Maltratta la compagna dopo solo tre mesi di relazione: condannato

Definitiva la condanna per l’uomo. Confermata la catalogazione delle violenze da lui compiute sulla compagna come maltrattamenti in famiglia. Irrilevante il dato riguardante la breve durata della relazione. Insignificante anche il richiamo al fatto che egli abbia continuato a risiedere a casa della madre durante il legame.

Il dato rappresentato da una relazione avviata da poco – appena tre mesi – non è sufficiente per rendere meno gravi le violenze compiute dall’uomo ai danni della compagna, violenze che vanno comunque catalogate, secondo i giudici, come maltrattamenti in famiglia Cassazione, sentenza n. 5457/20, sez. VI Penale, depositata oggi . Violenze. Chiara la posizione assunta dai giudici di merito che, prima in Tribunale e poi in Appello, hanno inchiodato l’uomo sotto processo alle proprie responsabilità per le violenze compiute ai danni della compagna. Consequenziale la sua condanna per maltrattamenti in famiglia” e lesioni personali aggravate”. Proprio la lettura degli episodi incriminati viene messa in discussione dall’avvocato dell’uomo. In particolare, il legale sostiene in Cassazione che non si possa parlare di maltrattamenti in famiglia” poiché nessun rapporto di stabile convivenza, o di natura anche soltanto para-familiare, si sarebbe mai realizzato tra uomo e donna, il cui rapporto sentimentale si sarebbe protratto per soli due mesi, senza l’instaurazione di una stabile relazione di affidamento e solidarietà con progettualità”. Rapporto. L’obiezione proposta dal difensore dell’uomo non convince però i giudici della Cassazione. Respinta, di conseguenza, la critica relativa alla presunta inesistenza, secondo quanto sostenuto dal legale, di un rapporto di tipo familiare”, anche alla luce della protrazione della relazione soltanto per un paio di mesi” e della circostanza per cui l’uomo era abituale residente a casa della madre” durante il legame con la donna. I magistrati ribattono ricordando che il delitto di maltrattamenti è configurabile anche in presenza di un rapporto familiare di mero fatto, desumibile dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza, e non necessariamente caratterizzato da una stabile convivenza” e tale è, dunque, qualsiasi relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza, assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale”. Di conseguenza, non è necessario, precisano i giudici, che tale relazione abbia una certa durata, quanto piuttosto che essa sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l’esito di tale comune decisione”. Ciò comporta che a fronte di una relazione stabile si può parlare di maltrattamenti in famiglia” a fronte di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatorie, che determinino sofferenze fisiche o morali per il destinatario, realizzati in momenti successivi, ma senza la necessità che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale”. In questa vicenda si è desunta l’esistenza tra le parti di una relazione sentimentale stabile non soltanto dalle dichiarazioni della donna, bensì anche dei messaggi telefonici intercorsi tra costoro durante il loro rapporto”, e in aggiunta è ritenuto significativo che esse avessero conferito a tale loro relazione anche una visibile dimensione esterna, avendola resa manifesta anche a soggetti estranei ai rispettivi nuclei familiari, come il datore di lavoro della donna e il vicino di casa”. Per quanto concerne infine il dato della residenza” dell’uomo a casa della madre durante la relazione”, i giudici osservano che questo è un dato meramente formale, e dunque non decisivo, ai fini dell’accertamento” della relazione esistente con la donna.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 novembre 2019 – 11 febbraio 2020, n. 5457 Presidente Fidelbo – Relatore Rosati Ritenuto in fatto 1. Iv. Vi. Ma., con atto del proprio difensore e procuratore speciale, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma del 23 aprile scorso, che ne ha confermato la condanna disposta dal Tribunale di Roma con sentenza del 12 luglio 2018, per i delitti di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate in danno della convivente Se. Sa., costituitasi quale parte civile nel processo. 2. Tre sono i motivi di ricorso. 2.1. Con il primo si lamentano violazione di legge e vizi alternativi di motivazione, in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di cui all'art. 572, cod. pen., poiché nessun rapporto di stabile convivenza, o di natura anche soltanto para-familiare, si sarebbe mai realizzato tra codeste parti, il cui rapporto sentimentale si sarebbe protratto per soli due mesi, senza l'instaurazione di quella stabile relazione di affidamento e solidarietà con progettualità, individuata dalla stessa Corte distrettuale quale presupposto del reato. 2.2. Con il secondo motivo si contesta la sussistenza di tale reato, sotto il profilo della ritenuta abitualità delle condotte. La sentenza impugnata avrebbe valorizzato pressoché esclusivamente, per questa parte, le interessate dichiarazioni della persona offesa, tuttavia trascurando che ella è stata smentita dal teste Mi., suo datore di lavoro, sull'aspetto relativo al contegno tenuto dall'indagato sul luogo di lavoro di lei ed altresì che le emergenze istruttorie indicate quali elementi di riscontro attengono esclusivamente all'incontroverso episodio lesivo del 23 ottobre 2017, oggetto dell'ulteriore imputazione di lesioni. 2.3. Il terzo motivo deduce la violazione dell'art. 62-bis, cod. pen., per avere la Corte d'appello negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, soltanto perché l'imputato ha respinto l'addebito di responsabilità per il delitto di maltrattamenti. Considerato in diritto 1. Nessuno dei motivi di ricorso è fondato. 2. Con il primo, si contesta l'esistenza di un rapporto di tipo familiare tra le parti, ponendo in risalto, a tal fine, la protrazione della loro relazione soltanto per un paio di mesi e la circostanza per cui il ricorrente, durante la stessa, era abituale residente a casa della madre , secondo quanto riferito da un testimone, peraltro de relato dalla stessa persona offesa. 2.1. Per giurisprudenza di legittimità consolidata, e che dev'essere perciò ribadita, il delitto di maltrattamenti è configurabile anche in presenza di un rapporto familiare di mero fatto, desumibile dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza, e non necessariamente caratterizzato da una stabile convivenza Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, T., Rv. 255628 . Tale è, dunque, qualsiasi relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza, assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, C, Rv. 261472 . Non occorre, di conseguenza, che tale relazione abbia una certa durata, quanto piuttosto che essa sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l'esito di tale comune decisione Sez. 3, n. 44262 del 08/11/2005, Sciacchitano, Rv. 232904 . In presenza di tali condizioni, integra il reato il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria, che determinino sofferenze fisiche o morali per il destinatario, realizzati in momenti successivi, ma senza la necessità che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che, durante lo stesso, siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo Sez. 3, n. 6724 del 22/11/2017, D.L., Rv. 272452, in un'ipotesi, analoga a quella in scrutinio, di convivenza protrattasi per tre mesi e con periodi intermedi di quiete . 2.2. Nello specifico, la Corte di appello ha desunto l'esistenza tra le parti di una relazione sentimentale stabile non soltanto dalle dichiarazioni della parte civile, bensì anche dai messaggi telefonici intercorsi tra costoro durante il loro rapporto. E, dal complesso delle emergenze istruttorie, emerge - senza che vi sia contestazione sul punto - che esse avessero conferito a tale loro relazione anche una visibile dimensione esterna, avendola resa manifesta anche a soggetti estranei ai rispettivi nuclei familiari il datore di lavoro della donna, il vicino di casa . Su tali aspetti, però, il ricorso sorvola. Oltre al dato cronologico, infatti, esso si limita ad evidenziare soltanto quello - peraltro neppure precisamente acclarato - della residenza, che il ricorrente avrebbe mantenuto presso l'abitazione della propria madre anche durante la relazione con la denunciante. In proposito, tuttavia, appare corretta l'osservazione della Corte di merito, secondo la quale questo costituisce un dato meramente formale, e dunque non decisivo, ai fini dell'accertamento di una situazione di mero fatto. Per tali ragioni, il percorso argomentativo della sentenza non può valutarsi come manifestamente illogico e, di conseguenza, la decisione non può essere annullata. 3. Con il secondo motivo di ricorso, invece, si chiede sostanzialmente alla Corte di legittimità una rivalutazione del materiale probatorio, che ovviamente non le è consentita. E' qui sufficiente rilevare che le discrasie evidenziate in ricorso, tra il narrato della persona offesa e le dichiarazioni di alcuni testimoni, attengono ad aspetti del tutto marginali e non inconciliabili con la parte qualificante del racconto di costei. In particolare - come del resto evidenzia anche la sentenza pag. 6, in fine - non si ravvisa alcun contrasto con le affermazioni del testimone Mi., datore di lavoro della donna, in relazione agli episodi che sarebbero accaduti presso il luogo di lavoro della stessa sul punto, il ricorso nulla replica alle puntuali osservazioni della Corte d'appello. Inoltre, anche a dare per ammesso che riscontri specifici alle dichiarazioni della parte civile siano stati acquisiti soltanto con riferimento all'episodio delle lesioni infertele il 23 ottobre 2017, gli stessi possono logicamente essere utilizzati quali elementi di conferma, più in generale, del complessivo narrato di costei, non emergendo dagli atti una causale alternativa di tale episodio violento, specifica e distonica rispetto a quella dell'atteggiamento di sistematica prevaricazione tenuto nei suoi confronti dal ricorrente. 4. E' infondato, infine, pure l'ultimo motivo. Il diniego delle circostanze attenuanti generiche non è stato giustificato dalla Corte di merito sol perché l'imputato ha negato la propria responsabilità per i maltrattamenti. Quei giudici, piuttosto, hanno evidenziato - facendo applicazione di un principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità - che il riconoscimento di tali attenuanti presuppone la sussistenza di specifici elementi positivamente valutabili, e non soltanto l'assenza di elementi di segno negativo, ed hanno significato l'assenza di segni di ravvedimento, per spiegare l'irrilevanza dell'ammissione della responsabilità per le lesioni, essendo queste ultime oggettivamente comprovate dalla documentazione sanitaria e fotografica già in atti. 5. S'impone, in conclusione, il rigetto del ricorso, al quale consegue obbligatoriamente la condanna del proponente al pagamento delle spese di giudizio art. 616, cod. proc. pen. . 6. A norma dell'art. 592, cod. proc. pen., il ricorrente, in quanto integralmente soccombente, va altresì condannato alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla costituita parte civile, che saranno liquidate dal giudice di merito che ha pronunciato la sentenza art. 83, comma 2, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 e che, essendo detta parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, debbono essere pagate in favore di quest'ultimo art. 110, comma 3, D.P.R. cit. . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile, Sa. Se., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Roma, e ne dispone il pagamento in favore dello Stato.