Presenza fissa negli uffici comunali, pretende dal sindaco aiuti economici: vacilla l’accusa di minaccia

Ridimensionata dai giudici della Cassazione la condotta tenuta da un uomo che per far fronte alla propria condizione di indigenza ha preso di mira il sindaco, chiedendo a lui ripetute elargizioni di aiuti economici.

Presenza fissa negli uffici comunali – con tanto di visite forzate al primo cittadino – per ottenere aiuti economici. Il comportamento tenuto da un uomo in condizioni di indigenza non è catalogabile come minaccia. Cassazione, sentenza n. 13153, sezione VI Penale, depositata il 28 aprile . Richieste. Scenario della delicata vicenda è la Sicilia. Lì, in un piccolo Comune, si segnala il comportamento tenuto da un uomo Fabio, nome di fantasia – che per far fronte alla propria condizione di indigenza domanda ripetutamente, e con toni aggressivi, al sindaco di ottenere corpose elargizioni economiche. Le pressanti richieste sfiniscono il primo cittadino, lo impauriscono a tal punto da spingerlo da chiedere il porto d’armi. Ciò nonostante, in Tribunale l’uomo sotto processo viene ritenuto non colpevole poiché, secondo i giudici, la condotta da lui tenuta appariva espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento parolaio genericamente minaccioso, non finalizzata ad incidere sull’attività conclusasi con l’erogazione di somme uguali per coloro i quali erano nelle stesse condizioni disagiate . Diversa, invece, la valutazione compiuta in Appello. Per i giudici di secondo grado, difatti, Fabio si è reso colpevole di minaccia a pubblico ufficiale e va punito con due anni di reclusione . Ciò perché si sono appurate l’assidua e petulante presenza presso gli uffici comunali e le frequenti richieste di aiuti economici e non sono contestabili gli atteggiamenti aggressivi rivolti nei confronti del sindaco che alla fine per timore era stato indotto, di concerto con gli organi comunali, non solo alla concessione di contributi non dovuti, ma anche ad una specifica rimodulazione delle modalità di erogazione dei contributi, con ciò fornendo all’uomo, che pur versava in precarie condizioni economiche, vantaggi rispetto a persone versanti nelle medesime situazioni . Molesto. Per il difensore di Fabio, però, è stata data una lettura sbagliata ai comportamenti tenuti dal suo cliente, comportamenti che non hanno determinato l’evento lesivo necessario ai fini della configurabilità del reato , anche tenendo presente, aggiunge il legale, che la violenza o minaccia posta in essere da Fabio non hanno in alcun modo inciso sulla determinazione volitiva del sindaco, che non gli ha mai consegnato somme di denaro non dovute in violazione di leggi o regolamenti . E a questo proposito viene posto in evidenza che per i fatti contestati nel 2014 l’erogazione era già avvenuta e per quelli commessi nel 2015 era previsto un piano mensile per l’erogazione del sostegno economico a Fabio . Infine, sempre secondo il legale, non si è tenuta nella giusta considerazione la natura dei comportamenti tenuti nei confronti del sindaco, trattandosi di semplici alterchi . Tale visione è ritenuta plausibile dai giudici della Cassazione. In premessa viene ricostruita la vicenda. Così si può accertare che l’uomo sotto processo viveva in stato di indigenza e aveva ottenuto dal Comune aiuti economici, che tuttavia non aveva ritenuto sufficienti, e così aveva assunto nel tempo atteggiamenti sempre più invadenti. E grazie alle condotte intimidatorie, minacciose ed ingiuriose aveva conseguito aiuti economici in misura superiore al dovuto nel 2014 euro 1500 a fronte del tetto massimo fissato in euro 400 oltre a borse lavoro, cantieri lavoro, assegni civici e al pagamento di bollette di varie utenze . Inoltre, egli aveva tenuto comportamenti minacciosi nei confronti del sindaco e di altri pubblici ufficiali sia dentro che fuori gli uffici comunali , arrivando in un’occasione a concedere sette minuti a una funzionaria per contattare il sindaco e fare avere a lui il denaro richiesto. Significativo anche il fatto che a seguito dei comportamenti tenuti da Fabio il sindaco aveva chiesto e ottenuto il rilascio del porto d’armi , a confermare che la sua serenità era stata oltremodo turbata . Per i giudici del ‘Palazzaccio’, però, non si può attribuire valenza minatoria alla petulante e insistente presenza di Fabio con prospettazione di non andarsene alla generica rappresentazione di autoinvitarsi a pranzo a casa del primo cittadino agli inviti perentori rivolti ad altri funzionari per poter avere un colloquio con il sindaco . Piuttosto, la continua ed insistente presenza negli uffici comunali per richiedere elargizioni legate allo stato di indigenza pare risolversi in una generica condotta invasiva e petulante, nella quale potrebbe configurarsi il meno grave reato di molestie, per il quale è sufficiente un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà . Vacilla, quindi, l’accusa a carico di Fabio, e ora, alla luce delle considerazioni espresse dai giudici della Cassazione, la vicenda dovrà essere nuovamente esaminata dai giudici d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 febbraio – 28 aprile 2020, n. 13153 Presidente Fidelbo – Relatore Giorgi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe la Corte d'appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza 11/05/2017 del Tribunale di Caltanissetta di assoluzione dell'imputato Gi. Ra., dichiarava lo stesso responsabile del reato continuato di minaccia a pubblico ufficiale e lo condannava, con la recidiva reiterata, alla pena di anni due di reclusione. La condotta dell'imputato integrava il reato contestato posto che, anche a seguito della parziale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, era emerso che l'assidua e petulante presenza di Ra. presso gli uffici comunali, le sue frequenti richieste di aiuti economici e gli atteggiamenti aggressivi rivolti nei confronti del Sindaco Ba. avessero determinato nella persona offesa uno stato di timore che lo aveva indotto, di concerto con gli organi comunali a ciò preposti, non solo alla concessione di contributi non dovuti, ma anche ad una specifica rimodulazione delle modalità di erogazione dei contributi, con ciò fornendo a Ra., che pur versava in precarie condizioni economiche, vantaggi rispetto a persone versanti nelle medesime situazioni. Sotto il profilo sanzionatorio la Corte riteneva di doversi discostare dal minimo edittale in considerazione dell'arco di tempo interessato dalla reiterazione delle condotte criminose e del turbamento causato all'attività dei pubblici ufficiali, nonché di applicare l'aumento di pena per la ritenuta recidiva reiterata. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Ra., deducendo 2.1. violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza del reato di cui all'art. 336 cod. pen. Da un lato la condotta posta in essere dall'imputato non ha determinato l'evento lesivo necessario ai fini della configurabilità del reato de quo la violenza o minaccia posta in essere dall'imputato non avrebbero in alcun modo inciso sulla determinazione volitiva del Sindaco, che non ha mai consegnato somme di denaro a Ra. non dovute in violazione di leggi o regolamenti. Infatti per i fatti contestati nel 2014 l'erogazione era già avvenuta e per quelli commessi nel 2015 era previsto un piano mensile per l'erogazione del sostegno economico a Ra Sotto diverso profilo la Corte non avrebbe tenuto nella giusta considerazione la natura dei comportamenti tenuti nei confronti del Sindaco, trattandosi di semplici alterchi, con riguardo ai quali i giudici di appello hanno erroneamente e contraddittoriamente valutato le prove testimoniali. 2.2. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla dosimetria della pena, in particolare per quanto riguarda l'aumento apportato per la ritenuta recidiva reiterata, non essendo Ra. gravato da precedenti penali. Considerato in diritto 1. Sono fondati i motivi di ricorso attinenti alla configurabilità degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 336 cod. pen., il cui accoglimento ha natura assorbente rispetto alle altre doglianze. 2. I Giudici di appello previa parziale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale hanno ricostruito la vicenda storico-fattuale evidenziando come l'imputato, il quale viveva in stato di indigenza a aveva ottenuto dal Comune aiuti economici, che tuttavia non aveva ritenuto sufficienti b aveva assunto nel tempo atteggiamenti sempre più invadenti c grazie alle condotte intimidatorie, minacciose ed ingiuriose aveva conseguito aiuti economici in misura superiore al dovuto nel 2014 Euro 1500,00 a fronte del tetto massimo fissato in Euro 400,00 oltre a borse lavoro, cantieri lavoro, assegni civici e al pagamento di bollette di varie utenze d aveva tenuto comportamenti minacciosi nei confronti del Sindaco e di altri pubblici ufficiali sia dentro che fuori gli uffici comunali, tanto che il 27/02/2015 Ra. aveva fermato Ba. per strada, minacciandolo quando costui gli aveva fatto presente che aveva già ricevuto più di quanto gli spettava e aveva posto in essere condotte minacciose anche nei confronti di altri soggetti, allorché, ad esempio, il 27/05/2015 era stato allontanato dai Carabinieri, ma si era poco dopo ripresentato assegnando alla funzionaria Rampulla il termine di sette minuti per contattare il Sindaco e fargli avere il denaro richiesto. La Corte ha rappresentato altresì che in relazione alle insistenti minacce Ba. aveva chiesto e ottenuto il rilascio del porto d'armi e, comunque, la sua serenità era stata oltremodo turbata. La Corte territoriale, nel riformare la decisione assolutoria di primo grado, secondo cui la condotta tenuta da Ra. appariva espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento parolaio genericamente minaccioso non finalizzata ad incidere sull'attività conclusasi con l'erogazione di somme uguali per coloro i quali erano nelle stesse condizioni disagiate , ha concluso, anche alla stregua degli elementi fattuali raccolti nel corso dell'integrazione istruttoria, nel senso della colpevolezza di Ra 3. Ritiene questa Corte che l’ assunto dei giudici di appello - nell'attribuire valenza minatoria alla petulante e insistente presenza con prospettazione di non andarsene, alla generica rappresentazione di autoinvitarsi a pranzo a casa del Sindaco e agli inviti perentori rivolti ad altri funzionari per poter avere un colloquio con il Sindaco - non sia coerente con i criteri ermeneutici fissati nella giurisprudenza di legittimità in materia. Ed invero, non integra il delitto di cui all'art. 336 cod. pen. la reazione genericamente minatoria del privato, mera espressione di sentimenti ostili non accompagnati dalla specifica prospettazione di un danno ingiusto, che sia sufficientemente concreta da risultare idonea a turbare il pubblico ufficiale nell'assolvimento dei suoi compiti istituzionali Sez. 6, n. 20320 del 07/05/2015, Lobina, Rv. 263398 Sez. 6, n. 6164 del 10/01/2011, Stefanelli Rv. 249376 . Di talché, perché sia ravvisabile una minaccia idonea a rendere configurabile il reato di cui all'art. 336 cod. pen., occorre che la condotta posta in essere dall'agente sia dotata di effettiva potenzialità a coartare la volontà del pubblico ufficiale nell'assolvimento dei doveri d'ufficio, tale non potendo dirsi un atteggiamento del privato che genericamente esprima sentimenti ostili non accompagnati da specifiche prospettazioni di un danno ingiusto di una qualche concretezza idonee a turbare il pubblico ufficiale nell'assolvimento dei compiti istituzionali, non essendo neppure univocamente dimostrata l'esistenza dell'atto contrario ai doveri di ufficio. Orbene, nel caso in esame, l'unica espressione dotata di effettiva valenza minatoria è quella rivolta da Ra. al Sindaco Ba. il 27/02/2015, allorché gli diceva come tu ti diverti con me, io mi potrei divertire con te espressione rimasta però isolata e - come tale - configurabile come minaccia, non perseguibile per mancanza di querela. Per contro, la continua ed insistente presenza per richiedere elargizioni legate allo stato di indigenza pare piuttosto risolversi in una generica condotta invasiva e petulante, nella quale potrebbe configurarsi il meno grave reato di molestie, per il quale è sufficiente un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà, con la conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l'elemento materiale costitutivo del reato Sez. 1, n. 6064 del 06/12/2017, Girone, Rv. 272397 Sez. 1, n. 6908 del 24/11/2011, Zigrino, Rv. 252063 Sez. 1, n. 29933 del 08/07/2010, Arena, Rv. 247960 . 4. La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuova valutazione in ordine ai punti indicati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta.