Una norma transitoria permette all’imputata condannata per terrorismo di chiedere la liberazione condizionale

In tema di accesso ai benefici penitenziari di cui all’art. 4-bis ord. pen., in virtù del regime transitorio introdotto dalla l. n. 279/2002, il requisito della collaborazione con la giustizia non trova applicazione per delitti di terrorismo ed eversione, oltre che per altre figure di reato inserite in prima fascia”, commessi precedentemente alla data di entrata in vigore della legge citata.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3477/20, depositata il 28 gennaio. Il fatto. Il Tribunale di sorveglianza di Roma concedeva ad un’imputata, in espiazione di pena per reati commessi per finalità di terrorismo, la proroga della detenzione domiciliare speciale ex art. 47- quinquies , comma 8, ord. pen., dichiarando inammissibile l’istanza di liberazione condizionale. Fermo restando che tale misura era assoggettata al regime restrittivo di cui all’art. 4- bis ord. pen., in relazione alla natura dei reati, la mancanza della collaborazione con la giustizia ostava alla possibilità di concedere il beneficio. La pronuncia è stata impugnata con ricorso per cassazione relativamente alla liberazione condizionale. Secondo l’imputata ricorrente il requisito della collaborazione con la giustizia, introdotto con la l. n. 279/2002, sarebbe sottoposto a specifica disposizione transitoria secondo la quale tale requisito non sarebbe necessario per i condannati per reati di terrorismo commessi precedentemente alla data di entrata in vigore della legge stessa 24 dicembre 2002 . Evoluzione normativa. L’art. 4- bis ord. pen. introdotto con il d.l. n. 152/1991 conv. in l. n. 203/1991 prevede una disciplina speciale a carattere restrittivo per la concessione dei benefici penitenziari a determinate categorie di detenuti o internati che si presumono socialmente pericolosi in ragione del reato commesso. In tale contesto, l’elemento dalla collaborazione con la giustizia ha assunto un ruolo dirimente in rapporto ai delitti c.d. di prima fascia” quale condicio sine qua non per l’accesso ai benefici. Con la riforma di cui al d.l. n. 306/1992, conv. in l. n. 356/1992, il legislatore è intervenuto con una riformulazione del catalogo dei delitti di prima fascia”, spostando i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale nella seconda fascia”. Successivamente, con la l. n. 279/2002 invocata dalla ricorrente la norma in questione è stata completamente ristrutturata e i delitti in questioni sono stati riportati nella prima fascia”, con l’introduzione di una disposizione transitoria che prevede la non applicabilità della nuova condizione restrittiva alle persone detenute per delitti di terrorismo ed eversione, oltre che per altre figure di reato inserite ex novo in prima fascia”, commessi precedentemente alla data di entrata in vigore della legge stessa. La giurisprudenza ha poi precisato che lo stato di privazione della libertà personale a cui la norma transitoria evoca è da riferire non all’entrata in vigore della legge ma alla data di presentazione dell’istanza volta alla concessione del beneficio penitenziario. Applicando tali principi al caso di specie, il ricorso risulta fondato in quanto per la ricorrente, condannata per reati di terrorismo commessi prima dell’entrata in vigore della l. n. 279/2002, il requisito della collaborazione con la giustizia non era richiesto per l’accesso all’invocata misura della liberazione condizionale. Per questi motivi, la Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 – 28 gennaio 2020, n. 3477 Presidente Di Tomassi – Relatore Centofanti Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma - nel concedere a S.F. , in espiazione di pena per reati commessi per finalità di terrorismo, risalenti al omissis , la proroga della detenzione domiciliare speciale, ai sensi dell’art. 47-quinquies ord. pen., comma 8, dichiarava contestualmente inammissibile l’istanza di liberazione condizionale. Della detenzione domiciliare speciale sussistevano, per il Tribunale, le condizioni, tenuto anche conto dell’assenza di pericolosità sociale della condannata. Costei si era definitivamente allontanata da logiche devianti, si era dedicata agli studi e alla cura della prole, aveva svolto attività di volontariato e si era sempre attenuta alle prescrizioni imposte. Quanto alla liberazione condizionale, il Tribunale ricordava che quest’ultima misura era assoggettata al regime restrittivo di cui all’art. 4-bis Ord. pen., e segnatamente del suo comma 1 nella specie, in relazione alla natura dei reati, ostava alla possibilità di concedere il beneficio la mancanza di collaborazione con la giustizia, di cui la condannata non aveva addotto nè l’impossibilità nè l’inesigibilità. Non risultava, in ogni caso, l’avvenuto risarcimento del danno, nè quand’anche si volesse ritenere l’impossibilità di provvedervi - risultava comunque, ai fini del ravvedimento richiesto dall’art. 176 c.p., il compimento di gesti di scusa o pietà verso le persone offese. 2. Avverso la menzionata ordinanza, relativamente alla decisione sulla liberazione condizionale, S. ha proposto ricorso per cassazione, con il ministero dei suoi difensori di fiducia. Il ricorso si articola in due motivi. 2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Il requisito della collaborazione con la giustizia, quale condizione ineludibile per l’accesso ai benefici di ordinamento penitenziario, nonché alla liberazione condizionale, non previsto dal testo originario dell’art. 4-bis Ord. pen. risalente al D.L. n. 152 del 1991, conv. dalla L. n. 203 del 1991 , sarebbe stato introdotto soltanto per effetto della L. n. 279 del 2002, art. 1, mediante la novellazione integrale del citato art. 4-bis. La citata L. n. 279 del 2002 conterrebbe tuttavia, all’art. 4, una specifica disposizione transitoria, in virtù della quale il requisito della collaborazione non si applicherebbe, tra l’altro, ai condannati per delitti posti in essere per finalità di terrorismo, commessi precedentemente alla data di entrata in vigore della legge stessa. Essendo quest’ultima intervenuta il 24 dicembre 2002, l’ordinanza impugnata sarebbe incorsa in un palese errore di diritto nel riferire a S. la preclusione da mancata collaborazione con la giustizia, posto che la commissione dei reati da parte della condannata sarebbe anteriore di svariati anni. 2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce vizio della motivazione sui presupposti del risarcimento del danno e del ravvedimento. Il loro apprezzamento, attinente piuttosto al merito della valutazione spettante al giudice di sorveglianza, non giustificherebbe la decisione adottata. Il mancato adempimento delle obbligazioni civili dipenderebbe dall’indigenza della debitrice, riconosciuta dall’ordinanza impugnata. Quest’ultima, d’altra parte, richiamerebbe molteplici elementi positivi, da cui desumere il profondo cambiamento subito della condannata, la revisione critica da lei operata e la convinta adesione a modelli di vita socialmente accettabili. Il preteso mancato interessamento verso le vittime non sarebbe, di per sé solo, in grado di contraddire un quadro dimostrativo così eloquente. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato la sua requisitoria l’undicesimo giorno antecedente l’odierna udienza. Ad essa ha replicato la ricorrente con apposita memoria. Considerato in diritto 1. La requisitoria è stata depositata oltre il termine del quindicesimo giorno antecedente l’udienza camerale, previsto dall’art. 611 c.p.p., comma 1. Poiché il rispetto di tale termine è funzionale alle esigenze di effettività e adeguatezza del contraddittorio cartolare in vista dell’udienza, cui le parti non sono ammesse a comparire, potendo tuttavia trasmettere memorie di replica sino al quinto giorno antecedente, l’intervento del Pubblico ministero è da considerare tardivo e non se ne deve tenere conto in questa sede Sez. 1, n. 28299 del 27/05/2019, R., Rv. 276414 . 2. Ciò posto, il primo motivo è fondato nei termini che seguono. 3. Come è noto, l’art. 4-bis Ord. pen. reca una disciplina speciale, a carattere restrittivo, per la concessione dei benefici penitenziari a determinate categorie di detenuti o di internati, che si presumono socialmente pericolosi in ragione del tipo di reato commesso disciplina, la cui genesi risale alla stagione di emergenza in tema di lotta alla criminalità organizzata apertasi al principio degli anni ‘90 dello scorso secolo, e il cui contenuto è stato, innumerevoli volte, modificato nel tempo. Già nella versione di origine - introdotta dal D.L. n. 152 del 1991, art. 1, conv. dalla L. n. 203 del 1991 - l’art. 4-bis distingueva le figure criminose di riferimento in due fasce . Per i reati di prima fascia - comprendente, in allora, i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale - l’accesso alle misure era subordinato all’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata per i reati di seconda fascia si richiedeva, in termini inversi dal punto di vista probatorio, la mancata emersione di elementi tali da far ritenere attuali detti collegamenti. Erano parallelamente disposti aggravamenti istruttori, di natura obbligatoria, ancorché dall’esito non vincolante per la magistratura di sorveglianza. A seguito della riforma operata dal D.L. n. 306 del 1992, conv. dalla L. n. 356 del 1992, assunse un ruolo dirimente, nell’economia dell’istituto, la collaborazione con la giustizia. L’utile collaborazione, nei sensi indicati dall’art. 58-ter Ord. pen., divenne infatti, in rapporto ai delitti di prima fascia , condicio sine qua non per l’accesso ai benefici salva la possibilità di ritenere sufficiente una collaborazione oggettivamente irrilevante , ove al condannato fossero state concesse talune attenuanti, sintomatiche di una minore pericolosità . Senonché, nella contestuale riformulazione del catalogo dei delitti di prima fascia , il legislatore eliminò da esso i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, che entrarono a far parte della seconda fascia , il cui assetto non aveva subito modificazioni. Il nuovo ripensamento legislativo intervenne, su quest’ultimo punto, ad oltre dieci anni di distanza. Il 24 dicembre 2002 entrò infatti in vigore la L. n. 279 del 2002, che, operando la totale riscrittura dell’art. 4-bis Ord. pen., riportò in prima fascia i delitti in questione, con la conseguenza che - per la prima volta rispetto ad essi - la previa collaborazione utile con la giustizia divenne e tuttora rappresenta, salvi i contemperamenti in seguito apportati dalla giurisprudenza costituzionale condizione indispensabile per l’accesso ai benefici penitenziari. Senonché, l’art. 4 della citata L. n. 279 del 2002 introdusse, in correlazione, una disposizione di natura transitoria, prevedendo la non applicabilità della nuova condizione restrittiva alle persone detenute , per i delitti di terrorismo ed eversione e per le altre figure di reato, inserite ex novo in prima fascia dalla stessa legge , commessi precedentemente alla data di entrata in vigore della legge stessa. 4. Tale clausola legislativa sancisce l’irretroattività della disciplina di maggior rigore, prendendo a discrimine la data del commesso reato, e ciò indipendentemente dal fatto che l’esecuzione fosse già iniziata alla stessa data. Nè la giurisprudenza costituzionale v., in particolare, sentenza n. 108 del 2004 , nè quella di questa Corte da ultimo, Sez. 1, n. 31853 del 18/06/2019, Pascali , hanno mai dubitato che la menzionata disposizione transitoria, in bonam partem, tendesse a procastinare l’applicazione del nuovo regime in modo da ricondurla ai fatti di reato posteriori alla sua vigenza, ed esclusivamente ad essi. Tale interpretazione è coerente con il significato testuale del precetto. Il fulcro di esso è nel riferimento, che fa da spartiacque, al commesso reato e alla data di quest’ultimo sul punto, v. anche Sez. 1, n. 18022 del 24/04/2007, Balzerani, Rv. 237365, in motivazione . Come correttamente osservato da parte ricorrente, se, per l’ultrattività della disciplina antevigente rispetto al 24 dicembre 2002, fosse altresì richiesta la preventiva instaurazione del regime detentivo, la norma transitoria si sarebbe limitata a prendere in considerazione tale elemento, destinato ad assorbire quello, logicamente antecedente, rappresentato dalla data del commesso reato. Lo stato di privazione della libertà personale, che la norma transitoria evoca, è da riferire non già all’entrata in vigore della novella legislativa, ma piuttosto alla data di presentazione dell’istanza volta alla concessione del beneficio penitenziario, sul normale presupposto che l’aspirante al beneficio medesimo vietando l’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a , per questa categoria di condannati, la sospensione dell’ordine di esecuzione - si trovi in condizione di detenzione, o almeno di internamento ipotesi, quest’ultima, che la L. n. 279 del 2002, art. 4, comma 1, evidentemente sottende. Porre allora in correlazione tale condizione, e la disciplina applicabile in sede intertemporale, sarebbe operazione esegetica errata. La conclusione si impone anche sotto il profilo sistematico, in quanto l’operatività del regime restrittivo disegnato dall’art. 4-bis Ord. pen., rispetto ai reati che vi ricadono, non dipende - in rapporto alla particolare soggettiva pericolosità di cui sono indice i reati stessi, in sé riguardati - dal previo assoggettamento del condannato alla pena o alla misura di sicurezza, che in certi casi potrebbe anche legalmente difettare. Nessuna reale ragione ordinamentale deponeva, dunque, perché la disciplina transitoria fosse modellata su tale, non determinante, nè ineludibile, presupposto. Una tesi del genere striderebbe, infine, con il canone della ragionevolezza, che deve sempre guidare l’interprete. In materia di ordinamento penitenziario, le disposizioni legislative che individuano i delitti ostativi ai benefici, siccome relative alle sole modalità di esecuzione della pena, sono di immediata applicazione anche ai fatti e alle condanne pregresse Sez. U, n. 24561 del 30/05/2006, A., Rv. 233976 Sez. 5, n. 30558 del 01/07/2014, Ficara, Rv. 262489 Sez. 1, n. 32000 del 06/07/2006, Hacisuleymanoglu, Rv. 234381 , ma il legislatore può derogare al principio mediante apposita regolamentazione transitoria Sez. 1, 11580 del 05/02/2013, Schirato, Rv. 255310 , che moduli nel tempo gli effetti dell’inasprimento di disciplina, come avvenuto in occasione dell’emanazione della L. n. 279 del 2002. La soluzione di diritto intertemporale, da quest’ultima adottata, deve essere intesa in modo da risultare coerente con l’opzione di fondo prescelta, che rimanda al tempo del commesso reato opzione, rispetto alla quale il parametro della concomitante detenzione, avulso dal raggiungimento di un adeguato stadio di percorso rieducativo, risulterebbe irrazionale, casuale ed eccentrico, e dunque da ripudiare in sede ermeneutica. 5. Per S. , condannata per reati di terrorismo commessi prima dell’entrata in vigore della L. n. 279 del 2002, il requisito della collaborazione utile o altrimenti impossibile, o inesigibile con la giustizia non era, in conclusione, richiesto per l’accesso all’invocata misura della liberazione condizionale. Accolto così il primo motivo di ricorso, il secondo resta assorbito. Le valutazioni inerenti l’adempimento delle obbligazioni civili da reato, e il conseguito sicuro ravvedimento, attengono al merito della decisione spettante al giudice di sorveglianza e - a prescindere da ogni considerazione sulla loro concreta pertinenza e pregnanza - non possono sorreggere l’adottata statuizione di inammissibilità dell’istanza di liberazione condizionale. L’ordinanza impugnata deve essere conseguentemente annullata, con rinvio al giudice che l’ha adottata per rinnovato esame. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.