A cena con la compagna si dichiara favorevole al femminicidio: ipotizzabile il reato di minaccia

Il fattaccio si colloca all’interno di un contesto conflittuale per la posizione della figlia della coppia. A rendere grave il comportamento dell’uomo anche la frase le donne stanno bene tutte ammazzate” e la minaccia di far finire la donna su una sedia a rotelle.

Dichiararsi favorevole al femminicidio durante una cena con la compagna è sufficiente per ipotizzare il reato di minaccia. A rendere più solida l’accusa, poi, la constatazione che i rapporti tra uomo e donna sono conflittuali, anche a causa della controversia riguardante l’affidamento della loro figlia, e che lui l’avrebbe fatta finire su una sedia a rotelle se avesse provato a portargli via la bambina. Inequivocabile infine la frase pronunciata a tavola dall’uomo Le donne stanno bene tutte ammazzate” Cassazione, sentenza n. 12729/20, sez. V Penale, depositata oggi . Femminicidio. Ricostruito nei dettagli il brutto episodio, arriva a sorpresa la decisione del Giudice di pace che sancisce la non colpevolezza dell’uomo, ritenendo decisiva la dichiarazione fatta dalla donna, dichiarazione con cui ella ha spiegato di essere stata a cena col compagno, che, guardando alla televisione una notizia di femminicidio, aveva pronunciato le frasi incriminate ma di non essersi sentita intimidita né per sé stessa né per la sua bambina che era presente in quei momenti. Questo dato è fondamentale, secondo il Giudice di pace, per ritenere evidente il difetto di dolo , visto che, come detto, la donna ha spiegato di non avere recepito una concreta intimidazione . Intimidazione. A contestare la cancellazione delle accuse a carico dell’uomo provvede la Procura col ricorso in Cassazione, ricorso mirato a sottolineare il peso delle reiterate minacce gravi rivolte dall’uomo alla compagna durante una cena e concretizzatesi nella frase Le donne stanno bene tutte ammazzate” e nella presa di posizione a favore del femminicidio. Senza dimenticare poi, aggiungono dalla Procura, il fatto che l’uomo ha detto alla donna che l’avrebbe lasciata sulla sedia a rotelle e non l’avrebbe permesso di portare via la bambina . A fronte di tale quadro è irrilevante l’assenza di intimidazione , osservano dalla Procura, poiché è sufficiente l’idoneità della minaccia , anche tenendo presenti le circostanze e il contesto, e quindi non è necessario che la donna sia effettivamente intimidita dalla condotta del compagno . Il legale dell’uomo ribatte però che la minaccia deve essere idonea, ex ante, ad incidere sulla libertà morale e psichica della parte lesa mentre in questa vicenda le frasi pronunciate, invece, appaiono essersi limitate ad un mero sfogo e, comunque, si collocano in un clima di reciproche provocazioni e, dunque, non sono idonee, di per sé, ad incidere sulla libertà morale della parte lesa, e sono state pronunciate senza alcuna volontà minatoria . A parere dei giudici della Cassazione, però, va rimessa in discussione la posizione dell’uomo. Ciò alla luce della considerazione che per il reato di minaccia non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima . In questa ottica è significativo, secondo i giudici, anche il fatto che l’episodio si colloca in uno specifico contesto di contrasti significativi tra l’uomo e la donna. Ancor più rilevante, poi, l’idoneità delle frasi ad incidere sulla libertà morale di un soggetto medio e, comunque, espressione di una specifica volontà intimidatrice, diretta proprio verso la donna .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 gennaio – 22 aprile 2020, n. 12729 Presidente Sabeone – Relatore Calaselice Ritenuto in fatto 1. Il Giudice di pace di Brescia, con la sentenza impugnata ha assolto Ni. Fi. dal reato di cui all'art. 81, 612, comma 2, cod. pen. perché il fatto non sussiste. 1.1. Si tratta della contestazione di reiterate minacce gravi profferite dall'imputato, mentre si intratteneva, durante la cena, con la parte offesa, madre della loro figlia minore, nei confronti della quale Fi., secondo la tesi di accusa, avrebbe pronunciato le frasi contestate le donne stanno bene tutte ammazzate, precisando anche che lui era a favore del femminicidio e che, se non si fosse sporcato le mani lui, le avrebbe fatte sporcare a qualcun altro ma non avrebbe permesso alla persona offesa di portare via la bambina, l'avrebbe lasciata sulla sedia a rotelle . 2. Avverso il descritto provvedimento ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia che ha dedotto che il riferimento al difetto di dolo, di cui alla motivazione censurata, non trova correlazione nella formula assolutoria adottata perché il fatto non sussiste e nella rilevata assenza di intimidazione che, invece, attiene all'elemento oggettivo del reato. 2.1. Si osserva, inoltre, che, ai fini della sussistenza del reato di minaccia, trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente l'idoneità della minaccia da valutarsi con criterio medio, in relazione alle concrete circostanze del fatto, senza che sia necessario che il soggetto sia effettivamente intimidito dalla condotta dell'agente. 3. Risulta depositata memoria del 31 dicembre 2019, con la quale la Difesa dell'imputato chiede il rigetto del ricorso. Si osserva che, all'esito della deposizione della parte lesa, la pronunciata assoluzione avviene per difetto di dolo. Si eccepisce la tardività della querela tenuto conto che la parte lesa colloca i fatti tra il febbraio ed il giugno 2018, rendendo così impossibile individuare, con precisione, il momento del fatto e, dunque, la tempestività della querela. Si deduce che la parte lesa non è attendibile in quanto la querela si inserisce nell'ambito di rapporti contrastanti tra le parti, quanto in particolare alla gestione della figlia minore della coppia. Infine si deduce che la minaccia deve essere idonea, ex ante, ad incidere sulla libertà morale e psichica della parte lesa. Le frasi pronunciate, invece, appaiono essersi limitate ad un mero sfogo e, comunque, si collocano in clima di reciproche provocazioni e, dunque, non sono idonee, di per sé, ad incidere sulla libertà morale della parte lesa e pronunciate senza alcuna volontà minatoria. Considerato in diritto 1. Il ricorso va accolto in quanto fondato. 2. Il giudice di pace è addivenuto alla pronunciata assoluzione sulla base della deposizione della parte lesa la quale, secondo la motivazione del provvedimento impugnato, aveva affermato che era stata presente, mentre si trovava a cena con l'imputato, guardando alla televisione una notizia di femminicidio e, in quel frangente, questi aveva pronunciato le frasi incriminate, dalle quali non si era sentita intimidita, né per lei stessa né per la sua bambina presente ai fatti. Il Giudice di pace, dunque, ritenendo il difetto di dolo, stante l'assenza di una concreta intimidazione recepita dalla parte lesa, aveva assolto l'imputato perché il fatto non sussiste. 2.1. Corretta è, a parere del Collegio, la critica mossa dall'impugnante, circa il rilevato difetto di dolo e la dissonanza tra tale rilievo e il tenore del dispositivo che assolve l'imputato perché il fatto non sussiste. 2.2. Si osserva che, ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 612 cod. pen., trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente l'idoneità della minaccia da valutarsi con criterio medio, in relazione alle concrete circostanze del fatto, senza che sia necessario che il soggetto sia effettivamente intimidito dalla condotta dell'agente. Sotto tale profilo va, infatti, condiviso l'orientamento di questa Corte secondo il quale, ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 612 cod. pen., non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima. Sicché l'eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio non influisce sulla sussistenza del reato, potendo eventualmente sostanziare una circostanza che ne diminuisca la gravità, come tale esterna alla fattispecie Sez. 2, n. 21684 del 12/02/2019, Bernasconi, Rv. 275819 Sez. 1, n. 47739 del 06/11/2008, Giuliani, Rv. 242484 . Del resto lo stesso capo di imputazione, oltre che la ricostruzione offerta dalla Difesa nella memoria in atti depositata, colloca l'episodio in cui sono state pronunciate le frasi minacciose in uno specifico contesto, di contrasti significativi tra le parti. Dunque, appare contraddittorio, come dedotto, aver escluso l'idoneità delle frasi medesime, di per sé evidente, in quanto intrinsecamente capaci di incidere sulla libertà morale di un soggetto medio e, comunque, espressione di una specifica volontà intimidatrice, diretta proprio verso la parte lesa come quando si rende conto della circostanza che l'imputato aveva detto alla donna che avrebbe fatto la stessa fine e che sarebbe finita sulla sedia a rotelle . 2.3. Va, infine, rilevato che le deduzioni difensive sulla tardività della querela e sull'attendibilità della parte lesa sono inammissibili, considerato che le stesse non sono specifiche e, comunque, implicherebbero un giudizio di fatto inibito a questa Corte di legittimità. 3. Si impone, pertanto l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. Trattandosi dell'unico rimedio a disposizione dell'impugnante, in quanto la sentenza assolutoria impugnata è stata pronunciata dal Giudice di pace e, dunque, non è appellabile, gli atti vanno trasmessi per nuovo esame al giudice di pace di Brescia. 3.1. Va, infine, disposta l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi dell'art. 52, comma 5, D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, in considerazione dei rapporti tra le parti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Giudice di pace di Brescia.