Dichiarazione di incostituzionalità e trattamento sanzionatorio: il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena

È illegale la pena determinata in relazione ad una cornice edittale prevista da una norma dichiarata incostituzionale, ancorché la pena concretamente inflitta rientri nell’ambito della forbice punitiva sia della norma precedente sia della norma risultante dalla sentenza di incostituzionalità. Sussiste quindi l’obbligo in capo al giudice dell’esecuzione di ridurre la pena secondo il principio di proporzionalità, in misura discrezionale rispetto alle circostanze del caso concreto.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 595 depositata il 10 gennaio 2020. L’evoluzione normativa dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/90. La vicenda ha ad oggetto la condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90, avendo lo stesso posto in essere un’attività continuativa di cessione e vendita di sostanze stupefacenti rientranti nella categoria delle c.d. droghe pesanti. Com’è noto, la disciplina ha subìto numerose riforme legislative, nonché innumerevoli smussamenti ad opera della Corte Costituzionale, tanto con riferimento alla cornice edittale della norma, quanto avuto riguardo alle ipotesi di lieve entità e alla distinzione tra c.d. droghe pesanti e c.d. droghe leggere. Al fine di meglio comprendere la questione devoluta alla Suprema Corte, relativamente alla sproporzione del minimo edittale dell’ipotesi base, risulta necessario analizzare brevemente l’evoluzione dell’art. 73, con particolare riguardo al rapporto tra il primo comma ipotesi ordinaria relativa alle c.d. droghe pesanti e il comma cinque ipotesi di lieve entità . L’originaria formulazione prevedeva al comma primo un limite edittale che oscillava da un minimo di 8 anni di reclusione ad un massimo di 20. Il quinto comma, invece, configurava una circostanza attenuante ad effetto speciale indipendente, che puniva con la reclusione da 1 a 6 anni i fatti lievi” concernenti le droghe pesanti” e con la reclusione da 6 mesi a 4 anni i fatti lievi relativi alle droghe leggere. Nel 2005 viene modificata la cornice sanzionatoria dell’ipotesi base che, in relazione al minimo edittale, prevede pena la reclusione di anni 6. Viene inoltre soppressa la distinzione sul tipo di sostanza impiegata, se leggera o pesante soppressione che viene meno con la dichiarazione di incostituzionalità n. 32 del 2014 con cui, pertanto, torna in vigore l’originaria formulazione del primo comma che prevedeva un minimo edittale pari ad 8 anni. Nello stesso anno, si abbassa ulteriormente la forbice edittale dell’ipotesi di cui al comma quinto, nel frattempo divenuta un’autonoma ipotesi di reato, che va da 6 mesi ad un massimo di 4 anni di reclusione. Dichiarazione di incostituzionalità della cornice edittale e rideterminazione della pena. Risultato dell’avvicendarsi di tutte queste modifiche normative è stato il profondo divario sanzionatorio creatosi tra il primo comma ed il quinto comma dell’art. 73. Il minimo edittale previsto per l’ipotesi ordinaria, difatti, era divenuto pari al doppio del massimo previsto per l’ipotesi lieve. Ciò ha dato vita ad una serie di censure di incostituzionalità della norma, in particolare sul contrasto tra il regime sanzionatorio di cui è connotata la disposizione ed il principio di proporzionalità tra reato e pena. Tali censure sono state infine accolte dal Giudice delle Leggi che, con sentenza n. 40 del 2019, dichiara illegittimo il minimo edittale reclusione di 8 anni previsto per il delitto di cui al primo comma dell’art. 73 che dovrà sostituirsi quello, più mite, di 6 anni. All’indomani della pronuncia di costituzionalità si pone la necessità di modificare le sentenze passate in giudicato, ma non ancora eseguite, la cui pena sia stata commisurata sulla base del quadro edittale dichiarato incostituzionale. La questione maggiormente rilevante, oggetto anche della sentenza che ci si accinge a commentare, è quando la pena possa definirsi illegale e se debbano essere oggetto di incidente di esecuzione solo le sentenze che hanno commisurato una pena non rientrante nella cornice edittale così come modificata dalla dichiarazione di incostituzionalità o se vi possano rientrare anche quelle ipotesi in cui la pena in concreto inflitta rientri altresì nella nuova formulazione vigente. Obbligo assoluto di rideterminazione del trattamento sanzionatorio. Nel caso di specie, il ricorrente impugnava l’ordinanza del GIP che, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato la richiesta di rideterminazione della pena osservando che la sanzione concretamente inflitta fosse rimasta congrua anche alla nuova cornice edittale risultante dalla dichiarazione di incostituzionalità. Il Supremo Consesso, ribadendo dei principi di diritto già enunciati sul tema, ritiene che sia illegittima, poiché contraria al principio di proporzionalità, la pena comminata sulla base di una cornice edittale prevista da una norma dichiarata incostituzionale. Ne discende che il giudice dell’esecuzione non può esaurire il suo compito confermando la pena già inflitta, poiché rientrante tanto nei limiti edittali della vecchia norma tanto in quelli della nuova, ma dovrà operare una necessaria riduzione della pena in concreto in misura discrezionale in base alle caratteristiche del fatto.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 30 ottobre 2019 – 10 gennaio 2020, n. 595 Presidente Di Tommasi – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza resa in data 29.4.2019 dep. 8.5.2019 , il G.I.P. del Tribunale di Piacenza, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta nell’interesse di E.O.A. , volta ad ottenere, alla luce della decisione n. 40/2019 della Corte Costituzionale, la rideterminazione in termini più favorevoli della pena di tre anni di reclusione e 8.000,00 Euro di multa, applicatagli con la sentenza n. 92/2017 emessa in data 1.3.2017 ex art. 444 c.p.p. dallo stesso Giudice, divenuta irrevocabile il 28.9.2017, in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1. La pena come sopra determinata era stata applicata in aumento sulla pena di due anni di reclusione e 8.000,00 Euro di multa, già inflitta con precedente sentenza per analogo reato. 1.1. Preso atto del mancato raggiungimento di un nuovo accordo fra le parti per la rideterminazione della pena all’udienza fissata ai sensi degli artt. 666 e 188 disp. att. c.p.p., il giudice dell’esecuzione a fondamento della decisione reiettiva osservava che si era in presenza, nel caso concreto, di un trattamento sanzionatorio tuttora adeguato, anche in base alla nuova cornice edittale, alla gravità del fatto per la continuità e sistematicità dello smercio di stupefacenti, gestito in forma organizzata, nonché per il dato ponderale della droga e alla personalità del condannato ex art. 133 c.p 2. Ricorre per cassazione l’interessato col patrocinio del difensore, denunciando violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, per quanto si passa ad esporre. 1.1. La questione da affrontare trae origine dalla recente declaratoria di illegittimità costituzionale del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, di cui alla sentenza n. 40 del 23/1/2019 in G.U. del 13/3/2019 , in riferimento al minimo edittale di otto anni di reclusione, ripristinato per effetto della precedente decisione della Corte costituzionale n. 32 del 25/2/2014. Con tale decisione n. 32/2014 si era, infatti, determinata la reviviscenza del testo normativo in vigore antecedentemente alla modifica introdotta dal D.L. n. 272 del 2005, art. 4-bis, comma 1, lett. b, convertito con mod. nella L. n. 49 del 2006, con restaurazione, per le condotte relative a detenzione e cessione di droghe cd. pesanti, del trattamento minimo di otto anni di reclusione, soglia che la Corte costituzionale ha, oggi, dichiarato illegittima, facendo, così, tornare in vigore il limite minimo di sei anni. Pur consapevole del mutamento dei parametri normativi di riferimento, conseguenti all’ultima pronuncia del giudice costituzionale, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto di dover in concreto confermare la legalità e la congruità della sanzione detentiva come stabilita nella sentenza di condanna passata in giudicato. 1.2. La soluzione così offerta si discosta dagli orientamenti espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte, che a partire dalla sentenza n. 42858 del 29/5/2014, P.M. in proc. Gatto, Rv. 260697 hanno tracciato le linee ermeneutiche fondamentali per la comprensione della tematica devoluta dal ricorso, enunciando, fra gli altri, il fondamentale principio in base al quale, quando, a seguito di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non sia stato interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato. Con la richiamata decisione, che si innesta su un percorso interpretativo già segnato da precedenti pronunce Sez. U., n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano, Rv. 258650 Sez. U., n. 4687 del 20/12/2005, Catanzaro, Rv. 232610 , il Supremo Consesso ha affermato che, in linea di principio, l’efficacia del giudicato penale nasce, invero, dalla necessità di certezza e stabilità giuridica, propria della funzione tipica del giudizio, ma anche dall’esigenza di porre un limite all’intervento dello Stato nella sfera della libertà individuale del soggetto, sicché si esprime, essenzialmente, nel divieto di bis in idem , e non implica l’immodificabilità in assoluto del trattamento sanzionatorio stabilito con la sentenza irrevocabile di condanna nei casi in cui la pena debba subire modificazioni necessarie imposte dal sistema a tutela dei diritti primari della persona Sez U, n. 42858/2014 cit., Rv. 260696 v. anche Corte Cost. sentenze n. 115 del 1987, n. 267 del 1987, n. 282 del 1989 . Proprio in virtù del principio di relativa flessibilità del giudicato, questo non esplica, quindi, efficacia assoluta e totalmente preclusiva, come dimostrato dalla previsione legislativa di plurimi strumenti che consentono al giudice dell’esecuzione di operare interventi integrativi o modificativi delle statuizioni già divenute definitive, primo fra tutti la possibilità di revoca della sentenza di condanna di cui all’art. 673 c.p.p Sempre con la sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno, poi, affrontato il tema della distinzione ontologica tra declaratoria di incostituzionalità della norma penale ed ordinario intervento legislativo abrogativo, giustificato da mutata considerazione delle finalità da perseguire con le disposizionì penali, evidenziando che, nel primo caso, la pronuncia di illegittimità costituzionale travolge sin dall’origine la norma scrutinata secondo un fenomeno diverso da quello dell’abrogazione, che limita l’efficacia della sua applicazione a fatti verificatisi sino ad un certo limite temporale, potendo dar luogo a successione di leggi nel tempo in relazione alla diversa regolamentazione della stessa materia introdotta Sez. U, n. 42858/2014 cit., Rv. 260695 . Pertanto, nella prima situazione, poiché la norma incostituzionale viene espunta dall’ordinamento proprio perché affetta da invalidità originaria , sorge l’obbligo per i giudici avanti ai quali si invocano le norme dichiarate incostituzionali di non applicarle, obbligo vincolante anche quando il contrasto con i valori costituzionali sia riscontrato in disposizione di legge penale sostanziale incidente soltanto sulla pena, così divenuta illegale nella sua misura, sebbene irrogata a punizione di un fatto di immodificata illiceità penale. Da tanto discende che tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti da una sentenza penale di condanna fondata, sia pure in parte, sulla norma dichiarata incostituzionale devono essere rimossi dall’universo giuridico, ovviamente nei limiti in cui ciò sia possibile, non potendo essere eliminati gli effetti irreversibili perché già compiuti e del tutto consumati . In tal modo, in aderenza al disposto della L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4, secondo il quale, quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali, si è precisato, da un lato, che l’omesso inserimento nel testo dell’art. 673 c.p.p. del caso di declaratoria di incostituzionalità di norma penale relativa al solo trattamento sanzionatorio non impedisce un intervento di adeguamento da parte del giudice dell’esecuzione, dall’altro, che la rilevanza della pronunzia di incostituzionalità della disposizione sulla pena incontra il limite dell’esaurimento del rapporto esecutivo. 1.3. Tali principi hanno ricevuto ulteriore precisazione per effetto di un successivo intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, indotto dalla citata sentenza di illegittimità costituzionale n. 32 del 2014 in tema di droghe cd. leggere . Con la sentenza n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264205, nell’affrontare questione parzialmente sovrapponibile a quella che caratterizza la presente vicenda, si è stabilito che È illegale la pena determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato, per le droghe cosiddette leggere , sui limiti edittali del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 come modificato dalla L. n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014, anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità in tal senso, in precedenza, anche Sez. 1, n. 52981 del 18/11/2014, De Simone, Rv. 261688 Sez. 1, n. 53019 del 4/12/2014, Schettino, Rv. 261581 . 1.3.1. L’intervento nomofilattico della Suprema Corte nella sua composizione più autorevole ha risolto anche il nodo problematico riguardante le modalità di realizzazione in fase esecutiva dell’adeguamento del trattamento al diverso parametro di commisurazione della sanzione. A tal proposito, si è negata validità al criterio oggettivo di tipo matematico-proporzionale di trasposizione automatica della pena già quantificata in sede di cognizione nell’ambito della diversa previsione edittale Sez. 1, n. 51844 del 25/11/2014, Riva, Rv. 261331 Sez. 1, n. 52980 del 18/11/2014, Cassia, non massimata si tratta in effetti di indirizzo del tutto minoritario e sconfessato sia dalle Sezioni Unite che dalle successive pronunce delle sezioni semplici, pronunce che, seppur riferite a fattispecie concrete attinenti a droghe leggere, mantengono inalterata validità anche per le situazioni come quella presente, in cui la sanzione è stata individuata, confermando pena base che era stata stabilita in forza di una soglia punitiva minima oggi non più in vigore Sez. 1, n. 49935 del 28/10/2015, P.M. in proc. Martoccia, Rv. 265697 Sez. 1, n. 5199 del 24/11/2015, dep. 2016, P.M. in proc. Vitali, Rv. 266137 in motivazione Sez. 2, n. 29431 dell’8/5/2018, Puglisi, Rv. 273809 . 1.3.1.1. Con la sentenza n. 37107 del 26/2/2015, Marcon, Rv. 264858, le Sezioni Unite hanno ribadito l’inutilizzabilità del criterio proporzionale o aritmetico, confermando la possibilità per il giudice dell’esecuzione di apprezzare in via discrezionale la congruità della pena, alla stregua dei parametri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., onde verificarne la funzionalità alla rieducazione del soggetto che vi debba essere sottoposto ai sensi dell’art. 27 Cost In quella decisione si è, testualmente, affermato deve escludersi che la rideterminazione della pena da parte del giudice dell’esecuzione possa avvenire in base al criterio matematico-proporzionale, realizzando una sorta di automatismo nell’individuazione della sanzione nel tentativo di replicare le medesime scelte operate nell’originario accordo intervenuto tra le parti. Il giudice dovrà invece procedere alla rideterminazione della pena utilizzando i criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., secondo i canoni dell’adeguatezza e della proporzionalità che tengano conto della nuova perimetrazione edittale se è vero che devono essere scartati criteri ispirati a irragionevoli automatismi, e che il giudice non è vincolato a rideterminare la pena partendo dal nuovo minimo edittale due anni di reclusione ed Euro 5.164 nei casi in cui la pena patteggiata originariamente partiva dal minimo edittale previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 come modificato dalla L. n. 49 del 2006 sei anni ed Euro 26.000 , allo stesso modo deve escludersi che per lo stesso fatto, inquadrato nei nuovi limiti edittali scaturiti dalla dichiarazione di incostituzionalità, il giudice possa operare la rideterminazione partendo dalla stessa pena-base individuata in origine, troppo distanti essendo gli orizzonti delle comminatorie edittali previste dell’art. 73 cit. prima e dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, non potendosi considerare di massima gravità lo stesso fatto, per il quale, in precedenza, era stata applicata la pena base minima, se non a costo di realizzare una vera e propria elusione della modifica della pena illegale, che verrebbe di fatto confermata. La sensibile differenza delle cornici edittali impone risposte sanzionatorie differenti ed individualizzate . 1.4. Ebbene, ad avviso del Collegio, non si rinvengono argomenti per approdare ad esiti differenti quando l’operazione di riqualificazione sanzionatoria debba essere compiuta per fatti riguardanti sostanze stupefacenti di tipo pesante a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, contenuta nella sentenza n. 40/2019, quanto al solo limite minimo previsto per la reclusione. Invero, l’esclusione da parte delle Sezioni Unite del ricorso a criteri automatici di quantificazione del trattamento punitivo in fase esecutiva non è stata giustificata solo in dipendenza della riconosciuta illegittimità costituzionale dell’intero paradigma normativo, comprensivo sia del limite minimo, che di quello massimo, ma in ragione della necessità di raggiungere soluzioni differenziate ed aderenti al caso specifico e di evitare che permanga in esecuzione un trattamento illegale. Tale esigenza non viene meno solo perché la declaratoria d’incostituzionalità ha colpito la soglia punitiva minima di otto anni di reclusione, sostituita con quella di sei anni. Anche con riferimento a tale parametro, se, come affermato dalle richiamate pronunce, i limiti edittali previsti in via generale ed astratta esprimono la valutazione di disvalore del fatto incriminato compiuta dal legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità, la pena che sia stata stabilita dal giudice in concreto in riferimento a quegli estremi costituisce misura del giudizio di responsabilità per un determinato fatto illecito, sicché, se la previsione che costituisce il termine di riferimento viene eliminata perché incostituzionale, anche la pena già inflitta sulla scorta di tale elemento normativo deve essere riconsiderata per assicurare il rispetto del principio di proporzionalità, ossia della necessaria correlazione tra risposta punitiva e condotta offensiva come delineata dall’ordinamento. Il mantenimento della medesima sanzione finisce, al contrario, per rivelare una sproporzione per eccesso rispetto al giudizio di gravità espresso dal legislatore, compromettendo l’assolvimento della sua funzione rieducativa. La conclusione raggiunta, secondo cui deve escludersi che possa essere conservata, in quanto legittima, sotto il profilo del principio costituzionale di proporzione tra offesa e pena, la pena determinata in relazione ad una cornice edittale prevista da una norma dichiarata incostituzionale e, quindi, inesistente sin dalla sua origine Sez. U., Jazouli, citata , va, quindi, confermata e ribadita. Ne discende che il giudice dell’esecuzione non può esaurire il proprio compito delibativo mediante il giudizio confermativo della pena già inflitta, perché rientrante nell’ambito, sia della forbice punitiva della norma precedente, sia di quella attualmente vigente, ma deve rinnovare la valutazione sanzionatoria in concreto con una necessaria riduzione della pena stessa, anche se non in misura predeterminata o assoluta, ma stabilita in via discrezionale in base alle caratteristiche del caso, da giustificare con congrua motivazione. 2. Nel caso di specie, l’operazione delibativa compiuta dal giudice dell’esecuzione per negare la richiesta nuova quantificazione della pena si è basata sulla continuità e sistematicità dello spaccio, nonché sul dato ponderale della droga smerciata, per cui egli ha stimato congrui il calcolo e l’esito finale esposti nella sentenza passata in giudicato. Non si è avveduto del mutamento del parametro legale di valutazione e della necessità, nei termini già esposti, di rinnovare il giudizio di adeguatezza e proporzione tra il fatto in tutte le sue componenti e la punizione edittale, attività che, senza dover rispettare vincoli di tipo proporzionalistico ed in piena libertà cognitiva, avrebbe dovuto compiere in ossequio ai criteri dettati dagli artt. 132 e 133 c.p La situazione sottoposta al vaglio del giudice dell’esecuzione era, poi, resa più complessa dall’avvenuto riconoscimento, già in sede di cognizione, della continuazione con i reati di omologa natura oggetto della sentenza di condanna alla pena di anni due di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa emessa dal G.U.P. di Piacenza il 30.11.2016. Atteso che, per quanto emerso dal provvedimento impugnato, l’applicazione della pena più elevata di tre anni inflitta con la sentenza di cui si discute è stata aggiunta, apparentemente secondo l’anomalo criterio del cumulo materiale, a quella inferiore, precedentemente inflitta di due anni , e che nessun tipo di giustificazione è stato addotto dal giudice dell’esecuzione sul punto, la lacuna motivazionale rilevata impone l’annullamento dell’ordinanza con rinvio al giudice a quo perché, in primo luogo, verifichi se, ancorché implicitamente, il Giudice della cognizione che ha applicato la pena maggiore di tre anni di reclusione non abbia inteso qualificare i fatti nell’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, il che renderebbe inapplicabile, nel caso di specie, la sentenza della Corte Costituzionale n. 40/2019. In caso contrario, il Giudice del rinvio, nella ponderazione della lesività della condotta, a fronte del mutato paradigma sanzionatorio nell’incriminazione da otto anni a sei anni di reclusione , dovrà procedere a una riduzione necessaria della pena stessa con eventuale nuova individuazione del reato-base e dei reati-satellite , tenendo presente che la modifica operata attraverso un intervento sul minimo edittale non avrebbe permesso di giudicare congrua una sanzione che era stata ritenuta tale e adeguata quando la soglia della previsione punitiva per quel fatto era, nel minimo, decisamente più alta otto anni di reclusione . 3. Alla luce di quanto premesso, va disposto, nei termini sopra precisati, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Piacenza per nuovo esame. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al G.I.P. del Tribunale di Piacenza.