Maltrattamenti, dopo tre anni di sopportazione arriva la denuncia. Legittima la custodia cautelare in carcere

L’incubo vissuto dalla donna è emerso solo quando il compagno ha minacciato di morte anche i figli e lei ha chiesto aiuto alla Polizia. Alla luce del quadro indiziario e delle dichiarazioni della donna, per i Giudici è sacrosanto applicare nei confronti dell’uomo la custodia in carcere.

Tre anni da incubo per una donna, maltrattata fisicamente e moralmente dal convivente tossicodipendente. La goccia che fa traboccare il vaso è rappresentata dalle minacce di morte rivolte non solo a lei ma anche i figli consequenziale la sua decisione di trovare rifugio nel commissariato di Polizia e denunciare il compagno, che viene prontamente arrestato e finisce sotto processo. Per l’uomo, però, scatta, legittimamente secondo i Giudici della Cassazione, anche la custodia cautelare in carcere. Cassazione, sentenza n. 10661/20, sez. VI Penale, depositata il 26 marzo . Tre anni. Linea di pensiero comune per il Gip e per il Tribunale del riesame va applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’uomo sotto accusa per maltrattamenti nei confronti della compagna convivente, maltrattamenti – fisici e morali – ripetutisi per tre anni fino a quando la donna ha trovato la forza di denunciare l’uomo che è stato arrestato in flagranza di reato. Inequivocabile e grave è ritenuto il quadro indiziario, poggiato sulle dichiarazioni della donna che si è recata in commissariato a sporgere querela dopo essere fuggita dalla propria abitazione a seguito della minaccia di morte rivolta a lei e ai figli dal compagno . In sostanza, l’accusa mossa all’uomo è di avere ingiuriato, minacciato anche di morte e percosso con pugni e con lancio di oggetti addosso – persino durante il periodo di gravidanza – la persona offesa, alla presenza dei figli minori . Credibilità. Col ricorso in Cassazione il difensore dell’uomo sotto accusa mette in discussione la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, osservando che le dichiarazioni della persona offesa sono prive di riscontri esterni, quali, ad esempio, certificati medici attestanti le riferite lesioni cagionate dagli atti di violenza del compagno . E di conseguenza il legale esclude si possano ritenere evidenti esigenze cautelari tali da giustificare la custodia in carcere adottata nei confronti del suo cliente. Di parere opposto, però, i Giudici del ‘Palazzaccio’, che condividono la decisione del Tribunale del riesame e confermano la custodia cautelare in carcere per l’uomo. Punto centrale non discutibile, secondo i magistrati, è la gravità indiziaria alla luce delle emergenze investigative e della credibilità del narrato della persona offesa e dell’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni . In particolare, è stato evidenziato che dalle dichiarazioni della persona offesa emergevano gravi indizi di colpevolezza del fatto che l’indagato aveva posto in essere nei suoi confronti una serie di condotte aggressive e minatorie a partire dal 2016, allorché la prendeva a pugni sulla testa durante il periodo di gravidanza perché si era opposta al fatto che andasse ad acquistare droga . Inoltre, dalle dichiarazioni della persona offesa è emersa la circostanza che, fino al momento del suo arrivo in commissariato, ella non aveva mai denunciato l’indagato e si era finanche astenuta dal recarsi al Pronto Soccorso sia per paura, sia perché stava cercando di aiutarlo a curarsi presso uno psicologo e a disintossicarsi da una risalente dipendenza da uso di sostanze stupefacenti e solo quando il comportamento del compagno è divenuto intollerabile, avendo egli iniziato a minacciare di morte anche i figli, la persona offesa ha deciso di chiedere aiuto alla Polizia, cui ha raccontato in lacrime quanto stava accadendo a lei e alla famiglia da circa tre anni . A inchiodare l’uomo, quindi, e anche la circostanza che la persona offesa lo abbia a lungo aiutato nel suo percorso di cura e disintossicazione questo dato costituisce valida conferma della sincerità e autenticità delle dichiarazioni della donna in merito ai molteplici atti di violenza fisica e morale subiti nel corso degli anni . Nessun dubbio, infine, sulle esigenze cautelari”, osservano i giudici, alla luce delle modalità della condotta tenuta dall’indagato, il quale per un rilevante arco di tempo e fino al momento dell’arresto ha posto in essere gravi atti di violenza e minaccia nei confronti della compagna e dei figli . Peraltro, è ritenuta rilevante anche la personalità dell’indagato, che è tossicodipendente e, pur trovandosi in cura da uno psicologo e da uno psichiatra, con la relativa assunzione di terapia farmacologica, non è riuscito a dominare i propri impulsi violenti . Senza dimenticare, poi, che egli risulta gravato da un precedente penale specifico per il reato di stalking commesso nei confronti di un’altra donna e definito con sentenza di patteggiamento per la pena di anni due di reclusione . Legittimo, quindi, parlare di inadeguatezza di misure cautelari meno afflittive, attesa la pericolosità sociale dimostrata dall’indagato .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 – 26 marzo 2020, n. 10661 Presidente Fidelbo – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Milano ha confermato l'ordinanza emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Milano in data 14 dicembre 2019, che applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Gi. Ju. per il reato di maltrattamenti nei confronti della compagna convivente commesso dal 2016 fino al 12 dicembre 2019, allorché l'indagato è stato arrestato in flagranza di reato. In particolare, si contesta al Gi. di avere ingiuriato, minacciato anche di morte e percosso con pugni e con lancio di oggetti addosso - persino durante il periodo di gravidanza - la persona offesa, alla presenza dei figli minori. Il compendio indiziario è costituito dalle dichiarazioni della donna, ritenuta pienamente attendibile, la quale si è recata in Commissariato a sporgere querela dopo essere fuggita dalla propria abitazione a seguito della minaccia di morte da parte del compagno, minaccia rivolta anche nei confronti dei figli. 2. Avverso la su indicata ordinanza ricorre per cassazione il difensore dell'indagato articolando i seguenti motivi 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi colpevolezza, essendo le dichiarazioni della persona offesa prive di riscontri esterni, quali, ad esempio, certificati medici attestanti le riferite lesioni cagionate dagli atti di violenza dell'indagato. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari e all'adeguatezza della custodia cautelare in carcere. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché reiterativo di doglianze già esaminate e disattese in sede di riesame, senza sviluppare un puntuale confronto critico rispetto al congruo ed esaustivo quadro argomentativo al riguardo delineato nella motivazione della decisione impugnata. 2. L'ordinanza impugnata ha congruamente argomentato la conferma del giudizio sulla gravità indiziaria, con solido ancoraggio alle emergenze investigative e con un ragionamento scevro da illogicità manifesta, dando conto della credibilità del narrato della persona offesa e dell'attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni, che non necessitano dell'acquisizione di riscontri oggettivi esterni ai fini della valutazione di attendibilità estrinseca Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214 Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104 . Al riguardo, in particolare, il Tribunale del riesame ha evidenziato che dalle dichiarazioni della persona offesa emergevano gravi indizi di colpevolezza del fatto che l'indagato aveva posto in essere nei suoi confronti una serie di condotte aggressive e minatorie a partire dal 2016, allorché la prendeva a pugni sulla testa durante il periodo di gravidanza perché si era opposta al fatto che andasse ad acquistare droga. Dalle dichiarazioni della persona offesa è altresì emersa la circostanza che, fino al momento del suo arrivo in Commissariato, la stessa non aveva mai denunciato l'indagato e si era finanche astenuta dal recarsi al pronto soccorso sia per paura, sia perché stava cercando di aiutarlo a curarsi presso uno psicologo e a disintossicarsi da una risalente dipendenza da uso di sostanze stupefacenti solo quando il suo comportamento è divenuto intollerabile per avere egli iniziato a minacciare di morte anche i figli, la persona offesa ha deciso di chiedere aiuto alla Polizia, cui ha raccontato in lacrime quanto stava accadendo a lei e alla famiglia da circa tre anni. Nella motivazione del provvedimento impugnato, inoltre, il Tribunale ha passato in rassegna i molteplici atti di violenza fisica e morale subiti nel corso degli anni, evidenziando come la circostanza che la persona offesa abbia a lungo aiutato l'indagato nel suo percorso di cura e disintossicazione costituisca valida conferma della sincerità e autenticità delle sue dichiarazioni. L'ordinanza ha infine sottolineato come le forze dell'ordine abbiano potuto sin nell'immediatezza del fatto apprezzare la veridicità e la fondatezza delle dichiarazioni accusatorie, atteso che, subito dopo l'arrivo della persona offesa in Commissariato, sopraggiungeva proprio l'indagato che, in stato di agitazione, chiedeva insistentemente di parlare ed entrare in contatto con la donna, il cui atto di denunzia veniva raccolto a verbale. 3. Analoghe considerazioni devono svolgersi per quel che attiene alle esigenze cautelari, avendone il Tribunale del riesame correttamente motivato la configurabilità in ragione delle modalità della condotta tenuta dall'indagato, il quale per un rilevante arco di tempo e fino al momento dell'arresto ha posto in essere gravi atti di violenza e minaccia nei confronti della compagna e dei figli. Nell'ordinanza impugnata si evidenzia anche la personalità dell'indagato, che è tossicodipendente e, pur trovandosi in cura da uno psicologo e da uno psichiatra, con la relativa assunzione di terapia farmacologica, non è riuscito a dominare i propri impulsi violenti egli, peraltro, come osservato dal Tribunale, risulta gravato da un precedente penale specifico per il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen., commesso nei confronti di un'altra donna nel 2014 e definito con sentenza di patteggiamento per la pena di anni due di reclusione . Correttamente evidenziata, infine, deve ritenersi l'inadeguatezza di misure cautelari meno afflittive, attesa la pericolosità sociale dimostrata dall'indagato. 4. In definitiva, a fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle emergenze procedimentali, dai Giudici di merito illustrato attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, il ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione tali da inficiare la complessiva tenuta e coerenza del discorso argomentativo delineato dal Tribunale, ma vi ha genericamente contrapposto una lettura alternativa, facendo leva sul diverso apprezzamento di profili di merito non dirimenti e, comunque, già puntualmente vagliati in sede di riesame cautelare, la cui rivisitazione, evidentemente, non è sottoponibile al sindacato di questa Suprema Corte. 5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro duemila. La Cancelleria curerà l'espletamento degli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.