È obbligatorio l’interrogatorio di garanzia nel caso di misura cautelare applicata dopo l’impugnazione del PM?

Va rimessa alle Sezioni Unite la questione relativa alla necessità di procedere ad interrogatorio di garanzia nel caso di misura cautelare coercitiva applicata dal Tribunale del riesame su appello del PM.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la ordinanza n. 1243 depositata il giorno 14 gennaio 2019. Quando il Tribunale della libertà fa scattare le manette. Non è l’ipotesi processuale più felice, e nemmeno quella più sintonica rispetto alla colloquiale denominazione che viene attribuita al collegio del riesame, eppure è codicisticamente previsto che il Tribunale della Libertà possa accogliere l’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento con cui il GIP ha respinto la richiesta di emissione di una misura cautelare. Nel caso che ci occupa, perfettamente aderente al funesto schema appena tratteggiato, il ricorso per cassazione sulla decisione del collegio del Riesame verte principalmente sul punto dell’omesso interrogatorio di garanzia. Quest’ultimo, com’è noto, è l’adempimento numero uno che segue all’applicazione di una misura cautelare coercitiva non procedervi nel tempo stringente stabilito dalla legge processuale, a norma di codice, significa determinare la perdita immediata di efficacia della misura. Ci si chiede questo passaggio è necessario soltanto quando la misura viene applicata a sorpresa”, ovvero anche quando è conseguenza dell’accoglimento di un’impugnazione cautelare proposta dal pubblico ministero deluso”? La tesi della superfluità. Prima di affidare la soluzione del problema alle Sezioni Unite, il collegio della Sesta Sezione passa in rassegna la sequenza – contraddittoria, ovviamente – degli orientamenti che si sono formati in materia. Secondo un indirizzo del 2013 non sarebbe necessario, in casi analoghi a quello prospettato, procedere all’interrogatorio di garanzia. Le ragioni di una tale soluzione riposano su di una molteplicità di argomentazioni. La principale di queste risiede nella natura giuridica e nella ragion d’essere dell’interrogatorio di garanzia, che è quella di consentire all’indagato, raggiunto da una misura coercitiva, di avere un primo contatto con il medesimo giudice che ha disposto la restrizione della sua libertà personale, facendo così valere le proprie ragioni. Ciò consentirà al giudice della cautela di valutare la persistenza delle esigenze cautelari e la robustezza del quadro indiziario. Se la misura viene applicata in seguito all’appello del pubblico ministero, invece, non vi sarebbe alcuna ragione di procedere all’interrogatorio di garanzia ciò, infatti, risulterebbe superfluo dato che l’interessato avrebbe già instaurato – con il giudizio di impugnazione dinanzi il Tribunale del Riesame – quel contraddittorio sulla pretesa cautelare di cui si diceva poc’anzi. La tesi opposta l’interrogatorio è sempre necessario. Un diverso indirizzo, datato 2014 e comunque minoritario, sostiene l’esatto opposto l’interrogatorio di garanzia è indispensabile anche quando la misura è applicata per effetto dell’accoglimento di un’impugnazione cautelare, con le uniche due eccezioni, espressamente previste dal codice di rito, dell’avervi già proceduto in sede di convalida di una misura pre-cautelare, o della già avvenuta apertura del dibattimento. Anche questa corrente di pensiero ha i suoi buoni argomenti che la sostengono. L’analisi rigorosa del testo normativo del codice porta, infatti, a ritenere che la celebrazione dell’interrogatorio di garanzia, ove non espressamente esclusa come nei due casi sopra ricordati , sia sempre necessaria sotto pena di perdita di efficacia del provvedimento restrittivo. A parte le riflessioni sulla funzione dell’interrogatorio di garanzia – momento di importante e immediato confronto tra la persona sottoposta a misura cautelare e gli elementi indiziari a suo carico – si osserva che esso non può ritenersi surrogato dall’esercizio di altre, eventuali facoltà difensive come, ad esempio, il rendere dichiarazioni spontanee. Queste ultime, non comportando per loro natura un confronto” dialettico non possono infatti essere equiparate allo schema operativo di un interrogatorio fondato su domande e risposte. Aspettando le Sezioni Unite Si attende adesso l’autorevole decisione del massimo consesso, cui spetterà l’ingrato compito di stabilire se l’interrogatorio di garanzia, nel caso prospettato, è necessario oppure superfluo. Ciò che interessa osservare, però, è che la Sesta Sezione, nell’ordinanza che commentiamo, non si è limitata a registrare il contrasto d’opinioni e a chiedere l’intervento chiarificatore ha anche – se così si può dire – espresso la propria preferenza per l’orientamento che ritiene sempre necessario procedere all’interrogatorio di garanzia, sottolineando che gli addentellati normativi a fondamento di questo indirizzo ermeneutico si rinvengono persino nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali siglata nel 1950.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 dicembre 2019 – 14 gennaio 2020, n. 1243 Presidente Tronci – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale del riesame di Roma ha respinto l’appello proposto da S.A. avverso l’ordinanza del 26 luglio 2019 con cui il Tribunale di Cassino ha rigettato la richiesta di revoca o di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere applicatagli con provvedimento del 18 marzo 2019 dallo stesso Tribunale, a seguito di appello del P.M. contro l’ordinanza reiettiva del Giudice per le indagini preliminari dello stessa Tribunale, in relazione al reato di concussione continuata commesso nella qualità di Segretario Comunale e di Presidente dell’Unione dei Comuni. Giova precisare come l’ordinanza coercitiva emessa dal Tribunale ex art. 310 c.p.p. sia stata impugnata dinanzi a questa Corte e come il ricorso ex art. 311 c.p.p. sia stato rigettato con sentenza del 13 giugno 2019. 1.1. A sostegno del provvedimento impugnato, il Collegio della cautela ha preliminarmente ricostruito i fatti oggetto del procedimento incidentale de libertate a carico del S. e dato conto dei motivi di ricorso. Indi ha rilevato, quanto alla prima deduzione mossa dal ricorrente, come l’eccezione di inefficacia sopravvenuta della misura per mancato interrogatorio ex artt. 294 e 302 c.p.p. sia infondata, non essendo tale incombente necessario allorché il provvedimento sia emesso all’esito di appello cautelare, in quanto preceduto dall’instaurazione di un pieno contraddittorio quanto alla seconda doglianza, come il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cessino abbia già respinto un’analoga istanza fondata sulla contestazione dei pericula libertatis con argomentazioni difensive sostanzialmente identiche -, con provvedimento confermato all’esito di appello ex art. 310 c.p.p Il Giudice dell’appello ha sottolineato che, ad ogni modo, persistono evidenti esigenze di cautela, sia con riferimento al pericolo di reiterazione dei reati della stessa specie, atteso che come già notato nel provvedimento applicativo della misura cautelare a seguito di appello del P.M. e nella sentenza di questa Corte di cassazione ex art. 311 c.p.p. la condotta criminosa si è protratta con sistematicità per numerosi anni e l’indagato, nonostante la già disposta sospensione dalla carica ricoperta, ha continuato a svolgere di fatto il potere corrispondente alle funzioni ricoperte ed a mantenere una consolidata rete di relazioni con funzionari e dipendenti in servizio sia con riguardo al pericolo di inquinamento probatorio, stante l’evidenziata personalità aggressiva, tracotante e prepotente del S. , incline al condizionamento delle persone informate sui fatti, come verificato in relazione ai testi T. e L. . 1.2. Quanto alla scelta della misura, il Tribunale ha ribadito che, come già notato dal primo giudice e da questa Corte, il quadro profondamente negativo della personalità del ricorrente è stato valutato non irragionevolmente ostativo alla possibilità di assicurare l’osservanza delle prescrizioni connesse a misure meno gravose. 2. Nel ricorso a firma dei difensori di fiducia, S.A. chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 294 c.p.p., commi 1 e 3, e art. 302 c.p.p. nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, per avere il Tribunale omesso di confrontarsi con i rilievi mossi nell’atto di appello quanto all’inefficacia sopravvenuta della misura cautelare, stante la mancata celebrazione dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p. successivamente all’esecuzione del provvedimento applicativo della misura cautelare della custodia in carcere. Evidenzia la difesa, da una parte, come la celebrazione dell’udienza camerale dinanzi al Tribunale della libertà non equivalga ad un giudizio a cognizione piena, perché i diritti della difesa ed il patrimonio conoscitivo del giudice sono limitati d’altra parte, come la norma di cui all’art. 294 sia chiara nel richiedere l’espletamento dell’interrogatorio all’esito dell’esecuzione di un qualunque provvedimento applicativo di una misura cautelare, senza alcuna eccezione. 2.2. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 299 c.p.p., commi 1 e 2, art. 274 c.p.p., comma 1, lett. a e c , art. 275 c.p.p., commi 1, 3 e 3-bis e art. 292 c.p.p., comma 2, lett. d , nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, per avere il Tribunale trascurato di confrontarsi con i fatti nuovi posti a base dell’istanza de liberiate, rilevanti ai fini della valutazione in ordine alla persistenza dei pericula. In particolare, la difesa evidenzia come il Collegio della cautela non abbia tenuto conto a del sopravvenuto scioglimento dell’Unione dei Comuni di cui il S. era Presidente e della nomina di un Commissario liquidatore b della sospensione cautelare del ricorrente dal servizio di Segretario comunale, disposta con decreto prefettizio c della circostanza che l’Comuni di Falvaterra e di Rocca d’Arte hanno esercitato il recesso dalla convenzione di Segreteria, in virtù della quale il prevenuto svolgeva la relativa funzione pubblica. Elementi tutti idonei a confutare la ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione criminosa, essendo ormai l’imputato privo di una qualunque funzione pubblica. Quanto al pericolo di inquinamento probatorio, rileva come il Giudice a quo non abbia tenuto in debito conto il fatto che, essendosi proceduto con giudizio immediato, la prova è evidente e, in quanto tale, non può subire alcun condizionamento che la prova è comunque costituita da dichiarazioni verbalizzate difficilmente ritrattabili. In ogni caso, il Tribunale non avrebbe considerato che il rilevante lasso di tempo trascorso dai fatti ha comportato l’affievolimento del periculum in mora. 2.3. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 299 c.p.p., commi 1 e 2, art. 274 c.p.p., comma 1, lett. a e c , art. 275 c.p.p., commi 1, 3 e 3-bis, art. 284 c.p.p., comma, 2, art. 289 c.p.p. e art. 292 c.p.p., comma 2, lett. d , nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla scelta della misura cautelare, per avere il Tribunale replicato la motivazione svolta sul punto in un precedente provvedimento de libertate, relativo allo stato di fatto antecedente agli accadimenti evidenziati nell’atto di appello, senza considerare l’incidenza di questi ultimi sul quadro cautelare. 2.4. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 27 Cost., comma 2, e art. 6, comma 2, CEDU nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, per avere il Tribunale omesso di considerare lo stato di incensuratezza del prevenuto e, d’altro canto, valorizzato alcuni procedimenti penali pendenti a suo carico, in tal modo violando la presunzione d’innocenza. Considerato in diritto 1. Ritiene il Collegio, che la decisione del ricorso vada rimessa alle Sezioni Unite, là dove il primo motivo impone la soluzione di una questione ermeneutica di natura processuale sulla quale si registra un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte. 2. Secondo un primo orientamento espresso da questa Sezione nel 2013 fatto proprio dal Tribunale di Roma nel provvedimento impugnato , qualora il Tribunale, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del g.i.p., applichi una misura cautelare coercitiva, non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia, in quanto il provvedimento emesso in sede di appello cautelare è proceduto dall’instaurazione di un contraddittorio pieno, finalizzato ad approfondire anticipatamente tutti i temi dell’azione cautelare anche attraverso i contributi forniti dalla difesa Sez. 6, n. 50768 del 12/11/2013 dep. 03/12/2014, Rv. 261538 . 2.1. A sostegno di tale soluzione si è evidenziato come la ratio sottesa all’esigenza di procedere, nei tempi stringenti imposti dal relativo dato normativo, all’interrogatorio di garanzia in esito alla emissione della misura cautelare appaia immediatamente correlata alla necessità di garantire all’indagato, tramite un immediato contatto con il giudice, la possibilità di fornire gli elementi, in fatto e diritto, volti a scalfire la gravità indiziaria e riesaminare le originarie motivazioni sottese all’intervento cautelativo, così da consentire al decidente di rivalutare la perduranza delle ragioni sottese alla misura in esito a siffatto contatto chiarificatore, imposto dalla instaurazione ex post del contraddittorio con il destinatario dell’intervento cautelare. Si è quindi rilevato come siffatta esigenza risulti, di contro, assorbita allorché, per la specifica dinamica processuale che ha portato al provvedimento cautelare, l’interrogatorio abbia perso il ruolo di imprescindibile prerogativa difensiva. Situazione che sussiste, per esplicita indicazione normativa, quando la misura sia stata applicata una volta aperto il dibattimento, giacché il contraddittorio pieno assorbe in tato e rende indifferenti gli spazi difensivi che giustificano l’interrogatorio sotto qualsivoglia versante dell’intervento cautelare. Si è quindi aggiunto che la superfluità dell’interrogatorio è stata riscontrata dalla giurisprudenza nei casi di rinnovazione della misura cautelare a seguito di caducazione, per ragioni meramente formali e di rito, di un precedente provvedimento coercitivo in relazione agli stessi fatti, con pregressa rituale celebrazione dell’interrogatorio. 2.2. Alla luce di tali considerazioni, si è dunque ritenuta insussistente l’esigenza di disporre l’interrogatorio di garanzia allorquando il provvedimento applicativo di una misura cautelare sia emesso, sempre nel corso delle indagini, non secondo l’ordinaria ipotesi del contraddittorio differito, bensì dal giudice dell’appello cautelare ex art. 310 c.p.p. avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza cautelare da parte del G.i.p. ipotesi nella quale il provvedimento è per forza di cose anticipato dalla instaurazione del contraddittorio, finalizzata ad approfondire anticipatamente tutti i temi dell’azione cautelare profittando, nella sua massima estensione, dell’apporto difensivo offerto preventivamente dall’indagato proprio in punto alla legittimità complessiva dello status custodiale che, su appello dalla parte pubblica, si intende instaurare. Si è quindi notato che, in questa situazione processuale, la finalità dell’interrogatorio appare pienamente anticipata dalla trattazione, nel contraddittorio, della pretesa cautelare sicché imporre l’atto dopo la concessione della misura finirebbe per assumere il significato della superfetazione difensiva, ascrivendo all’incombente le connotazioni tipiche di una formalità superflua, ampiamente assorbita dalla dinamica dell’attività processuale che la precede. 3. A tale arresto ha fatto seguito, l’anno successivo, una decisione di segno contrario non massimata -, nella quale la stessa Sezione Sesta penale ha affermato che, in caso di applicazione di una misura cautelare da parte del Tribunale investito dell’appello del P.M. ex art. 310 cod. proc. pena avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione di un provvedimento coercitivo, non si può prescindere dall’interrogatorio di garanzia della persona sottoposta a misura, salvo che non sia già iniziato il dibattimento, di tal che, in caso di mancata o tardiva celebrazione dell’incombente processuale, la misura cautelare perde efficacia Sez. 6 n. 6088 del 20/11/2014 dep. 2015, Lo Nardo . 3.1. A sostegno della contrapposta linea interpretativa, si è, in primo luogo, esaminato il quadro normativo di riferimento, evidenziando che l’art. 294 c.p.p., comma 1, dispone che fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice che ha deciso in ordine all’applicazione della misura cautelare, se non vi ha proceduto nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto o del fermo di indiziato di delitto, procede all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall’inizio dell’esecuzione della custodia, salvo il caso in cui essa sia assolutamente impedita il successivo comma 1-bis della stessa norma prevede che se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare, sia coercitiva che interdittiva, l’interrogatorio deve avvenire non oltre 10 giorni dalla esecuzione del provvedimento dalla sua notificazione ed il comma 1-ter recita che l’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare deve avvenire entro il termine di 48 ore se il pubblico ministero ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare. Strettamente correlata a tale norma è la previsione dell’art. 302, comma 1 prima parte, stesso codice, alla stregua del quale la custodia cautelare disposta nel corso delle indagini preliminari perde immediatamente efficacia se il giudice non procede all’interrogatorio entro il termine previsto dall’art. 294 . Si è quindi rammentato che il Giudice delle Leggi, nella sentenza n. 95 del 2001, ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma in oggetto, nella parte in cui non prevede lo stesso meccanismo di caducazione in caso di mancato interrogatorio previsto dall’art. 294, comma 1-bis, per misure diverse da quelle custodiali, di tal che l’inefficacia sopravvenuta della misura riguarda qualunque misura cautelare, coercitiva o interdittiva, in caso di omesso tardivo interrogatorio. Si è quindi notato che, dal complesso di tali disposizioni codicistiche, si evince chiaramente che il giudice che abbia emesso un provvedimento limitativo della libertà personale è tenuto ad interrogare la persona sottoposta alla misura e che l’incombente processuale è doveroso e sanzionato a pena di inefficacia della misura, salvo che, giusta le espresse clausole di riserva, il decidente abbia già provveduto all’interrogatorio all’atto della convalida del provvedimento pre-cautelare ovvero abbia già preso avvio la fase dibattimentale, nell’ambito della quale l’imputato ha facoltà di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio, nel pieno contraddittorio fra le parti. Si è rimarcato che nessuna eccezione è prevista per l’ipotesi in cui l’ordinanza di custodia cautelare sia stata emessa dal Tribunale a seguito di appello del pubblico ministero avverso il provvedimento del giudice per le indagini preliminari, reiettivo della richiesta ex art. 291 c.p.p., sicché in tal caso, salvo che il giudice non abbia rigettato la richiesta di emissione dei provvedimento coercitivo dopo avere celebrato Interrogatorio in udienza di convalida dell’arresto o del fermo, ovvero che sia già stata dichiarata l’apertura del dibattimento cioè, salvo che non si versi in taluno dei casi eccezionali contemplati dalle sopra ricordate clausole di riserva delineate nell’art. 294 , non può che valere la regola generale secondo la quale l’interrogatorio di garanzia è doveroso a pena di inefficacia della misura cautelare. Si è poi osservato che sulla stessa linea si pone il disposto dell’art. 302 c.p.p., comma 1 seconda parte, là dove impone, in caso di caducazione della misura cautelare per omessa o intempestiva celebrazione dell’interrogatorio di garanzia, la rinnovazione dell’interrogatorio a piede libero, a conferma dell’assoluta inderogabilità dell’incombente processuale, pena l’inapplicabilità del provvedimento coercitivo. 3.2. A supporto della tesi privilegiata, si è inoltre posto in risalto come l’interrogatorio di garanzia costituisca un momento processuale assolutamente imprescindibile al fine di consentire al soggetto sottoposto a limitazione della libertà personale di rendere la propria versione dei fatti innanzi al giudice e dunque di svolgere appieno la propria difesa. Nell’interrogatorio il giudice deve osservare le regole e dare gli avvertimenti previsti dall’art. 64 c.p.p. secondo quanto stabilito dal seguente art. 65, deve contestare in forma chiara e precisa il fatto attribuito, rendere noti alla persona indagata gli elementi di prova esistenti e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, comunicare alla medesima le fonti quindi, deve invitare la persona ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa e porre direttamente le domande, cui la persona può rifiutarsi di rispondere. L’interrogatorio ha infatti una finalità non istruttoria bensì squisitamente difensiva, essendo volto a consentire al giudice di verificare, alla luce delle stesse parole della persona assoggettata a vincolo, la sussistenza ab origine e la persistenza, in quel momento, delle condizioni di applicabilità della misura il che rende ragione dell’assoluta inderogabilità dell’incombente processuale, irrinunciabile salvo che non sia già stato assunto nell’udienza ex artt. 391 c.p.p. e segg., o che lo stesso non possa essere celebrato nel dibattimento ormai inaugurato. 3.3. Nella sentenza Lo Nardo si è, sotto diverso aspetto, rilevato come, alla celebrazione dell’interrogatorio di garanzia non possa supplire la facoltà della persona di rendere dichiarazioni spontanee nell’ambito dell’udienza camerale di discussione dell’appello cautelare. Al riguardo, si è evidenziato a che le dichiarazioni spontanee rappresentano un momento processuale del tutto eventuale e che ovviamente presuppone la scelta dell’interessato di prendere parte alla udienza camerale, mentre l’interrogatorio postula la fissazione di un’udienza ad hoc, dedicata alla raccolta delle dichiarazioni dell’indagato/imputato a fronte delle specifiche contestazioni dei fatti ascritti e degli elementi a carico b che, diversamente da quanto accade per l’interrogatorio, in sede di dichiarazioni spontanee, il giudicante non provvede alle ammonizioni previste nell’art. 64 c.p.p., e, soprattutto, non procede alla contestazione del fatto reato attribuito, degli elementi di prova e delle relative fonti ai sensi dell’art. 65 c.p.p. c che le dichiarazioni spontanee sono rese in libertà dall’interessato, seguendo un proprio pertorso logico argomentativo e scegliendo liberamente i temi da illuminare, mentre l’interrogatorio ammesso che l’indagato/imputato intenda assoggettarvisi e rispondere alle domande postegli dal giudice sì svolge e stimola chiarimenti a difesa secondo lo schema tracciato idealmente dal giudicante, sulla scorta della cornice delle accuse e del compendio probatorio o indiziario a carico. Si è dunque concluso che i due atti risultano ontologicamente diversi e non possono ritenersi tra loro equivalenti, sì da potersi surrogare l’uno con l’altro. Ad ulteriore conforto della ritenuta non equipollenza dell’interrogatorio di garanzia e delle dichiarazioni spontanee, si è notato come le dichiarazioni spontanee che l’interessato ha facoltà di rendere nel procedimento incidentale de liberiate ex art. 310 c.p.p. intervengono in un momento in cui si sta discutendo dei ricorso dell’organo d’accusa avverso il provvedimento del G.i.p. reiettivo della richiesta di applicazione della misura cautelare, dunque in una situazione nella quale, seppure v’è stata piena discovery degli elementi a carico e delle imputazioni provvisorie elevate, la cautela personale non è in atto e costituisce solo un’ipotesi, seppure concreta e da contrastare l’interrogatorio di garanzia viene invece reso a seguito della emissione del provvedimento applicativo della misura cautelare, di tal che l’interessato ha la possibilità di confrontarsi, anziché con la richiesta unilaterale ex art. 291 c.p.p., e, dunque, con l’ipotesi dell’accusa e con gli elementi raccolti che la sorreggono, direttamente con le imputazioni provvisorie stimate fondate dal giudicante anche se solo ex art. 273 c.p.p. e con gli elementi valorizzati a fondamento del titolo coercitivo. In tale fase, la persona è dunque chiamata a svolgere la sua difesa in relazione, non ad una mera ipotesi di restrizione, bensì ad un titolo coercitivo già in esecuzione e, dunque, concreto. 3.4. Ancora, si è rilevato come, di norma, fra l’applicazione della misura cautelare da parte del Tribunale del riesame ex art. 310 c.p.p., e l’esecuzione della misura cautelare intercorra un significativo iato temporale spesso di molti mesi , legato ai tempi di celebrazione del ricorso per tassazione che paralizza , ai sensi del comma 3, della stessa norma, l’esecutività dell’ordinanza coercitiva. Ne discende che solo la celebrazione dell’interrogatorio dopo l’esecuzione della misura, entro i termini delineati nell’art. 294 c.p.p., può garantire la piena realizzazione degli scopi dell’istituto che, come sopra già evidenziato, è volto a garantire il controllo del giudice in ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura cautelare, non solo ab origine, ma anche e soprattutto nell’attualità. 3.5. A sostegno della soluzione ermeneutica patrocinata, si sono infine richiamati due precedenti arresti nei quali, la Cassazione, chiamata a risolvere un conflitto negativo di competenza, ha avuto modo di chiarire che, in caso di applicazione della misura cautelare da parte del Tribunale della libertà, adito ex art. 310 c.p.p. dal pubblico ministero, la cui istanza il giudice medesimo aveva in precedenza rigettato, competente a procedere all’interrogatorio dell’indagato è sempre il giudice delle indagini preliminari Sez. 1 n. 2761 del 10/06/1992, Confl. comp. Trib. Sassari e G.I.P. Pret. Sassari in proc. Pazzola Rv. 191383 Sez. 1, n. 3608 del 28/09/1992, Confl., comp. G.I.P. Pret. Crotone e Trib. Catanzaro in proc. Arabia, Rv. 192079 . Affermazione di principio che non può non, postulare, quale necessario antecedente logico-giuridico, che l’interrogatorio di garanzia debba essere celebrato anche in caso di emissione del provvedimento coercitivo da parte del Tribunale del riesame a seguito di appello del P.M. ex art. 310. 4. A seguito di tale pronuncia, la Sezione Seconda di questa Corte è tornata a ribadire con una decisione meramente adesiva il principio di diritto affermato dalla Sesta Sezione penale nel 2013 Sez. 2, n. 38828 del 25/05/2017, Rv. 271135 . 5. Nonostante tale recente e difforme arresto, ritiene il Collegio preferibile la soluzione ermeneutica fatta propria da questa Sezione nella sentenza Lo Nardo. 5.1. Deve essere, innanzitutto, ribadito che la tesi secondo la quale l’interrogatorio di garanzia è doveroso, a pena d’inefficacia della misura ex art. 302, anche nel caso di applicazione della misura cautelare da parte del Tribunale all’esito di appello del P.M. ex art. 310, trova un solido ancoraggio nei dato testuale dell’art. 294, commi 1 e 1-bis, là dove prevede l’interrogatorio come incombente processuale imprescindibile in caso di applicazione di una misura cautelare, coercitiva o interdittiva, salvo che non vi si sia proceduto nell’udienza di convalida dell’arresto o del fermo o sia stata già dichiarata l’apertura del dibattimento. In secondo luogo, va rimarcato come l’interrogatorio di garanzia assolva ad una finalità, più che istruttoria, squisitamente difensiva, essendo volto a promuovere un contatto diretto fra indagato e organo decidente, così da consentire al soggetto sottoposto a limitazione della libertà personale di rendere la propria versione dei fatti innanzi al giudice competente a revocare 0 sostituire la misura, ed a quest’ultimo di procedere, ad un’effettiva verifica circa la sussistenza, originaria ed attuale, dei presupposti applicativi della cautela. Sotto diverso aspetto, pare non superabile l’argomento secondo il quale l’interrogatorio di garanzia non è validamente surrogabile dalla facoltà della persona di rendere dichiarazioni spontanee nell’ambito dell’udienza camerale di discussione dell’appello cautelare, stante l’ontologica differenza degli istituti, la mera eventualità di tale momento processuale, le eterogenee modalità di espletamento giusta l’assenza di uno scambio domanda e risposta e, soprattutto, di una contestazione degli elementi a carico, che contraddistinguono l’interrogatorio , la diversità dei tempi dedicabili all’uno e all’altro segmento processuale e, -non ultima, la ben differente situazione processuale nella quale viene a trovarsi l’indagato nell’udienza di discussione dell’appello ex art. 310 davanti ad una mera ipotesi di restrizione , rispetto a quella successiva all’emissione della misura cautelare da parte del Tribunale a titolo coercitivo già eseguito . Condivisibile risulta inoltre l’evidenziata esigenza di consentire al giudice una valutazione attualizzata circa la sussistenza e persistenza delle esigenze cautelari all’esito della materiale applicazione dell’ordinanza applicativa emessa dal Tribunale su appello del P.M., stante la sospensione dell’esecuzione del provvedimento, coercitivo sino alla intervenuta definitività dell’ordinanza ex. art. 310 c.p.p., comma 3, destinata solitamente a realizzarsi a molti mesi di distanza dalla relativa pronuncia. 5.2. La soluzione recepita nella sentenza Lo Nardo trova un ulteriore ed autorevolissimo conforto nelle argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale nelle sentenze del 24 marzo 1997, n. 77, e del 10 febbraio 1999, n. 32, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 294 c.p.p., comma 1, nella parte in cui non prevede che il giudice debba procedere all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere – con la prima decisione – fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento” e – con la seconda decisione – fino all’apertura del dibattimento”. Argomentazioni che la stessa Corte costituzionale ha poi sinteticamente richiamato per relationem anche nella sentenza n. 95 del 21 marzo 2001, dichiarativa della illegittimità costituzionale dell’art. 302 c.p.p., nella parte in cui non prevede che le misure cautelari, coercitive, diverse dalla custodia cautelare, e quelle interdittive, perdono immediatamente efficacia se il giudice non procede all’interrogatorio entro il termine previsto dall’art. 294, comma 1-bis . Nel motivare la declaratoria d’incostituzionalità nella sentenza n. 77/1997 con considerazioni poi rievocate nella sentenza n. 32/1999 , la Consulta ha expressis verbis confutato l’ermeneusi seguita da questa Corte di legittimità sino a tale momento e dunque costituente diritto vivente -, secondo cui, una volta chiusa la fase delle indagini preliminari, l’indagato, ormai divenuto imputato, ha già avuto occasione di far conoscere le prove a suo favore nel corso dell’udienza preliminare o comunque il giudice ha avuto la possibilità di valutare le dette prove Sez. I, 1 dicembre 1993, D’Ambrosi , senza contare la proposizione della richiesta di riesame a mezzo della quale è consentito all’imputato, nei termini brevi di cui all’art. 309 c.p.p., comma 9, di essere sentito e di svolgere ogni difesa davanti al tribunale della libertà, limitatamente alla legittimità della misura cautelare Sez. I, 6 febbraio 1995, Castiglia . I Giudici costituzionali hanno invero rimarcato che la cognizione degli atti delle indagini preliminari non è elemento da, solo sufficiente a differenziare le due situazioni in misura da rendere esorbitante, dopo la richiesta di rinvio a giudizio, l’effettuazione dell’interrogatorio di garanzia e, quel che più conta, a non compromettere l’esercizio del diritto di difesa, inscindibile, per questo profilo, dal giudizio sulla conformità della norma all’art. 3 Cost. e che a risultarne compromessa è pure, dunque, l’osservanza dell’art. 24 Cost., comma 2, privandosi l’imputato in vinculis del più efficace strumento di difesa avente ad esclusivo oggetto la cautela disposta di quel colloquio, cioè, con giudice relativo alle condizioni che hanno legittimato l’adozione della misura cautelare ed alla loro permanenza . 5.3. La Consulta ha dunquè rammentato che non a caso, sia il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 in vigore per l’Italia dal 1977 sia la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 entrata in vigore per l’Italia nel 1955 , chiedono la più tempestiva presa di contatto con il giudice della persona arrestata o detenuta, a prescindere dalla fase procedimentale in cui la privazione dello status libertatis è avvenuta. Il tutto con precisi riverberi sul diritto alla libertà personale protetto dall’art. 13 Cost., trascurandosi altrimenti che l’interrogatorio rappresenta una sorta di controllo successivo sulla legittimità della custodia tanto da collegarsi direttamente al diritto al writ of habeas corpus secondo le opzioni seguite durante il dibattito all’Assemblea Costituente. Così da condurre alla conclusione che il diretto collegamento con la tutela della libertà personale attraverso un modello procedimentale costruito in funzione di verifica e di controllo esclude di norma la compatibilità con il diritto di difesa di limiti al dovere di procedere all’interrogatorio previsto dall’art. 294, comma 1, per motivi collegati unicamente alla fase in cui la custodia cautelare abbia il suo inizio, perseguendo tale atto lo scopo come enuncia espressamente l’art. 294 c.p.p., comma 3 di valutare se permangono le condizioni di applicabilità e lè esigenze cautelari previste dai precedenti artt. 273, 274 e 275 v. sentenza n. 384 del 1996 . 5.4. Per quanto più rileva, la Corte costituzionale ha evidenziata come non sia atta a superare il contrasto con i parametri di cui agli artt. 3 e 24 Cost. la possibilità per l’imputato di proporrè la richiesta di riesame nonostante la facoltà data all’indagato/imputato di essere sentito personalmente o di domandare la revoca del provvedimento cautelare, sebbene subordinatamente all’espletamento dell’interrogatorio in caso di istanza basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati. Il Giudice delle Leggi ha dunque concluso che soltanto la fase del giudizio per i suoi caratteri essenziali di pienezza del contraddittorio e per l’immanente presenza dell’imputato, assorbe la stessa funzione dell’interrogatorio di cui all’art. 294, comma 1, e, per altro verso, che costituisce affermazione, costituzionalmente imposta, che l’interrogatorio di garanzia, oltre che un dovere del giudice, costituisce un diritto fondamentale della persona sottoposta alla custodia anche nella fase successiva alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento e fino all’inizio di questo , in linea con la più volte ribadita natura di tale strumento processuale, quale il mezzo di difesa più efficace , posto a disposizione dell’interessato in relazione alla cautela disposta. 5.5. Dall’argomentare della Corte costituzionale teste sunteggiato si trae l’inequivocabile insegnamento che la cognizione degli atti delle indagini preliminari e dunque l’avvenuta discovery degli elementi a carico, così come la possibilità di fornire elementi a discolpa a mezzo della difesa tecnica e finanche la facoltà per l’indagato/imputato di essere sentito da parte del Tribunale del riesame non sono sufficienti a superare la necessità di effettuare l’interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p Dal che discende, stante l’eadem ratio, la doverosità di tale incombente processuale anche nel caso in cui la misura cautelare sia stata emessa dal Tribunale all’esito di appello del P.M. 6. Nè, d’altra parte, all’applicazione dell’art. 294, anche in caso di provvedimento coercitivo emesso dal Tribunale ex art. 310 stesso codice, osta la circostanza che il comma 1 della prima disposizione individui come competente all’espletamento dell’interrogatorio di garanzia il giudice che ha deciso in ordine all’applicazione della misura cautelare . 6.1. Al riguardo possono invero essere richiamate le già sopra ricordate decisioni nelle quali, nel risolvere un conflitto negativo di competenza, questa Corte ha chiarito che, in caso di applicazione della misura cautelare da parte del Tribunale adito, ex art. 310 codice di rito, dal pubblico ministero la cui istanza giudice medesimo aveva in precedenza rigettato, competente a procedere all’interrogatorio dell’iridagato è sempre il giudice delle indagini preliminari Sez. 1 n. 2761 del 10/06/1992, Confl. comp. Trib. Sassari e G.I.P. Pret. Sassari in proc. Pazzola Rv. 191383 Sez. 1, n. 3608 del 28/09/1992, Confl., comp. G.I.P. Pret. Crotone e Trib. Catanzaro in proc. Arabia, Rv. 192079 . 7. Tanto premesso, ritiene il Collegio che, visto il delineato contrasto ermeneutico interno alla giurisprudenza di questa Corte e tenuto conto del fatto che la questione controversa concerne l’interpretazione di una norma di carattere processuale direttamente incidente su di un bene preziosissimo, costituzionalmente presidiato, quale quello della libertà personale, sia opportuno un definitivo intervento risolutore delle Sezioni Unite sul punto. Rimette pertanto al più ampio consesso di questa Corte la soluzione del seguente quesito se, in caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso, la decisione di rigetto del g.i.p., sia o meno necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena d’inefficacia della misura cautelare . 8. Quanto agli ulteriori motivi, pare sin d’ora opportuno rilevare incidentalmente come, con essi, il ricorrente abbia riproposto esattamente le stesse questioni già dedotte con l’appello ex art. 310 c.p.p. avverso una precedente ordinanza ex art. 299 stesso codice e deciso dal Tribunale di Roma con ordinanza del 18 settembre 2019, impugnata dinanzi a questa Corte e decisa in data odierna. Secondo il consolidato e condivisibile insegnamento di questa Corte, in siffatta situazione di c.d. litispendenza cautelare opera una preclusione processuale a reiterare un’istanza de libertate basata sui medesimi elementi nei confronti della stessa persona e per lo stesso fatto e, quindi, a proporre appello cautelare in relazione al provvedimento che avesse deciso in ordine all’istanza avente ad oggetto il medesimo thema decidendum Sez. 3, n. 23371 del 02/02/2016, Sacco, Rv. 266823 Sez. 5 18/06/2014, P., Rv. 262522 . P.Q.M. Rimette alle Sezioni Unite la decisione del ricorso.