La Cassazione ritorna sul rapporto tra giudizio abbreviato e messa alla prova

L’equiparazione del rapporto tra giudizio abbreviato e patteggiamento al rapporto tra giudizio abbreviato e messa alla prova non è corretta perché la richiesta di sospensione del processo funzionale alla messa alla prova in vista dell’eventuale estinzione del reato assume valenza prioritaria, non suscettibile neppure di revoca implicita per effetto della richiesta di ammissione al rito abbreviato, da intendersi necessariamente effettuata con riserva.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2736/2020, depositata il 23 gennaio, nella quale il Supremo Collegio è tornato ad affrontare il rapporto tra il giudizio abbreviato e la sospensione del procedimento per messa alla prova. Il caso. A seguito di emissione di decreto di giudizio immediato, l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedeva che si procedesse nelle forme del rito abbreviato. Veniva emessa dal GUP ordinanza di ammissione al rito. Successivamente, l’imputato eccepiva la nullità del decreto di giudizio immediato, poiché in esso non era menzionata la possibilità di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova, chiedendo di essere rimesso in termini. Il GUP rigettava detta istanza affermando che per la gravità del reato non era possibile effettuare una prognosi positiva circa l’astensione dal commettere ulteriori reati in capo all’imputato. Il difensore evidenziava così che il proprio assistito era stato di fatto ammesso alla presentazione dell’istanza di messa alla prova, rigettata poi nel merito, ed eccepiva l’incompatibilità del giudicante ex art 34 c.p.p Il Giudice dichiarava di astenersi rimettendo la decisione al Tribunale. Dinanzi ad altro giudice veniva reiterata l’eccezione di nullità formulando istanza di restituzione nel termine per la presentazione dell’istanza di messa alla prova. Il giudice accoglieva l’istanza di restituzione nel termine emettendo ordinanza ex art 464 c.p.p. con la quale rigettava l’istanza di messa alla prova ribadendo la prognosi negativa già formulata nella precedente ordinanza. Il difensore chiedeva quindi che il processo proseguisse nelle forme ordinarie l’istanza veniva accolta e veniva emesso il relativo decreto con il quale era disposta la prosecuzione del giudizio nella suddetta forma innanzi al Tribunale di Rimini in composizione collegiale. Avanti al Collegio, veniva riproposta istanza di messa alla prova e il Tribunale di Rimini, acquisiti tutti gli atti delle udienze innanzi al GUP disponeva con ordinanza la restituzione degli atti al Giudice dell’Udienza Preliminare affinché procedesse nelle forme del rito abbreviato nei confronti dell’imputato, in applicazione del principio sancito nella sentenza Majouri. Avverso detta ordinanza, il difensore proponeva ricorso per cassazione. Due orientamenti giurisprudenziali. Nello spiegare il proprio ragionamento, gli Ermellini richiamano due orientamenti giurisprudenziali circa il rapporto tra il giudizio abbreviato e la sospensione del procedimento per messa alla prova. L’uno ritiene che messa alla prova e giudizio abbreviato siano riti alternativi rispetto a quello ordinario, sussistendo sostanziale analogia di conseguenza, la richiesta di giudizio abbreviato preclude l’istanza di messa alla prova. Il secondo, ritiene invece che detto rapporto non sia equiparabile al rapporto tra rito abbreviato e patteggiamento e dunque l’ordinanza di rigetto della m.a.p. non sia immediatamente impugnabile, ma appellabile unitamente alla sentenza di primo grado. Ciò, in quanto l’istituto della messa alla prova costituisce speciale causa di estinzione del reato, ponendosi dunque come alternativa a ogni tipo di giudizio di merito, ivi compreso quello effettuato nelle forme del giudizio abbreviato. La soluzione. La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha ritenuto di accogliere quest’ultimo orientamento, in quanto il primo conduce, inevitabilmente, ad una compressione irragionevole del diritto dell’imputato di avvalersi di riti alternativi e del diritto di difesa, ponendosi peraltro in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo. Seguendo tale orientamento, il ricorso proposto risulta dunque inammissibile, poiché la restituzione in termine non ha comportato una revoca dell’originaria istanza di giudizio abbreviato, attesa la non incompatibilità delle due richieste. Risulta dunque corretto il principio applicato dal Tribunale collegiale nell’ordinanza impugnata, secondo il quale l’ordinanza di revoca del provvedimento di ammissione dell’imputato al rito abbreviato, pronunciata al di fuori delle ipotesi ex art. 441- bis c.p.p. è provvedimento abnorme, che comporta l’abnormità di tutti gli atti conseguenti. Di conseguenza, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto, rilevando come il ricorrente potrà impugnare l’ordinanza che ha rigettato l’istanza di ammissione alla messa alla prova unitamente all’eventuale sentenza di condanna pronunciata all’esito del giudizio abbreviato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 dicembre 2019 – 22 gennaio 2020, n. 2736 Presidente Miccoli – Relatore Romano Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Rimini ha disposto la restituzione degli atti al Giudice dell’udienza preliminare affinché procedesse nelle forme del rito abbreviato nei confronti di G.G. . 2. È opportuno premettere una breve sintesi delle vicende processuali che hanno condotto all’emissione di tale ordinanza. A seguito di emissione di decreto di giudizio immediato, G.G. , imputato del delitto di lesione personale, per il tramite del suo difensore munito di procura speciale, ha chiesto che si procedesse nelle forme del rito abbreviato condizionato all’espletamento di una perizia medico legale. Veniva emessa dal Giudice dell’udienza preliminare ordinanza con la quale veniva ammesso il rito abbreviato e si procedeva anche alla trattazione del giudizio alle udienze del 22 giugno e del 30 novembre 2017, venendo anche conferito l’incarico al perito. Successivamente, all’udienza del 5 luglio 2018, l’imputato eccepiva la nullità del decreto di giudizio immediato, poiché in esso non si faceva menzione della facoltà di chiedere di essere messo alla prova e chiedeva di essere rimesso in termini per proporre la relativa istanza. Con ordinanza emessa alla medesima udienza il Giudice dell’udienza preliminare rigettava l’istanza di messa alla prova affermando che per la gravità del reato non era possibile affermare che in futuro l’imputato si sarebbe astenuto dalla commissione di ulteriori reati con la stessa ordinanza il Giudice riteneva ormai assorbita l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio. Il difensore, evidenziando che il suo assistito era stato di fatto ammesso alla presentazione dell’istanza di messa alla prova che era stata rigettata nel merito, eccepiva la incompatibilità del Giudice dell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 34 c.p.p Il Giudice dichiarava di astenersi rimettendo la decisione sull’astensione al Presidente del Tribunale. Alla successiva udienza del 11 dicembre 2018 dinanzi ad altro Giudice dell’udienza preliminare, il difensore nuovamente eccepiva la nullità del decreto di giudizio immediato e formulava istanza di rimessione nel termine per presentare istanza di messa alla prova. Il Giudice accoglieva l’istanza di restituzione nel termine e poi, sentite le parti, emetteva ordinanza ai sensi dell’art. 464 c.p.p., con la quale rigettava l’istanza di messa alla prova, ribadendo la prognosi negativa già formulata nell’ordinanza del 5 luglio 2018. A quel punto il difensore dell’imputato chiedeva che il processo proseguisse nelle forme ordinarie e il Pubblico ministero chiedeva che fosse pronunciato decreto che dispone il giudizio. Il Giudice accoglieva tale istanza ed emetteva il decreto con il quale disponeva procedersi a giudizio nelle forme ordinarie innanzi al Tribunale in composizione collegiale. Innanzi al Tribunale di Rimini in composizione collegiale il difensore reiterava l’istanza di messa alla prova ed il Tribunale acquisiva tutti gli atti delle udienze innanzi al Giudice dell’udienza preliminare e con ordinanza del 14 giugno 2019 rigettava l’istanza, ordinando la restituzione degli atti al Giudice dell’udienza preliminare affinché procedesse nelle forme del giudizio abbreviato già incardinato. In motivazione il Tribunale ha affermato, citando un precedente di questa Corte di cassazione, che l’ordinanza di revoca del provvedimento di ammissione dell’imputato al rito abbreviato, pronunciata al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 441 bis c.p.p., è provvedimento abnorme che comporta l’abnormità altresì di tutti gli atti conseguenti Sez. 3, n. 9921 del 12/11/2009, dep. 2010, Majouri, Rv. 246326, relativa a fattispecie di revoca dell’ammissione al giudizio abbreviato condizionato disposta in sede di giudizio immediato e che pertanto il giudizio doveva proseguire nelle forme del rito abbreviato già incardinato, senza possibilità per l’imputato di avanzare richieste di riti alternativi, e che la competenza funzionale spettava al Giudice dell’udienza preliminare. 2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione G.G. , a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento sulla base di un unico motivo con il quale lamenta cumulativamente l’abnormità del provvedimento, la sua illegittimità e la mancanza di motivazione. Nello specifico deduce che la sospensione del procedimento con messa alla prova costituisce un rito speciale alternativo al giudizio ordinario. Pertanto, quando il Giudice dell’udienza preliminare, con l’ordinanza del 11 dicembre 2018, ha rimesso l’imputato nel termine per avanzare l’istanza di messa alla prova, ha consentito al G. di optare per un rito alternativo a quello ordinario, con la conseguenza che, al rigetto dell’istanza di messa alla prova, doveva necessariamente seguire l’emissione del decreto che dispone il giudizio, non avendo l’imputato manifestato la volontà di procedere con riti diversi da quello che prevede la messa alla prova. Conseguentemente, il provvedimento del Tribunale collegale era illegittimo ed abnorme, poiché partiva dall’errato presupposto che fosse stata revocata l’ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato. In realtà il Giudice dell’udienza preliminare si era limitato a rimettere il G. nel termine per scegliere un rito alternativo, facoltà che il G. aveva esercitato optando per la messa alla prova il rigetto di tale scelta dell’imputato comportava la necessità di procedere con il rito ordinario e l’ordinanza del Tribunale collegiale imponeva all’imputato un rito alternativo che egli non aveva scelto. Il G. aveva interesse a che si procedesse con il rito ordinario anche per far valere la legittimità della istanza di messa alla prova mediante impugnazione dell’eventuale sentenza di condanna. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Ai fini della decisione è necessario affrontare il tema dei rapporti tra giudizio abbreviato e sospensione del procedimento per messa alla prova, che costituiscono entrambi modalità di definizione del procedimento alternative al rito ordinario. 3. In relazione a tale questione esistono due orientamenti. 3.1. Secondo un primo orientamento, essendo la messa alla prova ed il giudizio abbreviato riti alternativi rispetto a quello ordinario e sussistendo sostanziale analogia tra i termini finali della richiesta di sospensione con messa alla prova e quelli entro i quali può essere avanzata la richiesta ex art. 438 c.p.p., la richiesta del giudizio abbreviato preclude l’istanza di messa alla prova e viceversa, così come la scelta della messa alla prova preclude l’accesso agli altri riti speciali Conseguentemente, sussistendo incompatibilità tra richiesta di messa alla prova e richiesta di giudizio abbreviato, deve escludersi che, una volta celebrato il giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato, l’imputato possa dedurre, in sede di appello, il carattere ingiustificato del diniego, da parte del giudice di primo grado, della richiesta di sospensione con messa alla prova Sez. 4, n. 42469 del 03/07/2018, F, Rv. 273930 Sez. 6, n. 22545 del 28/03/2017, Fawzi, Rv. 269770 . 3.2. Un altro orientamento di questa Corte di cassazione ritiene invece che il rapporto tra messa alla prova e giudizio abbreviato non sia equiparabile al rapporto tra rito abbreviato e patteggiamento. Questo orientamento - di cui è espressione Sez. 3, n. 29622 del 15/02/2018, Capogrossi, Rv. 273174 - poggia le sue basi sulla sentenza delle Sezioni Unite Sez. U, n. 33216 del 31/03/2016, Rigacci, Rv. 267237 secondo la quale l’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova non è immediatamente impugnabile, ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 586 c.p.p., in quanto l’art. 464 quater c.p.p., comma 7, nel prevedere il ricorso per cassazione, si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell’imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova. Questo secondo orientamento estende il medesimo principio all’ipotesi in cui l’imputato si sia visto rigettare la richiesta di messa alla prova e poi sia stato ammesso al rito abbreviato, affermando che la celebrazione del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato non preclude all’imputato la possibilità di dedurre, in sede di appello, il carattere ingiustificato del diniego, da parte del giudice di primo grado, della richiesta di sospensione con messa alla prova Sez. 4, n. 30983 del 20/02/2019, Cano Martinez, Rv. 276793 . In particolare si evidenzia che l’equiparazione del rapporto tra giudizio abbreviato e messa alla prova al rapporto tra giudizio abbreviato e patteggiamento, con conseguente preclusione della impugnabilità dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di messa alla prova unitamente all’impugnazione della sentenza di condanna, non è consentita dalla funzione dell’istituto della sospensione per messa alla prova che, in quanto speciale causa di estinzione del reato, si pone come alternativa a ogni tipo di giudizio di merito, ivi compreso quello effettuato nelle forme del giudizio abbreviato e risultando pregiudicato, in assenza di una specifica previsione, tale diritto dall’affermazione della preclusione in discorso. L’equiparazione del rapporto tra giudizio abbreviato e patteggiamento al rapporto tra giudizio abbreviato e messa alla prova non è corretta perché la richiesta di sospensione del processo funzionale alla messa alla prova in vista dell’eventuale estinzione del reato assume valenza prioritaria, non suscettibile neppure di revoca implicita per effetto della richiesta di ammissione al rito abbreviato, da intendersi necessariamente effettuata con riserva. In sostanza, diversamente da quanto avviene nei rapporti tra giudizio abbreviato e patteggiamento, in cui la scelta per uno dei due riti speciali preclude l’accesso all’altro, tra richiesta di giudizio abbreviato e istanza di messa alla prova non vi è un rapporto di incompatibilità, ben potendo l’imputato chiedere di essere ammesso ad entrambi ed in tal caso il giudice dovrà innanzitutto valutare se possa essere accolta l’istanza di messa alla prova e, solo in caso negativo, procedere poi a valutare la richiesta di giudizio abbreviato. 4. Questo Collegio ritiene di dover aderire al secondo orientamento, in quanto il primo conduce ad una irragionevole compressione del diritto dell’imputato di avvalersi dei riti alternativi e del diritto di difesa e si pone anche in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo favorendo l’accesso a modalità alternative di definizione dei procedimenti penali si riducono i tempi dei processi da trattare nelle forme ordinarie, atteso che è evidente che, essendo limitate le risorse dell’apparato giudiziario, all’aumentare del numero dei processi da trattare è necessariamente correlato un aumento dei tempi della loro definizione. 5. Applicando i principi affermati dal secondo degli orientamenti sopra descritti al caso di specie, deve osservarsi che il provvedimento di restituzione nel termine per presentare la istanza di messa alla prova e la proposizione da parte dell’imputato della relativa istanza non hanno comportato una revoca della originaria istanza di giudizio abbreviato, atteso che le due richieste, per quanto sopra esposto, non sono tra loro incompatibili. Alla iniziale richiesta di giudizio abbreviato si è aggiunta, a seguito della restituzione nel termine, l’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova. Il Giudice dell’udienza preliminare ha quindi correttamente valutato prima l’istanza di messa alla prova, rigettandola. Tuttavia, avendo la istanza di giudizio abbreviato conservato la sua efficacia, il Giudice dell’udienza preliminare non poteva emettere il decreto che dispone il giudizio, operando il principio, richiamato dal Tribunale collegiale nell’ordinanza impugnata in questa sede, secondo il quale l’ordinanza di revoca del provvedimento di ammissione dell’imputato al rito abbreviato, pronunciata al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 441 bis c.p.p., è provvedimento abnorme, che comporta l’abnormità altresì di tutti gli atti conseguenti Sez. 3, n. 9921 del 12/11/2009, dep. 2010, Majouri, Rv. 246326 . Del tutto correttamente, quindi, il Tribunale ha rilevato l’abnormità del decreto che disponeva il giudizio, che di fatto comportava la revoca dell’ordinanza di ammissione del rito abbreviato, e ha disposto la restituzione degli atti al Giudice dell’udienza preliminare, affinché procedesse nelle forme del rito abbreviato. Nè comunque detto provvedimento comporta alcuna indebita regressione o stasi del procedimento penale, cosicché esso, non integrando un atto abnorme, non è ricorribile per cassazione e la sua impugnazione deve essere dichiarata inammissibile. Il ricorrente potrà impugnare l’ordinanza che ha rigettato l’istanza di ammissione alla messa alla prova unitamente all’eventuale sentenza di condanna pronunciata all’esito del giudizio abbreviato. 6. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.