«Forza Vesuvio»: scriverlo su Facebook non vale una condanna

Confermata l’assoluzione per un consigliere provinciale di Monza appartenente alla Lega. Impossibile, secondo i Giudici, parlare di razzismo”. Confermata la decisione d’Appello. In primo grado era stata decisa la condanna a 20 giorni di reclusione.

Forza Etna, forza Vesuvio, forza Marsili così si esprime su Facebook, nell’ottobre del 2012, un consigliere provinciale della Lega, che commenta una foto assolutamente surreale, cioè un’Italia che, vista dal satellite, comprende solo le regioni del Centro-Nord, escludendo il resto dello Stivale, partendo dall’Abruzzo e dal Lazio. Il post online scatena una ridda di polemiche e fa finire sotto processo l’esponente politico con l’accusa di discriminazione e razzismo , centrati sull’idea di una presunta superiorità dei settentrionali sui meridionali. Per i Giudici della Cassazione, però, quel commento sul noto social network è sì caratterizzato da toni spregevoli moralmente e contrastanti con le più elementari regole del buon senso ma non è tale da giustificare una condanna per razzismo”. Cassazione, sentenza n. 6933/2020, Sezione Prima Penale, depositata il 21 febbraio . Post. Come detto, il fattaccio risale all’ottobre del 2012, e 5 anni dopo, nel marzo del 2017, il Tribunale di Monza condanna la persona sotto accusa – una donna, consigliere provinciale della Lega a Monza – perché il suo post su Facebook è ritenuto chiaramente discriminatorio verso i meridionali. Per quanto concerne la pena, i giudici stabiliscono 20 giorni di reclusione e simbolico risarcimento dei danni, quantificato in 1 euro, nei confronti di un avvocato ed esponente politico cittadino di Napoli. A sorpresa, però, nel novembre del 2018, i Giudici della Corte d’Appello di Milano ritengono non fondata l’accusa nei confronti del consigliere della Lega. In particolare, essi spiegano che la condotta in esame è sprovvista delle connotazioni discriminatorie e propagandistiche , poiché il contenuto del commento postato su Facebook non possedeva caratteristiche tali da offendere il bene giuridico protetto dalla norma , cioè l’attività comunicativa posta in essere, tenuto conto del social network su cui veniva espressa, non poteva ritenersi finalizzata a diffondere contenuti discriminatori a un numero indeterminato di soggetti . Contesto. A portare la vicenda in Cassazione è l’avvocato partenopeo, che contesta ferocemente l’assoluzione pronunciata in Appello, ritenendo evidente il carattere razzistico e discriminatorio dello scritto condiviso on line dal consigliere della Lega. In particolare, il legale sostiene dinanzi ai giudici del Palazzaccio che non è possibile dubitare della natura discriminatoria della comunicazione in questione, che risultava connaturata al suo contenuto, che si fondava sull’assunto, tipicamente razzista, della superiorità etnica degli abitanti dell’Italia settentrionale . E poi aggiunge ancora che va tenuto presente il ‘peso’ rappresentato dal ruolo di consigliere provinciale della Lega gli eventuali lettori avrebbero potuto attribuire al commento postato on line connotazioni riconducibili all’ambiente politico , e da ciò consegue che la carica rappresentativa rivestita dall’imputata e la sua appartenenza a un’area politica di ispirazione regionalistica comportava un inevitabile ampliamento delle connotazioni discriminatorie del commento postato, che non consentiva di attribuirgli quei contenuti ironici e goliardici richiamati nella sentenza di secondo grado allo scopo di ritenerlo privo di rilevanza penale . La visione tracciata dall’avvocato partenopeo non convince però i Giudici della Cassazione, che invece ritengono giusto rendere definitiva l’assoluzione del consigliere provinciale della Lega, escludendo, quindi, che lo scritto postato online sia catalogabile come razzismo”. In premessa i magistrati spiegano che il commento telematico in discussione costituisce una manifestazione del pensiero che, sotto il profilo ideologico, rimanda a disvalori di discriminazione razziale e di intolleranza da inquadrare nell’ottica di una divulgazione di opinioni finalizzata ad influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico e a raccogliere adesioni e di un odio razziale o etnico integrato da un sentimento idoneo a determinare il concreto pericolo di comportamenti discriminatori, e non da qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto riconducibile a motivazioni attinenti alla razza, alla nazionalità o alla religione . Difatti, la discriminazione per motivi razziali è quella fondata sulla qualità personale del soggetto, e non, invece, sui suoi comportamenti . Secondo i Giudici, però, in questo caso il commento postato dal consigliere provinciale della Lega non può essere valutato per la sua astratta valenza discriminatoria, ma va contestualizzato e inserito nel contesto comunicativo, palesemente paradossale, in cui vengono pronunciate le parole incriminate, che sono esternate a commento di un’immagine satellitare dell’Italia priva delle regioni centro-meridionali, accompagnata dalla frase – contrastante con le più elementari norme del buon senso – il satellite vede bene, difendiamo i confini” . Ciò comporta che sono condivisibili le conclusioni tratte in Appello, laddove i contenuti del commento sono stati correlati alle modalità telematiche con cui veniva trasmessa la comunicazione, postata su Facebook senza connotazioni propagandistiche . E questa visione, aggiungono i Giudici della Cassazione, non può essere modificata dalla carica rappresentativa rivestita presso la Provincia di Monza dalla persona sotto processo. Di conseguenza, anche per la Cassazione è evidente il tono paradossale e privo di connotazioni discriminatorie e propagandistiche del post condiviso online dall’esponente della Lega. In particolare, i magistrati sanciscono l’inidoneità offensiva dello scritto, derivata dai toni - del tutto contrastanti con le più elementari regole del buon senso, ancorché spregevoli moralmente - utilizzati dalla donna per manifestare il suo pensiero .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 novembre 2019 – 21 febbraio 2020, n. 6933 Presidente Saraceno – Relatore Centonze Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 15/03/2017 il Tribunale di Monza condannava l'imputata Do. Ga. alla pena di venti giorni di reclusione, giudicandola colpevole del reato ascrittole, ai sensi dell'art. 1 decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, accertato a Desio e Barlassina il 31/10/2012. L'imputata, inoltre, veniva condannata al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, An. Pi., che venivano quantificati nella misura simbolica di 1,00 Euro. 2. Con sentenza emessa il 14/11/2018 la Corte di appello di Milano, pronunciandosi sull'impugnazione proposta dall'imputata, in riforma della decisione appellata, assolveva Do. Ga. dal reato ascrittole perché il fatto non sussiste. 3. I fatti di reato in contestazione, a fronte delle divergenti conclusioni dei Giudici di merito, sono incontroversi nella loro materialità e riguardano l'attività di propaganda fondata sulla superiorità razziale ed etnica degli italiani settentrionali rispetto a quelli meridionali, posta in essere dall'imputata attraverso il social network Facebook, sul quale commentava un'immagine satellitare dell'Italia priva delle regioni centro-meridionali, comprese il Lazio e l'Abruzzo, accompagnata dalla dicitura il satellite vede bene, difendiamo i confini , che commentava con l'inserimento della frase Forza Etna, Forza Vesuvio, Forza Marsili . In questa, incontroversa, cornice, il Tribunale di Monza riteneva che il post inserito su Facebook, sopra citato, possedesse connotazioni discriminatorie e propagandistiche idonee a concretizzare la fattispecie di reato contestata a Do. Ga., ai sensi dell'art. 1 decreto-legge n. 122 del 1993. Infatti, al commento postato dall'imputata dovevano attribuirsi contenuti di discriminazione, accentuati dalla diffusione virale della comunicazione nella rete telematica. Di contrario avviso, invece, era la Corte di appello di Milano che riteneva la condotta posta in essere dall'imputata sprovvista di quelle connotazioni discriminatorie e propagandistiche indispensabili alla configurazione della fattispecie in contestazione, atteso che il contenuto del commento postato da Do. Ga. non possedeva caratteristiche tali da offendere il bene giuridico protetto dalla norma. Si evidenziava, al contempo, che l'attività comunicativa posta in essere dall'imputata, tenuto conto del social network su cui veniva espressa, non poteva ritenersi finalizzata a diffondere a un numero indiscriminato di soggetti i contenuti discriminatori sanzionati dall'art. 1 decreto-legge n. 122 del 1993 connotazione, questa, la cui assenza impediva di configurare la fattispecie contestata. Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi l'imputata Do. Ga. veniva assolta dal reato ascrittole nei termini di cui in premessa. 3. Avverso la sentenza di appello la parte civile costituita, An. Pi., ricorreva per cassazione, deducendo la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento all'art. 1 decreto-legge n. 122 del 1993, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi del reato contestato all'imputata Do. Ga., la cui insussistenza era stata affermata dalla Corte di appello di Milano in termini assertivi e svincolati dalle emergenze processuali. Si deduceva, in proposito, che il commento inserito dall'imputata sulla sua pagina personale di Facebook possedeva connotazioni di illiceità inequivocabili, certamente idonee a concretizzare la fattispecie di reato che le veniva contestata ex art. 1 decreto-legge n. 122 del 1993, non potendosi dubitare dei contenuti discriminatori del post, accentuati dalla sua diffusione virale sulla rete telematica. Né era possibile dubitare della natura discriminatoria della comunicazione in questione, che risultava connaturata al suo contenuto, che si fondava sull'assunto, tipicamente razzista, della superiorità etnica degli abitanti dell'Italia settentrionale. Si evidenziava, inoltre, che la Corte di appello di Milano non aveva contestualizzato la condotta illecita in contestazione, trascurando di considerare che, all'epoca dei fatti, Do. Ga. era un consigliere provinciale della Lega per la provincia di Monza e Brianza, con la conseguenza che gli eventuali lettori avrebbero potuto attribuire al commento postato connotazioni riconducibili all'ambiente politico di cui l'imputata faceva parte. Ne conseguiva che la carica rappresentativa rivestita dall'imputata e la sua appartenenza a un'area politica di ispirazione regionalistica comportava un inevitabile ampliamento delle connotazioni discriminatorie del commento postato, che non consentiva di attribuirgli quei contenuti ironici e goliardici richiamati nella sentenza impugnata, allo scopo di ritenerlo privo di rilevanza penale. Queste ragioni imponevano l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto da An. Pi. è infondato. 2. Occorre premettere che i fatti di reato contestati a Do. Ga., ai sensi dell'art. 1 decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, appaiono incontroversi, riguardando il commento inserito dall'imputata sulla sua pagina personale di Facebook, relativo a un'immagine satellitare dell'Italia priva delle regioni centro-meridionali, comprese il Lazio e l'Abruzzo, accompagnata dalla dicitura il satellite vede bene, difendiamo i confini , che veniva commentata con la frase dal tenore manifestamente paradossale Forza Etna, Forza Vesuvio, Forza Marsili . In questo contesto, la questione ermeneutica di cui ci si deve occupare, allo scopo di verificare la fondatezza del ricorso proposto da An. Pi., quale parte civile costituita nel giudizio di appello, riguarda la possibilità di attribuire connotazioni discriminatorie e propagandistiche al commento inserito dall'imputata sul social network Facebook, sopra citato, rilevanti ai sensi dell'art. 1 decreto-legge n. 122 del 1993. Osserva, in proposito, il Collegio che si può ritenere pacifico che il commento telematico di Do. Ga. costituisce una manifestazione del pensiero che, sotto il profilo ideologico, rimanda a disvalori di discriminazione razziale e di intolleranza, che devono essere inquadrati alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 3, comma primo, lett. a , prima parte, legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modifiche, la propaganda di idee consiste nella divulgazione di opinioni finalizzata ad influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico e a raccogliere adesioni Podio razziale o etnico è integrato da un sentimento idoneo a determinare il concreto pericolo di comportamenti discriminatori, e non da qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto riconducibile a motivazioni attinenti alla razza, alla nazionalità o alla religione la discriminazione per motivi razziali è quella fondata sulla qualità personale del soggetto, e non - invece - sui suoi comportamenti Sez. 5, n. 32862 del 07/05/2019, Borghezio, Rv. 276857-01 si veda in Sez. 3, n. 39606 del 23/06/2015, Salme, Rv. 264376-01 . Tuttavia, il commento postato dall'imputata non poteva essere valutato per la sua astratta valenza discriminatoria, ma andava contestualizzato e inserito nel contesto comunicativo, palesemente paradossale, in cui venivano pronunciate le parole incriminate, che venivano esternate a commento di un'immagine satellitare dell'Italia priva delle regioni centro-meridionali, accompagnata dalla frase - contrastante con le più elementari norme del buon senso - il satellite vede bene, difendiamo i confini . In questo contesto, appaiono condivisibili le conclusioni della Corte di appello di Milano che correlava i contenuti del commento controverso alle modalità telematiche con cui veniva trasmessa la comunicazione, postata su Facebook senza connotazioni propagandistiche, correttamente escluse nella sentenza impugnata. Né rilevava, in senso sfavorevole all'imputata, la carica rappresentativa rivestita presso la Provincia di Monza e Brianza, atteso che il tono evidentemente paradossale, escludendo le connotazioni discriminatorie e propagandistiche del post, non consentiva di configurare l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 1 decreto-legge n. 122 del 1993. In questa cornice, presupposta la natura manifestamente paradossale della comunicazione telematica di Do. Ga., non appaiono decisivi i riferimenti, contenuti nella sentenza di primo grado, all'art. 4 Convenzione di New York del 7 marzo 1966, sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale -ratificata nel nostro ordinamento dalla legge 13 ottobre 1975, n. 654 -, con cui gli Stati sottoscrittori assumevano l'impegno a dichiarare punibili dalla legge ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull'odio razziale, ogni incitamento alla discriminazione razziale, nonché ogni atto di violenza, od incitamento a tali atti diretti contro ogni razza o gruppo di individui di colore diverso o di diversa origine etnica, così come ogni aiuto apportato ad attività razzistiche, compreso il loro finanziamento, nonché a dichiarare illegali ed a vietare le organizzazioni e le attività di propaganda organizzata ed ogni attività di propaganda che incitino alla discriminazione razziale e che l'incoraggino, nonché dichiarare reato punibile dalla legge la partecipazione a tali organizzazioni od a tali attività . Nel caso in esame, pertanto, veniva compiuto un vaglio ineccepibile del commento dell'imputata, sulla base del quale veniva esclusa l'idoneità propagandistica dell'attività comunicativa a ledere il bene giuridico tutelato dalla fattispecie dell'art. 1 decreto-legge n. 122 del 1993 inidoneità offensiva che derivava dai toni - del tutto contrastanti con le più elementari regole del buon senso, ancorché spregevoli moralmente - utilizzati dall'imputata per manifestare il suo pensiero. Né potrebbe essere diversamente, atteso che la natura di reato di pericolo astratto della fattispecie di cui all'art. 1 decreto-legge n. 122 del 1993 imponeva che fosse accertata preliminarmente l'idoneità della condotta illecita di Do. Ga. a offendere il bene giuridico protetto dalla norma penale, contestualizzando il suo comportamento attraverso la formulazione di un giudizio ex ante. Ne discende che l'inquadramento della manifestazione del pensiero espresso da Do. Ga. - fondato sull'assunto della natura manifestamente paradossale del suo commento - impone di ritenere il giudizio di irrilevanza penale formulato dalla Corte di appello di Milano rispettoso del dettato normativo dell'art. 1 decreto-legge n. 122 del 1993 e conforme alle connotazioni di inoffensività del comportamento comunicativo dell'imputata Sez. 3, n. 37337 del 16/04/2013, Ciacci, Rv. 257347-01 Sez. 3, n. 38051 del 03/06/2004, Coletta, Rv. 230038-01 . 3. Le considerazioni esposte impongono il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.