Volantinaggio antimafia bloccato: legittimo parlare di danneggiamento e violenza privata

Confermata la condanna per un uomo che ha strappato via alcuni volantini antimafia e ha minacciato i volontari che li avevano distribuiti per convincerli a fermarsi e ad andare via. Respinta la tesi difensiva, secondo cui l’obiettivo legittimo era impedire un’azione blasfema, poiché nei volantini si faceva riferimento a un evento religioso.

Impedire un volantinaggio, strappando via i singoli volantini e minacciando le persone che li stanno distribuendo in strada, vale una condanna. Confermata la responsabilità penale per un uomo, oppostosi con violenza alla distribuzione di messaggi antimafia. Cassazione, sentenza n. 12892/20, sezione V Penale, depositata il 24 aprile 2020 . Volantini. Scenario della vicenda è la città di Messina, pronta a celebrare il tradizionale rito della ‘Vara’, cioè il portare in processione, come ogni anno a Ferragosto, un grande carro votivo – la ‘Vara’, per l’appunto – dedicato alla Madonna Assunta. Pochi giorni prima alcuni volontari dell’associazione ‘Addiopizzo’ sono intenti a distribuire volantini con un chiaro messaggio antimafia su ogni foglio è raffigurata la macchina votiva della ‘Vara’ di Messina, accompagnata dalla scritta Maria libera Messina dal pizzo e dalla mafia”. Quell’opera meritoria viene però ostacolata in malo modo da alcuni uomini uno, in particolare, si proclama componente del ‘Comitato Vara’, cioè della struttura che organizza la processione, strappa via alcuni volantini appena posizionati e poi rivolge parole minacciose nei confronti dei volontari dell’associazione. Inevitabile il processo che si conclude, prima in Tribunale e poi in appello, con la condanna dell’uomo per violenza privata e danneggiamento, con pena fissata in un anno di reclusione. Approccio. Stessa linea di pensiero, infine, anche per la Cassazione, che respinge le obiezioni difensive e conferma la condanna decisa in appello. Il legale dell’uomo sotto processo ha provato a ridimensionare la condotta tenuta dal proprio cliente, sostenendo che quest’ultimo non ha strappato di mano i volantini, ma si è limitato a staccarli dai luoghi dove erano affissi , e aggiungendo che comunque quel comportamento era legittimo poiché non poteva, in qualità di componente del ‘Comitato Vara’, consentire un volantinaggio offensivo nei confronti della Madonna, e aveva il dovere di intervenire per reprimere un fatto ritenuto inopportuno Per i Giudici della Cassazione, però, è inequivocabile l’episodio, poiché si è accertato che nel corso di un’attività di volantinaggio dell’associazione ‘Addiopizzo’, dopo che un volontario aveva attaccato un volantino, sopraggiungeva un uomo che, dopo averlo letto, lo strappava e lo appallottolava, chiedendo di sospendere il volantinaggio, in quanto offensivo per la Madonna e per la città di Messina , aggiungendo che la mafia e il pizzo non c’entrano la mafia non esiste, la mafia non c’è . A fermare i comportamenti minacciosi dell’uomo nei confronti dei volontari dell’associazione avevano provveduto, infine, alcuni agenti di Polizia. Impossibile, quindi, accogliere la tesi difensiva, secondo cui l’uomo ha agito per bloccare un volantinaggio non autorizzato e ritenuto addirittura blasfemo. A smentire questa ricostruzione, difatti, le frasi minacciose e l’atteggiamento intimidatorio che hanno caratterizzato l’approccio con i volontari dell’associazione impegnati in strada.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 gennaio – 24 aprile 2020, n. 12892 Presidente Catena – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 09.10.2017 la Corte di Appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina che aveva dichiarato M.F. responsabile dei reati di violenza privata capo A danneggiamento capo C , condannandolo alla pena di anni uno di reclusione, per avere, in concorso con C.F. , costretto P.E. e P.C. ad interrompere l’attività di volantinaggio che avevano in corso, e per aver distrutto, strappandolo di mano, un volantino raffigurante la macchina votiva della omissi s , contenente lo scritto omissis . 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di M.F. , Avv. Giovanbattista Freni, deducendo i seguenti motivi di ricorso. 2,1 Violazione di legge e vizio di motivazione relativa alla parte in cui la Corte, mal analizzando la sentenza di primo grado, avrebbe affermato la responsabilità di M. per i reati di cui ai capi A e B della rubrica, ovvero dei reati di violenza privata e furto. Invero, avendo il giudice di prime cure assolto l’imputato dal reato di furto dei volantini perché il fatto non sussiste, non si potrebbe ritenere sussistente la violenza, consistita nella asserita sottrazione del volantino, quale presupposto essenziale della violenza privata. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento delle prove lamenta innanzitutto la violazione dell’art. 521 c.p.p., avendo la Corte territoriale modificato la realtà fattuale rispetto alla contestazione in secondo luogo, deduce il travisamento della prova, per avere la Corte ignorato la testimonianza del sovra intendente della Polizia di Stato D.M.C. , resa all’udienza del 18.11.2013, che, intervenuto sul luogo del reato, avrebbe dichiarato di aver identificato soltanto il Forami, coimputato di M. assolto dal Tribunale dal reato di violenza privata anche la testimonianza di L.R.C. , Comandante della Polizia Municipale di , che ha riferito di essere intervenuto sul posto a seguito di richiesta dell’imputato, è stata ignorata, analogamente a quella di D.B.A. , di R. e di Pr. . Contesta che l’imputato abbia strappato di mano volantini, essendosi al più limitato a staccarli dal luogo dove erano stati affissi, lamenta che non sia stato approfondito il dolo, sul rilievo che M. , in qualità di componente del Comitato , non poteva consentire un volantinaggio offensivo della Madonna, ed aveva un dovere di intervenire per reprimere un fatto ritenuto quantomeno inopportuno la violenza contestata sarebbe analoga a quella consentita dall’art. 383 c.p.p. al privato che proceda all’arresto in flagranza di reato. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 635 e 612 c.p. la Corte, avendo ritenuto che la responsabilità del M. è stata accertata per il reato di furto, non avrebbe deciso in merito al reato di danneggiamento, nonché in ordine alla richiesta di riqualificazione del reato di violenza privata in quello di minaccia. 2.4. Violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, al diniego delle attenuanti generiche, e dell’art. 131 bis c.p., negato dalla Corte immotivatamente. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Secondo la ricostruzione dei fatti accertata dai giudici di merito, nel corso di un’attività di volantinaggio dell’associazione omissis , dopo che P.C. aveva attaccato un volantino, sopraggiungeva M.F. , che, dopo averlo letto, lo strappava e lo appallottolava, chiedendo di sospendere il volantinaggio, in quanto offensivo per la Madonna e per la città di , aggiungendo che la mafia e il pizzo non esistevano a , ma solo a omissis Io sono M. il capo della .la è nostra e dovete chiedere il permesso .la mafia e il pizzo non c’entrano niente .la mafia non esiste .la mafia non c’è noncurante delle garbate repliche delle ragazze intente al volantinaggio, che attaccavano un altro volantino al posto di quello strappato, M. tornava indietro, e strappava anche questo secondo, avvertendole che avrebbe chiamato le forze dell’ordine e rivendicando il proprio potere io sono M. il capo quindi iniziava a seguirle e ad insultarle, mentre strappava altri volantini, e chiedeva telefonicamente rinforzi contro due pazze la condotta intimidatoria proseguiva anche nei confronti di P.E. , al quale le ragazze si erano unite, poiché seguiva il gruppetto sino ad un bar ai cui tavolini si erano seduti i volontari aderendo alla richiesta di rinforzi”, sopraggiungeva C.F. , che si fiondava” sul tavolino dei ragazzi tentando di sottrarre i volantini, ed insultando e minacciando i giovani, fino al sopraggiungere di una volante della Polizia, allettata dal P. . 3. Tanto premessa, i motivi proposti sono inammissibili, innanzitutto perché, oltre a reiterare le medesime censure rivolte con l’appello, e respinte con diffusa motivazione dalla Corte territoriale, con la quale omettono qualsivoglia confronto argomentativo, propongono doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui vantazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767 Sez. II, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e , - ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito delle dichiarazioni di alcuni testimoni e della legittimità dell’opposizione all’attività di volantinaggio. Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità tantomeno manifeste e di contraddittorietà. 4. Ciò posto quanto ai limiti del sindacato di legittimità, va evidenziato che il primo ed il terzo motivo sono altresì manifestamente infondati, in quanto la sentenza di primo grado aveva condannato M. per il reati di violenza privata capo A e danneggiamento di un volantino capo C , assolvendolo dal reato di furto del volantino contestato al capo B, per l’assenza della finalità di profitto la Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado, e, indicando a p. 2 la condanna per i capi A e B, è evidentemente incorsa in un mero refuso, avendo argomentato in relazione soltanto ai reati di violenza privata e danneggiamento. Del tutto infondate sono, dunque, le censure del ricorrente, anche perché il furto non integrerebbe comunque una modalità della condotta del reato di violenza privata. Appare, invece, pacifica la qualificazione giuridica del fatto di avere strappato e distrutto un volantino come danneggiamento. 4.1. Il secondo motivo, oltre a non essere consentito, per quanto già evidenziato, è altresì manifestamente infondato la doglianza concernente la violazione dell’art. 521 c.p.p. è del tutto infondata, non cogliendosi quale sarebbe il fatto diverso accertato dalla sentenza rispetto all’imputazione le doglianze con cui si sostiene che l’opposizione all’attività di volantinaggio, in quanto non autorizzata o comunque blasfema, sarebbe stata legittima e che nessuna violenza o minaccia sarebbe stata esercitata, sono smentite dalla ricostruzione dei fatti accertata dalla sentenza impugnata, che ha ben evidenziato non soltanto le frasi minacciose proferite dal M. e dal coimputato C. , ma l’atteggiamento intimidatorio manifestato nei confronti dei volontari dell’associazione Addiopizzo , seguiti, insultati ed ostacolati nella loro attività di volantinaggio, per impedirne loro la prosecuzione, rivendicando un inesistente potere autoattribuitosi di Capo XXXX . 4.2. Le doglianze concernenti le dichiarazioni dei testimoni D.M.C. , L.R.C. e D.B.A. , lungi dall’integrare un travisamento della prova, si risolvono, in realtà, nella mera deduzione di una erronea valutazione delle stesse, sulla base di estratti, peraltro laconici ed arbitrariamente selezionati, delle dichiarazioni rese, diretta a sollecitare una non consentita rivalutazione del merito le dichiarazioni dei testi R. e Pr. appaiono irrilevanti, concernendo la qualifica di capo ” rivestita dal M. , fatto pacifico ed incontestato, nondimeno ininfluente ai fini dell’integrazione dei reato di violenza privata, essendo chiaro che essa non attribuisce poteri pubblicistici di preteso mantenimento dell’ordine pubblico. 4.3. Manifestamente infondata è, infine, la deduzione di un errore sul fatto, in quanto la dedotta convinzione del M. di reprimere un fatto illecito, o quantomeno inopportuno l’attività di volantinaggio , oltre a non avere un fondamento probatorio, e ad essere ictu oculi pretestuosa, per l’assenza di qualsivoglia previsione di un potere pubblicistico in capo ad un rappresentante di una manifestazione religiosa, sarebbe al più qualificabile come errore sul diritto, irrilevante ai sensi dell’art. 5 c.p. ai fini dell’esclusione della colpevolezza, salva l’ignoranza inesorabile ignoranza, nella fattispecie, non invocatale, anche perché, come evidenziato dalla sentenza impugnata, sia l’Assessore Ca. che il vicecomandante della Polizia Municipale L.R. , consultati dal M. , lo avevano avvisato che non avrebbe dovuto occuparsi della questione, e che avrebbe dovuto piuttosto rivolgersi alle forze dell’ordine. Il ricorrente è giunto addirittura ad ipotizzare una facoltà di arresto in flagranza, ai sensi dell’art. 383 c.p.p., senza considerare che l’attività di volantinaggio che è stata impedita, lungi dall’essere un reato, integra una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 21 Cost 4.4. La finalità perseguita, di impedire il volantinaggio, è stata peraltro richiamata dalla Corte territoriale per escludere la riqualificazione, sollecitata dall’appellante, del reato di cui all’art. 610 nel reato di cui all’art. 612 c.p. sicché la doglianza proposta al riguardo con il terzo motivo è manifestamente infondata. Invero, il criterio distintivo tra il delitto di violenza privata e quello di minaccia non risiede nella materialità del fatto che può essere identico in ciascuna delle due fattispecie, bensì nell’elemento intenzionale ed infatti mentre per la sussistenza della minaccia è sufficiente che l’agente eserciti genericamente una azione intimidatoria - trattandosi di reato formale con evento di pericolo immanente nella stessa azione - la violenza privata, invece, presenta sotto il profilo soggettivo un quid pluris , essendo la minaccia diretta a costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa, con evento di danno costituito dall’essersi l’altrui volontà estrinsecata in un comportamento coartante Sez. 5, n. 2492 del 31/01/1991, Napoli, Rv. 186479 . 5. Il quarto motivo, concernente il trattamento sanzionatorio ed il diniego delle attenuanti generiche e dell’art. 131 bis c.p., è inammissibile. 5.1. Quanto al trattamento sanzionatorio, è pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p. con espressioni del tipo pena congrua , pena equa o congruo aumento , come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 sicché è inammissibile la censura che, ne giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrano, Rv. 259142 . Inoltre, nel rammentare che, nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464 , o anche al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 , nel caso in esame la Corte territoriale ha valorizzato, quali indici fattuali di commisurazione della pena, la gravità delle condotte e la capacità criminale dell’imputato, già gravato da diversi precedenti penali. 5.2. Quanto alle attenuanti generiche, premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 , va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986 . Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l’assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, e i precedenti penali dai quali risulta gravato l’imputato, negando la ricorrenza di motivi di particolare valore sociale o morale nella condotta intimidatoria dello stesso al riguardo, va rammentato che, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, non è sufficiente l’intima convinzione dell’agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, essendo necessaria l’obiettiva rispondenza del movente della condotta a valori etici o sociali condivisi e riconosciuti come preminenti dalla coscienza collettiva ne consegue che l’attenuante non può trovare applicazione se il fatto di particolare valore morale o sociale esiste soltanto nell’erronea opinione del soggetto attivo del reato, anche in ragione della disciplina prevista dall’art. 59 c.p., in base alla quale le circostanze devono essere applicate per le loro connotazioni oggettive Sez. 2, n. 197 del 07/12/2016, dep. 2017. Dolce, Rv. 268779 . Sicché la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e delle altre attenuanti invocate è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv 242419 , anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163 Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244 . 5.3. La doglianza concernente il vizio di motivazione in ordine all’art. 131 bis c.p., infine, è inammissibile, in quanto la causa di non punibilità non risulta essere stata richiesta nè con i motivi di appello, nè in udienza. 6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che si liquidano in Euro 3.500,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che liquida in Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.