“Divieto di balneazione” sottratto dalla spiaggia: condanna per furto

Confermata la condanna per un uomo, beccato a portar via da una spiaggia nelle Marche un palo in ferro con annesso segnale. Accertato il fine di profitto, cioè vendere quell’oggetto assieme ad altro materiale ferroso. Impossibile parlare di danno lievissimo per la parte offesa, cioè il Comune.

A primo acchito pare una stupida bravata un giovane ha pensato bene di portar via da una spiaggia nelle Marche un palo in ferro con annesso segnale di ‘divieto di balneazione’. A far cadere questa ipotesi, però, e a rendere la condotta ben più grave, è la constatazione che i due oggetti sono stati collocati in un furgone dove era già presente altro materiale ferroso. Evidente, quindi, l’obiettivo, cioè porre in vendita quei beni. E sacrosanta è, di conseguenza, la condanna per il reato di furto Cassazione, sentenza n. 4887/20, sez. IV Penale, depositata oggi . Spiaggia. Linea di pensiero comune per i Giudici di merito prima in Tribunale e poi in Appello l’uomo sotto processo viene ritenuto colpevole di furto aggravato” per avere portato via da una spiaggia nelle Marche un palo con annesso segnale di ‘divieto di balneazione’. Questa visione viene ovviamente contestata dal legale dell’uomo. Ecco spiegato il ricorso in Cassazione, ricorso finalizzato a ridimensionare l’episodio in discussione, escludendone il fine di profitto e sostenendone la scarsa rilevanza poiché, come evidenziato dall’avvocato, si tratta solo del furto di un semplice palo in ferro e di un cartello recante ‘divieto di balneazione’ . Scopo. Le obiezioni proposte non convincono i Giudici del ‘Palazzaccio’, i quali confermano, di conseguenza, la condanna dell’uomo per furto. In prima battuta viene ritenuto evidente il fine di profitto, poiché si è appurato che l’uomo, dopo essersi impossessato, prelevandolo dalla sabbia, del palo con relativo cartello, lo ha caricato sul furgone da lui condotto e su cui era collocato ulteriore e copioso materiale ferroso di vario genere, destinato con evidenza alla vendita . E in questa ottica viene sottolineato anche che l’uomo non ha semplicemente spostato o rimosso il cartello ma se ne è impossessato a fini di profitto, sottraendolo al legittimo proprietario cioè il Comune. In seconda battuta, poi, viene respinta l’ottica proposta dalla difesa, secondo cui l’episodio è da considerare come non grave. A questo proposito, i Giudici ritengono che sia impossibile parlare di pregiudizio lievissimo o di valore economico irrisorio, avendo presente non solo il valore in sé della cosa sottratta ma anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli per la parte lesa, cioè il Comune, e ciò a prescindere dalla sua capacità di sopportare il danno economico derivante dal furto .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 17 dicembre 2019 – 5 febbraio 2020, n. 4887 Presidente Piccialli – Relatore Ranaldi Fatto e diritto 1. La Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena nei confronti di Mi. Sp. e, per il resto, ha confermato la declaratoria di responsabilità del predetto in ordine al reato di furto aggravato oggetto di imputazione. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando quanto segue. I Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di responsabilità. Deduce nel caso l'insussistenza del fine di profitto richiesto dalla norma incriminatrice ai fini della configurabilità del delitto di furto. I giudici di appello hanno omesso di considerare l'effettiva lesività del fatto, trattandosi del furto di un semplice palo in ferro e di un cartello recante divieto di balneazione . II Omessa applicazione nel caso dell'art. 15, comma 1 lett. b , cod. strada. Deduce che il giudicante avrebbe dovuto applicare al caso di specie la norma citata, trattandosi della rimozione di un manufatto di segnaletica stradale. III Vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. Ritiene errato il riferimento della motivazione alla gravità del danno per escludere il riconoscimento della detta attenuante. 3. I motivi dedotti sono generici e manifestamente infondati, per cui il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 3.1. La prima censura reitera analoga doglianza già proposta in sede di appello e correttamente non accolta dalla Corte territoriale, sulla scorta dei fatti accertati, da cui è stato ragionevolmente desunto il fine di profitto, risultando pacificamente dagli atti che l'imputato, dopo essersi impossessato prelevandolo dalla sabbia del palo con relativo cartello, lo aveva caricato sul furgone da lui condotto, su cui era collocato, oltre al detto palo, ulteriore e copioso materiale ferroso di vario genere, destinato con evidenza alla vendita. 3.2. Anche la seconda censura è già stata proposta in sede di appello e ha trovato adeguata e corretta risposta da parte dei giudici di merito, i quali hanno evidenziato che la norma di cui all'art. 15 cod. strada prevede una condotta diversa da quella commessa dal prevenuto, che non ha semplicemente spostato o rimosso il cartello ma se ne è impossessato a fini di profitto, sottraendolo al legittimo proprietario Comune di Falconara Marittima . 3.3. Il terzo motivo non considera che la motivazione della sentenza impugnata è in linea con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della res , senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 26924101 . La censura sul punto, inoltre, difetta di specificità, in quanto il ricorrente assume apoditticamente che il palo ed il cartello in ferro oggetto di furto fossero di scarso valore economico, mentre i giudici di merito hanno plausibilmente ritenuto che il valore del bene sottratto non fosse particolarmente modesto. 4. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte cost. sent. n. 186/2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.