Revoca della patente di guida post Consulta: il pronunciamento di incostituzionalità non si applica ai rapporti esauriti

La Consulta sentenza n. 88/2019 ha statuito l’illegittimità dell’art. 222, comma 2, periodo IV, c.d.s., laddove non prevede che, in ipotesi di condanna o patteggiamento per i reati di omicidio stradale art. 589-bis c.p. , e lesioni personali stradali gravi o gravissime art. 590-bis c.p. , il giudice possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa allorché non ricorrano le circostanze aggravanti della guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti.

Tuttavia, nelle singole ipotesi, e alla luce dell’art. 30 l. n. 87/1953, sarà necessario verificare la fattiva operatività di tale pronunciamento se ricorra l’ipotesi di cui al comma 3 o 4, come pure se il rapporto risulti esaurito o meno. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sezione I Penale, nella sentenza n. 1634/20 del 16 gennaio. La vicenda. Il GIP, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza formulata da un uomo al fine di ottenere la revoca della sanzione amministrativa accessoria identificata nella revoca della patente di guida, prevista nella pronuncia di patteggiamento per il reato di cui all’art. 589- bis , comma 1, c.p., sostenendo che la Consulta, con la sentenza n. 88/19 , aveva dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 222, comma 2, c.d.s La questione approda presso la Corte di Cassazione che, respingendo il ricorso, ha comunque fornito preziosi chiarimenti in ordine all’incidenza della richiamata pronuncia della Consulta. La tesi difensiva del ricorrente. Secondo il ricorrente, la disposta revoca della patente di guida doveva ancora considerarsi in esecuzione la prefettura aveva infatti disposto la revoca della stessa patente per un periodo di anni tre, a decorre dalla data della consegna del titolo. Il ricorrente richiama tre pronunce - la sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 42858/14, la quale ha consentito l’applicabilità dell’art. 30, comma 4, l. n. 87/1953, alle fattispecie di declaratoria di incostituzionalità di disposizioni non incriminatrici che incidano sul trattamento sanzionatorio, - la sentenza n. 18821/14, la quale ha esteso l’applicazione, della disposizione alla pena costituzionalmente illegittima, - la sentenza della Consulta n. 88 cit., che ha dichiarato incostituzionale l’art. 222, comma 2, c.d.s., nella parte ove non prevede che, in ipotesi di condanna per i reati ex art. 589- bis , 590- bis , comma 1, c.p., il giudice possa applicare, in alternativa alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente, quella meno grave della sospensione della patente di guida. Secondo il ricorrente, la sostanza dei richiamati pronunciamenti comporterebbe la necessaria rivalutazione, in sede esecutiva, del trattamento sanzionatorio accessorio, dovendosi ritenere la funzione punitiva della sanzione amministrativa accessoria, della revoca della patente, così come inteso nella sentenza della Corte Costituzionale n. 63/19. Corte Costituzionale, sentenza n. 88/2019. In tale occasione la Consulta ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, periodo 4, c.d.s., ove non prevedeva che, in ipotesi di condanna, ovvero di patteggiamento, per i reati di omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime, il giudice potesse disporre, in alternativa alla revoca, la sospensione della patente di guida, ai sensi del II e III periodo del comma 2 dell’art. 222, c.d.s., ed ove non ricorresse alcuna delle circostanze aggravanti previste dai commi 2 e 3 degli artt. 589- bis e 590- bis c.p La Consulta, più in particolare, ha evidenziato che tale disposizione prevede la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida estesa in modo indistinto a ogni ipotesi sia aggravata che non aggravata di omicidio e lesioni stradali gravi o gravissimo, e che l’evoluzione normativa ha condotto alla configurazione di due nuove fattispecie di reato colposo 589- bis e 590- bis, c.p. connotate dalla previsione di plurime circostanze aggravanti privilegiate con un diverso trattamento sanzionatorio di maggior rigore, come pure dal divieto di bilanciamento tra circostanze attenuanti differenti da quelle previste dagli artt. 98 e 114 c.p., e quelle aggravanti a effetto speciale, in tal modo introdotte. Per la stessa col Consulta, l’aggravamento della risposta sanzionatoria voluta dalla riforma del 2016 si articola in plurimi livelli in simmetria, l’art. 589- bis e l’art. 590- bis , c.p., prevedono - l’ipotesi base del reato colposo al primo comma, - l’ipotesi maggiormente aggravata della guida in stato di ebrezza alcolica oltre una determinata soglia di tasso etilico o sotto l’effetto di droghe, ai commi secondo e terzo, - l’ipotesi intermedia in quanto aggravata in misura minore, ai commi 4, 5, e 6, ma comunque con una pena aumentata rispetto all’ipotesi base. Il disvalore della condotta, in violazione delle disposizioni stradali, risulta pertanto articolato secondo una determinata gradazione più specificamente, il divario si coglie ove si confrontino le ipotesi base del 1 comma dell’art. 589- bis e 590- bis , c.p., rispetto alle condotte punite maggiormente rientranti nel 2 e 3 comma di ambedue le disposizioni. Quando ricorrono le aggravanti privilegiate la pena rispetto all’ipotesi base è più elevata, come risulta anche dalla circostanza che i minimi di pena delle fattispecie circostanziate risultano sensibilmente incrementati. La revoca della patente secondo la Consulta. La sentenza n. 88 della Corte Costituzionale ha quindi evidenziato che, per la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, sussiste un indifferenziato automatismo sanzionatorio il quale costituisce possibile indice di disparità di trattamento e irragionevolezza intrinseca, fermo restando che un profilo di irragionevolezza risulta essere stato rilevato già dalla Consulta in una ipotesi di automatismo della revoca amministrativa della patente prevista dall’art. 120, comma 2, c.d.s. e, più specificamente, nella sentenza n. 22/2018. In definitiva, secondo la Consulta, nell’art. 222 c.d.s., l’automatismo della risposta sanzionatoria non graduabile in ragione della peculiarità della fattispecie si giustifica per le più gravi violazioni contemplate dalle due disposizioni in esame, intese quali ipotesi aggravate sanzionate con le pene più gravi del 2 e 3 comma in quanto, pur se la guida in stato di ebbrezza alcolica oltre la soglia del tasso alcolemico o sotto l’effetto di stupefacenti, rappresenta una condotta pericolosa per la vita e l’incolumità delle persone, posta in essere in spregio del rispetto di tali beni fondamentali, per l’effetto si giustifica una radicale misura preventiva per la sicurezza stradale consistente nella sanzione amministrativa della revoca della patente in ipotesi di omicidio stradale e di lesioni personali gravi o gravissime. Il non automatismo della revoca della patente. Discende che la revoca della patente di guida non può essere automatica in modo indistinto, in ciascuna delle plurime ipotesi previste dagli artt. 589- bis e 590- bis c.p., bensì si giustifica, unicamente, nelle circoscritte ipotesi più gravi punite attraverso la sanzione più elevata, quindi come fattispecie aggravate, dal 2 e dal 3 comma di ambedue le disposizioni, e cioè guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti. Negli ulteriori casi che il legislatore ha ritenuto di non uguale gravità, sia nelle fattispecie non aggravate del I comma delle due disposizioni in esame, sia in quelle aggravate dei commi 4, 5, e 6, il giudice deve poter valutare le circostanze del caso concreto ed, eventualmente, applicare a titolo di sanzione amministrativa accessoria, al posto della revoca della patente, la relativa sospensione, come previsto dall’art. 222 c.d.s In definitiva la Consulta ha statuito che il comma in questione risulta illegittimo costituzionalmente, nel IV periodo, nella parte ove non prevede, ed ove non ricorrano le circostanze aggravanti privilegiate di cui al 3 e 4 comma dell’art. 589- bis e 590- bis c.p., la possibilità per il giudice di applicare, in modo alternativo alla revoca della patente, la sospensione, secondo quanto disposto dall’art. 222, comma 2, periodo II e III, c.d.s Come conseguenza, in ipotesi siffatte, il giudice, a seconda della gravità della condotta tenuta dal condannato, ed in considerazione di quanto disposto dagli artt. 218 e 219 c.d.s., potrà disporre o la revoca della patente di guida, o la sospensione della stessa, per la durata massima prevista dal II e dal III periodo del comma 2 dell’art. 222 c.d.s Per la relativa operatività, ulteriormente, occorre valutare se, nelle singole fattispecie concrete, ricorrano i requisiti richiesti dall’art. 30 l. n. 87/1953, commi 3 e 4. L’intangibilità del giudicato ove la condanna sia stata pronunciata applicando una norma dichiarata poi incostituzionale. La legge n. 87/1953, all’art. 30, comma 4, prevede una deroga al principio cd. di intangibilità del giudicato, statuendo il cosiddetto principio della retroattività degli effetti delle pronunce di incostituzionalità oltre il limite dei rapporti esauriti nell’ambito penale, tenendo in considerazione la gravità quando le sanzioni penali incidano sulla libertà e su ulteriori interessi fondamentali. La Corte di Cassazione, in considerazione di ciò, ha interpretato in modo esteso l’art. 30, comma 4, evidenziando che lo stesso afferisce alle ipotesi di dichiarazioni di incostituzionalità - sia delle norme incriminatrici, - sia delle norme penali che incidono sul quantum del trattamento sanzionatorio. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel 2014, hanno ritenuto che la ratio dell’art. 30, comma 4, sopra specificato, si identifichi con quella di impedire che sia ingiustamente sofferta una sanzione penale che, pure se inflitta per il tramite di una pronuncia irrevocabile, e che si fondi su una norma in seguito dichiarata illegittima costituzionalmente, e ciò tenendo in considerazione il principio per cui la conformità della pena alla legge deve essere assicurata dal momento della sua irrogazione e fino al termine della sua esecuzione. L’inoperatività nel caso di specie. Tenendo conto delle sopra riportate argomentazioni, e con specifico riferimento al caso di specie, la Corte di Cassazione ha escluso la possibilità di intervenire a seguito del giudicato, a rideterminare la sanzione amministrativa accessoria applicata dal giudice penale, in quanto non ricorre la natura penale della stessa, dalla quale, a sua volta, discende la non operatività dell’art. 30, comma 4, l. n. 87/1953 relativo alla cessazione della esecuzione e di tutti gli effetti penali di sentenza irrevocabile di condanna in applicazione di norma dichiarata incostituzionale , al contrario applicandosi il 3 comma del medesimo articolo le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, così escludendo la possibilità di intervenire sui rapporti esauriti, come quello derivante dalla irrogazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, che risulta essere stata eseguita in epoca anteriore rispetto alla pronuncia della Sentenza, emanata dalla Consulta, n. 88/2019.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 13 dicembre 2019 – 16 gennaio 2020, n. 1634 Presidente Casa – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Mantova, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta avanzata nell’interesse di C.S. volta a ottenere la revoca della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ordinata con la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per il reato di cui all’art. 589-bis c.p., comma 1, pronunciata dal medesimo giudice in data 6 marzo 2018, irrevocabile il 26 aprile 2018, in considerazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 88 del 2019 che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 222 C.d.S., comma 2. 2. Ricorre C.S. , a mezzo del difensore avv. Maria Grazia Galeotti, che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, denunciando l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 589-bis c.p., comma 1, e dell’art. 222 C.d.S., comma 2. Preliminarmente il ricorrente ha precisato che la sentenza che ha disposto la revoca della patente è in esecuzione poiché la Prefettura di Mantova, con decreto del 05.07.2018, notificato al condannato il 26.08.2018, ha disposto la revoca della patente di guida per anni tre a decorrere dalla data della consegna del titolo avvenuta in data 26.08.2018 . Il ricorrente fa da ciò discendere che, alla luce della sentenza Cass. SU n. 42858/2014, P.M. in proc. Gatto, che ha consentito l’applicabilità della L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4, ai casi di declaratoria di incostituzionalità di norme non incriminatrici che incidono sul trattamento sanzionatorio, e della sentenza Cass. SU n. 18821/14, Ercolano, che ha esteso l’applicazione della disposizione alla pena costituzionalmente illegittima, la sentenza della Corte Costituzionale n. 88/2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222 C.d.S., comma 2, nella parte in cui non prevede che nel caso di condanna per i reati di cui all’art. 589-bis c.p., comma 1, e art. 590-bis c.p., comma 1, il giudice possa applicare in alternativa alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente, quella meno grave della sospensione della patente, comporta la necessaria rivalutazione in sede esecutiva del detto trattamento sanzionatorio accessorio, dovendosi ritenere la funzione punitiva della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, come affermata nella sentenza della Corte Costituzionale n. 63/2019. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato per le ragioni che saranno esposte. 2. È bene premettere che la sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 222, comma 2, quarto periodo, Nuovo codice della strada , nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p., per i reati di cui all’art. 589-bis c.p. omicidio stradale e art. 590-bis c.p. lesioni personali stradali gravi o gravissime , il giudice possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa ai sensi del secondo e terzo periodo dello stesso comma 2 dell’art. 222 C.d.S., allorché non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bis c.p 2.1. La Corte Costituzionale ha ricordato che la disposizione in esame prevede la sanzione amministrativa della revoca della patente, estesa indistintamente a tutte le ipotesi - sia aggravate dalle circostanze privilegiate , sia non aggravate - di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o gravissime e che lo sviluppo normativo ha condotto da ultimo alla configurazione di due nuove fattispecie di reato colposo art. 589-bis c.p. e art. 590-bis c.p. , connotate dalla previsione di plurime circostanze aggravanti privilegiate con un differenziato trattamento sanzionatorio di maggior rigore, nonché dal divieto di bilanciamento tra circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 c.p., e quelle aggravanti a effetto speciale così introdotte. Ad avviso del giudice delle leggi l’aggravamento della risposta sanzionatoria, voluto dal legislatore del 2016, è quindi risultato articolato in più livelli. In perfetta simmetria le due citate disposizioni prevedono - per l’omicidio stradale e per le lesioni personali stradali - l’ipotesi base del reato colposo al comma 1 l’ipotesi maggiormente aggravata della guida in stato di ebbrezza alcolica oltre una certa soglia di tasso alcolemico o sotto l’effetto di stupefacenti ai commi 2 e 3 nonché un’ipotesi intermedia perché aggravata in misura minore ai commi 4, 5 e 6 , ma comunque con una pena aumentata rispetto all’ipotesi base. Il disvalore della condotta in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è quindi articolato secondo una precisa graduazione. Il divario è di tutta evidenza se si pongono in comparazione le ipotesi base dell’art. 589-bis c.p., comma 1 e dell’art. 590-bis c.p. con le condotte, sanzionate con la pena più elevata, rientranti nel secondo e nel comma 3 di entrambe le disposizioni. La pena prevista ove ricorrano tali aggravanti privilegiate è marcatamente più elevata della pena base, come risulta in particolare dal fatto che i minimi di pena delle fattispecie circostanziate sono sensibilmente incrementati . Ciò premesso, la sentenza n. 88 del 2019 ha evidenziato che invece, per la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida vi è un indifferenziato automatismo sanzionatorio, che costituisce possibile indice di disparità di trattamento e irragionevolezza intrinseca , fermo restando che un profilo di irragionevolezza è già stato rilevato da questa Corte in un’ipotesi di automatismo della revoca amministrativa della patente di guida, prevista dall’art. 120 C.d.S., comma 2 sentenza n. 22 del 2018 . La Corte ha, quindi, concluso che nell’art. 222 C.d.S. l’automatismo della risposta sanzionatoria, non graduabile in ragione delle peculiarità del caso, può giustificarsi solo per le più gravi violazioni contemplate dalle due citate disposizioni, quali previste, come ipotesi aggravate, sanzionate con le pene rispettivamente più gravi, dal secondo e dal comma 3 sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis c.p. , perché porsi alla guida in stato di ebbrezza alcolica oltre la soglia di tasso alcolemico prevista dal secondo e dal comma 3 sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis c.p. o sotto l’effetto di stupefacenti costituisce un comportamento altamente pericoloso per la vita e l’incolumità delle persone, posto in essere in spregio del dovuto rispetto di tali beni fondamentali e, pertanto, si giustifica una radicale misura preventiva per la sicurezza stradale consistente nella sanzione amministrativa della revoca della patente nell’ipotesi sia di omicidio stradale, sia di lesioni personali gravi o gravissime . Del resto, al di sotto di questo livello vi sono comportamenti pur gravemente colpevoli, ma in misura inferiore sicché non è compatibile con i principi di eguaglianza e proporzionalità la previsione della medesima sanzione amministrativa. In tal caso, l’automatismo della sanzione amministrativa più non si giustifica e deve cedere alla valutazione individualizzante del giudice . D’altra parte, oltre all’irragionevolezza intrinseca di una sanzione amministrativa fissa per tali ultimi comportamenti, c’è anche che nell’art. 222 C.d.S. rimane vigente la prescrizione del secondo e del terzo periodo del comma 2, i quali prevedono rispettivamente che, quando dal fatto commesso con violazione del codice della strada derivi una lesione personale colposa grave o gravissima, la sospensione della patente è fino a due anni, mentre nel caso di omicidio colposo la sospensione è fino a quattro anni. Quindi coesistono nella stessa norma art. 222 C.d.S., comma 2 prescrizioni che si sovrappongono senza una chiara delimitazione di applicabilità . In conclusione, secondo il giudice delle leggi la revoca della patente di guida non può essere automatica indistintamente in ognuna delle plurime ipotesi previste sia dall’art. 589-bis omicidio stradale sia dall’art. 590-bis c.p. lesioni personali stradali , ma si giustifica solo nelle ben circoscritte ipotesi più gravi sanzionate con la pena rispettivamente più elevata come fattispecie aggravate dal secondo e dal comma 3 di entrambe tali disposizioni guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti . Negli altri casi, che il legislatore stesso ha ritenuto di non pari gravità, sia nelle ipotesi non aggravate del comma 1 delle due disposizioni suddette, sia in quelle aggravate dei commi 4, 5 e 6, il giudice deve poter valutare le circostanze del caso ed eventualmente applicare come sanzione amministrativa accessoria, in luogo della revoca della patente, la sospensione della stessa come previsto - e nei limiti fissati - dal secondo e dal terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 C.d.S. . Ha, quindi, concluso la Corte statuendo che tale comma è costituzionalmente illegittimo, nel suo quarto periodo, nella parte in cui non prevede, ove non ricorrano le circostanze aggravanti privilegiate di cui al secondo e al comma 3 sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis c.p., la possibilità per il giudice di applicare, in alternativa alla sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, quella della sospensione della patente, secondo il disposto del secondo e del terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 C.d.S. . Ne consegue che in questi casi il giudice, secondo la gravità della condotta del condannato, tenendo conto degli artt. 218 e 219 C.d.S., potrà sia disporre la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, sia quella, meno afflittiva, della sospensione della stessa per la durata massima prevista dal secondo e dal terzo periodo del medesimo comma 2 dell’art. 222 C.d.S. . 3. È utile rimarcare che la sentenza sopra richiamata si innesta in un percorso, ormai consolidato, volto a eliminare ogni automatismo nel trattamento punitivo / sanzionatorio anche per quello che riguarda le sanzioni amministrative. La Corte Costituzionale sentenza n. 22 del 2018 ha recentemente esaminato la questione di costituzionalità relativa all’automatismo della revoca della patente, da parte dell’autorità amministrativa in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare, per reati in materia di stupefacenti, dichiarandola fondata per violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost La Corte ha evidenziato che la disposizione denunciata - sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida - ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità. Reati che, per di più, possono come nella specie essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l’attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, riferito, in via automatica, all’attualità . Del resto, ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione in esame è, poi, ravvisabile nell’automatismo della revoca amministrativa rispetto alla discrezionalità della parallela misura del ritiro della patente che, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 85, il giudice che pronuncia la condanna per i reati in questione può disporre , motivandola, per un periodo non superiore a tre anni . Si è precisato che, pur operando dette misure su piani diversi, la contraddizione sta in ciò che - agli effetti dell’adozione delle misure di loro rispettiva competenza che pur si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente negativo sulla titolarità della patente - mentre il giudice penale ha la facoltà di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il dovere di disporne la revoca , sicché per tali profili di contrasto con l’art. 3 Cost. va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’esaminato comma 2 dell’art. 120 C.d.S., nella parte in cui dispone che il prefetto provvede - invece che può provvedere - alla revoca della patente di guida, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare per reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74 . 3.1. La Corte costituzionale sentenze n. 193 del 2016 e n. 63 del 2019 si è, d’altra parte, occupata di stabilire se poi, ed eventualmente in che misura, il principio della retroattività della lex mitior sia applicabile anche alle sanzioni amministrative . Pur trattandosi di un tema che è in parte estraneo a quello oggetto del giudizio perché in presenza del giudicato opera il divieto di cui all’art. 2 c.p., comma 4, è utile analizzare la più recente giurisprudenza costituzionale da cui possono ricavarsi utili spunti di riflessione. La Corte ha rilevato come la giurisprudenza di Strasburgo non abbia mai avuto ad oggetto il sistema delle sanzioni amministrative complessivamente considerato, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie, ed in particolare quelle che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche punitive alla luce dell’ordinamento convenzionale . In difetto, pertanto, di alcun vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative , la sentenza n. 193 del 2016 ha giudicato non fondata una questione di legittimità costituzionale della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1 Modifiche al sistema penale , del quale il giudice a quo sospettava il contrasto con l’art. 3 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, nella parte in cui non prevede una regola generale di applicazione della legge successiva più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi regola generale la cui introduzione, secondo la valutazione di questa Corte, avrebbe finito per disattendere la necessità della preventiva valutazione della singola sanzione qualificata amministrativa dal diritto interno come convenzionalmente penale , alla luce dei cosiddetti criteri Engel . Si è, del resto, precisato che rispetto, però, a singole sanzioni amministrative che abbiano natura e finalità punitiva , il complesso dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della materia penale – ivi compreso, dunque, il principio di retroattività della lex mitior - non potrà che estendersi anche a tali sanzioni. A tale conclusione non osta l’assenza, sino a questo momento, di precedenti specifici nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Come questa Corte ha avuto recentemente occasione di affermare, infatti, è da respingere l’idea che l’interprete non possa applicare la CEDU, se non con riferimento ai casi che siano già stati oggetto di puntuali pronunce da parte della Corte di Strasburgo sentenza n. 68 del 2017 . L’estensione del principio di retroattività della lex mitior in materia di sanzioni amministrative aventi natura e funzione punitiva è, del resto, conforme alla logica sottesa alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi, sulla base dell’art. 3 Cost., in ordine alle sanzioni propriamente penali. Laddove, infatti, la sanzione amministrativa abbia natura punitiva , di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicare nei confronti di costui tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito nè per continuare ad applicarla in una misura considerata ormai eccessiva e per ciò stesso sproporzionata rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento. E ciò salvo che sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale, tali da resistere al medesimo vaglio positivo di ragionevolezza , al cui metro debbono essere in linea generale valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius nella materia penale . 4. Pur potendosi tenere in disparte, ai fini della presente trattazione, la questione della natura punitiva para-penale della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente nel caso di condanna per omicidio o lesioni stradali, è il caso di sottolineare che essa può essere applicata soltanto dal giudice penale in sede di cognizione Sez. 1, n. 43208 del 16/10/2012, Scialpi, Rv. 253792 ha escluso che rientri nelle attribuzioni del giudice dell’esecuzione l’applicazione di sanzioni amministrative accessorie, giacché non equiparabili alle pene accessorie in precedenza Sez. 1, n. 43003 del 07/11/2007, Leone, Rv. 238123 e soltanto in occasione dell’accertamento di responsabilità penale per la condotta di reato attribuita all’imputato. La giurisprudenza di legittimità, infatti, non dubita che la revoca della patente di guida, come pure la sospensione di essa, sia una sanzione amministrativa accessoria che, in alcuni casi art. 222 C.d.S. , può deve essere applicata dal giudice penale, anche in caso di patteggiamento Sez. U, n. 8488 del 27/05/1998, Bosio, Rv. 210982 , e che non si assomma a quella provvisoriamente applicata dall’autorità amministrativa per lo stesso fatto. Si è, infatti, precisato che, anche in caso di patteggiamento, la differenza di finalità e presupposti tra il provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria della patente di guida e la sanzione accessoria della sospensione della patente applicata dal giudice penale, all’esito dell’accertamento di violazione del codice stradale, rende impossibile computare il periodo di sospensione provvisoria nella determinazione della durata della sanzione amministrativa definitivamente applicabile dal giudice. Tuttavia, ciò non comporta che i due periodi di sospensione siano cumulabili, giacché essi sono, invece, complementari. Ed invero, la sospensione provvisoria disposta dal prefetto e quella definitiva disposta dal giudice incidono sull’autore della violazione per il medesimo fatto, per il quale il codice della strada prevede, come sanzione amministrativa accessoria, una sola sospensione della patente di guida per un periodo che va da un minimo a un massimo, anche se l’applicazione, prima di essere definitiva, può essere provvisoria e anche se all’applicazione provvisoria e a quella definitiva procedono distinte autorità. Ne consegue che è il prefetto, organo di esecuzione della sanzione amministrativa accessoria, a dover provvedere alla detrazione, obbligatoria, del periodo di sospensione eventualmente presofferto, e senza che vi sia bisogno di esplicita dichiarazione al riguardo da parte dell’autorità giudiziaria procedente Sez. U, n. 20 del 21/06/2000, Cerboni, Rv. 217020 . Del resto, a conferma dell’autonomia dell’istituto sanzionatorio amministrativo milita anche la giurisprudenza civile si è precisato che la revoca della patente, comminata dal giudice penale a norma del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 222, comma 2, costituisce una sanzione amministrativa accessoria a una sanzione penale - nella specie per guida in stato di ebbrezza - e concretamente applicata, a norma del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 224, comma 2, dall’autorità amministrativa entro 15 giorni dalla comunicazione della sentenza o del decreto di condanna irrevocabili. Ne consegue che il provvedimento di revoca della patente non viene materialmente in esistenza prima che il giudice penale lo pronunci altro essendo, per natura, finalità ed effetti diversi, il provvedimento prefettizio, cautelare, di sospensione provvisoria della patente e il suo procedimento di applicazione da parte della competente autorità amministrativa non può iniziare prima che la sentenza penale sia passata in giudicato Sez. 2, n. 13508 del 20/05/2019 Rv. 654046 . 5. Tanto premesso, è possibile esaminare la questione della intangibilità del giudicato per i casi in cui una sentenza di condanna sia stata pronunciata in applicazione di una norma dichiarata costituzionalmente illegittima. 5.1. La L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4, prevede una deroga all’intangibilità del giudicato, stabilendo il principio della retroattività degli effetti delle pronunce di illegittimità costituzionale oltre il limite dei rapporti esauriti nel solo ambito penale, in considerazione della gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà o su altri interessi fondamentali della persona. Sulla base di queste ragioni, la Corte di cassazione ha adottato una interpretazione ampia dell’art. 30, comma 4, qui in discussione, chiarendo che esso riguarda le ipotesi di dichiarazione di illegittimità costituzionale tanto delle norme incriminatrici - che determinano una vera e propria aboliti criminis - quanto delle norme penali che incidono sul quantum del trattamento sanzionatorio. Ponendo fine a un contrasto interpretativo sul punto, a partire da alcune sentenze pronunciate a Sezioni unite nel 2014 sentenza 24 ottobre 2013, n. 18821 sentenza 29 maggio 2014, n. 42858 , la Corte di cassazione ha ritenuto che la ratio dell’art. 30, comma 4, sia quella di impedire che venga ingiustamente sofferta una sanzione penale che, per quanto inflitta con sentenza irrevocabile, sia basata su una norma successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima ciò in virtù del principio per cui la conformità della pena alla legge deve essere costantemente garantita, dal momento della sua irrogazione fino al termine della sua esecuzione. 5.2. Come giustamente evidenziato dal Procuratore generale nelle sue conclusioni scritte, la Corte costituzionale sentenza n. 43 del 107 ha specificamente esaminato, con ampia disamina della giurisprudenza della Corte EDU, il tema della retroattività con riguardo alle sanzioni amministrative, chiarendo, sotto l’angolo visuale dell’art. 117 Cost., comma 1, che nella giurisprudenza della Corte Europea non si rinviene, allo stato, alcuna affermazione che esplicitamente o implicitamente possa avvalorare l’interpretazione dell’art. 7 della CEDU nel significato elaborato dal giudice rimettente, tale da esigere che gli Stati aderenti sacrifichino il principio dell’intangibilità del giudicato nel caso di sanzioni amministrative inflitte sulla base di norme successivamente dichiarate costituzionalmente illegittime . Il giudice delle leggi ha anche precisato, sotto l’angolo visuale dell’art. 25 Cost., comma 2, e art. 3 Cost., che la pretesa di estendere la portata applicativa della disposizione della L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4, anche alle ipotesi di sanzioni che, seppur qualificate come amministrative dal diritto interno, assumono natura convenzionalmente penale, poggia su un erroneo presupposto ossia, che le garanzie previste dal diritto interno per la pena - tra le quali la stessa L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4, nell’interpretazione consolidatasi nel diritto vivente - debbano valere anche per le sanzioni amministrative, qualora esse siano qualificabili come sostanzialmente penali ai soli fini dell’ordinamento convenzionale , in quanto l’ordinamento nazionale può apprestare garanzie ulteriori rispetto a quelle convenzionali, riservandole alle sole sanzioni penali, così come qualificate dall’ordinamento interno , traendo la conclusione che in tale contesto di coesistenza, e non di assimilazione, tra le garanzie interne e quelle convenzionali, si pone dunque la peculiare tutela di cui alla L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4, e la sua applicazione alle sole ipotesi di sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità di norme penali, e non anche di norme amministrative . Il giudice delle leggi ha, poi ricordato che la portata della L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4, è stata estesa dalla consolidata giurisprudenza di legittimità includendovi anche le norme penali sanzionatorie, in un sistema normativo che prevede una fase esecutiva della sanzione, non ancora esaurita al momento della sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale. In un tale contesto, garante della legalità della pena è il giudice dell’esecuzione, cui compete di ricondurre la pena inflitta a legittimità Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 29 maggio 2014, n. 42858 , sicché risulterebbe evidente la differenza rispetto alle sanzioni amministrative in cui sia la loro comminatoria sia la relativa fase esecutiva obbediscono a principi affatto differenti, in cui il giudice preposto è investito della sola cognizione del titolo esecutivo . 5.3. Alla luce di tali stringenti argomentazioni non può che escludersi la possibilità di intervenire, dopo il giudicato, a rideterminare la sanzione amministrativa accessoria applicata dal giudice penale, mancando l’essenziale natura penale di essa, da cui discende l’inoperatività della L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4, dovendosi piuttosto applicare il comma 3 del medesimo articolo a mente del quale le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione , senza possibilità di intervenire sui rapporti esauriti quale è quello derivante dall’irrogazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della potente di guida che è stata eseguita in data anteriore alla pronuncia della sentenza n. 88 del 2019. 6. Il ricorso è, dunque, infondato. 6.1. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.