Istanza di rinvio per legittimo impedimento rigettata: inutile per l’avvocato invocare la tutela della privacy

In tema di legittimo impedimento del difensore a comparire in udienza, il giudice di merito deve essere posto nella condizione di poterne verificare la sussistenza in termini di fondatezza, serietà e gravità, nonché di impossibilità assoluta a comparire.

Sul tema la Corte di legittimità con la sentenza n. 8415/20, depositata il 2 marzo, decidendo sul ricorso avverso la pronuncia con cui la Corte d’Appello di Perugia aveva confermato la condanna di due imputate per il reato di cui agli artt. 110, 624, 625 n. 4, c.p Legittimo impedimento. Con il ricorso in Cassazione, la difesa ha dedotto la violazione dell’art. 420- ter c.p Il difensore aveva infatti presentato certificazione medica attestante il proprio impedimento a comparire a causa di un ricovero ospedaliero, chiedendo il rinvio dell’udienza. L’istanza veniva però rigettato per mancanza di motivazione. Il ricorrente sostiene che la mancata indicazione delle patologie poste a fondamento di tale impedimento da parte del medico abbia tutelato il diritto alla sua riservatezza che sarebbe stato altrimenti violato. Il Collegio ha ritenuto infondata la doglianza. Secondo la costante giurisprudenza, nella valutazione della legittimità dell’impedimento, il giudice di merito deve essere posto nella condizione di poterne verificare la sussistenza in termini di fondatezza, serietà e gravità, nonché di impossibilità assoluta a comparire. Le Sezioni Unite sentenza n. 36635/05 hanno inoltre precisato che è possibile pervenire ad un giudizio negativo circa l’assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia il che evidentemente presuppone un’informazione completa ed esauriente circa la connotazione della patologia e la prognosi della stessa . Quanto al profilo della privacy del difensore, la pronuncia in oggetto ricorda che la valutazione del carattere assoluto dell’impedimento e la sua attualità non possono essere in alcun modo ostacolate dalle disposizioni a tutela della privacy . Le disposizioni in tema di trattamento dei dati personali sono infatti finalizzate a tutelare il paziente in ambito sanitario e non possono essere eccentricamente invocate in tutti i casi in cui sia proprio questi a richiedere la certificazione medica che ne attesti lo stato di salute onde avvalersene in sede giudiziaria per dimostrare il proprio impedimento a comparire in udienza . In conclusione, rigettati i ricorsi, la Corte condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 dicembre 2019 – 2 marzo 2020, n. 8415 Presidente Morelli – Relatore Catena Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Perugia confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Perugia in composizione monocratica in data 13/05/2015, con cui N.M. e B.B. erano state condannate a pena di giustizia per il reato di cui agli artt. 110 e 624 c.p., art. 625 c.p., n. 4, in omissis . 2. In data 10/10/2018 N.M. e B.B. ricorrono, a mezzo del difensore di fiducia avv.to Orazio Giraldin, per 2.1. violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b , in riferimento all’art. 420 ter c.p.p., in quanto il difensore aveva presentato certificazione medica attestante un proprio impedimento, chiedendo rinvio in riferimento all’udienza del 22/04/2015, istanza rigettata dal primo giudice, che la riteneva non sufficientemente motivata, aderendo a detta valutazione anche la Corte di Appello, investita da gravame sul punto in particolare, la difesa sostiene che la mancata indicazione, nel certificato, delle patologie poste a fondamento del dedotto impedimento, da parte del medico, avrebbe violato il diritto alla riservatezza dell’istante 2.2. violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b , in riferimento agli artt. 526 e 192 c.p.p., avendo la difesa rilevato che l’album fotografico utilizzato per l’individuazione delle imputate non potesse fare parte del fascicolo del dibattimento, richiamando la sentenza n. 265 della Corte costituzionale, e richiamando, altresì, i principi di cui agli artt. 189 e 213 c.p.p., secondo cui il ricorso alla prova atipica può giustificarsi solo laddove non sia possibile fare ricorso alla prova tipica della ricognizione di persona, come richiesto dalla difesa, secondo le modalità disciplinate dalla legge. Considerato in diritto I ricorsi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati. Quanto al primo motivo di ricorso, va osservato che - alla luce del tenore del certificato medico, che questa Corte può esaminare in considerazione della natura processuale dell’eccezione - l’attestazione di temporanea inabilità al lavoro per ricovero ospedaliero, con prognosi fino al 23/04/2015, non risultava accompagnata da alcuna specifica indicazione della patologia da cui era affetto il difensore, nè attestava esplicitamente un impedimento assoluto, nè, infine, documentava se alla data del 22/04/2015 il predetto fosse ancora ricoverato. Pacificamente la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ha affermato come, nella valutazione della legittimità dell’impedimento, il giudice di merito debba essere posto nella condizione di verificarne la sussistenza, ossia la sua fondatezza, serietà e gravità, nonché la circostanza che lo stesso determini un’impossibilità assoluta Sez. 3, sentenza n. 48270 del 07/06/2018, P., Rv. 274699 Sez. 5, sentenza n. 3558 del 19/11/2014, dep. 26/01/2015, Margherita ed altro, Rv. 262846 Sez. 2, Sentenza n. 42595 del 27/10/2009, Errico, Rv. 255119 Sez. 6, sentenza n. 24398 del 26/02/200, De Macceis, Rv. 240352 . Ciò sulla scia dell’insegnamento delle Sezioni Unite che, con sentenza n. 36635 del 27/09/2005, Gagliardi, Rv. 231810, in riferimento ad impedimento dell’imputato, ma con argomentazioni valide anche per la valutazione dell’impedimento del difensore, hanno sancito come si possa pervenire ad un giudizio negativo circa l’assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia il che, evidentemente, presuppone una informazione completa ed esauriente circa la connotazione della patologia e la prognosi della stessa. Profilo ulteriore e complementare è quello relativo alla invocata tutela della privacy del difensore, posto che la valutazione del carattere assoluto dell’impedimento e la sua attualità non possono essere in alcun modo ostacolate dalle disposizioni a tutela della privacy, le quali sono funzionali alla garanzia, in ambito sanitario, che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità della persona fisica, con particolare riguardo alla riservatezza ed all’identità personale . Ciò evidenzia come le relative disposizioni mirino a tutelare il paziente, e non possano essere eccentricamente invocate in tutti i casi in cui sia proprio questi a richiedere la certificazione medica che ne attesti lo stato di salute onde avvalersene per gli usi che liberamente intende fare, quale quello di esibizione in sede giudiziaria per dimostrare il proprio impedimento a comparire in udienza Sez. 5, sentenza n. 43373 del 06/10/2005, Fontana, Rv. 233079 . Parimenti infondato appare il secondo motivo di ricorso, sotto un duplice aspetto anzitutto, infatti, come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, in dibattimento erano state sottoposte al teste le stesse foto utilizzate nelle indagini, il che, evidentemente, non risulta impedito nè vietato da alcuna disposizione normativa in ogni caso, il motivo appare ai limiti dell’inammissibilità, perché esso non pone affatto in discussione l’attendibilità dei testi, laddove il riconoscimento fotografico effettuato in sede di indagini costituisce una prova atipica, la cui rilevanza dipende dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi l’ha compiuto Sez. 6, sentenza n. 17103 del 31/10/2018, dep. 18/04/2019, Aouchini Badrin, Rv. 275548 . Pacificamente, infine, L’individuazione fotografica effettuata nel corso delle indagini preliminari, confermata dal testimone che nel corso dell’esame dibattimentale abbia dichiarato di avere compiuto la ricognizione informale e reiterato il riconoscimento positivo, seppure in assenza delle cautele e delle garanzie delle ricognizioni, costituisce, in base al principio di non tassatività dei mezzi di prova, un accertamento di fatto liberamente apprezzabile dal giudice, la cui affidabilità dipende dall’attendibilità del teste e della deposizione da questi resa. Sez. 4, sentenza n. 47262 del 13/09/2017, Prina ed altri, Rv. 271041 . Ciò in quanto l’identificazione effettuata in sede dibattimentale non obbedisce alle formalità previste per la ricognizione in senso proprio, di cui agli artt. 213 c.p.p. e segg., riferibile esclusivamente al contenuto di identificazioni orali del testimone, vigendo, invece, la disciplina degli artt. 498 c.p.p. e segg., sì che da esse come da ogni elemento indiziario o di prova il giudice può trarre il proprio libero convincimento, trattandosi di un accertamento in fatto, dovendo il giudice, attraverso l’acquisizione dell’album fotografico e, quindi, prescindendo dalla formale ricognizione, possa apprezzare l’affidabilità del risultato probatorio attraverso il numero e la qualità delle foto sottoposte al dichiarante, nonché le caratteristiche fisionomiche della persona riconosciuta e delle altre persone effigiate nelle foto, oltre che, come detto, attraverso l’attendibilità della deposizione del teste Sez. 2, sentenza n. 28391 del 27/04/2017, Cena ed altro, Rv. 270181 Sez. 5, sentenza n. 6456 del 01/10/2015, dep. 17/02/2016, Verde, Rv. 266023 Sez. 5, sentenza n. 9505 del 25/11/2015, dep. 08/03/2016, Coccia, Rv. 267562 . Dal rigetto dei ricorsi discende, ex art. 616 c.p.p., la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.