MAE: sussistenza del motivo di rifiuto di consegna e prova dello stabile radicamento in Italia

Quando la persona richiesta sia cittadino di un altro Paese membro dell’UE ed abbia invocato la sussistenza del motivo di rifiuto di consegna previsto dall’art. 18- bis l. n. 69/2005, allegando documenti non idonei a provare il suo radicamento stabile in Italia, la Corte d’Appello è tenuta a verificare se detto radicamento abbia una consistenza tale da giustificare la decisione da parte dello Stato di rifiutare la consegna allo Stato emittente, in deroga agli obblighi di collaborazione e cooperazione giudiziaria esistenti nell’ambito dell’Unione Europea .

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 4534/20, depositata il 3 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello disponeva la consegna di un cittadino europeo alle competenti autorità romene, in relazione al MAE emesso dalla Corte romena dopo sentenza irrevocabile emessa per plurimi reati di truffa commessi nel territorio romeno e per i quali è stato condannato a 3 anni di reclusione. Avverso tale decisione, il difensore del ricorrente propone impugnazione, denunciano che la Corte d’Appello ha omesso di valutare gli elementi prospettati in favore del ricorrente riguardo alla circostanza della sua effettiva e stabile presenza in Italia, dove vive e lavora. Mandato d’arresto europeo. Al riguardo, la difesa del ricorrente censura che sia errata l’applicazione dell’art. 18- bis l. n. 69/2005 che ha introdotto motivi di rifiuto facoltativo della consegna, con riferimento anche al caso di cittadino europeo residente stabilmente nel territorio italiano, essendo stata l’udienza rinviata per ragioni dovute al ritardo con cui la Romani ha trasmesso la documentazione richiesta, pertanto ove l’udienza si fosse svolta nel giorno stabilito, la normativa da applicare sarebbe stata quella del previgente art. 18 che imponeva come obbligatorio il rifiuto di consegna. Tale rifiuto della consegna, ora previsto come facoltativo per effetto della recente modifica della legge di attuazione del MAE, resta comunque soggetto a verifica sostanziale dell’esistenza per il cittadino di un altro Stato membro dell’UE, dei requisiti di collegamento con il territorio italiano, attraverso l’accertamento degli indici sintomatici di un reale radicamento dell’interessato con lo Stato italiano. Pertanto, I Giudici di legittimità affermano che, quando la persona richiesta sia cittadino di un altro Paese membro dell’UE ed abbia invocato la sussistenza del motivo di rifiuto di consegna previsto dall’art. 18- bis l. n. 69/2005, allegando documenti non idonei a provare il suo radicamento stabile in Italia, la Corte d’Appello è tenuta a verificare se detto radicamento abbia una consistenza tale da giustificare la decisione da parte dello Stato di rifiutare la consegna allo Stato emittente, in deroga agli obblighi di collaborazione e cooperazione giudiziaria esistenti nell’ambito dell’Unione Europea . A tale nuovo principio di diritto segue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello affinché verifichi se il radicamento nel territorio italiano del ricorrente sia effettivamente intenso e consistente da giustificare la configurabilità del motivo di rifiuto della consegna.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 gennaio – 3 febbraio 2020, n. 4534 Presidente Costanzo – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha disposto la consegna di C.M. alle competenti Autorità rumene, in relazione al M.A.E. emesso dalla Corte di appello di Brasov Romania a seguito della sentenza irrevocabile emessa in data 12 giugno 2019, per plurimi reati di truffa commessi nel territorio rumeno tra il maggio ed il luglio 2012 per i quali è stato condannato alla pena di anni tre di reclusione. 2. Avverso la su indicata pronuncia della Corte d’appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del C. , deducendo i motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito illustrato. 2.1. Vizio della motivazione in relazione alla disposta consegna sebbene non risulti provato che la sentenza irrevocabile oggetto del M.A.E. sia stata pronunciata a seguito di un processo equo. In particolare, lo Stato richiedente non avrebbe fornito la prova della regolare citazione in giudizio dell’imputato, il quale non sarebbe stato informato della data e del luogo fissati per il processo, celebrato pertanto in sua assenza, avendo la Corte di appello di Torino affermato in modo del tutto indimostrato che il predetto si sarebbe sottratto volontariamente al processo dando atto che nei suoi confronti sarebbero stati esperiti gli atti di rintracciamento previsti dalla procedura rumena. 2.2. Sotto altro profilo si è dedotto che la Corte d’appello ha omesso di valutare i rilievi difensivi e gli elementi prospettati in favore del ricorrente riguardo alla circostanza della sua effettiva e stabile presenza in Italia, dove vive e lavora dal mese di ottobre del 2017, in località omissis , con la disponibilità in comodato di un alloggio da lui stesso ristrutturato secondo quanto emerso dalla documentazione in atti versata sono state allegate le buste paga dal mese di novembre del 2017 . Al riguardo si censura che è errata l’applicazione della L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, entrato in vigore in data 2/11/2019, che ha introdotto motivi di rifiuto facoltativo della consegna, con riferimento anche al caso del cittadino Europeo residente stabilmente nel territorio italiano, essendo stata l’udienza del 15/10/19 rinviata per ragioni dovute al ritardo con cui la Romania ha trasmesso la documentazione richiesta, e pertanto ove l’udienza si fosse svolta in quel giorno, la normativa applicabile sarebbe stata quella del previgente art. 18 che imponeva come obbligatorio il rifiuto di consegna. Si censurano, inoltre, le valutazioni espresse dalla Corte di appello in merito alla pericolosità sociale del ricorrente, atteso che per tutte le condanne riportate in Italia gli è sempre stata concessa la sospensione condizionale della pena. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Si deve innanzitutto premettere che la L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. g , e art. 19, comma 1, lett. a , sono disposizioni chiaramente dirette ad evitare, rispettivamente, la consegna allo Stato richiedente del destinatario del mandato di arresto Europeo laddove risulti che il mandato sia stato emesso per dare esecuzione ad una sentenza irrevocabile adottata all’esito di un processo non equo , ovvero a condizionare la consegna all’acquisizione di assicurazione circa la possibilità che il soggetto richiesto, dopo la consegna, possa domandare un nuovo processo nello Stato membro di emissione del mandato di arresto Europeo. Si tratta, quindi, di disposizioni della cui inosservanza evidentemente il ricorrente non può avere interesse a dolersi, ove manifesti il contrario interesse a che la pena comminata all’estero venga eseguita in Italia, così implicitamente accettando gli effetti di quella decisione. Inoltre, va osservato che, secondo l’ordinamento dello Stato di Romania segnatamente l’art. 466 c.p.p. rumeno, L. 1 luglio 2010, n. 135 entrata in vigore il 7 febbraio 2014 - nel caso di persona consegnata sulla base di mandato di arresto Europeo è consentito alla stessa di esercitare il diritto a un nuovo processo, facendo decorrere il termine per la relativa richiesta dal momento in cui questa, riceverà in Romania, dopo la consegna, la notifica della sentenza di condanna Sez. 6, 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296 . 2. È fondato, invece, il motivo dedotto con riferimento alla questione dello stabile radicamento in Italia, nei limiti di seguito indicati. Come già più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di mandato di arresto Europeo, la nozione di residenza che viene in considerazione per l’applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla L. n. 69 del 2005, presuppone l’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. Tali presupposti sono stati oggetto di una valutazione superficiale da parte della Corte di appello, che ha ritenuto di poter escludere la ricorrenza di un valido motivo per rifiutare la consegna sulla base della nuova normativa di legge in vigore dal 2 novembre 2019 che ha attribuito carattere non più obbligatorio ma solo facoltativo al motivo di rifiuto relativo al caso che la persona da consegnare per l’esecuzione di una pena detentiva risulti essere un cittadino Europeo dimorante in modo stabile in Italia. La L. 4 ottobre 2019, n. 117 - Delega al Governo per il recepimento delle direttive Europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione Europea - Legge di delegazione Europea 2018 19G00123 - pubblicata sulla GU n. 245 del 18/10/2019, entrata in vigore dal 02/11/2019, ha sostituito l’originario testo della L. n. 69 del 2005, art. 18, introducendo anche il nuovo art. 18-bis, prevedendo una distinzione dei motivi di rifiuto obbligatorio, regolati dall’art. 18, da quelli di rifiuto facoltativo, indicati nell’art. 18-bis. Nell’elenco dei motivi di rifiuto facoltativo della consegna è stato incluso in particolare anche il caso di cui alla lett. c del citato art. 18-bis, prima considerato nel novero dei motivi di rifiuto obbligatorio, relativo all’esecuzione di una pena detentiva nei confronti del cittadino italiano o del cittadino di altro Stato membro dell’Unione Europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, a condizione che la Corte di appello disponga che la pena sia eseguita in Italia conformemente al diritto nazionale. Innanzitutto, si deve ritenere che essendo stata la decisione della Corte di appello adottata in data successiva all’entrata in vigore della citata normativa di legge, non vi può essere dubbio sulla applicazione dell’art. 18-bis alla procedura in esame, trattandosi di normativa processuale come tale immediatamente applicabile alle procedure in corso, perché soggetta al principio del tempus regit actum. Cionondimeno, la valutazione che la Corte di appello ha operato nel caso in esame per escludere la sussistenza di una valida ragione di rifiuto, è stata svolta con riferimento non già alla verifica del requisito della stabilità del radicamento del ricorrente con il territorio nazionale, ma unicamente con riguardo al diverso profilo della pericolosità sociale della persona da consegnare, desunta dai suoi numerosi precedenti penali per reati contro il patrimonio. Si tratta di una argomentazione evidentemente errata perché confligge con la finalità delle deroghe all’obbligo di dare esecuzione alla richiesta di consegna previste dalla citata normativa in tema di mandato di arresto Europeo, in particolare dall’art. 18-bis, lett. c , legge cit., e che consente alla Corte di appello di opporre il rifiuto alla consegna quando ricorra un interesse concreto e meritevole di tutela a che la pena trovi esecuzione nel territorio dello Stato richiesto, che prescinde, tuttavia, dalla valutazione del grado di pericolosità della persona condannata, ma attiene, piuttosto, alla salvaguardia della finalità rieducativa della pena, che potrebbe essere compromessa ove la persona fosse costretta a subire una detenzione carceraria in luoghi distanti dal proprio contesto sociale, affettivo e familiare, in relazione anche all’importanza che riveste per il detenuto la possibilità di avere incontri con i propri familiari e conoscenti, in relazione alle maggiori opportunità di recupero e risocializzazione che l’espiazione della pena può avere se eseguita nel luogo in cui il condannato risulti effettivamente inserito, ove evidentemente non si tratti di un contesto sociale basato sulla clandestinità e l’illegalità. Si comprende, perciò, che il parametro di riferimento cui deve ispirarsi la valutazione discrezionale dell’A.G. dello Stato richiesto, circa l’opportunità di esercitare o meno la facoltà di opporre il rifiuto alla consegna ai sensi del nuovo art. 18-bis, lett. c , non possa essere quello della pericolosità sociale del condannato, quanto quello della salvaguardia della finalità rieducativa della pena, rispetto alla quale, ciò che rileva ai fini di assecondare o meno la richiesta della persona di espiare la pena in Italia, è la verifica di un suo radicamento sul territorio nazionale che risulti meritevole di apprezzamento, alla stregua delle circostanze che è onere della difesa allegare. La disposizione di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. r , secondo l’interpretazione che ne aveva dato la sentenza additiva della Corte costituzionale n. 227/2010, prevedeva che la richiesta di consegna contenuta in un mandato di arresto esecutivo dovesse essere rifiutata laddove la stessa riguardasse un cittadino italiano, o un cittadino di altro Paese membro dell’UE residente, ovvero anche solo dimorante in Italia, al fine di poter dare esecuzione alla pena in Italia conformemente al diritto interno del nostro Paese. Nella anzidetta sentenza è stato anche chiarito come, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia di Lussemburgo, il rifiuto di consegna oggetto dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro n. 584 del 2002 relativa al MAE alla quale è stata data attuazione nel nostro ordinamento con la L. 22 aprile 2005, n. 69, al pari di quello previsto dall’art. 5, punto 3, della stessa, mira a permettere di accordare una particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata, una volta scontata la pena cui essa è stata condannata, e con questo preciso intento lo Stato membro è legittimato a limitare il rifiuto alle persone che abbiano dimostrato un sicuro grado di inserimento nella società di detto Stato membro . Il rifiuto della consegna che è ora previsto come facoltativo per effetto della recente modifica della legge di attuazione del MAE, resta pur sempre soggetto ad una verifica sostanziale, e non formale, dell’esistenza, per il cittadino di un altro Stato membro dell’UE, dei requisiti di collegamento con il territorio del nostro Paese, attraverso l’accertamento di uno o più indici concretamente sintomatici di un reale e non estemporaneo radicamento dell’interessato con lo Stato italiano, nel quale ha inteso stabilire la sede principale dei propri interessi affettivi ed economici, in maniera tale da assimilarne la posizione a quella del cittadino italiano. Tuttavia, rimanendo ancorato ai medesimi presupposti legali previsti a fondamento dei diversi motivi di rifiuto dalla L. n. 69 del 2005, il potere discrezionale rimesso alla Corte di appello sulla ricorrenza delle condizioni per opporre o non opporre lo specifico motivo di rifiuto di consegna previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, lett. c non può che essere esercitato alla stregua della verifica e della valutazione della meritevolezza di tutela dell’interesse del condannato ad espiare la pena nel territorio dello Stato italiano, non potendosi ovviamente configurare a suo favore, ed a maggiore ragione per effetto del carattere non più obbligatorio del rifiuto, un diritto di scelta ai fini dell’esecuzione della pena detentiva che gli è stata comminata dall’A.G. dello Stato di emissione del MAE. Non vi sono, infatti, ragioni di ordine pubblico interno per ritenere che nel contesto dell’Unione Europea la pena inflitta dall’autorità giudiziaria dello Stato membro debba essere inderogabilmente eseguita in Italia, ove il condannato lo richieda, potendo avere interessi o affetti più radicati nell’ambito territoriale dello Stato di emissione, così da rendere del tutto ingiustificato il rifiuto di consegna da parte dello Stato di esecuzione. Nel caso di specie appare evidente che neppure il ricorrente abbia chiarito le ragioni della sua richiesta di eseguire la pena detentiva nel territorio dello Stato italiano, non avendo in alcun modo spiegato quale sia la sua situazione familiare, non essendo stata addotta, nè documentata, l’esistenza di legami familiari nel nostro territorio, che avrebbe fornito un indice più significativo della stabilità del suo insediamento in Italia, al fine di orientare la valutazione della opportunità o meno di assecondare il suo interesse a dare esecuzione alla pena in Italia. La Corte di appello di Torino ha quindi errato, innanzitutto, nel ritenere che il riferimento alla sola attività lavorativa ed alla disponibilità di un alloggio, peraltro in comodato gratuito, per un periodo temporale ristretto a circa due anni, possa costituire un sufficiente parametro di valutazione ai fini della verifica della sussistenza del presupposto normativo previsto dall’art. 18-bis, lett. c della legge citata, e quindi per giustificare l’esercizio del potere discrezionale di opporre un legittimo rifiuto alla consegna. Ma, soprattutto, ha errato nel ritenere di esercitare il potere discrezionale di non opporre il rifiuto di consegna sulla base di valutazioni attinenti a profili del tutto estranei ai criteri normativi sottesi allo specifico motivo di rifiuto previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, come quello della pericolosità sociale della persona da consegnare. Deve essere, quindi, affermato il principio di diritto che, quando la persona richiesta sia cittadino di altro Paese membro dell’Unione Europea ed abbia invocato la sussistenza del motivo di rifiuto di consegna previsto dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18-bis, comma 1, lett. C , allegando documenti inidonei a provare il suo stabile radicamento in Italia, la Corte d’appello, è tenuta a verificare se detto radicamento abbia una consistenza tale da giustificare la decisione da parte dello Stato di rifiutare la consegna allo Stato emittente, in deroga agli obblighi di collaborazione e cooperazione giudiziaria esistenti nell’ambito dell’Unione Europea. S’impone, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino perché verifichi, con nuovo giudizio, se il radicamento nel territorio italiano addotto dal ricorrente abbia consistenza e intensità tali da giustificare la configurabilità del motivo di rifiuto della consegna di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18-bis, comma 1, lett. c , attenendosi al principio di diritto sopra affermato. La Cancelleria curerà l’espletamento degli incombenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.