenti per il frazionamento né denaro l’imputato è incensurato e figlio unico di un’impiegata pubblica con reddito documentabile la detenzione di sostanza di specie diversa è insignificante in quanto è frequente il consumo di entrambi i tipi da parte di uno stesso soggetto. La decisione della Corte. Il ricorso è fondato, avendo sollecitato una verifica sulla resistenza del giudizio di colpevolezza che, nel caso di specie, ha dato esito negativo. Ricorda la Suprema Corte che la regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio consente di pronunciare una sentenza di condanna soltanto a condizione che un’eventuale ricostruzione alternativa dei fatti risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana. Ciò implica che, in caso di una prospettazione alternativa del fatto, siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi accusatorie della cessione e sia motivatamente esclusa la plausibilità della tesi difensiva sull’uso personale. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto gli elementi valorizzati non risultano muniti di significativa valenza indiziante. Le tracce della disponibilità da parte dell’imputato della sostanza di altro tipo non permettono di stabilirne la quantità né la collocazione temporale di tale detenzione. Le disponibilità economiche dell’imputato ritenute insufficienti non sono state oggetto di alcuna verifica né risultano astrattamente incompatibili con il costo asseritamente supportato per l’acquisto. Ancora, l’insussistenza della qualità di consumatore abituale era stata esclusa soltanto sulla base del fatto che l’imputato, a suo stesso dire, avrebbe interrotto l’assunzione di tali sostanze di propria volontà e senza ausili esterni. Di contro, il mancato rinvenimento di strumenti funzionali al frazionamento o confezionamento e la linearità del comportamento tenuto dal ricorrente al momento della perquisizione domiciliare risultano ampiamente compatibili con una destinazione di quella sostanza all’uso personale. È evidente, pertanto, la debolezza rappresentativa dei risultati probatori in sentenza, combinata con l’indiscussa presenza di elementi idonei a sostenere un’ipotesi alternativa plausibile. A questo punto, la Suprema Corte non può quindi che concludere per la manifesta illogicità della motivazione, cassando il provvedimento impugnato senza rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 marzo – 28 aprile 2020, n. 13155 Presidente Fidelbo – Relatore Rosati Ritenuto in fatto 1. Con atto del proprio difensore, V.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 19 dicembre 2018, che ne ha confermato la condanna per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, disposta dal Tribunale della stessa città, in relazione alla detenzione di 9,75 grammi di cocaina. La sostanza è stata rinvenuta, a seguito di perquisizione domiciliare, all’interno di una scatola, in un cassetto della scrivania della stanza da letto dell’imputato, nel quale vi era pure un altro contenitore con tracce di hashish. In sede di convalida del suo arresto, l’imputato ha riferito di averla acquistata a Pistoia e di averla pagata settecento Euro, attingendo ai suoi risparmi. La Corte di appello, così come il primo giudice, ha desunto la destinazione a terzi di quello stupefacente dalla quantità, dalla detenzione anche di sostanza di tipo differente e dalla inverosimiglianza della versione difensiva, in ragione delle inadeguate condizioni economiche familiari dell’imputato disoccupato e figlio di un’impiegata con reddito modesto e del fatto ch’egli non fosse consumatore abituale. 2. Il ricorso denuncia la manifesta illogicità di tale motivazione e l’insufficienza degli elementi ivi valorizzati, al fine di sostenere un giudizio di colpevolezza che superi la soglia del dubbio ragionevole. Evidenzia, in proposito, che la sostanza è stata rinvenuta su indicazione dello stesso indagato era custodita in un unico involucro e non suddivisa in dosi non è stata sottoposta ad indagine tossicologica, sicché ne è ignota la quantità di principio attivo non sono stati rinvenuti nè strumenti per il frazionamento e confezionamento nè denaro l’imputato, ventisei anni all’epoca, è incensurato, figlio unico di un’impiegata pubblica con un reddito documentato di circa 1.500 Euro mensili insignificante, infine, è la detenzione di sostanze di specie diversa una delle quali, peraltro, in quantità inapprezzabile , essendone frequente il consumo di entrambi i tipi da parte di uno stesso soggetto. Considerato in diritto 1. Il motivo di ricorso è fondato. Il ricorrente sollecita una verifica sulla resistenza del giudizio di colpevolezza, da quei giudici formulato, a ragionevoli ipotesi ricostruttive alternative, e dunque una valutazione sul rispetto del canone fondamentale per l’affermazione della responsabilità penale, previsto dall’art. 533 c.p.p., comma 1 il superamento di ogni dubbio ragionevole. 2. Tale regola di giudizio consente di pronunciare sentenza di condanna, a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto ricostruzioni alternative costituenti eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, Segreto, Rv. 275299 Sez. 4, n. 48541 del 19/06/2018, Castelli, Rv. 274358 . Ciò implica che, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi accusatoria e sia motivatamente esclusa la plausibilità della tesi difensiva Sez. 6, n. 10093 del 05/12/2018, Esposito, Rv. 275290 . 3. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione di tali principi. Gli elementi da essa valorizzati, infatti, non risultano muniti di significativa valenza indiziante. Le tracce della disponibilità, da parte dell’imputato, di sostanza stupefacente di altro tipo, rispetto a quella rinvenuta in suo possesso, non permettono di stabilirne la quantità, in ipotesi anche molto modesta, nè consentono di collocare nel tempo tale detenzione ulteriore. Le disponibilità economiche di costui sono state reputate insufficienti, ma non sono state oggetto di alcuna verifica nè risultano manifestamente inconciliabili con il costo da lui asseritamente sopportato per l’acquisto. La qualità di consumatore abituale o meno è nozione vaga e, nello specifico, esclusa sulla base di un’inferenza priva di qualsiasi validità scientifica, avendo la Corte di merito valorizzato, a tal fine, soltanto il fatto che l’imputato, a suo stesso dire, avesse interrotto l’assunzione di tali sostanze di propria volontà e senza ausilii esterni. Di contro, la quantità di sostanza pari a meno di dieci grammi lordi , il mancato rinvenimento, nella disponibilità del ricorrente, di strumenti funzionali al frazionamento ed al confezionamento in dosi al consumo, ed il lineare comportamento da lui tenuto in occasione della perquisizione domiciliare subita, risultano ampiamente compatibili con una destinazione di quella sostanza al suo consumo personale. La debolezza rappresentativa dei risultati probatori valorizzati in sentenza, combinata con l’indiscussa presenza di elementi idonei a sostenere un’ipotesi alternativa plausibile, non può che condurre, allora, ad un giudizio complessivo di manifesta illogicità del discorso giustificativo posto a fondamento della decisione impugnata e, pertanto, all’annullamento della stessa. Peraltro, non emergendo dalla sentenza spazi per possibili approfondimenti istruttori, e dunque per un’eventuale affermazione di responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, non vi è ragione per rinviare gli atti al giudice di merito. S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. Si dà atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere MARTINO Rosati, viene sottoscritto dal solo Presidente del Collegio, per impedimento dell’estensore, ai sensi dei D.P.C.M. 8 e 9 marzo 2020.