Condannato il datore di lavoro che installa la videosorveglianza senza previo accordo con le rappresentanze sindacali

L’installazione di apparecchiature, dalle quali derivi anche la possibilità di controllo dell’attività dei lavoratori, deve sempre essere preceduta da una forma di accordo tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali dei lavoratori, con la conseguenza che se manca tale accordo il datore di lavoro deve far precedere l’installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa.

Lo ribadisce la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 1733/20, depositata il 17 gennaio. Succedeva che il datore di lavoro veniva condannato alla pena di giustizia per aver installato un sistema di videosorveglianza per controllare l’attività dei dipendenti, senza accorso con le rappresentanze sindacali. Il datore di lavoro ricorre in Cassazione sostenendo che il Tribunale non aveva esaminato la vicenda concreta e tutta la documentazione versata in atti, come ad esempio l’accordo formale sottoscritto in passato con i dipendenti. L’importanza dell’accordo con le rappresentanze sindacali. Per i Giudici della Suprema Corte, il suddetto accordo non costituisce esimente dalla responsabilità penale, come correttamente sostenuto anche dal Tribunale, poiché è opportuno richiamare l’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la fattispecie incriminatrice di cui all’art l. n. 300/1970 è integrata anche quando, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali e di provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa, la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti. Infatti, l’installazione di apparecchiature, dalle quali derivi anche la possibilità di controllo dell’attività dei lavoratori, deve sempre essere preceduta da una forma di accordo tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali dei lavoratori, con la conseguenza che se manca tale accordo il datore di lavoro deve far precedere l’installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa. In mancanza sia dell’accordo sia dell’autorizzazione suddetta, l’installazione delle apparecchiature è illegittima e penalmente sanzionata. Pertanto, il consenso del lavoratore all’installazione di un sistema di videosorveglianza, anche in forma scritta come nel caso di specie, no vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato tale impianto in violazione delle prescrizioni dettate dalla normativa Il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 novembre 2019 – 17 gennaio 2020, n. 1733 Presidente Ramacci – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30/4/2019, il Tribunale di Lanciano dichiarava D.G. colpevole della contravvenzione di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 4, e lo condannava alla pena di tremila Euro di ammenda allo stesso, quale datore di lavoro, era contestato di aver installato un sistema di videosorveglianza, idoneo a controllare l’attività dei dipendenti, in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali. 2. Propone ricorso per cassazione il D. , a mezzo del proprio difensore, deducendo - con unico motivo - la mancanza di motivazione nel provvedimento impugnato. Il Tribunale si sarebbe limitato ad una formale ed astratta affermazione di principi giurisprudenziali, senza esaminare la vicenda concreta e, in particolare, la documentazione versata in atti nello specifico l’accordo formale sottoscritto dal ricorrente ed i dipendenti nel luglio 2014 l’istanza di annullamento in autotutela del verbale di accertamento e prescrizione del dicembre 2014 le trascrizioni delle deposizioni rese dalle dipendenti nel corso del giudizio di primo grado . Questa censura concernerebbe anche il profilo soggettivo del reato, da escludere in ragione della piena condivisione - con i dipendenti, all’epoca - dell’installazione dell’impianto, volto soltanto a prevenire furti nel negozio come confermato, peraltro, dalle dichiarazioni rese dagli stessi collaboratori ed allegate all’impugnazione. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta infondato. Occorre premettere che la vicenda è emersa nel giudizio con caratteri del tutto pacifici, richiamati nella sentenza e non contestati dall’imputato è acclarato, quindi, che il D. - datore di lavoro e titolare di un negozio - nel 2014 aveva installato un impianto di videosorveglianza in difetto delle condizioni di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 4, ma previo accordo scritto con i dipendenti. 4. Ebbene, come correttamente affermato dal Tribunale, tale accordo non costituisce esimente della responsabilità penale, dovendosi al riguardo richiamare il prevalente e più recente indirizzo di legittimità che ritiene che la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 4 in esame sia integrata con l’installazione di un sistema di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l’attività dei lavoratori, come nel caso di specie anche quando, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e di provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa, la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti tra le altre, Sez. 3, n. 38882 del 10/4/2018, D., Rv. 274195 Sez. 3, n. 22148 del 31/01/2017, Zamponi, RV. 270507 . 5. In particolare, secondo quanto prescritto dalla L. n. 300 del 1970, art. 4, l’installazione di apparecchiature da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale ma dalle quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori deve essere sempre preceduta da una forma di codeterminazione accordo tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali dei lavoratori, con la conseguenza che se l’accordo collettivo non è raggiunto, il datore di lavoro deve far precedere l’installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità amministrativa Direzione territoriale del lavoro che faccia luogo del mancato accordo con le rappresentanze sindacali dei lavoratori, cosicché, in mancanza di accordo o del provvedimento alternativo di autorizzazione, l’installazione dell’apparecchiatura è illegittima e penalmente sanzionata. Questa procedura - frutto della scelta specifica di affidare l’assetto della regolamentazione di tali interessi alle rappresentanze sindacali o, in ultima analisi, ad un organo pubblico, con esclusione della possibilità che i lavoratori, uti singuli, possano autonomamente provvedere al riguardo - trova la sua ratio nella considerazione dei lavoratori come soggetti deboli del rapporto di lavoro subordinato. La diseguaglianza di fatto, e quindi l’indiscutibile e maggiore forza economico-sociale dell’imprenditore, rispetto a quella del lavoratore, rappresenta la ragione per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile a differenza di quanto ritenuto invece dalla Sez. 3, n. 22611 del 17/04/2012 , potendo essere sostituita dall’autorizzazione della direzione territoriale del lavoro solo nel solo di mancato accordo tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali, non già dal consenso dei singoli lavoratori, poiché, a conferma della sproporzione esistente tra le rispettive posizioni, basterebbe al datore di lavoro fare firmare a costoro, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accettano l’introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato, perché ritenuto dal lavoratore stesso, a torto o a ragione, in qualche modo condizionante l’assunzione. 6. Sì da concludersi, quindi, che il consenso del lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma prestato anche scritta, come nel caso di specie , non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice la doglianza del ricorrente sul punto, pertanto, risulta infondata. 7. Quanto precede, peraltro, senza che possa accedersi alla tesi difensiva in ragione della quale il Tribunale non avrebbe esaminato la documentazione prodotta dal D. , limitandosi ad una astratta affermazione di principio dalla lettura della sentenza, infatti, risulta che il preventivo accordo scritto tra datore di lavoro e dipendenti - confermato da questi ultimi in dibattimento e fulcro del ricorso - era stato ben valutato dal Giudice al pari dell’istanza di annullamento in autotutela del verbale di accertamento , il quale, tuttavia, lo aveva correttamente ritenuto irrilevante nell’ottica di cui alla rubrica, proprio in ragione delle considerazioni appena sopra espresse, qui da confermare. 8. L’impugnazione, pertanto, deve essere dichiarata rigettata, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.