La Suprema Corte fissa i criteri per l’estinzione del reato di competenza del Giudice di Pace per l’intervento di condotta riparatoria

La Cassazione torna su uno speciale epilogo dei procedimenti di competenza del Giudice di Pace, spesso invocato per porvi termine e che dovrebbe costituire, coerentemente con la logica di c.d. giustizia di prossimità, la quintessenza di tale peculiare forma di giurisdizione.

Lo fa, richiamando principi che costituiscono stabile patrimonio della giurisprudenza di legittimità, in un ordinamento nel quale il diritto penale dovrebbe costituire extrema ratio , sanzionando unicamente le condotte più gravi, rispetto alle quali non possa trovarsi composizione sociale in altra sede. Al contempo, ribadisce come sia indispensabile che la sussistenza dei vizi dedotti possa appurarsi dall’esame dell’impugnazione depositata, nonché di eventuali ulteriori atti indicati nel corpo del ricorso e poi uniti al fascicolo trasmesso dagli Uffici territoriali. Così con sentenza n. 12926/20 depositata il 24 aprile 2020. Il caso. Il giudizio a quo era maturato in Veneto e riguardava un soggetto cui era ascritta l’imputazione di lesioni, con durata della malattia inferiore a venti giorni. Il Magistrato Onorario aveva definito il procedimento, alla luce dell’intervento di parziale risarcimento, corrisposto dall’imputato, dei danni cagionati alla persona offesa, applicando la causa di estinzione del reato di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 274/2000. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Venezia interponeva ricorso avverso la decisione, lamentando erronea applicazione della legge penale, con tre separati motivi con il primo, sosteneva un prolungato decorso della patologia insorta a seguito dell’evento, che sarebbe stato comprovato dall’ulteriore documentazione medica, prodotta nel giudizio di merito dalla parte civile costituita nel secondo, su questa base, argomentava la necessità di nuova contestazione, rilevando così l’incompetenza del Giudice procedente il terzo motivo, infine, era incentrato sull’omesso approfondimento dei presupposti della causa estintiva, con particolare riferimento all’eliminazione delle conseguenze dannose del fatto, che non avrebbe potuto esser conseguita per l’esiguo ammontare del risarcimento versato alla vittima. Nelle more del grado di legittimità, si costituiva il difensore dell’imputato, prospettando, per plurime motivazioni, l’inammissibilità del ricorso dell’Accusa. La sentenza. La V Sezione – su parere difforme del Procuratore generale, che aveva chiesto l’annullamento senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Venezia – dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero, accogliendo la richiesta della difesa. Il Collegio fornisce una giustificazione succinta, ma completa, delle ragioni che portano a ritenere, per un verso, inammissibili e, per l’altro, manifestamente infondata, le censure mosse dall’impugnante, passando in rapida rassegna gli indirizzi interpretativi applicabili alla fattispecie oggetto di sindacato di ultima istanza. Preliminarmente, l’Estensore sgombra il campo dalle prime due doglianze, la cui genericità comporta l’impossibilità di operare lo scrutinio richiesto. Il principio di autosufficienza del ricorso. Ed infatti, dall’impugnazione e dai verbali delle udienze istruttorie non può ricavarsi alcuna circostanza tale da legittimare una diversità del fatto ascritto, inducendo una modifica dell’imputazione e, per l’effetto, determinando un difetto di correlazione tra accusa e sentenza. Sotto questo profilo, sebbene la riforma del 2018 abbia devoluto la materiale allegazione degli atti alla Cancelleria del Giudice che ha emesso il provvedimento, non ha escluso in alcun modo l’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, di quanto ritenga necessario per procedere all’esame delle proprie deduzioni in proposito, sulla corretta lettura dell’art. 165- bis d.a. c.p.p., si richiama Cass., Sez. II Pen., 8/5/2019, n. 35164, RV. 276432 . L’estinzione per condotta riparatoria. Venendo al nodo centrale della pronuncia, gli Ermellini esaminano le caratteristiche della disposizione invocata, che impone l’estinzione del reato quando sia stato riparato il danno cagionato, mediante le restituzioni o il risarcimento e l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato”. L’attenzione dell’interprete s’appunta sul dubbio che i due requisiti risarcimento e eliminazione delle conseguenze debbano necessariamente coesistere, in ragione dello stesso tenore lessicale della disposizione. A tal proposito, l’iter motivo muove dall’assunto che si tratta di norma costruita con modalità tutte interne al sistema penale ed è tesa a perseguire la ricomposizione della c.d. pace sociale” , soggiungendo che presuppone che siano sentite le parti, ma non che sia stato acquisito il consenso della persona offesa, la cui eventuale mancanza non si pone, pertanto, quale condizione ostativa all’operatività del meccanismo estintivo citando, sul punto,. Cass., SS. UU. Pen., 23/4/2015, n. 33864, RV. 264239 . Valorizzando tali argomentazioni, quindi, si ricostruisce il significato vero di tale soluzione processuale che, da un lato, deve connotarsi quale concreta valutazione di riparazione sociale non unicamente economica del disvalore del fatto e, dall’altro, non preclude alla parte civile che non si ritenga soddisfatta da quanto percepito a conclusione del processo penale, di radicare l’azione nella sede propria, per vedersi riconosciuto l’integrale ristoro del pregiudizio derivante dalle azioni del soggetto attivo. Potrà dunque applicarsi quando la successiva condotta dell’imputato abbia soddisfatto le esigenze di riprovazione e prevenzione, generale e speciale, dei propri comportamenti. A margine, si sottolinea che l’assenza di una forma di contrizione da parte dell’agente, rimarcata dal Magistrato ricorrente, è priva di rilevanza, non potendosi connotare l’istituto di un’inappropriata dimensione etica. Conclusioni. La decisione in analisi espone in modo organico i passaggi essenziali per comprenderne la logica, approdando a conclusioni condivisibili. Facendo riferimento a canoni consolidati, infatti, chiarisce, indirettamente, la distinzione esistente tra riparazione e conciliazione, finalità presenti nel primo livello di giurisdizione territoriale, ma spesso confuse, attribuendo alla parte civile potestà che il rito non le riconosce. Al giurista pratico, resta un interrogativo, che non può esser sottaciuto in situazioni come questa, è equo che il cittadino sopporti i costi, anche solo relativi a un ritardato passaggio in giudicato del proscioglimento, connessi ad un grado di legittimità che non avrebbe dovuto esserci?

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 febbraio – 24 aprile 2020, n. 12926 Presidente Palla – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1.Con sentenza del 6 marzo 2019, il Giudice di pace di Venezia ha dichiarato l’estinzione del reato di lesioni ascritto a B.M. ex D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35. 2. Avverso la sentenza del Giudice di pace di Venezia ha proposto ricorso il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Venezia, articolando tre motivi. 2.1. Con i primi due motivi, deduce violazione di legge in riferimento alla durata della malattia, come determinata in seguito alla produzione di ulteriore documentazione medica, con conseguente necessità di nuova contestazione e rilievo della incompetenza per materia del Giudice di pace. 2.2. Con il terzo motivo, deduce analoga censura in riferimento all’omessa verifica dei parametri ai quali il D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35 subordina l’estinzione del reato, in assenza della prova della eliminazione delle conseguenze dannose derivate dal delitto e dell’esiguità del risarcimento. 3. Con memoria in data 24 gennaio 2020, il difensore dell’imputato, Avv. Domenico Di Vito, ha prospettato, sotto diversi profili, l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. I primi due motivi di ricorso sono genericamente formulati. 1.1. Il Pubblico ministero ricorrente deduce violazione di legge ex art. 521 c.p.p., asserendo la diversità del fatto - in punto di durata della malattia - evocando, da un lato, uno statuto di disciplina inerente la inversa ipotesi di pronuncia emessa in difetto di contestazione e, dall’altro, postulando una qualificazione delle contestate lesioni della durata di oltre trenta giorni che non si evince dal testo della sentenza impugnata, nè dai verbali del giudizio celebrato davanti al Giudice di pace, mancando - in difetto della relativa produzione - ogni correlazione concreta tra la censure svolte e gli elementi di fatto alle quali esse si riferiscono, sì da consentire a questa Corte di delibarne la fondatezza. Invero, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. c.p.p., introdotto dal D.Lgs. n. 6 febbraio 2018, n. 11, art. 7, comma 1, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432 . Donde l’inammissibilità per genericità dei primi due motivi. 2. Il terzo motivo è, invece, manifestamente infondato. 2.1. Mette conto ribadire come l’istituto dell’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, disciplinato dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35, comma 1, rappresenti una peculiare forma di definizione alternativa del procedimento che, unitamente a quella di improcedibilità per particolare tenuità del fatto di cui al D.Lgs. citato, art. 34, costituisce una delle principali innovazioni introdotte dalla normativa istitutiva della figura del Giudice di pace. L’istituto, unitamente a quelli deflativi e conciliativi delineati nel provvedimento legislativo, trova la sua ratio nell’esigenza di configurare un sistema che vuole porsi come mezzo di tutela sostanziale dei beni giuridici lesi, più che come astratto ed indefettibile meccanismo retributivo conseguente alla commissione del reato Relazione al D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, recante Disposizioni in materia di competenza penale del giudice di pace . Ciò al fine di esaltare la funzione conciliatrice del Giudice di pace e il suo ruolo di mediatore, attraverso gli strumenti normativi predisposti dal legislatore per la composizione dei conflitti tra le parti. Tanto la dottrina che la giurisprudenza prevalenti sono sostanzialmente concordi nel qualificare l’istituto in disamina quale causa di estinzione del reato, che, come tale, soggiace alle disposizioni comuni dettate per tutte le cause estintive conseguentemente, dal punto di vista processuale, la causa estintiva può essere dichiarata immediatamente prima o successivamente all’esercizio dell’azione penale, in qualsiasi stato e grado del procedimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p La norma prevede, dunque, quale condizione dell’estinzione del reato, la riparazione del danno cagionato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato . 2.1. In riferimento alla necessaria ricorrenza di entrambi i presupposti evocati, la giurisprudenza di questa Corte, nella sua più autorevole composizione, si esprime nel senso che l’operatività della speciale causa di estinzione del reato, prevista dal D.Lgs. 28 agosto, n. 274, art. 35, presuppone sia la riparazione del danno cagionato mediante le restituzioni o il risarcimento, sia l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, non essendovi alternatività tra le due condotte previste dalla norma, atteso che tali esigenze, ove sussistenti, devono essere entrambe soddisfatte Sez. U, n. 33864 del 23/04/2015, P.O in proc. Sbaiz, Rv. 264239 . Si è, in tal senso, precisato come tra le due condotte previste nel testo della disposizione non ricorra un rapporto di alternatività, come dimostrato dalla presenza della congiunzione e , dovendo tali esigenze essere entrambe soddisfatte ai fini dell’operatività del meccanismo estintivo, ovviamente sempre che si siano verificate concrete conseguenze dannose o pericolose da eliminare ed essendovi danni da risarcire, dovendosi ammettere la sufficienza di una sola delle due nell’ipotesi in cui l’altra sia concretamente ed oggettivamente insussistente. Il legislatore ha, dunque, escluso qualsiasi automatismo per l’esplicazione degli effetti estintivi, subordinando la pronuncia ad una valutazione di idoneità della condotta risarcitoria e riparatoria posta in essere dall’imputato, da parte del Giudice di pace, tale da soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione. A tal fine, nel correlare l’estinzione del reato alla valutazione di congruità, la norma prevede che siano state sentite le parti, ma non che sia stato acquisito il consenso della persona offesa, la cui eventuale mancanza non si pone, pertanto, quale condizione ostativa all’operatività del meccanismo estintivo Sez. 4, n. 10673 del 26/10/2010, Ciannamea, Rv, 246393 . È stata, dunque, ritenuta nella giurisprudenza di questa Corte la legittimità della declaratoria di estinzione del reato per intervenuta riparazione del danno qualora, pur nel dichiarato dissenso della persona offesa per l’inadeguatezza della somma di denaro posta a sua disposizione dall’imputato, il giudice abbia espresso una motivata valutazione di congruità della medesima somma Sez. 5, n. 31070 del 10/04/2008, Gatto, Rv. 241166 Sez. 5, n. 22323, 21/04/2006, Gavioli, Rv. 234555 , con riferimento alla soddisfazione tanto delle esigenze strettamente compensative, in ordine al risarcimento dei danni civili cagionati dal reato, quanto di quelle retributive e preventive di natura strettamente penalistica. In altri termini, l’operazione valutativa rimessa al giudice implica la comparazione tra le attività poste in essere dall’imputato e la gravità del fatto, per evitare che la mancata applicazione della pena abbia ripercussioni negative sulla tenuta generai-preventiva del sistema, e cercando contemporaneamente di ricomporre il conflitto attraverso la compensazione dell’offesa, in modo coerente con gli obiettivi di prevenzione generale e speciale che caratterizzano l’ordinamento penale. Il Giudice di pace può, peraltro, ritenere anche implicitamente che l’offerta riparatoria, ex D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35, sia di per sé idonea anche a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione, quando la natura del reato non richieda ulteriori apprezzamenti ex multis Sez. 4, n. 1831 del 16/12/2009, Mascheretti, Rv. 245998 Sez. 5, n. 45355 del 06/11/2008, Manieri, Rv. 242607 Sez. 5, n. 5581 del 18/01/2007, Napoli, Rv. 236519 Sez. 5, n. 14070 del 24/03/2005, Del Testa, Rv. 231777 , proprio perché la necessità di una espressa valutazione del giudice di merito va rapportata alle caratteristiche del caso concreto così come potrebbe ritenere che, in considerazione della particolare natura del reato commesso, per soddisfare le suddette esigenze si rendano necessarie ulteriori attività per es. forme di pubblicità . La correttezza della decisione è, quindi, condizionata dalla prova concreta della ricerca del risultato riparatorio, in mancanza della quale la decisione assunta sarebbe erronea, in relazione ai parametri del concreto ravvedimento ricavabile dall’offerta e, soprattutto, dell’efficacia dell’attività riparatoria posta in essere nell’ottica della prevenzione di ulteriori reati Sez. 5, n. 14988, de111/01/2012, M., Rv. 252490 Sez. 5, n. 12736 del 26/02/2009, Giaracuni, Rv. 243337 Sez. 5, n. 45355, 06/11/2008, Manieri, Rv. 242607 Sez. 4, n. 27439, 29/05/2008, Pradetto Coccolo, Rv. 240561 . 2.2. All’interno di questo percorso logico valutativo si pone il problema della qualità della valutazione del Giudice di pace per quanto riguarda la sufficienza e l’esaustività della condotta riparatoria posta in essere dall’imputato. Sul punto, un primo orientamento dottrinale e giurisprudenziale, che privilegia l’interpretazione letterale della norma, e che non attribuisce esplicita rilevanza alla riparazione parziale eventualmente posta in essere dall’imputato, opina nel senso che non vi sarebbero margini per forme non integrali di risarcimento, imponendosi l’esaustivo ristoro del danno cagionato. In giurisprudenza, in base a questa linea interpretativa, è stato affermato che la norma, subordinando la pronuncia di estinzione del reato alla dimostrazione, a cura dell’imputato, di avere provveduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento e di avere eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato, esige una valutazione di assoluta esaustività della condotta riparatoria, la quale può prescindere dal positivo apprezzamento della parte lesa ma non del giudice. Si tratterebbe, infatti, di un giudizio del tutto omogeneo a quello che presidia il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, nel quale il giudice è chiamato, in via incidentale, a valutare la completezza dell’attività riparatoria del danno e quindi, anzitutto, la sufficienza della somma corrisposta o offerta ai fini dell’integrale ristoro del danno Sez. 4, n. 36516 del 18/06/2008, Ilmer, Rv. 241957 Sez. 4, 11/06/2008, n. 23527, D.M. n.T., Rv. 240939 Sez.4, n. 1506 del 22/10/2013, Castagneri, Rv. 258483, con specifico riferimento ad una fattispecie in tema di lesioni colpose . Secondo altro filone dottrinale e giurisprudenziale, la pronuncia di estinzione del reato non esigerebbe l’integrale risarcimento del danno nè un giudizio di congruità della condotta riparatoria, espressa con riferimento alla reale entità del danno subito dalla vittima, ma un positivo apprezzamento di idoneità satisfattiva della stessa che, formulato più con riguardo alle esigenze di riprovazione e prevenzione, lascerebbe alla competente sede civile ogni valutazione in ordine alla esaustività della somma offerta a tali fini. Tale esegesi garantirebbe una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, nel rispetto dell’art. 3 Cost., al fine di consentire l’applicazione dell’istituto anche nell’ipotesi in cui l’autore del reato, in considerazione delle disagiate condizioni economiche, non sia in grado di procedere ad un integrale risarcimento del danno cagionato, ma abbia fatto tutto il possibile in tal senso. In questo caso, la parte civile eventualmente insoddisfatta potrà agire in un autonomo giudizio civile di danno, in quanto la sentenza del Giudice di pace, accertando la congruità del risarcimento offerto ai soli fini dell’estinzione del reato, con valutazione operata allo stato degli atti, non determina alcun pregiudizio per le ragioni civilistiche dell’offeso. Siffatta distinzione, non priva di implicazioni quanto ai rapporti tra causa estintiva ed azione civile risarcitoria e, più precisamente, riguardo l’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza, emessa ex D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35, va riguardata con riferimento alle peculiari caratteristiche della pronuncia in argomento, che presenta caratteri di originalità rispetto alle altre pronunce dichiarative di estinzione del reato previste nel nostro sistema processuale, trattandosi in ogni caso di una pronuncia che contiene una valutazione in ordine all’entità dei danni subiti dalla parte civile. La norma peraltro è costruita con modalità tutte interne al sistema penale ed è tesa a perseguire la ricomposizione della c. d. pace sociale , dal punto di vista penalistico, con uno sguardo anche alla posizione della parte offesa, collocata tuttavia in una posizione di lateralità processuale. E ciò emerge dal fatto che nel correlare l’estinzione del reato alla valutazione di congruità del Giudice di pace, la norma presuppone che siano state sentite le parti, ma non che sia stato acquisito il consenso della persona offesa, la cui eventuale mancanza non si pone, pertanto quale condizione ostativa all’operatività del meccanismo estintivo Sez. Un. Cit., ibidem . Donde la valutazione di congruità delle condotte risarcitorie e riparatorie poste in essere dall’imputato si muove su due binari paralleli, non alternativi tra loro, ma che hanno lo stesso convergente obiettivo finale. Infatti sia la soddisfazione delle esigenze compensative inerenti il profilo civilistico che quelle retributive e preventive concernenti gli obiettivi di prevenzione e repressione generale e speciale del settore penale, sono prefigurate nell’ottica dello scopo finale di ridimensionare il fatto reato attraverso una rielaborazione del conflitto tra autore e vittima, e favorire in tal modo la ricomposizione della lacerazione creatasi nel tessuto sociale, a cui non è estraneo neppure l’obiettivo più ampio di deflazione dei processi penali. Il positivo apprezzamento ai fini satisfattivi della idoneità complessiva della condotta riparatoria dell’imputato, nel disegno del legislatore, prescinde dunque dall’integrale risarcimento del danno, coerentemente devoluto, ove necessario, alla competenza del giudice civile, attraverso la scelta di privilegiare piuttosto il perseguimento in via anticipata degli interessi pubblicistici, come sopra individuati, legati al processo penale. La parte civile, qualora non ritenga esaustivo il risarcimento offerto, potrà adire comunque il giudice civile rispetto alla cui decisione, alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, la pronuncia penale non avrà alcuna incidenza, in quanto la congruità del risarcimento, operata allo stato degli atti ai soli fini dell’estinzione del reato, lascia comunque impregiudicata la possibilità di un nuovo e completo accertamento circa l’esistenza e l’entità del danno in favore della persona offesa conclusione quindi conforme al fatto che le sentenze di proscioglimento per estinzione del reato non statuiscono sulla responsabilità dell’imputato e, pertanto, non possono avere alcun effetto negativo per la parte civile se non contengono alcun capo del dispositivo relativo all’accertamento ed alla quantificazione del danno, che rimane sommariamente delibato soltanto ai fini di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35 . 3. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi. In riferimento alla valutazione di congruità, il Giudice di pace ha espresso una ponderazione che, correlata al tenore dell’imputazione - non superata, come supra rilevato, da allegazioni di segno contrario - non s’appalesa abnorme o sproporzionata, mentre la critica del Pubblico ministero ricorrente è, sul punto, meramente assertiva e non rappresenta elementi indebitamente trascurati. Così come, sotto il profilo special-preventivo, è stata valorizzata la condotta processuale e l’impegno nel reperimento delle risorse necessaria alla riparazione, mentre il ricorso prospetta, quale elemento ostativo, la mancata formulazione di scuse o altra forma di contrizione, introducendo nel procedimento estintivo una dimensione etica e personalistica che, in quanto tale, non s’appartiene alla ratio dell’istituto. Il ricorso del Pubblico ministero è, pertanto, inammissibile. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico ministero.