Non sussiste continuazione, se i reati “fine” non sono stati “disegnati” al momento della costituzione del sodalizio

Con la decisione in commento sentenza n. 7452/20, depositata il 25 febbraio la Corte di Cassazione ha voluto precisare i contorni ed i presupposti dell’istituto della continuazione ex art. 81 c.p. in sede esecutiva, in un caso nel quale il giudice aveva dato risposta positiva all’applicazione della continuazione tra reati fine e reato associativo di stampo mafioso, applicazione contestata dalla Procura generale.

La Corte ha annullato l’ordinanza impugnata ed ha affermato che - la nozione di medesimo disegno criminoso, di cui all’art. 81 comma 2 c.p., presuppone che il soggetto si sia, nel medesimo contesto, rappresentato, almeno nelle loro linee essenziali, la commissione di una pluralità di fatti-reato, e quindi va distinta da una generica ed astratta deliberazione criminosa, priva di riferimento a specifici dati fattuali concernenti l’oggettività del reato - nel caso di commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 416-bis comma 1 c.p., il mero dato della strumentalità del reato rispetto al delitto associativo non è sufficiente a giustificare la sussistenza di un comune disegno criminoso, ravvisabile solo ove, con riferimento all’epoca di iniziale consumazione del delitto associativo, emergano dati significativi di una contestuale rappresentazione nelle linee essenziali, dell’ulteriore fatto-reato ritenuto strumentale rispetto alla fattispecie associativa . Con tali massime, in verità non del tutto nuove nel recente panorama, si è voluta dare un’interpretazione piuttosto restrittiva dell’istituto della continuazione con riferimento al rapporto tra reato associativo e reato fine. Tale atteggiamento se, da un lato, è comprensibile laddove vi sia una tendenza a delinquere” o comunque una seria inclinazione a delinquere sussumibile ex artt. 102-108 c.p., non soddisfa pienamente qualora, come nel caso di specie, si ha un’impostazione rigida” sul momento nel quale dovrebbe sorgere il disegno” criminoso. La decisione. Secondo il Supremo Collegio tale momento dovrebbe determinarsi al sorgere del sodalizio criminoso per cui il lasso di tempo tra costituzione dell’associazione e momento consumativo del reato fine potrebbe escludere l’applicazione dell’art. 81 comma 2 c.p., per il semplice fatto che il disegno” criminoso non sarebbe coevo alla costituzione dell’associazione. Onestamente, tale impostazione appare troppo formalistica, laddove la Corte ha affermato che la condotta partecipativa, che si protrae nel tempo trattandosi di reato permanente, riguarda ancora la consumazione del reato, ma non il momento deliberativo . Se non che si domanda ove non vi fosse più volontà” a partecipare, vi sarebbe ancora permanenza nell’associazione? E se si compissero crimini per mantenere in vita l’associazione” di cui si è entrati a far parte, non è tutto ciò espressione della volontà di partecipare” all’associazione? Il reato di tipo associativo è sì permanente, con un inizio consumativo che può essere risalente nel tempo, così come l’ingresso del reo al sodalizio, ma è pur vero che esso permane se ed in quanto vi sia costante volontà di continuare nell’associazione. Esso è, insomma, un reato che – così si può dire – si rinnova continuamente ed è proprio per questo che è particolarmente pericoloso, poiché se la volontà iniziale non fosse in qualche modo sostenuta concretamente nel tempo, l’associazione perirebbe di per sé. Per contro, il costante rinnovo della volontà partecipativa, rafforza il vincolo associativo di tipo delinquenziale e, dunque, la pericolosità dell’associazione stessa. Si dirà ma allora è bene punire severamente” l’associazione! Sicuramente ciò è corretto, ma nel quadro della legalità e, dunque, della cornice che il legislatore ha disegnato. Un atteggiamento formalistico ed estremamente rigoroso, peraltro, porterebbe all’assurda conclusione che reati fine” di recente compiuti non avrebbero, laddove non vi sia stata alcuna contestazione specifica sul punto, collegamento con l’associazione, il che – a rigor di logica – dovrebbe portare all’assurda conseguenza che vi sarebbe solo mera” partecipazione non attiva all’associazione e che pertanto i reati commessi, essendo assai risalente nel tempo la data di ingresso nell’associazione, non potrebbero essere considerati come espressione attuale della partecipazione al consorzio criminale. Ciò rileverebbe non solo su piano dell’esecuzione penale, ma anche delle indagini, poiché mancando un collegamento formale” con l’associazione a delinquere, tali delitti dovrebbero essere ritenuti, almeno in un primo tempo, come comuni”. In realtà, ogni qual volta i reati commessi si inseriscono in uno status del reo non necessariamente associativo si pensi allo stato di tossicodipendenza , la giurisprudenza ha adottato una soluzione, solo all’apparenza mite”, applicando l’art. 81 comma 2 c.p., poiché si è resa conto del fatto che il cumulo materiale delle pene non sarebbe stato equo, per la semplice ragione che i reati fine o strumentali hanno trovato la loro origine e giustificazione, sul piano volitivo, nell’appartenenza attuale all’associazione o al particolare status ricoperto. Inoltre, un’applicazione rigida del cumulo materiale, se può soddisfare esigenze repressive, mal si concilia con l’esigenza fondamentale della rieducazione ex art. 27 cost., rieducazione che nella specie non può che in ogni caso passare attraverso la rottura dei legami con l’associazione criminale. Si obietterà da ultimo ma il disegno criminoso” non può essere il medesimo nei diversi tempi. Verissimo, ma chi ha mai detto che non ci possano essere, nel tempo, diversi disegni criminosi? Il fatto è che la legge non richiede l’unicità assoluta del medesimo disegno criminoso, ma che i reati commessi possano essere considerati come espressione di un medesimo disegno, disegno che può – come accennato – essere plurimo o complesso e svilupparsi in tempi diversi. Ecco perché, per esempio, anche ad ammettere che non vi sia continuazione tra reato associativo e reati fini commessi nel tempo, questi ultimi, laddove abbiano – come nella specie – comunque una genesi anche finalistica comune, l’istituto in questione potrà ben applicarsi e, quindi, in pratica il tutto dovrebbe portare alla sola esclusione della continuazione con il reato associativo posto alla base della realizzazione dei reati fini o strumentali. Ad ogni modo, le troppe distinzioni – soprattutto se a posteriori - non aiutano, se non per creare ulteriore incertezza e bene si farebbe, se prima di rivoluzionare” ogni cosa, si comprendessero le implicazioni dei principi elaborati. Dopo tutto, entia non sunt moltiplicanda sine necessitate .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 gennaio – 25 febbraio 2020, n. 7452 Presidente Mazzei – Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza depositata in data 1.7.2019 la Corte di appello di Bari, quale giudice dell’esecuzione, in accoglimento della richiesta presentata da F.A. , ha riconosciuto la continuazione fra i reati di cui alle sentenze pronunciate, in data 15.2.2018 e 21.5.2014, dalla Corte di appello di Bari, determinando la pena complessiva in anni nove, mesi otto di reclusione ed Euro 700 di multa. Le condanne erano relative, rispettivamente, a reati di estorsione continuata e aggravata commessi dall’inizio dell’anno 2013 al mese di ottobre 2014, e di partecipazione a sodalizio di stampo mafioso e ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, facenti capo al così detto clan D.C. , reati commessi dal OMISSIS sino all’attualità. Il primo giudice, rilevato che le condotte estorsive erano state finalizzate ad agevolare il sodalizio mafioso in quanto costituivano lo strumento per raccogliere denaro da destinare ai sodali, aveva quindi ritenuto la continuazione fra i reati. 2. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari ha presentato ricorso per cassazione, denunciando violazione di legge e difetto di motivazione del giudizio che aveva riconosciuto la sussistenza di medesimo disegno criminoso fra i reati associativi e i delitti di estorsione. 3. Il difensore di F.A. ha presentato ricorso per cassazione, denunciando violazione di legge nella determinazione del quantum dell’aumento di pena per il reato di estorsione, rispetto al quale non risulterebbe applicata la diminuzione di pena per il rito abbreviato. 4. Il difensore del ricorrente F.A. ha depositato memoria, con la quale viene chiesta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso del Procuratore generale. In particolare, si evidenzia che F.A. era stato ritenuto mandante delle condotte estorsive e beneficiario, in quanto all’epoca detenuto, del profitto del reato. Inoltre, viene prospettata l’utilizzabilità, ai sensi dell’art. 238 - bis c.p.p., di altro provvedimento che aveva riconosciuto la continuazione a soggetto già co-imputato del F. in entrambi i procedimenti penali. Considerato in diritto Il ricorso presentato dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari è fondato e va perciò pronunciato annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Bari. 1. Il ricorso del Procuratore generale denuncia la violazione dell’art. 81 c.p., nella parte in cui la sussistenza di un comune disegno criminoso, fra i reati oggetto delle due sentenze di condanna, era stata fondata sul nesso espresso dalla aggravante di cui al L. n. 203 del 1991, art. 7 ora, art. 416-bis c.p., comma 1 , ritenuta sussistente in relazione ai delitti di estorsione. In particolare, l’ordinanza impugnata aveva, da una parte, escluso che i delitti di estorsione rientrassero nel programma criminoso del sodalizio mafioso e quindi potessero essere definiti come reato fine e, dall’altra, aveva rilevato che le estorsioni erano state compiute con il così detto metodo mafioso - avvalendosi della forza di intimidazione promanante dal clan - ed erano state finalizzate ad agevolare l’operatività del clan - essendo il profitto destinato al sostentamento delle famiglie degli associati detenuti. L’attività estorsiva veniva quindi ritenuta come modus operandi proprio dell’associazione mafiosa cui aveva aderito F.A. , e dunque rientrante in quel generico e preventivo disegno criminoso sviluppatosi ed articolatosi nel tempo ancorché attraverso i tipici assestamenti progressivi della compagine associativa di riferimento , ma pur sempre riferibile ad un unico ed iniziale momento genetico volitivo . Il ricorrente evidenzia anche la illogicità del giudizio formulato a fronte del dato cronologico - il tempo intercorso tra il momento dell’adesione al sodalizio nell’anno 2007 e il momento dell’esecuzione dell’attività estorsiva nei confronti di N.F. avvenuto a partire dall’anno 2013 - e della finalità delle estorsioni - collegata alla carcerazione, evento non prevedibile. 2. Il motivo è fondato. 2.1. Innanzitutto, il Collegio osserva, con riferimento a quanto esposto dalla difesa nella memoria depositata, che il contenuto di altro provvedimento relativo a diverso condannato non ha alcuna efficacia vincolante in ordine alla decisione nel merito della istanza presentata da F.A. , nè è valutabile in questa sede di legittimità. 2.2. Nel procedimento ai sensi dell’art. 671 c.p.p., al giudice dell’esecuzione è demandato un giudizio, proprio della sede di cognizione, in ordine alla riconducibilità dei reati oggetto della istanza ad un comune disegno criminoso. Quanto alla nozione di medesimo disegno criminoso , è stato chiarito che si tratta della rappresentazione, in capo al soggetto agente, della futura commissione dei reati, e dunque di elemento, che attiene alla sfera psicologica del soggetto, risalente a un momento precedente la commissione del primo fra i reati della serie considerata. La ratio propria dell’istituto del reato continuato risiede nella considerazione che l’esistenza di un unitario momento deliberativo di più reati giustifica un trattamento sanzionatorio più favorevole e discrezionalmente determinato, non secondo i limiti edittali individuati da ciascuna fattispecie incriminatrice, bensì nel rispetto delle regole di cui all’art. 81 c.p In ordine al contenuto della rappresentazione delle future condotte criminose, va osservato che, da una parte, non può riguardare una scelta di vita, che implichi la reiterazione di determinate condotte criminose, nè una generale tendenza a porre in essere determinati reati la dedizione al delitto, il ricorso abituale ai proventi dell’attività criminosa e la soggettiva inclinazione a commettere gravi delitti dolosi sono connotazioni proprie del profilo soggettivo del reo che determinano, ai sensi degli artt. 102 e 108 c.p., un più grave trattamento sanzionatorio, e quindi risultano incompatibili con l’istituto della continuazione fra reati. Dall’altra, la nozione di continuazione non può ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, giacché siffatta definizione di dettaglio, oltre a non apparire conforme al dettato normativo - che parla soltanto di disegno - e a non risultare necessaria per l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, non considera la variabilità delle situazioni di fatto e la loro prevedibilità normalmente solo in via di larga approssimazione. Quello che occorre, invece, e che è sufficiente, è che si abbia una programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte delineate disegnate attorno ad uno specifico elemento oggettivo idoneo a caratterizzare in termini di concretezza la deliberazione, così da poterle distinguere rispetto ad una scelta criminosa solo generica. È significativo che anche la Corte costituzionale sentenza n. 183 del 2013 abbia precisato che il giudizio sulla continuazione fra reati richiede sia accertato che il soggetto agente, prima di dare inizio alla serie criminosa, abbia avuto una rappresentazione, almeno sommaria, dei reati che si accingeva a commettere e che detti reati siano stati ispirati ad una finalità unitaria. Nello stesso senso, la giurisprudenza è costante nel ricondurre la nozione in esame ad una rappresentazione, almeno sommaria o nelle linee essenziali, del fatto-reato oggetto di deliberazione Sez. Un., 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074 Sez. 1, 17/03/2010, Bonasera, Rv. 246838 , e non semplicemente di una astratta tipologia di reati. L’accertamento dell’esistenza di un momento ideativo e deliberativo comune a più reati va compiuto, come ordinariamente avviene per l’accertamento degli stati soggettivi, secondo le regole della prova indiziaria. Sono stati individuati una serie di elementi il contesto di tempo e di luogo, le modalità esecutive, la comunanza di correi, il bene giuridico rilevanti nell’accertamento in parola, da considerare con apprezzamento analitico, quanto alla specifica rilevanza di ciascuno, e complessivo, che li valuti in maniera unitaria. 2.3. Con particolare riguardo ai reati commessi da soggetto partecipe a sodalizio criminoso, si è posta la questione se la previsione del programma delittuoso del sodalizio, elemento costitutivo del reato associativo, significhi l’esistenza di un disegno criminoso comune alla partecipazione al sodalizio e alla commissione dei reati rientranti nel programma della associazione. Di converso, ci si è chiesti se il fatto che un reato rientri nella tipologia dei reati fine di un sodalizio sia significativo di una originaria deliberazione criminosa unitaria e comune al reato associativo e ai singoli reati fine. Si deve osservare che la fattispecie associativa richiede l’elemento del fine di commettere più delitti, ed è stato precisato che si deve trattare di un programma criminoso indeterminato, mentre l’accordo per compiere una serie determinata di specifici delitti integra condotta di concorso morale in ciascun reato. Ed ancora, è stato precisato che la condivisione del programma criminoso del sodalizio, proprio perché indeterminato, non determina, di per sé, responsabilità concorsuale nei reati commessi per attuare l’originario programma. La continuazione tra reato associativo e uno o più reati-fine va quindi riconosciuta solo ove si accerti che nel momento della condivisione, da parte del partecipe, del generale programma criminoso del sodalizio - che è il momento della consumazione del delitto associativo - fosse precisato, e noto al partecipe, non solo un indeterminato programma delittuoso, ma anche la futura commissione di reati che risultino specificati, se non nel tempo e nelle modalità esecutive, comunque in relazione ad uno specifico dato fattuale idoneo a caratterizzare l’oggettività del fatto. Dunque, il giudizio sulla continuazione va rapportato al momento deliberativo del primo reato, che, nel caso di reato associativo, coincide con il momento in cui il soggetto inizia a partecipare al sodalizio, mentre la successiva condotta partecipativa, che si protrae nel tempo trattandosi di fattispecie di reato permanente, riguarda ancora la consumazione del reato, ma non il momento deliberativo Sez. 1, 09/11/2017, Giglia, Rv. 271984 . L’oggetto del giudizio è la sussistenza di un disegno criminoso comune a più reati, e dunque una previsione di futuri reati indicati in termini tali da consentirne la individuazione specifica. Si deve quindi escludere che la mera qualità di reato fine dell’associazione ovvero la mera strumentalità rispetto alla operatività del sodalizio siano elementi di per sé idonei a giustificare l’accertamento di un disegno criminoso comune al reato associativo, da una parte, e all’ulteriore e successivo reato, che sia fine o strumentale al sodalizio, dall’altra. Le menzionate caratteristiche, infatti, consentono solo di ritenere che al momento dell’adesione al sodalizio l’associato abbia previsto la successiva commissione di un certo tipo di reati, perché rientranti nel programma associativo o perché evidentemente connessi al raggiungimento dei fini del gruppo criminale, ma non anche la futura commissione di reati specificamente individuati. 2.4. L’ordinanza impugnata non ha fatto applicazione dei principi esposti, in quanto, al fine di riconoscere la continuazione, ha valorizzato unicamente l’accertato, tramite l’applicazione della menzionata aggravante, nesso delle condotte estorsive con il reato associativo. In particolare, il dato concernente il carattere strumentale delle estorsioni, pur estranee al programma criminoso attorno al quale si era formata l’adesione al sodalizio, rispetto alla operatività dell’associazione è stato ritenuto sufficiente per ritenere che esse siano state deliberate unitamente alla consumazione del delitto associativo, ma senza indicare alcun ulteriore dato specifico, relativo alle estorsioni commesse, che fosse stato considerato sin dal momento in cui era iniziata la consumazione del reato associativo. Nella applicazione data dal provvedimento impugnato la nozione di medesimo disegno criminoso viene fondata sulla esistenza di un nesso di strumentalità solo astratto, senza l’indicazione di alcun elemento significativo del fatto che al momento dell’adesione al sodalizio criminoso il condannato avesse preso in considerazione la futura commissione di quel specifico reato. 2.5. L’ordinanza impugnata, inoltre, non ha preso in considerazione il dato cronologico - la distanza di sei anni fra la consumazione del reato associativo e la commissione della prima estorsione in danno di N.F. - che costituisce uno dei principali indicatori, in senso positivo ovvero negativo, della continuazione. Tale carenza motivazionale determina la manifesta illogicità della giustificazione data alla decisione, che ha ritenuto che tutti i reati fossero stati deliberati contestualmente alla adesione al clan mafioso, pur a fronte di un distacco cronologico tra l’epoca di consumazione di ciascun reato e senza alcuna argomentazione sul punto. La giurisprudenza ha individuato una serie di elementi che possono venire in rilievo i così detti indicatori nel giudizio sulla continuazione fra i reati, precisando che il giudizio richiede, non tanto un conteggio aritmetico di quelli positivi, da una parte, e di quelli negativi, dall’altra bensì, una analisi complessiva dei dati fattuali accertati nei giudizi di merito nella prospettiva di una razionale verifica circa la sussistenza, o meno, di una rappresentazione, nel medesimo contesto, dei diversi reati. Il menzionato dato cronologico, che emerge nella descrizione dei fatti oggetto della istanza, non può quindi essere pretermesso nella valutazione critica che il giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’art. 671 c.p.p., deve compiere. 3. Va dunque pronunciato annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Bari perché provveda, in diversa composizione, a nuovo esame della istanza proposta da F.A. . In sede di rinvio, il giudice dell’esecuzione dovrà applicare i seguenti principi di diritto La nozione di medesimo disegno criminoso, di cui all’art. 81 c.p., comma 2, presuppone che il soggetto si sia, nel medesimo contesto, rappresentato, almeno nelle loro linee essenziali, la commissione di una pluralità di fatti - reato, e quindi va distinta da una generica ed astratta deliberazione criminosa, priva di riferimento a specifici dati fattuali concernenti l’oggettività del reato Nel caso di commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 416 - bis c.p., comma 1, il mero dato della strumentalità del reato rispetto al delitto associativo non è sufficiente a giustificare la sussistenza di un comune disegno criminoso, ravvisabile solo ove, con riferimento all’epoca di iniziale consumazione del delitto associativo, emergano dati significativi di una contestuale rappresentazione, nelle linee essenziali, dell’ulteriore fatto - reato ritenuto strumentale rispetto alla fattispecie associativa . Inoltre, la motivazione non potrà prescindere dalla considerazione del dato cronologico concernente la distanza intercorrente fra la consumazione dei diversi reati. Il motivo di impugnazione proposto dal ricorso del difensore di F.A. , concernente la determinazione della pena del reato continuato nel caso di condanna pronunciata con rito abbreviato, siccome logicamente dipendente dal giudizio relativo alla sussistenza della continuazione, oggetto dell’annullamento, rimane assorbito. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Bari.