La Cassazione definisce gli elementi tipici dell’omicidio preterintenzionale in concorso

La Quinta Sezione interviene, al termine di un articolato iter giudiziario – che comprendeva un primo annullamento della decisione d’appello – per definire un caso che ha destato particolare scalpore, tanto per la dinamica cruenta del fatto, quanto per le sue conseguenze.

Lo fa, occupandosi, per un verso, della mancata rinnovazione dell’istruttoria e, per l’altro, della difficile declinazione delle nozioni di concorso e dolo eventuale nell’omicidio preterintenzionale consumato da un gruppo di autori. Il caso. L’inchiesta aveva preso le mosse da una colluttazione, generatasi per futili motivi 5 giovani, in giro per la strade di una città del Nord Italia, avevano incontrato altri 3 ragazzi, ai quali avevano chiesto una sigaretta al loro rifiuto, uno del gruppo rispondeva con un pugno al volto, cui seguiva una vera e propria aggressione, ad opera dei cinque, che faceva rovinare a terra i malcapitati, presi poi a calci su tutto il corpo alcuni di loro riportavano lesioni, mentre quello colpito più ferocemente subiva un arresto cardiocircolatorio, tale da determinare uno stato di coma che, pochi giorni dopo, lo portava alla morte. Gli agenti, in prime cure, erano condannati in concorso per omicidio preterintenzionale aggravato dal numero dei concorrenti e dai futili motivi, per le lesioni provocate alle altre due vittime, nonché per violenza privata aggravata ai danni di una di queste collocata in una fase precedente all’incontro dei due gruppi . La Corte d’Assise d’Appello riformava la prima pronuncia, assolvendo alcuni degli imputati per la più grave ipotesi delittuosa ed altri dall’accusa di violenza privata. La decisione era tuttavia annullata dalla Cassazione, con rinvio per valutare se e in quale misura la rinnovazione sia davvero necessaria per una nuova ricostruzione dei fatti ovvero se essi – in tutto o in buona parte – siano pacifici nella loro materialità e successione cronologica [] rinnovando l’istruzione dibattimentale nella misura in cui risulti necessario per accertare circostanze non pacifiche . Il giudizio di rinvio terminava con lo stesso esito, senza necessità, ad avviso della Corte territoriale, di procedere ad una nuova assunzione dei mezzi di prova dedotti dalle parti. Interponevano nuova impugnazione dinanzi alla Suprema Corte, avverso la seconda sentenza, due degli imputati, denunciando con distinti ed articolati ricorsi vizio di motivazione in ordine alla mancata rinnovazione dell’istruttoria, che non sarebbe stata giustificata in presenza di una ricostruzione in fatto tutt’altro che pacifica error in iudicando , con riguardo alla corretta esegesi della nozione di concorso di persone nel reato, così come di dolo nell’omicidio preterintenzionale, istituti che sarebbero difficilmente applicabili qui, stante la rapidità con cui si era svolto l’episodio ulteriori carenze della parte motiva, che non spiegherebbe adeguatamente il rapporto tra le singole porzioni delle condotte, la loro evoluzione nel tempo e, conseguentemente, l’attribuzione di efficacia causale alle azioni svolte dai singoli coimputati. Il Supremo Collegio – su parere conforme del Procuratore generale – rigetta entrambi i ricorsi, condannando gli impugnanti al pagamento delle spese processuali e a rifondere le spese del alle parti civili costituite. L’Estensore passa in rassegna, in modo organico e lineare, le diverse doglianze, alcune delle quali risultano inammissibili, poiché tendono ad indurre una rivalutazione del merito, così come accertato in una decisione il cui percorso argomentativo pare immune da fallacie o aporie e, pertanto, non può esser sindacato in ultima istanza. La necessità di rinnovare l’istruzione dibattimentale. Un primo tema di riflessione concerne le ricadute della c.d. Sezioni Unite Dasgupta, che, per via nomofilattica, orienta la lettura dell’art. 603 c.p.p., imponendo al giudice d’appello che, sulla base di un diverso apprezzamento di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, intenda riformare la prima sentenza pur se solo agli effetti civili di procedere, anche d’ufficio, alla nuova assunzione dei testimoni di riferimento Cass., SS.UU. Pen., n. 27620/2016, RV. 267489 . Nella fattispecie, però, i Giudici del gravame avevano omesso la rinnovazione poiché la riforma si basava su una diversa qualificazione dei contributi conoscitivi offerti dalle prove orali, la cui attendibilità, tuttavia, non veniva messa in dubbio, ma, anzi, ulteriormente avvalorata. Impostazione che, anche secondo l’indirizzo costantemente preferito dalla giurisprudenza europea, non vincola a rinnovare le prove vd. Corte EDU, Sez. III, 14/6/2011, Dan v. Repubblica di Moldavia . L’archetipo normativo dell’omicidio preterintenzionale in concorso. L’ulteriore nodo da sciogliere riguardava l’analisi di questa specifica fattispecie plurisoggettiva, per coniugare correttamente, nel caso che ci occupa, i tratti caratteristici dell’ipotesi di omicidio preterintenzionale. In presenza di aggressioni multiple e contestuali, la Suprema Corte statuisce, da un lato, che il contributo rilevante ai sensi dell’art. 110 c.p., può consistere nell’agevolazione dell’aggressione contro la vittima, in ragione della superiorità numerica e della concomitante condotta dei concorrenti di neutralizzazione delle difese altrui concorso materiale , e nel rafforzamento del proposito criminoso dell’esecutore, che si senta spalleggiato ed incoraggiato dalla concomitante azione degli altri concorso morale e, dall’altro, che il dolo dei singoli concorrenti ha ad oggetto [] le sole percosse o lesioni, e non già la prevedibilità dell’evento letale, che, nel delitto preterintenzionale, non è voluto da alcuno, e, nella dimensione plurisoggettiva, la volontà di concorrere nel reato altrui, che può manifestarsi anche come [ ] semplice adesione all’opera di un altro che ne rimanga ignaro . In altre parole, l’apporto fornito all’azione lesiva del gruppo, pur quando non si esplichi in una condotta decisiva per il suo sviluppo in una specifica direzione, estende a tutti i componenti l’accettazione del rischio dell’evento prodotto dal comportamento collettivo. Da ciò discende l’infondatezza, anche sotto questo profilo, delle censure proposte. Conclusioni. Malgrado l’ineccepibile processo ermeneutico condotto dagli Ermellini, al termine dell’analisi resta un interrogativo la sintesi tra una dinamica concitata, ripartita in diverse e contemporanee singole azioni, e un elemento soggettivo atipico”, non rischia di configurare una vera e propria responsabilità da branco”?

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 ottobre 2019 – 4 febbraio 2020, n. 4715 Presidente Pezzullo - Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 06/10/2017 la Corte di Assise di Appello di Venezia, nel giudizio di rinvio disposto in seguito all’annullamento pronunciato da questa Corte, Sez. 1, con sentenza n. 10449 del 28/09/2016, dep. 2017, provvedendo sull’appello avverso quella della Corte di assise di Verona del 15/9/2009, riteneva gli imputati C.G. e V.A. responsabili in concorso con D.D.R. , P.F. e V.N. , già giudicati con sentenza irrevocabile colpevoli del delitto di concorso in omicidio preterintenzionale aggravato. 1.1. I predetti sono imputati dell’omicidio preterintenzionale di T.N. aggravato dal numero dei concorrenti e dai futili motivi in seguito al rifiuto opposto da Cs.An. alla richiesta avanzata da C. di offrire una sigaretta, T. era stato ripetutamente colpito, insieme allo stesso Cs. e ad Ca.Ed. , con calci e pugni in tutto il corpo, anche dopo essere caduto al suolo a seguito di ciò aveva subito un arresto cardiocircolatorio ed era caduto in stato di coma, fino alla morte intervenuta cinque giorni dopo il fatto capo A erano, altresì, imputati delle lesioni procurate nella stessa occasione ai predetti Cs. e Ca. capo B . Infine la Corte di assise di Verona aveva condannato gli imputati per il reato di violenza privata aggravata ai danni di R.P.L. , così qualificata l’originaria imputazione di rapina capo C si tratta di episodio distinto e precedente di alcuni minuti rispetto a quello oggetto delle altre imputazioni. La Corte di assise di appello di Venezia, con sentenza del 19/11/2010, aveva assolto V. dal reato di cui al capo C, C. e D.D. dal reato di cui al capo A, P. e V. dai reati di cui ai capi B e C. La Corte di Cassazione, Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, aveva rigettato il ricorso di V. e D.D. in ordine al capo B, ed aveva annullato con rinvio la sentenza di assoluzione nei confronti di C. , V. e D.D. in ordine al capo A, e nei confronti di V. e P. in ordine al capo B. La Corte di assise di appello di Venezia, con sentenza del 04/02/2015, in sede di giudizio di rinvio, condannava tutti gli imputati per i reati di cui ai capi A e B. La Corte di Cassazione, Sez. 1, con sentenza n. 10449 del 28/09/2016, dep. 2017, dichiarava la prescrizione del reato di lesioni di cui al capo B nei confronti di C. , P. e D.D. , e annullava con rinvio la sentenza nei confronti di C. e V. in ordine al capo A, rigettando nel resto il ricorsi di P. e D.D. . Con la sentenza emessa il 06/10/2017, oggetto della presente impugnazione, la Corte di Assise di Appello di Venezia ha affermato la responsabilità penale di C. e V. per il delitto di omicidio preterintenzionale di cui al capo A, condannandoli alla pena ritenuta di giustizia. Secondo la ricostruzione dei fatti accertata, i cinque giovani, intenzionati a recarsi in discoteca, ma privi di denaro, avevano incontrato Cs. , al quale C. aveva chiesto una sigaretta al suo rifiuto, C. lo aveva colpito con un pugno al volto, mentre V. lo tratteneva per il codino nel quale aveva raccolto i capelli venivano aggrediti anche Ca. e T. , che stavano transitando, il primo da D.D. , il secondo da P. e V. si ricordi che la condanna di P. e V. per l’omicidio preterintenzionale di T. è definitiva . I tre aggrediti erano caduti a terra e lì ulteriormente colpiti, ma solo Ca. e Cs. si erano rialzati i cinque giovani, avvedutisi delle gravi condizioni di T. , si erano allontanati velocemente. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di C.G. , Avv. Stefano Grolla, deducendo due motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Con un primo motivo, dopo aver riassunto le diverse decisioni giurisdizionali che hanno scandito il procedimento, e richiamato la sentenza rescindente della Corte di Cassazione, ha dedotto la violazione di legge, sostenendo che la Corte territoriale abbia violato i principi di diritto enunciati in sede di annullamento con rinvio la Corte di Cassazione aveva innanzitutto escluso un previo accordo tra i cinque giovani, ed aveva sollecitato l’approfondimento della successione cronologica degli eventi, evidenziando che il pugno di C. a Cs. era stato precedente rispetto alle aggressioni a Ca. e a T. , e dell’addebitabilità a titolo di dolo, quanto meno eventuale, dell’aggressione perpetrata ai danni di costoro sostiene che la Corte di Cassazione avesse escluso anche un accordo istantaneo tra il C. e gli altri coimputati e così l’apporto concorsuale, al contrario affermato dalla Corte territoriale, che non ha neppure provveduto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ritenendo pacifica la ricostruzione dei fatti. Lamenta inoltre una errata interpretazione del concetto giuridico di concorso di persone, fondato soltanto sull’elemento oggettivo, ma senza indagare l’elemento soggettivo i fatti si sono svolti in circa due minuti, e non è stato valutato se C. , impegnato a colluttare con Cs. , fosse in grado di rappresentarsi l’aggressione degli amici ai danni del T. , in quanto ciascuno dei ragazzi presente nel vicolo travolto dagli eventi si difendeva come poteva in una situazione trascesa improvvisamente e che non veniva in alcun modo prevista il C. non si sarebbe neppure accorto di quanto stava accadendo, dell’aggressione ai danni del T. . 2.2. Con un secondo motivo deduce il vizio di motivazione, lamentando una inversione del processo logico-deduttivo, fondando l’affermazione di responsabilità sull’accertata colpevolezza di Delle Donne, senza valutare gli elementi che escludevano che, per la brevità del tempo, il C. potesse essersi rappresentato la morte del T. comeòesito del rischio innescato dalla propria condotta iniziale non era possibile che C. avesse il tempo di comprendere le azioni degli altri e parteciparvi anche l’interpretazione dell’episodio con R.P. sarebbe stato fuorviato, in quanto gli altri coimputati non avevano partecipato all’azione posta in essere dal solo C. , che, dunque, non poteva prevedere una diversa reazione in occasione del successivo scontro con Cs. sarebbe paradossale l’affermazione della Corte territoriale secondo cui C. si sarebbe intromesso nel progetto criminoso già da altri intrapreso, dando un apprezzabile contributo alla verificazione dell’evento o della condotta tipica del reato, in quanto egli non può essere al contempo colui che ha dato avvio al piano e colui che inconsapevole vi aderiva successivamente non era possibile per lui aderire all’altrui piano criminoso, perché occupato a condurre il proprio nei confronti di Cs. e inoltre la sua aggressione nei confronti di costui, in quanto antecedente a quella ai danni del T. , non poteva ritenersi un apporto concorsuale analogamente il presunto pugno sferrato dal C. al Ca. durante la fuga non avrebbe alcuna efficacia causale, in quanto T. giaceva già a terra e l’azione dei suoi aggressori si era già conclusa. 3. Ha altresì proposto ricorso per cassazione il difensore di V.A. , Avv. Emanuele Fragasso jr., deducendo i seguenti motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 3.1. Con una prima doglianza deduce l’omessa motivazione sulle questioni decisive devolute al giudice del rinvio dalla sentenza rescindente, e concernenti, in particolare la contestualità o meno delle aggressioni o la precedenza temporale dell’aggressione di C. a Cs. , che sarebbero state oggetto di un testimoniale non univoco. Inoltre, nonostante fosse emerso dalle dichiarazioni che V. era intervenuto per tentare di separare i contendenti, egli è stato ritenuto dalla Corte territoriale concorrente, non avendo fatto nulla per impedire l’aggressione. La pretesa pacificità dei fatti è stato soltanto un espediente dialettico per non motivare il rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. 3.2. Con una seconda doglianza lamenta il vizio di motivazione in ordine alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nonostante la sentenza rescindente avesse accolto il relativo motivo del V. - che era stato assolto in primo grado, e poi condannato in appello -, affermando l’obbligo della rinnovazione qualora si intendesse confermare la pronuncia di condanna. Sostiene al riguardo che le prove dichiarative dimostravano che i fatti non erano per niente pacifici, anche in relazione allo spazio ove si svolsero, mancando una planimetria dei luoghi, essenziale per verificare la reciproca visibilità e percepibilità da parte dei protagonisti della vicenda. Lamenta altresì la violazione dell’art. 603 c.p.p., comma 3 bis, introdotto dalla riforma c.d. Orlando, che prevede una rinnovazione meccanica. 3.3. Con una terza doglianza deduce il vizio di motivazione in ordine alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in relazione alla richiesta avanzata dalla difesa del V. di conoscere la precisa determinazione dello spazio delle singole azioni, delle distanze tra i protagonisti e della rispettiva visuale lamenta che, nonostante le divergenze e le incertezze desumibili dalle dichiarazioni, la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi, e non abbia acquisito neppure la documentazione fotografica dell’illuminazione insistente sul posto in orario notturno. 3.4. Con un quarto motivo deduce la violazione di legge in relazione al concorso di persone nel reato e al dolo dell’omicidio preterintenzionale V. è stato irrevocabilmente condannato per il reato di lesioni personali capo B ai danni di Cs. e Ca. , ed assolto dal delitto di cui al capo C sicché la sua posizione è diversa da quella degli altri coimputati, avendo egli compiuto azioni diverse rispetto agli altri le ignote condizioni di visibilità precludono di affermare un contributo causale del V. all’azione di V. e P. lamenta, inoltre, che la sentenza non abbia affrontato il problema dell’applicabilità dell’art. 116 c.p 3.5. Con memoria pervenuta il 26/09/2019 il difensore del ricorrente ha proposto motivi aggiunti, integrando le doglianze già proposte con riferimento alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in tal senso richiamando la sentenza delle Sezioni Unite Pavan ed al dolo del concorso di persone, che, essendo stato qualificato come contributo morale, sarebbe fondato sulla mera percezione dei due aggressori, e non sull’elemento soggettivo del V Considerato in diritto 1. I ricorsi, che, relativamente alle questioni comuni, meritano una valutazione congiunta, sono nel loro complesso infondati, e vanno rigettati. 2. Preliminarmente va affrontata la questione dell’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, dedotta sia da C. sia pur in termini più sfumati , sia da V. con il secondo ed il terzo motivo di ricorso . 2.1. Al riguardo, va innanzitutto evidenziato che la questione si pone in termini parzialmente differenti nei confronti dei due ricorrenti, in quanto soltanto con riferimento a V. - la cui sentenza di assoluzione in primo grado è stata riformata in appello - viene in rilievo il profilo dell’obbligo di rinnovazione affermato, prima in via giurisprudenziale, ed ora anche in via normativa, nei casi di riforma in peius di una sentenza assolutoria. Naturalmente, le argomentazioni che seguono valgono, a maggior ragione, in relazione alla posizione di C. , per il quale non si pone una questione di riforma di una sentenza assolutoria, venendo in rilievo il solo profilo della valutazione discrezionale della Corte territoriale, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 3, essendo egli stato condannato fin dal primo grado anche per il delitto di omicidio preterintenzionale contestato al capo A, oggetto esclusivo dei ricorsi in esame. Vertendo il sindacato di legittimità su una sentenza emessa in sede di giudizio di rinvio, giova innanzitutto chiarire il contenuto ed i limiti enucleati dalla sentenza rescindente nell’annullare con rinvio limitatamente al capo A, questa Corte, Sez. 1, n. 10449 del 28/09/2016, dep. 2017, ha affermato che . il Giudice del rinvio dovrà attentamente valutare se e in quale misura la rinnovazione sia davvero necessaria per una nuova ricostruzione dei fatti ovvero se essi - in tutto o in buona parte - siano pacifici nella loro materialità e successione cronologica e, quindi, se la decisione involga, in tutto o in parte, una diversa interpretazione degli stessi e una differente motivazione p. 15 , aggiungendo, infine, che il Giudice del rinvio approfondirà gli argomenti fin qui esposti, rinnovando l’istruzione dibattimentale nella misura in cui risulti necessario per accertare circostanze non pacifiche p. 20 . 2.2. Ciò posto, la riforma della sentenza di assoluzione nei confronti di V. , in assenza di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, non è, nel caso in esame, illegittima. Giova rammentare, invero, che le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito i principi, già consolidati nella giurisprudenza di legittimità, alla stregua dei quali La previsione contenuta nell’art. 6, par. 3, lett. d , della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, la quale costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne, implica che, nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, a norma dell’art. 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta sicché, il giudice di appello che riformi, anche ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l’istruzione dibattimentale, anche d’ufficio Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489 . 2.3. Nel caso in esame, tuttavia, deve ritenersi immune da censure la decisione del giudice di appello che ha proceduto alla riforma della pronuncia assolutoria nei confronti di V. senza disporre la rinnovazione, essendo l’affermazione di responsabilità fondata sul medesimo vaglio positivo di attendibilità delle testimonianze e delle altre fonti dichiarative operato dal primo giudice. Invero, la sentenza impugnata ha provveduto alla ricostruzione della dinamica dei fatti sulla base delle medesime fonti dichiarative già escusse in primo grado, e costituite dalle deposizioni di Cs.An. e Ca.Ed. , nonché dalle dichiarazioni degli stessi imputati V. e C. dichiarazioni opportunamente richiamate nel loro contenuto da p. 18 a p. 21 della sentenza impugnata , dalle quali emerge che le concordanti deposizioni testimoniali di Cs. e Ca. collimano altresì con la versione resa da C. e V. e, oltre al contenuto sostanzialmente sovrapponibile delle versioni, va evidenziato che la Corte territoriale non ha formulato una valutazione di attendibilità delle dichiarazioni differente rispetto a quella del giudice di primo grado, ritenendo proprio la sostanziale omogeneità un indice di attendibilità sicché, fermo il giudizio di attendibilità e la valutazione delle prove dichiarative essenziali per la ricostruzione dei fatti, che risultano pacifici e non contestati, ciò che diverge, secondo la Corte territoriale, è l’interpretazione del fatto nel senso che dalla ricostruzione della dinamica degli accadimenti le condotte di C. e V. vengono qualificate, sulla base di una diversa interpretazione, un contributo rilevante ai sensi dell’art. 110 c.p. nell’omicidio preterintenzionale di T. . 2.4. Al riguardo, è stato affermato che, in tema di valutazione della prova, il giudice di appello che intenda riformare in peius la sentenza assolutoria di primo grado non ha l’obbligo di disporre la rinnovazione di una prova dichiarativa ritenuta decisiva allorché si limiti a valorizzare integralmente una deposizione solo parzialmente considerata - per una svista, una dimenticanza o un vero e proprio salto logico - da parte del primo giudice Sez. 2, n. 54717 del 01/12/2016, Ciardo, Rv. 268826 ex multis, Sez. 3, n. 11658 del 24/02/2015, P., Rv. 262985, secondo cui per riformare in peius una sentenza assolutoria emessa all’esito di giudizio abbreviato condizionato, il giudice di appello è obbligato - in base all’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia - a rinnovare l’istruzione dibattimentale quando intende operare un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova orale acquisita dal primo giudice in sede di integrazione probatoria . In altri termini, l’obbligo di rinnovazione diviene attuale solo allorquando venga in rilievo un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa, non, altresì, quando la valutazione di attendibilità rimanga inalterata, mutando, come nel caso in esame, la valutazione del complessivo compendio probatorio, o dell’inferenza probatoria, ovvero l’interpretazione della fattispecie incriminatrice. In tal senso, del resto, è la stessa giurisprudenza della Corte EDU che ha delimitato l’obbligo di rinnovazione, affermando che la valutazione dell’attendibilità di un testimone è un compito complesso che di solito non può essere soddisfatto da una semplice lettura delle sue dichiarazioni Corte EDU, Sez. III, 14 giugno 2011, Dan c/ Repubblica di Moldavia . È, dunque, la diversa valutazione dell’attendibilità di una prova dichiarativa, strettamente connessa al canone dell’oralità, a fondare l’obbligo di rinnovazione, non già, di per sé, la diversa valutazione del complessivo compendio probatorio, nella sua inalterata dimensione dimostrativa ché, altrimenti, si imporrebbe una inutile superfetazione processuale, per l’audizione di una fonte il cui contenuto e la cui attendibilità sono rimasti inalterati nel corso del procedimento, anche allorquando la fallacia risieda non già nel giudizio di attendibilità, ma nel ragionamento probatorio, in quanto contraddittorio o illogico, poiché si limita ad una valutazione soltanto numerica degli elementi di prova contrapposti, senza considerare anche il peso, inteso come capacità dimostrativa, degli stessi Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016, dep. 2017, D L, Rv. 269523 . Ebbene, nel caso in esame, l’obbligo convenzionale” di rinnovazione non ricorre, in quanto l’affermazione di responsabilità, in riforma della precedente pronuncia assolutoria, è fondata su una valutazione logica e complessiva dell’intero compendio probatorio, che, non incorrendo in un fallace ragionamento probatorio atomistico e parcellizzato delle singole fonti dichiarative, ha, sulla base delle medesime fonti dichiarative e del medesimo giudizio di attendibilità delle stesse, qualificato diversamente la condotta degli imputati - V. e C. -, ritenendo che, pur senza avere partecipato materialmente al pestaggio di T. eseguito da V. e P. , dal quale ne è derivata la morte, per le circostanze concrete di tempo e di luogo, essi abbiano fornito un contributo, materiale e morale, rilevante ai sensi dell’art. 110 c.p Ciò che viene in rilievo, in altri termini, non è un diverso apprezzamento dell’attendibilità delle fonti dichiarative, ma soltanto una diversa qualificazione giuridica dei fatti, sulla base di una diversa inferenza probatoria. In tal senso, del resto, si pone ormai il consolidato insegnamento di questa Corte, secondo cui non sussiste l’obbligo di rinnovazione dell’assunzione della prova dichiarativa nel caso in cui il giudice di appello, che riformi in peius la sentenza di condanna di primo grado, proceda solo ad una diversa qualificazione giuridica dei fatti, senza rivalutare il contenuto dichiarativo delle deposizioni dei testi escussi o modificare il giudizio sulla loro attendibilità Sez. 5, n. 42577 del 02/07/2018, D, Rv. 274009, in una fattispecie in cui l’imputato era stato assolto in primo grado dal reato di lesioni, perché commesso in situazione di legittima difesa, e successivamente condannato in appello sulla base ad una diversa interpretazione in ordine alla sussistenza dell’attualità del pericolo di un danno grave alla persona, da cui era conseguita l’esclusione, invece, della scriminante non sussiste l’obbligo di rinnovazione della istruttoria dibattimentale nel caso di riforma della sentenza assolutoria di primo grado basata su una diversa interpretazione della fattispecie concreta, alla luce della valutazione logica e complessiva dell’intero compendio probatorio e non sulla base di un diverso apprezzamento della attendibilità di una prova dichiarativa decisiva Sez. 5, n. 53210 del 19/10/2018, Esposito, Rv. 275133 Sez. 5, n. 42746 del 09/05/2017, Fazzini, Rv. 271012 Sez. 5, n. 47833 del 21/06/2017, Terry, Rv. 273553 Sez. 5, n. 53415 del 18/06/2018, Boggi, Rv. 274593 Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 270471 Non sussiste l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell’assoluzione, quando l’attendibilità della deposizione è valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, il quale si limita a procedere ad un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice . 2.5. Le argomentazioni che precedono sono evidentemente assorbenti anche ai fini della ulteriore questione dedotta, concernente la violazione dell’art. 604 c.p.p., comma 3 bis, che sancisce l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in caso di riforma in peius di una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa . Come già evidenziato, la riforma della sentenza di assoluzione nei confronti di V. non è stata fondata su motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa , che è rimasta inalterata, bensì su una diversa qualificazione giuridica - in termini di contributo rilevante ai sensi dell’art. 110 c.p. - della condotta già accertata nella sua dimensione storica. Pertanto, non appare rilevante, ai fini della decisione, il richiamo, contenuto nei motivi nuovi di V. , alla sentenza delle Sezioni Unite, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112, che ribadisce il principio dell’obbligo di rinnovazione anche in relazione alle dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico nel corso del dibattimento, per il giudice di appello che, sul diverso apprezzamento di esse, fondi, sempreché decisive, la riforma della sentenza di assoluzione è anzi la stessa sentenza delle Sezioni Unite a ribadire che l’art. 604 c.p.p., comma 3 bis, sancisce la regola implicita secondo la quale il giudice di appello ha l’obbligo di rinnovare l’istruttoria solo nel caso in cui intenda riformare in pejus la sentenza impugnata basandosi esclusivamente su una diversa valutazione - rispetto a quella effettuata dal primo giudice - della prova dichiarativa che abbia carattere di decisività § 2.6., non massimata sul punto . 2.6. Anche la doglianza proposta in particolare con il terzo motivo da V. con cui si lamenta l’omessa rinnovazione del dibattimento per l’acquisizione di una planimetria dei luoghi, ai fini di una precisa determinazione dello spazio, delle distanze tra i protagonisti e della rispettiva visuale, appare del tutto infondata, trattandosi di questione che non poteva ritenersi oggetto di devoluzione da parte della sentenza rescindente, che, come già evidenziato, ha enucleato - rimettendone la valutazione alla discrezionalità del giudice del rinvio - un obbligo di rinnovazione, peraltro solo eventuale, riguardante esclusivamente le prove dichiarative concernenti il concorso di persone nel delitto di omicidio preterintenzionale. 3. Le residue doglianze dei ricorrenti meritano una valutazione congiunta, riguardando le comuni questioni del concorso di persone nel delitto di omicidio preterintenzionale e del relativo dolo. 3.1. Al riguardo, va innanzitutto evidenziata l’inammissibilità delle doglianze proposte, in particolare, da C. con il secondo motivo, e da V. con il primo ed il quarto motivo, nella parte in cui sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767 Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . In particolare, con le censure proposte i ricorrenti non lamentano una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e , ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito al dolo di concorso ed alle diverse scansioni temporali dei fatti che la Corte territoriale avrebbe indebitamente valorizzato ai fini dell’affermazione del concorso di persone. Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità tantomeno manifeste e di contraddittorietà. 3.2. Con riferimento alle questioni di diritto poste con entrambi i ricorsi, giova innanzitutto premettere il contenuto ed i limiti del giudizio di rinvio enucleati dalla sentenza rescindente. Non appare ridondante rammentare che la sentenza n. 10449/2017, nel rigettare il ricorso del coimputato D.D. , ha, innanzitutto, confermato il concorso del predetto nell’azione materialmente posta in essere da P. e V. ai danno di T. , ritenendo che correttamente la Corte territoriale lo avesse desunto dalla sua contemporanea aggressione nei confronti di Ca. , e che quella di P. , V. e D.D. fosse un’azione coordinata che aveva l’ulteriore effetto di impedire rispettivamente a T. e Ca. di intervenire in aiuto di Cs. aggredito, a sua volta, da C. e V. p. 19 della sentenza rescindente . Tanto premesso, la sentenza rescindente ha invece ritenuto non convincente la motivazione con riferimento alle posizioni di C.G. e V.A. . Essendo stato escluso, già dalla Corte territoriale, un previo accordo tra i cinque giovani , la Corte di Cassazione ha dunque demandato al giudice del rinvio il compito di stabilire, sulla base della successione cronologica degli eventi , se fosse configurabile un concorso di persone di C. e V. nell’omicidio preterintenzionale di T. , sorretto quanto meno dal dolo eventuale in tal senso sollecitando il giudice del rinvio ad approfondire se davvero le tre aggressioni furono contestuali o se quella di C. precedette le altre due , in che modo l’azione di V. a favore di C. abbia impedito a Ca. e T. di intervenire in difesa dello Cs. e, ancora, se l’aggressione di C. e V. ai danni di Cs. possa essere letta come impeditiva a questi di aiutare T. agevolando l’azione di P. e V. o se, essendo iniziata prima, non aveva questa oggettiva e soggettiva finalità . 3.3. Ciò posto, la sentenza impugnata risulta immune da censure, avendo affermato, sulla base della ricostruzione dei fatti già accertata, e valutata nelle diverse scansioni cronologiche, così come demandato dalla sentenza rescindente, che le condotte di C. e V. integrassero un consapevole contributo, materiale e morale, nel delitto di omicidio preterintenzionale di T. , eseguito materialmente da V. e P. . Al riguardo, la Corte territoriale, nella ricostruzione della dinamica dei fatti, ha evidenziato che la notte del 1 maggio 2008, dopo che C. aveva già posto in essere il fatto qualificato come violenza privata ai danni di R.P.L. al quale aveva dapprima richiesto una somma di denaro, per poi farsi consegnare delle spille , il gruppo composto dai cinque giovani imputati, giunto in OMISSIS , si imbatteva in tre giovani Cs. , Ca. e T. dapprima C. si avvicinava a Cs. , che stava fumando una sigaretta, chiedendogli di offrirgliene una al netto rifiuto di quest’ultimo, improvvisamente C. replicava sferrandogli un pugno al volto pressoché contestualmente gli altri tre del gruppo si scagliavano contro gli altri due giovani D.D. contro Ca. , V. e P. contro T. nel frattempo, V. , afferrando Cs. per il codino in cui aveva legato i capelli, lo trascinava a terra, dove rovinava anche C. lo stesso Ca. veniva spinto a terra da D.D. , e colpito con calci e pugni da due persone entrambe le vittime notavano il T. che giaceva a terra, inerme, mentre V. e P. lo colpivano a calci appena prima di darsi tutti insieme alla fuga, C. si avvicinava a Ca. e gli sferrava un pugno al volto, mentre un altro giovane lo spingeva facendolo cadere a terra nuovamente i cinque giovani, alla fine dell’aggressione, si allontanavano tutti insieme, di corsa, aderendo alla sollecitazione di V. , che, come da lui stesso dichiarato e confermato dal C. , vedendo il T. per terra, aveva urlato agli altri basta, basta, andiamo via . Tanto premesso quanto alla ricostruzione della dinamica dei fatti, la sentenza impugnata ha dunque ribadito l’esclusione di un previo accordo tra i cinque imputati, in considerazione dell’assoluta casualità dell’incontro con le tre vittime, nondimeno affermando l’esistenza di un’intesa istantanea rilevante ai fini del concorso di persone. In particolare, nell’evidenziare che il concorso di D.D. nell’azione materialmente posta in essere da P. e V. è stato affermato sulla base della sua contemporanea aggressione ai danni di Ca. , rappresentativa di un’azione che aveva l’effetto di impedire che quest’ultimo corresse in aiuto di Cs. e di impedire a T. di intervenire in aiuto di Ca. e Cs. , ha ritenuto che la posizione di C. e V. fosse appunto identica, sotto il profilo materiale e causale. L’intero episodio l’incontro, la prima aggressione di C. a Cs. , le successive aggressioni di D.D. a Ca. , e di V. e P. a T. , e la successiva fuga collettiva , durato appena qualche minuto, e svoltosi in un’area delimitata e ristretta, nell’ambito della Corticella Leoni, è stato percepito da tutti i partecipanti, che erano in grado di vedere quanto stava accadendo attorno a loro, e di adeguare il proprio comportamento e le proprie reazioni al contesto ciò posto, la sentenza ha evidenziato che, allorquando C. ha sferrato il pugno al volto di Cs. , V. , lungi dal restare a guardare, o dal dissociarsi, o dall’andare via, è immediatamente intervenuto in soccorso dell’amico, tirando Cs. per il codino, facendolo cadere a terra e colpendolo insieme a C. peraltro, a sottolineare la manifesta infondatezza della versione dedotta con il primo motivo di V. secondo cui egli si sarebbe limitato a separare i contendenti, milita altresì la circostanza che V. , oltre ad aiutare C. nell’aggressione a Cs. , abbia poi dato man forte” a D.D. , colpendo a calci e pugni anche Ca. del resto, che l’atteggiamento di V. non fosse assolutamente finalizzato a separare i contendenti, ma inequivocabilmente aggressivo, è confermato dal rilievo che lo stesso imputato è stato condannato con sentenza ormai irrevocabile in ordine al reato di lesioni personali ai danni di Ca. e Cs. contestato al capo B. Lo stesso C. , prima di darsi alla fuga insieme agli altri, sferrava un altro pugno al Ca. e, nelle medesime frazioni di tempo, V. e P. aggredivano T. . Ciò posto, la Corte territoriale ha dunque ritenuto che il comportamento di V. e C. integrasse gli estremi del contributo, materiale e morale, rilevante ai sensi dell’art. 110 c.p., quale agevolazione della condotta criminosa altrui, e quale rafforzamento dell’altrui proposito criminoso. Invero, V. , dopo avere percepito quanto stava accadendo, ed aver visto che i suoi compagni stavano aggredendo i tre ragazzi casualmente incontrati, lungi dal dissociarsi, o disinteressarsi, o allontanarsi, ha contributo all’aggressione, prima aiutando C. nell’aggressione a Cs. , e poi aiutando D.D. nell’aggressione a Ca. in tal modo rendendo le forze degli aggressori sempre maggiori rispetto a quelle di chi cercava di difendersi, in quanto ciascuna vittima veniva a trovarsi in inferiorità numerica, e colpita, sia pure non sempre contemporaneamente, da due aggressori. Analogamente C. , che, dopo aver aggredito Cs. , ha proseguito nell’azione violenta, colpendo anche Ca. , con una condotta che appare indice inequivocabile della dimensione collettiva dell’azione violenta lo stesso C. , poi, risulta essersi avvicinato a V. e P. , essendo accanto a loro allorquando T. , a terra, veniva colpito con calci con una condotta che, pur senza essere sfociata in un’aggressione materiale diretta, è stata ritenuta agevolativa e rafforzativa del proposito criminoso dei due esecutori materiali V. e P. , che in tal modo hanno percepito la situazione di superiorità e prevalenza numerica. Sicché tali comportamenti sono stati ritenuti, con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, un contributo causale all’azione violenta posta in essere da V. e P. ai danni di T. , sia sotto il profilo del rafforzamento del proposito criminoso, sia sotto il profilo dell’agevolazione dell’esecuzione l’azione congiunta e contemporanea degli altri tre componenti del gruppo ai danni degli amici di T. , infatti, non soltanto ha avuto l’effetto di consolidare nei due aggressori V. e P. la spinta violenta, essendosi essi sentiti spalleggiati ed incoraggiati dalla concomitante azione degli altri, ma ha altresì agevolato l’aggressione nei confronti del T. , che, rimasto solo contro due persone, essendo gli altri amici impegnati nelle rispettive colluttazioni, si trovava in condizioni di minorata difesa. Sulla base di tali elementi, dunque, la sentenza impugnata ha affermato che l’azione illecita, avviata proprio da un gesto aggressivo e lesivo del C. , si è manifestata, nel suo concreto sviluppo, e prescindendo dalle strumentali, benché legittime, parcellizzazioni valutative proposte nella lettura alternativa dei ricorrenti, come una azione di gruppo , in cui ciascuno ha svolto un ruolo preciso ed ha contribuito all’esito finale neutralizzare i tre avversari ed agevolare il comportamento di ciascuno di essi contro il rispettivo contendente. 3.4. Nel rilevare che la ricostruzione dei fatti accertata ha escluso che le condotte degli odierni imputati siano suscettibili di essere valutate in maniera atomistica e parcellizzata, quali singole aggressioni autonome tra loro, quasi fossero monadi incomunicabili, la Corte territoriale ha, invece, evidenziato che, pur essendosi sviluppata da una iniziativa di C. , l’azione violenta è stata unitaria, collettiva, di gruppo, non soltanto perché contemporanea e concomitante, ma anche perché i singoli autori non si sono limitati ad aggredire un’unica persona, ma hanno indirizzato la propria violenza anche nei confronti degli altri giovani del gruppo casualmente incontrato, e divenuti oggetto di una inattesa ed incontrollabile manifestazione di brutalità e sopraffazione. Ciò posto, la motivazione della Corte territoriale appare immune da censure, essendo conforme ai consolidati insegnamenti di questa Corte in tema di concorso di persone nell’omicidio preterintenzionale in tema di concorso di persone nel reato, le norme sulla partecipazione non soffrono alcuna specifica eccezione riguardo all’omicidio preterintenzionale, essendo sufficiente, anche in relazione a tale reato, che sia dimostrato il concorso dei vari soggetti attivi - non importa se morale o materiale - nell’attività diretta a percuotere o ledere senza volontà di uccidere e che tra tale attività e l’evento letale posto a loro carico esista un rigido rapporto di causalità, rappresentando questo elemento il presupposto richiesto dal legislatore per il mutamento del titolo del reato Sez. 1, n. 4789 del 13/01/1997, Marchitelli, Rv. 207576 pertanto, è configurabile il concorso di persone nell’omicidio preterintenzionale quando vi è la partecipazione materiale o morale di più soggetti attivi nell’attività diretta a percuotere o ledere una persona senza la volontà di ucciderla e vi sia un evidente rapporto di causalità tra tale attività e l’evento mortale Sez. 5, n. 12413 del 30/10/2013, dep. 2014, G, Rv. 262539 Sez. 5, n. 1751 del 14/10/2004, dep. 2005, Tomaccio, Rv. 230836 . In generale, per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato Sez. 6, n. 1986 del 06/12/2016, dep. 2017, Salamone, Rv. 268972 . Anche con riferimento al dolo di concorso, va innanzitutto rammentato che, come affermato anche nella prima sentenza di questa Corte pronunciata sulla medesima vicenda, l’elemento soggettivo dell’omicidio preterintenzionale è costituito unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, P. , Rv. 253357 è consolidato, infatti, l’insegnamento secondo cui l’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva nè dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato Sez. 5, n. 44986 del 21/09/2016, Mulè, Rv. 268299 pertanto, la valutazione relativa alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del delitto de quo è nella stessa legge, essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012, dep. 2013, Palazzolo, Rv. 254386 . Tanto premesso con riferimento all’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale, che coincide con il dolo delle percosse o delle lesioni, nella specie integrato dalla volontà, manifestata da entrambi i ricorrenti, di aggredire i componenti del gruppo di tre giovani casualmente incontrati, va altresì ribadito il principio, già affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, Sormani, Rv. 218525 nel reato concorsuale il dolo dei singoli concorrenti non presuppone necessariamente un previo accordo, o la contestuale e reciproca consapevolezza del concorso, essendo sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui Sez. 6, n. 1271 del 05/12/2003, dep. 2004, Misuraca, Rv. 228424 , e ben potendo il reciproco consenso insorgere anche inopinatamente e nel corso della commissione di altro fatto criminoso Sez. 2, n. 44301 del 19/10/2005, Dammacco, Rv. 232853 . Ancora è stato precisato che, in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo, in quanto l’attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell’altrui proposito criminoso, talché assume carattere decisivo l’unitarietà del fatto collettivo realizzato, che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui Sez. 2, n. 18745 del 15/01/2013, Ambrosanio, Rv. 255260 Sez. 5, n. 25894 del 15/05/2009, Catanzaro, Rv. 243901 . Va, peraltro, evidenziato che, sia pur con riferimento ad una diversa, benché analoga, fattispecie, in quanto caratterizzata dall’unitarietà del fatto collettivo, è stato affermato che la configurabilità del reato di rissa aggravata da eventi lesivi o morte non è idonea ad escludere la ricorrenza, a carico dei corrissanti non autori materiali della lesione o dell’omicidio, anche del concorso anomalo in uno di questi ulteriori reati, data la loro consapevole partecipazione a un’azione criminosa realizzata con modalità tanto accese da determinare in concreto conseguenze di particolare gravità per l’incolumità personale Sez. 1, n. 16762 del 03/02/2010, Malgeri, Rv. 246926, che, nell’enunciare tale principio con riferimento a una rissa aggravata dall’uccisione di uno dei partecipi, ha sottolineato che vanno considerate autonomamente la posizione dell’autore materiale dell’omicidio, il quale risponde, indifferentemente, a titolo di dolo, preterintenzione o colpa secondo i principi generali, e quella degli altri corrissanti, che rispondono a titolo di dolo, se del caso anche misto a colpa, qualora siano stati in grado di prevedere, accettandone l’eventualità, almeno un fatto di lesioni, così contribuendo causalmente alla realizzazione dell’evento più grave, pur non previsto, per non aver fatto quanto in loro potere per impedirlo . 3.5. Con riferimento, infine, alla doglianza proposta da V. , secondo cui la sentenza impugnata non avrebbe affrontato la questione dell’applicabilità dell’art. 116 c.p., oltre a rilevare che la stessa non risulta devoluta in appello, va ribadito il principio secondo cui la figura del concorso anomalo di cui all’art. 116 c.p. non è compatibile con il delitto di omicidio preterintenzionale, posto che in esso l’evento morte non è voluto, in ipotesi, da nessuno dei concorrenti Sez. 5, n. 12111 del 23/09/1987, Curcio, Rv. 177164 l’ipotesi del concorso anomalo ex art. 116 c.p. non è ipotizzabile nell’omicidio preterintenzionale in quanto per la configurabilità di tale forma attenuata di concorso è necessario che il concorrente abbia voluto un reato diverso da quello voluto da altro concorrente e verificatosi nella realtà, mentre nella figura dell’omicidio preterintenzionale la morte non è voluta da alcuno dei concorrenti e tutti hanno voluto le lesioni o le percosse sicché identico per tutti è il titolo di responsabilità Sez. 5, n. 8394 del 04/06/1981, De Giosa, Rv. 150248 conf. Sez. Un. 30 aprile 1955, Abdullati Rohamod Dirsen più di recente, Sez. 5, n. 3349 del 02/02/1996, Vanzan, Rv. 204297, secondo cui l’ipotesi prevista dall’art. 116 c.p., comma 2 non è applicabile all’omicidio preterintenzionale, in quanto trattasi di una forma attenuata di concorso configurabile solo nella ipotesi in cui il concorrente che si vuole anomalo abbia voluto un reato diverso da quello voluto dagli autori materiali e concretamente attuato. Nell’omicidio preterintenzionale, invece, l’evento mortale non è voluto da nessuno dei concorrenti mentre tutti vogliono le lesioni o come nel caso in esame - le percosse -, onde tutti devono rispondere della morte che eventualmente consegua alla aggressione voluta . 3.6. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto In tema di concorso di persone nel reato di omicidio preterintenzionale, nel caso in cui le aggressioni siano multiple e contestuali, nel tempo e nello spazio, ai danni di più vittime una soltanto delle quali deceda per effetto delle percosse e/o lesioni subìte , configurandosi in concreto come un fatto collettivo unitario , il contributo rilevante ai sensi dell’art. 110 c.p., può consistere nell’agevolazione dell’aggressione contro la vittima, in ragione della superiorità numerica e della concomitante condotta dei concorrenti di neutralizzazione delle difese altrui concorso materiale , e nel rafforzamento del proposito criminoso dell’esecutore, che si senta spalleggiato ed incoraggiato dalla concomitante azione degli altri concorso morale . In tal caso, il dolo dei singoli concorrenti ha ad oggetto, nella dimensione monosoggettiva, le sole percosse o lesioni, e non già la prevedibilità dell’evento letale, che, nel delitto preterintenzionale, non è voluto da alcuno, e, nella dimensione plurisoggettiva, la volontà di concorrere nel reato altrui, che può manifestarsi anche come intesa istantanea, o come conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui, o, infine, come semplice adesione all’opera di un altro che ne rimanga ignaro . 4. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in solido delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che si liquidano per quelle assistite dall’avv. G.A. in Euro 3.500,00 oltre accessori di legge e per quelle assistite dall’avv. Franco Rossi Galante in Euro 3500,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in solido delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che liquida per quelle assistite dall’avv. G.A. in Euro 3.500,00 oltre accessori di legge e per quelle assistite dall’avv. Franco Rossi Galante in Euro 3500,00 oltre accessori di legge.