I vigili urbani lo invitano a rallentare, lui reagisce con frasi volgari: è oltraggio

Condanna definitiva per un uomo. Inequivocabile il contenuto offensivo delle frasi rivolte a due agenti di Polizia municipale. Significativo anche il contesto, cioè una piazza piena di persone che partecipano a una manifestazione religiosa.

Che c o volete Non mi rompete la m a”. Inaccettabile, e sanzionabile penalmente, lo sfogo rivolto da un uomo a due agenti della Polizia municipale che lo hanno invitato a moderare la velocità del proprio veicolo. Sacrosanto parlare di oltraggio a pubblico ufficiale”. Cassazione, sentenza n. 9200/20, sez. VI Penale, depositata il 6 marzo . Andatura. Contesto dell’episodio è una manifestazione religiosa nella provincia della Sicilia. A controllare la situazione in piazza e a preoccuparsi della sicurezza delle persone presenti sono due agenti della Polizia municipale, che notano la presenza di un veicolo che procede a una velocità eccessiva. Logica, da parte dei vigili urbani, la richiesta al conducente di tenere per sicurezza un’andatura più moderata. Rabbiosa e offensiva la reazione dell’uomo alla guida Che c o volete Non mi rompete la m a”, ribatte. Inevitabile lo strascico giudiziario, con la persona rivoltasi in malo modo verso i vigili urbani che finisce sotto processo per oltraggio a pubblico ufficiale”. E ricostruito nei dettagli il fattaccio, il conducente viene condannato, prima in Tribunale e poi in Appello, poiché egli, osservano i giudici, ha, in luogo pubblico e alla presenza di più persone, proferito all’indirizzo di due agenti della Polizia municipale, nell’esercizio ed a causa delle loro funzioni istituzionali” parole evidentemente offensive. Offesa. Diversa, ovviamente, la valutazione proposta in Cassazione dal difensore dell’uomo. In particolare, il legale ritiene illogico parlare di oltraggio a pubblico ufficiale” poiché, spiega, la condotta tenuta dal suo cliente non attiene alle qualità morali delle persone esercenti l’ufficio pubblico, e perciò non ne lede l’onore e non riveste una valenza obiettivamente denigratoria della funzione svolta da costoro, e quindi non ne compromette il prestigio”. Peraltro, non v’è prova dell’avvenuta percezione” delle parole incriminate da più di due persone”, cioè da altri soggetti oltre ai due vigili urbani. Per i giudici della Cassazione, però, la frase pronunciata dall’uomo è obiettivamente lesiva dell’altrui onore, rappresentando incontestabile manifestazione di disprezzo verso la persona del destinatario, indipendentemente dal ruolo sociale da questi ricoperto”. Peraltro, in questo caso non v’è dubbio che essa sia stata rivolta agli agenti della Polizia municipale, non soltanto nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali, ma altresì in ragione di tale loro ruolo, avendo essa rappresentato l’immediata reazione dell’uomo all’attività autoritativa da essi doverosamente esplicata e consistita nell’intimazione a rallentare la velocità di guida del suo veicolo”. Dio conseguenza, le parole rivolte ai vigili urbani si presentano lesive anche del prestigio del pubblico ufficiale, da intendersi quale rispetto e considerazione dovuti a chi eserciti legittimamente una pubblica funzione”. A fronte di tale quadro, è logica la condanna definitiva dell’uomo, chiaramente colpevole di oltraggio a pubblico ufficiale”, e questa valutazione non può essere messa in discussione, spiegano i giudici, dalla constatazione che l’offesa non è stata percepita da più persone, oltre ai destinatari”. Ciò perché è sufficiente che le espressioni offensive possano essere udite dai presenti, poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere l’attività del pubblico ufficiale, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per l’amministrazione di cui fa parte, ulteriori rispetto a quelle ordinarie”. Ciò significa che è necessaria soltanto la prova della presenza di più persone e, ove questa risulti accertata, sarà sufficiente a far ritenere integrato il reato di oltraggio a pubblico ufficiale la mera possibilità della percezione dell’offesa da parte dei presenti”. E in questa vicenda si è accertato che il fatto è avvenuto in una pubblica piazza e nel corso di una manifestazione religiosa, in presenza di una moltitudine di persone” e quindi la prova logica della mera possibilità di percezione dell’offesa può ritenersi ampiamente soddisfatta”.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 3 – 6 marzo 2020, n. 9200 Presidente Costanzo – Relatore Rosati Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con atto del proprio difensore, Fa. Sa. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo, nella parte in cui ne ha confermato la condanna per il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, per avere, in luogo pubblico ed alla presenza di più persone, proferito all'indirizzo di due agenti della polizia municipale, nell'esercizio ed a causa delle loro funzioni istituzionali, la frase che cazzo volete, non mi rompete la minchia . Sostiene il ricorrente che tale condotta non integri l'ipotizzato reato, in quanto non attiene alle qualità morali delle persone esercenti l'ufficio pubblico, e perciò non ne lede l'onore non riveste una valenza obiettivamente denigratoria della funzione svolta da costoro, e quindi non ne compromette il prestigio non v'è prova dell'avvenuta percezione di essa da più di due persone. 2. Il motivo di ricorso è manifestamente destituito di fondamento giuridico. 2.1. La frase pronunciata dal ricorrente è obiettivamente lesiva dell'altrui onore, rappresentando incontestabile manifestazione di disprezzo verso la persona del destinatario, indipendentemente dal ruolo sociale da questi ricoperto. Nel caso specifico, inoltre, non v'è dubbio che essa sia stata rivolta agli agenti della polizia municipale, non soltanto nell'esercizio delle loro funzioni istituzionali, ma altresì in ragione di tale loro ruolo, avendo essa rappresentato l'immediata reazione tenuta dall'imputato all'attività autoritativa da essi doverosamente esplicata e consistita nell'intimazione a rallentare la velocità di guida del suo veicolo. Tale frase, pertanto, si presenta lesiva anche del prestigio del pubblico ufficiale, da intendersi quale rispetto e considerazione dovuti a chi eserciti legittimamente una pubblica funzione. 2.2. Ai fini della sussistenza del reato, inoltre, non è necessario che l'offesa sia stata percepita da più persone, oltre ai destinatari. E' sufficiente, infatti, che le espressioni offensive possano essere udite dai presenti, poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico, che può compromettere l'attività del pubblico ufficiale, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per l'amministrazione di cui fa parte, ulteriori rispetto a quelle ordinarie Sez. 6, n. 19010 del 28/03/2017, Trombetta, Rv. 269828 . Pertanto, è necessaria soltanto la prova della presenza di più persone e, ove questa risulti accertata, sarà sufficiente a far ritenere integrato il reato la mera possibilità della percezione dell'offesa da parte dei presenti Sez. 6, n. 29406 del 06/06/2018, Ramondo, Rv. 273466 . Nel caso specifico, è indiscusso che il fatto sia avvenuto in una pubblica piazza e nel corso di una manifestazione religiosa, in presenza di una moltitudine di persone talché la prova logica della mera possibilità di percezione dell'offesa può ritenersi ampiamente soddisfatta. 3. Il ricorso dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Tanto comporta obbligatoriamente - ai sensi dell'art. 616, cod. proc. pen. -la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità vds. Corte Cost, sent. n. 186 del 13 giugno 2000 . Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in duemila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.