Tossicodipendente in crisi d’astinenza prende i soldi alla madre per la droga. Condannato per rapina

Definitiva la sanzione per un uomo un anno e mezzo di reclusione e 1.000 euro di multa. Respinta la linea difensiva, secondo cui si sarebbe dovuto parlare di mero esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Un figlio con problemi di droga e in crisi di astinenza costringe con la forza la madre a dargli dei soldi, destinati inevitabilmente all’acquisto di sostanza stupefacente. L’episodio viene alla luce e costa al ragazzo una condanna per rapina Cassazione, sentenza n. 7250/20, sez. II Penale, depositata oggi Soldi. Scenario della brutta vicenda è la provincia di Napoli. Lì un uomo, con problemi di droga e in crisi di astinenza, aggredisce la madre e le porta via dei soldi quella azione lo fa finire sotto processo con l’accusa di rapina. Una volta ricostruito l’episodio nei dettagli, i giudici di merito ritengono colpevole l’uomo, punito con un anno e sei mesi di reclusione e 1.000 euro di multa. Il legale dell’uomo prova però a ridimensionare la condotta del suo cliente, spiegando che egli ha sì sbagliato nei confronti della madre ma in preda a una crisi di astinenza l’ha aggredita verbalmente nella consapevolezza di esercitare un diritto, ritenendo che i soldi ricevuti dalla madre servissero per acquistare la droga e quindi non pensando di procurarsi un ingiusto profitto. Chiaro l’obiettivo del difensore sostituire l’accusa di rapina con quella di mero esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Pretesa. Per i Giudici della Cassazione, però, l’ottica adottata in Appello è assolutamente corretta. In prima battuta viene ricordato che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è ravvisabile solo quando la persona sia animata dal fine di esercitare un diritto , con la precisazione che pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, essa non può essere del tutto arbitraria ovvero sfornita di una possibile base legale . Per fare chiarezza, poi, viene sottolineato che l’elemento di differenziazione fondamentale tra il delitto di rapina e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni risiede nell’elemento soggettivo che per quest’ultimo reato consiste nella ragione opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli compete giuridicamente , mentre per la rapina si concretizza nel fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto con la consapevolezza che quanto si pretende non compete o non è giuridicamente azionabile . E quest’ultimo dettaglio, osservano i Giudici della Cassazione, era ben chiaro agli occhi dell’uomo, che ha aggredito la madre essendo conscio che non è azionabile giuridicamente la richiesta di denaro finalizzato all’acquisto di sostanza stupefacente , neanche a fronte della sua crisi d’astinenza.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 gennaio – 24 febbraio 2020, n. 7250 Presidente Cammino – Relatore D’Agostini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19/6/2018 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa in data 12/6/2013 dal G.i.p. del Tribunale di Nola, riconosciuta a Ma. Gi. anche l'attenuante ex art. 62, primo comma n. 4, cod. pen., rideterminava la pena inflittagli per il reato di rapina in un anno e sei mesi di reclusione e 1.000 Euro di multa. 2. Ha proposto ricorso Ma. Gi., a mezzo del proprio difensore di fiducia, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata per violazione della legge penale e vizio motivazionale in ordine al trattamento sanzionatorio, avuto riguardo alla determinazione della pena base in misura superiore al minimo edittale e alla diminuzione per l'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità effettuata non nella massima estensione consentita. Il ricorrente deduce poi che la Corte territoriale non ha derubricato il fatto in esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona con una motivazione apparente e contraddittoria l'imputato, infatti, in crisi di astinenza, aggredì verbalmente la madre nella consapevolezza di esercitare un preteso diritto, [ritenendo] che i soldi ricevuti dalla madre servissero per acquistare la droga, non al fine di procurarsi un ingiusto profitto . Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato perché proposto con motivi infondati. 2. In punto di responsabilità, è infondata la doglianza inerente alla qualificazione giuridica del fatto, questione esaminata dalla Corte territoriale che con specifica per quanto sintetica motivazione, ha correttamente escluso la configurabilità, nel caso di specie, del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, previsto dall'art. 393 cod. pen., ravvisabile solo quando l'agente sia animato dal fine di esercitare un diritto pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, essa non può essere del tutto arbitraria ovvero sfornita di una possibile base legale ex plurimis v. Sez. 2, n. 24478 del 08/05/2017, Salute, Rv. 269967 Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268362 Sez. 2, n. 8096 del 04/02/2016, Anglisani, Rv. 266203 Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014, dep. 2015, Angelotti, Rv. 263589 Sez. 5, n. 23923 del 16/05/2014, Demattè, Rv. 260584 da ultimo v. Sez. 2, n. 50696 del 25/09/2019, Filardo, n.m. . In particolare, l'elemento di differenziazione fondamentale tra il delitto di rapina e quello di esercizio arbitrario risiede nell'elemento soggettivo, che per quest'ultimo reato consiste nella ragionevole opinione dell'agente di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, mentre per la rapina si concretizza nel fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto con la consapevolezza che quanto si pretende non compete e non è giuridicamente azionabile Sez. 2 n. 11484 del 14/12/2016, dep. 2017, Marni, Rv. 269685 Sez. 6, n. 23678 del 01/04/2015, Spada, Rv. 263840 , circostanza quest'ultima ben nota - nella fattispecie - all'imputato, non essendo ovviamente azionabile la richiesta di denaro finalizzato all'acquisto di sostanza stupefacente. 3. Quanto al motivo inerente al trattamento sanzionatorio, va ribadito che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, poiché la graduazione del trattamento sanzionatorio, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti ed all'aumento per la continuazione fra reati, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., nel giudizio di cassazione è comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, Ciccio, Rv. 273819, in motivazione Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrano, Rv. 259142 Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, Pacchiarotti, Rv. 255825 . Inoltre, quando la pena si attesti in misura non troppo distante dal minimo, è sufficiente che il giudice - come avvenuto nel caso di specie - dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo pena congrua o pena equa Sez. 2, n. 36103 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197 Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153 da ultimo v. Sez. 4, n. 43660 del 26/09/2019, P., n.m. . A fronte della statuizione del primo giudice, che aveva fissato la pena detentiva nella misura di quattro anni di reclusione prossima al minimo di tre e lontana anche da quella intermedia di sei anni e sei mesi , il motivo proposto con l'appello era generico essendosi invocata l'applicazione del minimo della pena, in quanto il fatto non sarebbe stato di grave allarme sociale e comunque manifestamente infondato, cosicché risulta irrilevante l'omessa risposta della Corte territoriale alla doglianza. Infatti, secondo il diritto vivente, il mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, di un motivo di appello non comporta l'annullamento della sentenza quando la censura, se valutata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di accoglimento, in quanto l'omessa motivazione sul punto non arreca alcun pregiudizio alla parte, risultando in concreto inidonea ad incidere sugli esiti decisori Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281 Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, Liberti, Rv. 276745 Sez. 2, n. 50949 del 10/10/2017, Bivol, Rv. 271376, in motivazione Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone, Rv. 265878 Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell'Utri, Rv. 263980 Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, Bianchetti, Rv. 263157 . La diminuzione della pena da parte della Corte di appello, conseguente al riconoscimento anche dell'attenuante ex art. 62, primo comma n. 4, cod. pen., è stata applicata nella misura prossima a quella massima consentita un terzo , cosicché anche questa scelta della Corte territoriale risulta in questa sede insindacabile. 4. Al rigetto dell'impugnazione proposta segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.