Il dies a quo della prescrizione coincide con la cessazione dei lavori

In tema di reati edilizi-urbanistici, la permanenza del reato di edificazione abusiva termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l'accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado. Pertanto, il momento consumativo del reato di abuso edilizio si realizza con l’ultimazione dei lavori, coincidente con la realizzazione delle finiture esterne ed interne.

Lo ha ribadito la terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2695, depositata il 23 gennaio 2020. L’abuso edilizio realizzato. L’art. 44, lett. c , del TUE fissa la pena edittale per gli interventi edilizi eseguiti in totale difformità, in variazione essenziale o in assenza del permesso di costruire, nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico o ambientale. Per l’individuazione del concetto di totale difformità occorre riferirsi all’articolo 31 del TUE, a norma del quale sono interventi eseguiti in totale difformità quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione rispetto a quelle oggetto del permesso stesso. Rispetto al permesso di costruire, dunque, la difformità totale si delinea allorché i lavori riguardino un’opera diversa per conformazione e strutturazione da quella contemplata nel provvedimento in tale ipotesi, si applica la pena di cui all’art. 44, lett. b TUE. La difformità parziale si delinea invece allorché i lavori tendano ad apportare variazioni, circoscritte in senso qualitativo e quantitativo, alle opere così come identificate nel provvedimento in siffatta ipotesi, si applica la pena di cui all’art. 44, lett. a TUE. La difformità totale, in effetti, si verifica allorché si costruisca aliud pro alio, in una situazione nella quale l’esecuzione dei lavori è assistita da un permesso di costruire meramente apparente o non pertinente. Altra ipotesi è quella in cui i lavori eseguiti esulino radicalmente dal progetto approvato, nel senso che essi tendano a realizzare opere aggiuntive a quelle consentite e che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale come ad esempio allorché venga realizzato un edificio a più piani in aggiunta a quello o a quelli stabiliti dal permesso . Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi residuali, tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza da valutarsi in relazione al progetto approvato , nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma. Cosa si intende per ultimazione dell’opera? La sentenza in commento ribadisce che la cessazione della permanenza nella contravvenzione di costruzione abusiva deriva, oltre che dall'esistenza di un provvedimento autoritativo, amministrativo, civile o penale, o dalla c.d. desistenza volontaria, dalla ultimazione dell'opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, anche per le parti che costituiscono annessi dell'abitazione. Ciò in quanto le contravvenzioni di costruzione in assenza di concessione edilizia e di edificazione in zona sismica senza la preventiva licenza del genio civile, previste, rispettivamente, dall'art. 20, lett. b , l. n. 47/1985 e dagli art. 18 e 20 l. n. 64/1974, hanno natura di reati permanenti, la cui consumazione perdura fino alla cessazione dell'attività abusiva. La giurisprudenza di legittimità ha successivamente confermato che il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l'attività edilizia illecita, ed il suo momento di cessazione va individuato o nella sospensione di lavori, sia essa volontaria o imposta e x auctoritate , o nella ultimazione dei lavori per il completamento dell'opera o, infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano proseguiti dopo l'accertamento e sino alla data del giudizio. Peraltro, la valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i suoi singoli componenti, così che, in virtù del concetto unitario di costruzione, la stessa può dirsi completata solo ove siano stati terminati i lavori relativi a tutte le parti dell'edificio conseguentemente la permanenza del reato di costruzione in difetto di concessione cessa con la realizzazione totale dell'opera in ogni sua parte.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 novembre 2019 – 23 gennaio 2020, n. 2695 Presidente Lapalorcia – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 18 giugno 2019,ha rigettato l’istanza di riesame presentata nell’interesse di R.A., in proprio e quale legale rappresentante della Immobiliare Pa. Lu. An. s.r.l. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 20 maggio 2019 dal GIP del Tribunale di Nola in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a e b conseguente al cambio di destinazione d’uso, in zona F2, da commerciale a residenziale effettuato attraverso la costruzione di 23 appartamenti in difformità dagli strumenti urbanistici e, comunque, in totale difformità dal permesso di costruire n. omissis . Avverso tale pronuncia il predetto, anche nella qualità di legale rappresentante della società, propone ricorso per cassazione tramite i propri difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p 2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione della L. n. 106 del 2011, art. 5, comma 9, lett. c in quanto il Tribunale non avrebbe valutato i permessi rilasciati alla luce delle norme richiamate per procedere al giudizio di sussumibilità del fatto nella fattispecie incriminatrice, attribuendo l’esatto significato all’elemento normativo delineato dalla fattispecie di riferimento. Osserva che, al contrario, i giudici del riesame avrebbero rilevato che il mutamento di destinazione d’uso deve intervenire nell’ambito di destinazioni tra loro compatibili e complementari e ritenuto che la destinazione residenziale assentita nel caso di specie sarebbe non omogenea rispetto alla destinazione commerciale, incorrendo così in errore, dal momento che la legge si riferisce esclusivamente alla compatibilità o complementarietà e non già alla omogeneità ritenuta nel provvedimento impugnato. Lo scopo della legge, aggiunge, è quello di incoraggiare la riqualificazione del patrimonio urbanistico esistente, consentendo destinazioni d’uso diverse, sebbene non contemplate dallo strumento urbanistico, purché compatibili o complementari con quelle rientranti nello strumento stesso ed assentite col permesso di costruire e che, per destinazione compatibile , si intende quella che esplica la sua funzione senza condizionare la originaria, coesistendo con essa nella reciproca indipendenza, mentre, per destinazione complementare , si intende una destinazione accessoria, coerente con il tessuto urbano circostante. 3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione della L. n. 106 del 2011, art. 5, comma 11 in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14 rilevando che il Tribunale avrebbe erroneamente considerato che tale disposizione disciplina il permesso di costruire in deroga soltanto in un limitato ambito, circoscritto ai limiti di densità edilizia di altezza e distanza tra fabbricatine che tale interpretazione si porrebbe in contrasto con la disciplina richiamata, dal momento che la Regione Campania era intervenuta soltanto successivamente al rilascio dei permessi di costruire e che avrebbe trovato applicazione quanto disposto dalla L. n. 106 del 2011, comma 9 non operando quindi i limiti di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, comma 3. 4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la mancanza di motivazione in punto di esigenze cautelari, rilevando come dal verbale di esecuzione del sequestro preventivo risulterebbe che gli immobili, al momento dell’applicazione della misura reale erano completamente ultimati e che, nella richiesta di riesame, si era contestata la sussistenza del pericolo di aggravio del carico urbanistico ritenuta dal GIP. Assume, quindi, che il Tribunale avrebbe omesso del tutto di pronunciarsi su tale questione formalmente prospettata, limitandosi ad affermare la sussistenza del pericolo che la libera disponibilità delle opere da parte dell’indagato potesse aggravare le conseguenze del reato consentendo l’ultimazione ed abitazione degli immobili con evidente notevole danno urbanistico, individuabile nello stravolgimento della pianificazione urbanistica vigente. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati. 2. Con riferimento a quanto dedotto con il primo e secondo motivo di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati, occorre in primo luogo osservare come, nel ricorso, venga preliminarmente dato atto che, nella motivazione del provvedimento di sequestro, il GIP avrebbe ritenuto illegittimo il permesso di costruire n. omissis , con il quale si è assentito il cambio di destinazione d’uso di immobili destinati a struttura commerciale in immobili ad uso residenziale perché in contrasto con quanto stabilito dalla L.R. Campania n. 19 del 2009, art. 4, comma 7. In particolare, sarebbe stato ritenuto illegittimo il cambio di destinazione d’uso delle aree interessate dall’intervento ubicate in zona F2 del PRG, destinata alla realizzazione di attrezzature e servizi, ovvero di manufatti per l’edilizia scolastica, centri medici poliambulatori, sport, spettacolo, scuole e parcheggi in quanto non assentibile ai sensi dell’art. 4 citato, di cui sarebbe stata fatta erronea applicazione, poiché tale disposizione consentirebbe il mutamento di destinazione solo all’interno di categorie omogenee. Si aggiunge, sempre in premessa, che davanti al giudice del riesame si è dedotto che il mutamento di destinazione d’uso sarebbe stato ammesso non già in forza di SCIA ai sensi della L.R. n. 19 del 2009, bensì di un permesso di costruire n. omissis rilasciato dall’amministrazione comunale, ai sensi della L. n. 106 del 2011, agli originari proprietari dell’area, i quali erano già titolari di un permesso di costruire n. omissis con il quale era stata autorizzata la realizzazione di 11 negozi di vicinato, seguito poi da un successivo permesso n. omissis avente ad oggetto un intervento di demolizione e ricostruzione e delocalizzazione di un fabbricato esistente ai sensi della L. n. 106 del 2011, art. 5 sicché il Tribunale avrebbe dovuto verificare la conformità di tali titoli e della costruzione realizzata alla disciplina richiamata e, dunque, alla L. n. 106 del 2011 e non anche alla L.R. del 2009. Si afferma, infine, che i permessi sarebbero stati rilasciati in forza di quanto disposto dalla L. n. 106 del 2011, art. 5, commi 11 e 14 in considerazione del fatto che la L.R. n. 16 del 2014 è stata promulgata successivamente al rilascio dei titoli edilizi. 3. Il provvedimento impugnato, pur richiamando sommariamente i termini della provvisoria incolpazione, ha preso in considerazione le osservazioni in base alle quali la difesa ritiene legittimo il titolo abilitativo rilevando la infondatezza della richiesta di riesame, previa sommaria descrizione del contenuto della L. n. 106 del 2011, art. 5. Assumono, in particolare, i giudici del riesame che l’opera originariamente assentita aveva destinazione commerciale, mentre quella autorizzata con il permesso di costruire del 2014 ha destinazione residenziale, difettando quindi l’omogeneità ed essendo, inoltre, in contrasto la seconda con la destinazione d’uso stabilita dagli strumenti urbanistici vigenti in quanto zona F2, destinata esclusivamente alla realizzazione di attrezzature e servizi. 4. Ciò posto, pare opportuno richiamare, nella parte che qui interessa commi 9-14 , la L. n. 106 del 2011, art. 5 con la quale è stato convertito in legge, con modificazioni, il D.L. 13 maggio 2011, n. 70 . 9. Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, le Regioni approvano entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano a il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale b la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse c l’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari d le modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti. 10. Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria. 11. Decorso il termine di cui al comma 9, e sino all’entrata in vigore della normativa regionale, agli interventi di cui al citato comma si applica il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 14 anche per il mutamento delle destinazioni d’uso. Resta fermo il rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. 12. Le disposizioni dei commi 9, 10 e 11 si applicano anche nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni degli statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione. 13. Nelle Regioni a statuto ordinario, oltre a quanto previsto nei commi precedenti, decorso il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e sino all’entrata in vigore della normativa regionale, si applicano, altresì, le seguenti disposizioni a è ammesso il rilascio del permesso in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 14 anche per il mutamento delle destinazioni d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari b i piani attuativi, come denominati dalla legislazione regionale, conformi allo strumento urbanistico generale vigente, sono approvati dalla giunta comunale. 14. Decorso il termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le disposizioni contenute nel comma 9, fatto salvo quanto previsto al comma 10, e al secondo periodo del comma 11, sono immediatamente applicabili alle Regioni a statuto ordinario che non hanno provveduto all’approvazione delle specifiche leggi regionali . . 5. Le disposizioni appena richiamate sono state più volte prese in considerazione dalla giurisprudenza amministrativa, che ne ha individuato l’ambito di operatività. Si è così osservato che il riferimento all’esistenza di funzioni eterogenee o di tessuti edilizi disorganici o incompiuti o di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare non individua presupposti autonomi per il rilascio di un permesso di costruire in deroga, ulteriori rispetto a quelli costituiti dalla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e dalla riqualificazione di aree urbane degradate , ma intende unicamente esemplificare gli specifici contesti urbani degradati in cui la norma trova applicazione, con la conseguenza che l’esistenza di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare costituisce un presupposto sufficiente a consentire il rilascio di un permesso di costruire in deroga al vigente strumento urbanistico comunale solo quando detti edifici siano collocati in aree urbane degradate , poiché soltanto a tale condizione la legge consente al consiglio comunale di formulare le sue valutazioni circa la possibilità di assentire proposte di edificazione in deroga allo strumento urbanistico riconoscendo anche gli ulteriori benefici previsti, sempre che gli interventi consentano di perseguire l’interesse pubblico prioritario alla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e alla riqualificazione di aree urbane degradate TAR Piemonte, Sez. 2, n. 1028 del 18/9/2018 Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1767 del 11/4/2014 . Si è altresì espressamente esclusa la volontà del legislatore di procedere ad una generalizzata liberalizzazione, in quanto la disposizione va letta nel senso che sono ammessi gli interventi edilizi rispetto ai quali risulti dimostrato il fine di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente o di promuovere o agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate precisando, altresì, che tale condizione deve sussistere per tutti gli interventi edilizi, sia di natura residenziale che non residenziale Consiglio di Stato Sez. IV, n. 4088 del 1/9/2015 . Evidenziando, inoltre, la natura eccezionale del permesso di costruire rilasciato ai sensi dell’art. 5, comma 9 e seguenti, in quanto deroga alla disciplina ordinaria ed alle previsioni degli strumenti urbanistici al fine di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale, se ne è limitato l’ambito di operatività esclusivamente entro i confini tassativamente previsti dal legislatore statale, richiamando l’inderogabilità degli standard urbanistici, la non attuabilità degli interventi di riqualificazione e aumenti di volumetria con riferimento ad edifici abusivi o situati nei centri storici o in area ad inedificabilità assoluta ed escludendo la possibilità del rilascio del titolo abilitativo secondo la procedura ordinaria T.A.R. Piemonte, Sez. 2, n. 91 del 29/1/2016 . 6. Così considerato il contesto entro il quale opera la disposizione in esame anche sulla base delle osservazioni del giudice amministrativo, pienamente condivisibili, occorre osservare che il Tribunale, pur avendo dato atto, come si è detto, del riferimento contenuto nella provvisoria incolpazione, non ha ritenuto di riproporla testualmente ed altrettanto ha fatto il ricorrente sicché non è dato comprendere, sulla base del ricorso e del provvedimento impugnato, unici atti ai quali ha accesso questa Corte, se la violazione delle disposizioni penali richiamate sia stata correlata alla L.R. n. 19 del 2009, come assume in premessa il ricorrente, ovvero alle disposizioni della L. n. 106 del 2011, sulla quale di diffondono sia l’ordinanza che i motivi di ricorso. In ogni caso, il provvedimento impugnato è caratterizzato, anche per ciò che concerne la valutazione dei presupposti per l’applicabilità della L. n. 106 del 2011, art. 5, commi 9 e ss. da una certa laconicità, in quanto focalizza l’attenzione esclusivamente sulla compatibilità o complementarietà tra diverse destinazioni d’uso di cui al comma 9, lett. c , richiamando poi l’assenza di omogeneità che il ricorrente critica. Si tratta, ad avviso del Collegio, di una valutazione comunque adeguata e conforme a legge, sebbene prescinda da una più completa analisi dei titoli abilitativi richiamati, che avrebbe dovuto essere comunque effettuata considerando in primo luogo - ovviamente entro l’ambito decisorio assegnato dalla legge al giudice del riesame - la sequenza temporale dei titoli edilizi che in ricorso si assume essere stati rilasciati con riferimento agli interventi per cui è processo, la tipologia degli interventi realizzati e la conformità alla legge della procedura seguita. Tenuto conto, poi, della natura eccezionale e derogatoria della disciplina generale della disposizione in esame, la quale richiede una lettura non estensiva e limitata al tenore letterale del testo normativo, come dimostrato dai contributi interpretativi offerti dalla giurisprudenza amministrativa in precedenza richiamata, andava ulteriormente verificata la sussistenza dei presupposti generali di applicabilità della L. n. 106 del 2011, art. 5 considerando quanto stabilito al comma 9 circa l’esigenza di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e quella di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate. Difettando tali presupposti resterebbe infatti assorbita ogni ulteriore questione, dovendosi escludere la possibilità di applicare la disposizione in esame, che in ricorso viene indicata come utilizzata nel rilasciare i permessi di costruire n. omissis e n. omissis . Nel provvedimento impugnato non viene dato conto della verifica di tale requisito essenziale il quale, tuttavia, deve ritenersi effettuato dai giudici del riesame i quali, altrimenti, non avrebbero avuto alcuna necessità di procedere all’ulteriore verifica oggetto di critica da parte del ricorrente. Emerge poi dal ricorso, come si è detto, che i permessi di costruire considerati si assumono rilasciati ai sensi dell’art. 5, comma 14 in esame, non avendo la Regione Campania legiferato nel termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della L. n. 106 del 2011. Tale evenienza, come è noto, comporta l’immediata applicazione delle disposizioni contenute nel comma 9, fatto salvo, però, quanto previsto al comma 10 gli interventi non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria ed al secondo periodo del comma 11, che impone il rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia ed, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 42 del 2004. Vengono dunque posti ulteriori limiti all’applicazione della speciale disciplina. 7. Va osservato che, come rilevato, in particolare, nel secondo motivo di ricorso, il Tribunale volge l’attenzione alla prima parte dell’art. 5, comma 11 ricordando come lo stesso preveda l’applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14 anche per il mutamento delle destinazioni d’uso, richiamando il contenuto del comma 3 che limita espressamente l’oggetto della possibile deroga ai limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati. La difesa critica tale assunto, osservando come, nella fattispecie, sarebbe applicabile dell’art. 5, il comma 14 non avendo la regione Campania provveduto a legiferare entro 120 giorni dall’entrata in vigore della L. n. 106 del 2011, ritenendo quindi non operante la limitazione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, comma 3 essendo richiesto il solo limite della compatibilità o complementarietà di cui al comma 9, lett. c . 8. Ciò posto, occorre tuttavia evidenziare che il ricorso sembra sostanzialmente affermare, nel formulare le critiche all’ordinanza impugnata sul punto, che la modifica di destinazione d’uso ai sensi del comma 14 sia sempre consentita, senza limitazioni, in presenza del menzionato requisito di cui al comma 9, lett. c ritenendo tale assunto confermato dal quanto disposto dalla L.R. n. 16 del 2014 che recepisce quanto disposto dalla L. n. 106 del 2011, commi 9 e 14 ed, in maniera decisiva, da quanto stabilito dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 271 laddove è stabilito che le previsioni e le agevolazioni previste dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 5, commi 9 e 14, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 706, si interpretano nel senso che le agevolazioni incentivanti previste in detta norma prevalgono sulle normative di piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi i limiti di cui al citato D.L. n. 70 del 2011, art. 5, comma 11, secondo periodo . Tale assunto è tuttavia errato, poiché, condividendosi, ancora una volta, quanto osservato dal giudice amministrativo Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 1828 del 19 aprile 2017 , tale disposizione pur imponendo di interpretare il contenuto dell’art. 5, commi 9 e 14 nel senso che prevale, tranne i casi di cui al comma 11, secondo periodo, su tutti gli strumenti urbanistici generali, particolareggiati o attuativi, va applicata considerando la natura di norma di favore eccezionale essendo diretta a regolare in termini diversi un minor numero di ipotesi rispetto a quelle ordinarie dell’art. 5 e tenendo conto del fatto che essa non è comunque suscettibile di applicazioni oltre gli scopi cui è preordinata, con la conseguenza che essa non può prevalere sulle regole che fissano standard o criteri inderogabili, tra cui il D.M. n. 1444 del 1968, imponendo altresì il rispetto delle altre discipline richiamate. 9. Deve poi rilevarsi che, effettivamente, il provvedimento impugnato, sul punto, appare errato laddove richiama il comma 11 che, avuto riguardo alla data di entrata in vigore della L. n. 106 del 2011 e quella di rilascio dei titoli abilitativi, sarebbe non applicabile nella fattispecie, dovendosi fare riferimento al comma 14 come affermato dai ricorrenti. Tale erroneo richiamo, tuttavia, non appare determinante avuto riguardo alle ulteriori considerazioni svolte dai giudici del riesame. li provvedimento impugnato ha, infatti, comunque considerato l’ulteriore requisito della compatibilità o complementarietà tra la destinazione urbanistica originaria e quella che si è inteso attuare. Si tratta, ad avviso del Collegio, di una valutazione che deve riguardare, ovviamente, il manufatto e non anche la destinazione urbanistica o di zona e deve essere effettuata considerando le destinazioni d’uso ammesse dallo strumento urbanistico per la zona interessata dall’intervento. Orbene, nell’ordinanza impugnata i giudici del riesame affermano l’insussistenza della necessaria compatibilità o complementarietà. In disparte il fatto che il riferimento al difetto di omogeneità tra le diverse destinazioni d’uso appare chiaramente irrilevante perché utilizzato evidentemente come sinonimo, ciò che assume rilievo determinante è l’affermazione del Tribunale secondo cui la zona F2 ove insiste l’intervento, è destinata esclusivamente alla realizzazione di attrezzature e servizi. Si tratta, chiaramente, di un accertamento in fatto che il Tribunale ha effettuato e che, dunque, esclude in ogni caso la possibilità di applicare, nella fattispecie, la disciplina eccezionale di cui alla L. n. 106 del 2011. I primi due motivi di ricorso sono pertanto infondati. 10. A diverse conclusioni deve invece pervenirsi per ciò che concerne il terzo motivo di ricorso. Osserva a tale proposito il Collegio che l’ordinanza impugnata testualmente afferma, con riferimento alla sussistenza del periculum in mora, che la libera disponibilità delle opere da parte dell’indagato può aggravare le conseguenze del reato consentendo l’ultimazione ed abitazione degli immobili con evidente notevole danno urbanistico individuabile nello stravolgimento della pianificazione urbanistica vigente. Si tratta, in questo caso, di motivazione meramente apparente che giustifica la sussistenza delle esigenze cautelari facendo ricorso ad una frase di stile del tutto disancorata da dati oggettivamente apprezzabili e con un riferimento alla possibilità di completare gli immobili che con la misura cautelare si intende impedire la quale contrasta con quanto affermato in ricorso, ove si sostiene che gli immobili, all’atto dell’esecuzione del sequestro, erano completamente ultimati, richiamando il verbale redatto dalla polizia giudiziaria allegato in copia al ricorso ed il riferimento all’aggravio del carico urbanistico contenuto nel decreto di sequestro emesso dal GIP. Va rilevato, a tale proposito, che, per ciò che concerne l’ultimazione degli immobili, l’ordinanza impugnata avrebbe dovuto quanto meno spiegare quale fosse lo stato del manufatto riscontrabile dagli atti, tenendo conto di quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte circa la nozione di completamento considerando anche che l’apprezzamento espresso dalla polizia giudiziaria nel verbale potrebbe fondarsi su elementi fattuali diversi e non determinanti . Si è infatti stabilito che il reato urbanistico ha natura di reato permanente, la cui consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell’attività edificatoria abusiva v. Sez. U, n. 17178 del 27/2/2002, Cavallaro, Rv. 221398 . Si è poi precisato ex pl. Sez. 3, n. 38136 del 25/9/2001, Triassi, Rv. 220351 che la cessazione dell’attività si ha con l’ultimazione dei lavori per completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta ad esempio, mediante sequestro penale o con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio v. anche Sez. 3, n. 29974 del 6/5/2014, P.M. in proc. Sullo, Rv. 260498 . Si è inoltre chiarito che l’ultimazione dell’opera coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi Sez. 3, n. 32969 del 8/7/2005, Amadori, non massimata sul punto ed altre prec. conf., nella stessa richiamate. V. anche Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano, Rv. 261153 . Deve trattarsi, in altre parole, di un edificio concretamente funzionale, che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come si ricava dal disposto dell’art. 25, comma 1, TU dell’edilizia, che fissa entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento il termine per la presentazione, allo sportello unico, della domanda di rilascio del certificato di agibilità. Le opere devono essere, inoltre, valutate nel loro complesso, non potendosi, in base al concetto unitario di costruzione, considerare separatamente i singoli componenti Sez. 3, n. 4048 del 6/11/2002 dep. 2003 , Tucci, Rv. 223365 Sez. 3 n. 34876 del 23/6/2009, Anselmo, non massimata Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011 dep. 2012 , Forte, Rv. 252125 . Tali caratteristiche riguardano, inoltre, anche le parti che costituiscono annessi dell’abitazione Sez. 3, n. 8172 del 27/1/2010, Vitali, Rv. 246221 . Anche in caso di ultimazione dell’immobile il riferimento all’aggravio del carico urbanistico, cui sembra far cenno la seconda parte della motivazione in precedenza richiamata, avrebbe dovuto essere comunque motivato, tenendo conto di quanto più volte affermato sul tema dalla giurisprudenza di questa Corte. Occorre ricordare, a tale proposito, l’ampio dibattito da parte della giurisprudenza di legittimità ed il contrasto sorto sulla corretta interpretazione dell’art. 321 c.p.p., poi definitivamente risolto dalle Sezioni Unite Sez. U, n. 12878 del 29/1/2003, P.M. in proc. Innocenti, Rv. 223721 le quali, con argomentazioni pienamente condivisibili, hanno affermato la validità dell’orientamento che riconosceva l’ammissibilità del sequestro delle opere ultimate. In tale decisione viene operata una distinzione tra l’effetto lesivo del reato sul bene giuridico protetto, che permane nel tempo ma è comune a tutti i reati, anche istantanei e le conseguenze, necessariamente antigiuridiche ed ipotizzabili anche a consumazione del reato avvenuta, che potrebbero derivare dalla libera disponibilità del bene. È così citata, a titolo di esempio, la violazione amministrativa sanzionata dall’art. 221 T.U. Leggi Sanitarie, conseguente all’utilizzazione di un immobile in assenza di certificazione di abitabilità o agibilità, ma si richiama l’attenzione anche sulla lesione dell’interesse alla vigilanza e controllo del territorio attraverso un adeguato governo pubblico degli usi e delle trasformazioni dello stesso e sull’aggravamento del carico urbanistico conseguente all’utilizzazione del manufatto abusivo. Riguardo a tale ultimo punto si è ulteriormente chiarito che l’incidenza di un intervento edilizio sul carico urbanistico dev’essere considerata con riferimento all’aspetto strutturale e funzionale dell’opera, ed è rilevabile anche nel caso di una concreta alterazione dell’originaria consistenza sostanziale di un manufatto in relazione alla volumetria, alla destinazione o all’effettiva utilizzazione, tale da determinare un mutamento dell’insieme delle esigenze urbanistiche valutate in sede di pianificazione, con particolare riferimento agli standard fissati dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 Sez. 3, n. 36104 del 22/9/2011, P.M. in proc. Armelani, Rv. 251251, cui si rinvia anche per i richiami ai precedenti. Conforme, Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011 dep. 2012 , Susinno, Rv. 252016 . Il sequestro preventivo di un immobile abusivo ultimato è stato, inoltre, ritenuto possibile anche nel caso di utilizzo dell’opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un’incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell’aumentata esigenza di infrastrutture e di opere collettive correlate Sez. 3, n. 42717 del 10/9/2015, Buono e altro, Rv. 265195 . A corredo di tali principi si è ripetutamente affermato che il pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato, anche relativamente al carico urbanistico, deve presentare il requisito della concretezza, in ordine alla sussistenza del quale deve essere fornita dal giudice adeguata motivazione Sez. 3, n. 4745 del 12/12/2007 dep.2008 , Giuliano, Rv. 23878301 conf. Sez. 6, n. 21734 del 4/2/2008, P.M. in proc. Bianchi e altro, Rv. 240984 Sez. 2, n. 17170 del 23/4/2010, De Monaco, Rv. 246854 Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011 dep.2012 , Susinno, Rv. 252016 Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Giudici, Rv. 268812 . Si tratta, invero, di una precisazione affatto superflua, stante l’esigenza di dare contezza delle ragioni per le quali, in determinate situazioni - quali quelle, ad esempio, di utilizzo dell’opera in conformità alle destinazioni di zona, di mero aumento della volumetria di un fabbricato preesistente o mutamento della originaria destinazione d’uso di un edificio - si è in presenza di un aggravio del carico urbanistico, nei termini dianzi specificati, che giustifica l’applicazione della misura cautelare. Nondimeno, una simile necessità risulta significativamente attenuata allorquando la misura cautelare riguarda la realizzazione di uno o più manufatti ex novo in area inedificata ed in assenza, ovviamente, del necessario permesso di costruire poiché in un simile contesto l’incidenza sul carico urbanistico può essere di immediata evidenza. Meritano di essere richiamate testualmente, a tale proposito, le parole della sentenza Innocenti delle Sezioni Unite, secondo la quale la nozione di carico urbanistico deriva dall’osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario abitazioni, uffici, opifici, negozi e da uno secondario di servizio opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas che deve essere proporzionato all’insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell’attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio . 11. La rilevata mera apparenza della motivazione del provvedimento impugnato sul punto, la quale, in quanto correlata all’inosservanza di precise norme processuali, rientra nella violazione di legge ed è rilevabile in questa sede, impone dunque l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata limitatamente alla valutazione sulla sussistenza del periculum in mora, rigettando, nel resto, il ricorso. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla sussistenza delle esigenze cautelari con rinvio al Tribunale di Napoli sezione riesame per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso.