Notifiche all’imputato detenuto: rimessa la questione alle Sezioni Unite

L’esistenza del contrasto interpretativo sull’ambito di applicazione degli artt. 156 e 161 c.p.p. impone la rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulla seguente questione se la notifica del decreto di giudizio immediato all’imputato detenuto che abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia debba essere effettuata ex art. 156, comma 1, c.p.p. o presso il domicilio eletto.

Così l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 50429/19, depositata in data 13 dicembre. Il caso. Con ricorso articolato in tredici motivi, veniva impugnata la sentenza della Corte d’Appello di Roma, con la quale era stata confermata la condanna alla pena di dieci anni di reclusione comminata all’imputato dal Tribunale di Tivoli. In particolare, con il secondo motivo di doglianza, la difesa dell’imputato lamentava il vizio di violazione degli artt. 156, comma 1 e 179, comma 1, c.p.p., eccependo che il decreto di giudizio immediato era stato notificato all’imputato in stato di detenzione per i fatti di cui è processo presso il domicilio eletto ex art. 161 c.p.p., in violazione dell’art. 156, comma 1, c.p.p. la Corte d’Appello avrebbe dunque errato nel ritenere corretta la suddetta notifica. Due orientamenti giurisprudenziali. La Terza Sezione Penale ha rilevato come, con riguardo alla suddetta questione di diritto, vi sia un contrasto giurisprudenziale per la presenza di due diversi orientamenti circa l’ambito di applicazione dell’art. 156 c.p.p e dell’art. 161 c.p.p. anche all’imputato detenuto per i fatti di cui è processo. Il primo, in merito al quale il Supremo Collegio richiama la sentenza n. 18628/2015 El Cherquoi, sancisce come la notifica del decreto di citazione all’imputato detenuto debba avvenire nel luogo di detenzione, anche quando la causa di restrizione sia diversa dal procedimento in corso cui si riferisce la notifica e vi sia stata una precedente elezione di domicilio mai revocata, in quanto l’ufficio procedente è tenuto ad effettuare previe ricerche con riguardo allo status libertatis alla data della notifica. Il secondo, invece, ritiene valida la notifica eseguita presso il domicilio eletto dall’imputato detenuto e non presso il luogo di detenzione noto all’autorità procedente. atteso che anche l’imputato detenuto ha facoltà di dichiarare o eleggere domicilio ex art. 161 c.p.p., avendo quest’ultimo natura di dichiarazione di volontà a carattere negozial-processuale e dunque superabile solo in forza di un atto formale di revoca e non in ragione di elementi fattuali. La Terza Sezione allineata alla sentenza El Cherquoi. Gli Ermellini, nell’ordinanza in commento, prendendo atto del contrasto interpretativo che impone la rimessione della questione alle Sezioni Unite, ritengono di dover condividere i principi sanciti nella sentenza El Cherquoi, per cui è nulla la notificazione effettuata presso il domicilio dichiarato o eletto dall’imputato detenuto, il cui sopravvenuto stato di detenzione sia noto al giudice procedente. Precisa infatti il Supremo Collegio come l’art. 156 c.p.p. abbia una valenza di carattere generale, distinguendo le notifiche da effettuarsi all’imputato detenuto da quelle da eseguirsi all’imputato non detenuto peraltro, il quarto comma della norma in parola estende l’applicazione della medesima anche all’imputato detenuto per causa diversa dal procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione, quando risulti tale causa di diversa detenzione. L’iter argomentativo prosegue poi considerando come anche la rubrica dell’art. 157 c.p.p. ribadisca la distinzione tra il procedimento di notificazione all’imputato non detenuto da quello al detenuto, riferendosi poi all’eccezione alla regola generale della consegna a mani proprie - in quanto nel domicilio eletto è possibile la consegna a persona diversa, senza procedere ad ulteriori ricerche -, che non equivale, si badi alla possibilità di estendere le notifiche ex artt. 161 e 162 c.p.p. al detenuto. Gli obblighi imposti dal primo comma dell’art. 161 c.p.p., inoltre, non avrebbero senso nei confronti del detenuto, in quanto la reperibilità di quest’ultimo è ex actis . Lo stato di detenzione non costituisce, poi, un volontario mutamento di domicilio o residenza, dal quale, dunque, non possono conseguire gli effetti sanzionatori derivanti dall’omessa comunicazione del mutamento ai sensi dell’art. 161 c.p.p. medesimo ne discende, quindi, che lo stato di detenzione, trattandosi di effetto legale dell’esecuzione del provvedimento dell’autorità giudiziaria, determina la necessaria applicazione dell’art. 156 c.p.p Conclude infine la Corte precisando come, ad ulteriore sostegno della tesi della sentenza El Cherquoi, il terzo comma dell’art. 161 c.p.p. imponga che l’imputato o l’indagato detenuto che deve essere scarcerato per causa diversa dal proscioglimento abbia l’obbligo di fare la dichiarazione o l’elezione di domicilio tale obbligo non avrebbe alcuna ragione d’esistere se avesse ancora effetto una dichiarazione effettuata in epoca precedente alla restrizione, ad ulteriore conferma del fatto che la detenzione, anche se sopravvenuta, rende applicabile esclusivamente l’art. 156 c.p.p Tale orientamento risulta, a parere di chi scrive, pienamente espressivo della tutela del diritto di difesa, con specifico riguardo alla possibilità di accedere ai riti alternativi, esercitabili, ricordiamo, solo dall’imputato personalmente o per mezzo del procuratore speciale. Restiamo dunque in attesa del responso delle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, ordinanza 28 novembre – 13 dicembre 2019, n. 50429 Presidente Izzo – Relatore Semeraro Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza del 4 giugno 2019 la Corte di appello di Roma ha confermato la condanna alla pena di 10 anni di reclusione inflitta dal Tribunale di Tivoli il 5 aprile 2014 a S.D. per i reati ex art. 609-bis commessi ai danni di B.S. nata il omissis , in omissis capo a , ed ex art. 609-bis c.p. e art. 609-ter c.p., comma 1, n. 1 commessi ai danni di E.M. nata il omissis in omissis capo b . I reati sono stati commessi, secondo la Corte di appello, sia con violenza che con abuso dell’autorità derivante dalla supremazia morale esercitata dall’imputato quale capo spirituale e carismatico della comunità omissis . 2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione il difensore di S.D. . 2.1. Con il primo motivo si deduce ex art. 606 c.p.p., lett. c il vizio di violazione di legge eccependo la nullità della sentenza per l’inosservanza dell’art. 139 c.p.p., comma 6. Nel giudizio di appello i difensori chiesero la copia delle fonoregistrazioni relative al primo grado risulterebbe dal verbale dell’udienza che non sarebbe stata consegnata alla difesa la fonoregistrazione dell’udienza del 13 aprile 2012, nella quale fu esaminato l’operante di polizia giudiziaria che condusse le indagini di conseguenza la difesa eccepì la nullità di ordine generale, per violazione del diritto della difesa di ascoltare le fonoregistrazioni dell’udienze di primo grado per verificare la correttezza della trasposizione nel verbale dattiloscritto. Sussisterebbe la nullità perché l’art. 139 c.p.p., comma 6 dispone che le registrazioni fonografiche sono unite agli atti del processo la finalità sarebbe quella di consentire alle parti l’ascolto diretto della fonoregistrazione e di controllare la regolarità della trascrizione sarebbe quindi stato inibito un diritto della difesa, compreso quello di richiedere il riascolto delle fonoregistrazioni delle udienze dibattimentali. 2.2. Con il secondo motivo, ex art. 606 c.p.p., lett. c ed e , si deduce il vizio di violazione dell’art. 156 c.p.p., comma 1 e art. 179 c.p.p., comma 1. Si eccepisce che il decreto di giudizio immediato fu notificato all’imputato, in stato di detenzione per i fatti di cui è processo, come risulterebbe dal certificato del D.a.p. a pagina 79 del fascicolo del pubblico ministero, presso il domicilio eletto ex art. 161 c.p.p., in violazione dell’art. 156 c.p.p., comma 1. La Corte di appello avrebbe errato anche nel ritenere corretta la notifica effettuata presso il difensore, mentre il domicilio eletto era in omissis , come risulterebbe dallo stesso documento del D.a.p Inoltre, la rinuncia alla notifica per l’imputato, apposta sulla citazione, sarebbe priva di autentificazione del soggetto dichiarante, nè risulta conferita la procura speciale dall’imputato in tal senso, posto che neanche il difensore può rinunciare alla notifica per il suo assistito. La notifica del decreto di giudizio immediato sarebbe stata dunque omessa, con conseguente nullità assoluta ed insanabile. 2.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio di violazione di legge eccependo l’inutilizzabilità degli incidenti probatori del 26 aprile 2010, della consulenza tecnica del pubblico ministero sulle condizioni fisiche dell’imputato del 1 giugno 2010, dell’accertamento del materiale biologico consegnati dalle minori del 27 maggio 2010, perché compiuti dopo il termine di 90 giorni dalla iscrizione della notizia di reato avvenuta il 30 luglio 2009 ed essendo stata esercitata l’azione penale con richiesta di giudizio immediato. Sul punto si richiama la sentenza di Sez. 3 N. 41777 del 2013. La corte territoriale avrebbe affermato erroneamente che il termine di 90 giorni era perentorio ma limitato solo agli atti di indagine costituenti evidenza della prova erroneamente la corte di appello avrebbe ritenuto tardiva l’eccezione perché l’eccezione proposta riguardava l’inutilizzabilità degli atti e non, come ritenuto dalla corte territoriale, una questione relativa alla formazione del fascicolo per il dibattimento. 2.4. Con il quarto motivo si deducono i vizi di violazione dell’art. 234 c.p.p. e artt. 15 e 24 Cost. e della motivazione per l’omessa risposta ai motivi di appello con cui si contestò l’acquisizione, quali documenti, di alcune conversazioni tra presenti, senza che fosse stato sottoposto a sequestro il telefono cellulare utilizzato per la registrazione, senza alcuna garanzia sulla genuinità dei file. Le intercettazioni dei colloqui sarebbero state eseguite, per altro alla presenza dell’agente di polizia giudiziaria, dalle persone offese, mediante un apparecchio fornito dalla polizia giudiziaria e sarebbero quindi inutilizzabili in assenza di decreto di autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Sarebbe mancata la risposta anche quanto all’utilizzabilità degli sms, che in realtà sarebbero delle foto degli stessi, senza alcuna garanzia di corrispondenza all’originale o all’epoca di emissione e di lettura e di genuinità. 2.4. Con il quarto motivo si deducono i vizi di violazione degli artt. 465, 467 e 468 c.p.p. e art. 125 c.p.p., comma 3, art. 111 Cost., comma 6 e della motivazione per l’omessa risposta ai motivi quarto ed undicesimo dell’appello. Con il quarto motivo di appello si eccepì la nullità dell’ordinanza del Tribunale di Tivoli con la quale, all’udienza del 17 novembre 2010, senza alcuna motivazione, il Tribunale non ammise la testimonianza delle consulenti tecniche della difesa, dottoresse S. e C. , che avevano partecipato all’incidente probatorio. Tale ordinanza avrebbe violato i poteri attribuiti al giudice del dibattimento dagli art. 465, 467 e 468 c.p.p. ed il diritto di difendersi provando. Si deduce poi l’omessa risposta al motivo di appello con cui si impugnò il rigetto della richiesta dell’imputato di procedere all’accertamento della capacità a testimoniare delle minori, accertamento che deve precedere la loro audizione secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione sul punto. 2.6. Con il sesto motivo si deducono l’inosservanza dell’art. 192 c.p.p., comma 2 ed il vizio della motivazione, anche per travisamento della prova si contesta la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’assenza delle tracce biologiche sui capi intimi, sulle lenzuola e sulle federe consegnate dalle persone offese alla polizia giudiziaria, fosse giustificata dalla loro degradabilità, senza che tale affermazione sia confortata da elementi di prova scientifici ed in contrasto con gli accertamenti irripetibili di polizia scientifica e la relazione del prof. P.V. , genetista e consulente tecnico della difesa. La Corte di appello avrebbe ignorato l’assenza di d.n.a. del ricorrente sui pigiami delle minori, la presenza del d.n.a. maschile non riconducibile all’imputato sul pigiama di M. , l’assenza sulle lenzuola di tracce di interesse, il rinvenimento del d.n.a. femminile diverso da quello delle denuncianti, mentre il rinvenimento delle tracce biologiche del ricorrente e delle minori sul solo copriletto sarebbe spiegabile con l’uso promiscuo della stanza. Nel motivo si indicano le fonti di prova a sostegno. La Corte di appello non avrebbe risposto al motivo di appello con il quale si rilevò l’assenza di d.n.a. sui cuscini e la rilevanza sull’attendibilità delle minori, posto che le stesse dichiararono che mordevano i cuscini nel corso delle violenze. 2.7. Con il settimo motivo si deducono la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 178 c.p.p., lett. c , ed il vizio della motivazione quanto all’ottavo motivo di appello, con il quale si impugnò la sentenza di primo grado per non aver tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute dell’imputato, affetto da impotenza oerigendi e da un quadro di importante deficit erettile su base arteriosa in paziente affetto da diabete mellito, che lo avrebbero reso non in grado di commettere le condotte ascritte. La decisione della Corte di appello si fonderebbe sulla consulenza tecnica del pubblico ministero che però sarebbe stata redatta da un medico-legale che non visitò il ricorrente e non era uno specialista in urologia non sarebbero state valutate le prove scientifiche prodotte dalla difesa fra cui le relazioni degli specialisti ed i relativi esami testimoniali. Le condizioni di salute descritte dai consulenti tecnici della difesa e di parte civile, essendo per altro croniche, e dai testi M.Z. e dalla signora Sc. , non sarebbero in ogni caso compatibili con il racconto delle persone offese, sia quanto alla durata dei rapporti che ad alcune tipologie, neanche con l’uso di farmaci con punture intra cavernose. La sentenza sul punto si sarebbe limitata ad osservazioni di tipo personale, senza riscontro negli atti, come quelle sulla natura dei rapporti che avrebbe preferito il ricorrente. 2.8. Con l’ottavo motivo si deducono la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 178 c.p.p., lett. c e art. 111 Cost., comma 6, e la mancanza di motivazione sul nono motivo di appello con il quale si impugnò la sentenza di primo grado quanto alle modalità di assunzione delle testimonianze delle persone offese, escusse a sommarie informazioni una pluralità di volte, senza procedere alla registrazione audio o video, rendendo così inutile l’incidente probatorio, con conseguente loro inattendibilità. Con il motivo di appello si rilevò che le minori resero dichiarazioni in presenza delle madri, che intervennero in chiave accusatoria che furono accompagnate dalla polizia giudiziaria da più adulti che presentarono una querela contro il ricorrente, costituendosi parte civile nel processo all’esito del quale poi il ricorrente è stato assolto. La documentazione integrale delle dichiarazioni delle minori costituisce una garanzia sulla genuinità della prova, posto che le minori sono state indotte a registrare i colloqui con il ricorrente. La Corte di appello non avrebbe motivato sull’esistenza di tali fattori di inquinamento delle dichiarazioni delle minori, del tutto violative dei principi stabiliti dalla Carta di Noto ed incidenti sulla attendibilità delle minori. 2.9. Con il nono motivo si deducono la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 178 c.p.p., lett. c , art. 111 Cost., comma 6, e la mancanza di motivazione sul sesto motivo di appello con il quale si impugnò la sentenza di primo grado quanto all’attendibilità della ricostruzione operata dalle minori, in relazione al luogo in cui sarebbero avvenuti i fatti in una cameretta attigua alla stanza da letto dei coniugi R. -Ro. , conduttori dell’immobile, separata da una sottile parete divisoria, con la loro presenza nell’appartamento o nella villetta di omissis nel silenzio, e senza valutare la deposizione della teste P.G. , le cui dichiarazioni sono sintetizzate nel ricorso. 2.10. Con il decimo motivo si deducono la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 178 c.p.p., lett. c , art. 111 Cost., comma 6, e la mancanza di motivazione sul settimo motivo di appello con il quale si impugnò la sentenza di primo grado quanto all’omesso esame degli accertamenti del consulente tecnico Pa.Au. da cui emergerebbe che la sera di omissis il ricorrente non si recò in omissis , in contrasto con le dichiarazioni delle due persone offese, avendo il suo cellulare sempre impegnato la cella in cui si trova la sua abitazione di Roma. 2.11. Con l’undicesimo motivo si deducono la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 178 c.p.p., lett. c e art. 111 Cost., comma 6, e la mancanza di motivazione sull’undicesimo e sul dodicesimo motivo di appello con il quale si impugnò la sentenza di primo grado quanto alla genesi delle denunce, presentate dalle minori dopo che il ricorrente le allontanò dalla comunità per il loro comportamento, in relazione al contenuto sul punto delle dichiarazioni rese dalle persone offese nell’incidente probatorio, ed in concomitanza con le denunce presentate da altri facenti parte della comunità, fra cui le madri delle minori. Le dichiarazioni delle minori sarebbero state verbalizzate insieme a quelle delle loro madri. Tali circostanze di fatto, dedotte con l’appello, non sarebbero state valutate in relazione all’attendibilità delle persone offese. Si ribadisce l’assenza delle registrazioni delle sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria dalle minori mancherebbe la motivazione sulla contaminazione delle fonti di accusa. Non sarebbero state poi valutate le testimonianze sulla propensione delle minori a denunciare episodi a sfondo sessuale del dottor Bi. , preside del liceo frequentato dalle minori, all’udienza del 28 febbraio 2014 - la denuncia delle due minori contro il bibliotecario dell’istituto fu archiviata perché infondata - e della teste Ro. . Si rileva poi il contrasto nelle dichiarazioni della persona offesa E.A. , che da un lato ha riferito di non aver sentito dolore durante i rapporti, dall’altro di aver mozzicato i cuscini durante i rapporti. Vi sarebbero poi state domande suggestive del perito. 2.12. Con il dodicesimo motivo si deducono la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 178 c.p.p., lett. c e art. 111 Cost., comma 6, e la mancanza di motivazione sul tredicesimo motivo di appello con il quale si impugnò la sentenza di primo grado quanto all’omessa valutazione dei profili soggettivi del ricorrente, persona incensurata, che avrebbe ricevuto encomi e riconoscimenti, che sarebbero stati documentalmente provati, per l’attività da lui svolta, come testimoniato anche da Pi.Li. , appartenente alla Polizia di Stato. Non sarebbero state valutate le sentenze di assoluzione prodotte ed in particolare quella del Tribunale di Roma, confermata in appello, dall’accusa di associazione per delinquere e truffa, che eliminerebbe il carattere di setta adoperato per sostenere il predominio psicologico del ricorrente sulle persone offese. La Corte di appello avrebbe omesso la valutazione di tale sentenza, incidente sulla ratio della decisione per le ragioni esposte. 2.13. Con il tredicesimo motivo si deducono i vizi di violazione degli artt. 62-bis, 81 e 133 c.p. e della motivazione quanto al trattamento sanzionatorio. Non sarebbero stati valutati, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la storia dell’associazione e quella personale del ricorrente, la sua incensuratezza, il comportamento collaborativo, le condizioni di salute. Sarebbe priva di motivazione la dosimetria della pena, anche quanto agli aumenti per la continuazione, non essendo stata chiarita la durata nel tempo delle condotte nè le modalità di realizzazione. 2.14. È stata depositata il 13 novembre 2019 una memoria a sostegno del primo motivo di ricorso, della questione relativa al mancato espletamento di una perizia psicodiagnostica sulle minori, sul quarto motivo, e con la quale si eccepisce la prescrizione di alcuni reati, tenuto conto dell’epoca dei reati. Considerato in diritto 1. Va preliminarmente affrontato il secondo motivo di ricorso, relativo alla questione preliminare della regolare costituzione del rapporto processuale. 1.1. Per quanto qui interessa, dagli atti risulta che il 17 marzo 2010, alle ore 1.30, nel verbale di esecuzione dell’ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere, S.D. ha confermato la nomina quale suo difensore di fiducia dell’avv. Dario Masini ed ha eletto domicilio presso lo studio di quest’ultimo. Sempre il 17 marzo 2010, alle ore 1.30, risulta redatto il verbale di elezione di domicilio ex artt. 161, 349, 369 e 369-bis c.p.p., ha confermato l’elezione di domicilio presso il difensore di fiducia Avv. Dario Masini. 1.2. Risulta altresì che il decreto di giudizio immediato del 3 agosto 2010 non è stato spedito per la notifica, non risultando nè l’imputato nè il suo difensore dall’atto del 1 settembre 2010 con il quale la cancelleria ha inviato il decreto per la notifica agli ufficiali giudiziali. Il decreto di giudizio immediato è stato direttamente notificato a mani dell’avv. Dario Masini, presumibilmente nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari l’avv. Dario Masini ha apposto sul decreto di giudizio immediato la frase per presa visione e rinuncia alla notifica per l’avv. Dario Masini ed il sig. S.D. , omissis ed ha poi sottoscritto tale frase”. La firma Avv. Dario Masini è leggibile e non da adito a dubbi. 1.3. Sia dal certificato del d.a.p. che dai periodi di detenzione riportati nella prima pagina della sentenza di primo grado risulta che il 1 settembre 2010 l’imputato era certamente detenuto in custodia cautelare in carcere. 1.4. In primo grado, l’eccezione fu proposta dai difensori non alla prima udienza, ma a quella del 13 aprile 2012 ed il Tribunale la rigettò ritenendo valida la notifica al difensore domiciliatario, senza tuttavia far riferimento allo stato di detenzione del detenuto. Rilevò inoltre il Tribunale che la notifica non poteva essere ritenuta omessa e quindi non avrebbe dato luogo ad una nullità assoluta ed insanabile, ma al più poteva ritenersi eseguita in forme diverse da quelle previste, sicché la nullità sarebbe stata sanata ex art. 184 c.p.p. essendo l’imputato ed i difensori comparsi alla prima udienza senza nulla eccepire. 1.5. La Corte di appello, secondo quanto riportato a pagina 21 della sentenza impugnata, pur prendendo atto dello stato di detenzione dell’imputato al 1 settembre 2010, ha ritenuto legittima la notifica del decreto di giudizio immediato al difensore di fiducia perché effettuata presso il domicilio eletto prima della sua carcerazione, potendo l’imputato eleggere domicilio presso il difensore anche in caso di detenzione in tal caso, secondo la Corte di appello, le notifiche vanno fatte al difensore e non più all’imputato cfr. Cass. 20532/2018 . 2. Sulla questione di diritto dedotta, relativa all’ambito di applicazione dell’art. 156 c.p.p. e dell’art. 161 c.p.p. anche all’imputato detenuto per i fatti per cui è processo, deve rilevarsi che vi è un contrasto in giurisprudenza, per la presenza di due diversi orientamenti. 2.1. Con la sentenza n. 18628 del 31/03/2015, El Cherquoi, Rv. 263483 - 01, la Sez. 6 ha affermato il principio per cui è nulla la notificazione effettuata presso il domicilio dichiarato o eletto dall’imputato detenuto, il cui sopravvenuto stato di detenzione sia noto al giudice procedente. Fattispecie relativa alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, in cui risultava dagli atti lo stato detentivo per altra causa dell’imputato, il quale aveva anche avuto cura di comunicarlo all’Autorità procedente . In motivazione la sentenza El Cherquoi ha richiamato l’orientamento per cui a norma dell’art. 156 c.p.p. la notifica del decreto di citazione all’imputato detenuto deve avvenire nel luogo di detenzione, anche quando la causa di restrizione sia diversa dal procedimento in corso cui si riferisce la notifica e vi sia stata una precedente elezione di domicilio mai revocata, in quanto l’ufficio giudiziario procedente, prima di effettuare la prima notificazione, deve svolgere le dovute ricerche in ordine allo status libertatis alla data della notifica del decreto Sez. 5, Sentenza n. 37135 del 10/06/2003, Rv. 226664, Bevilacqua . Cfr. anche Sez. 1, n. 13609 del 09/07/2013, dep. 2014, Rammeh, Rv. 259594 - 01 che affermato che non è valida la notificazione effettuata presso il domicilio dichiarato o eletto dall’imputato detenuto, il cui sopravvenuto stato di detenzione sia noto al giudice procedente. In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza emessa dal Tribunale di sorveglianza all’esito di udienza in camera di consiglio, il cui avviso era stato notificato al domicilio dichiarato dall’imputato che, nel frattempo, era stato sottoposto a misura cautelare coercitiva, la cui perdurante applicazione risultava agli atti del procedimento . 2.2. Successivamente, si è però formato un diverso orientamento per cui è valida la notifica eseguita presso il domicilio eletto dall’imputato detenuto e non presso il luogo di detenzione noto all’autorità procedente, atteso che anche l’imputato detenuto ha facoltà di dichiarare o eleggere domicilio ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 1 cfr. Sez. 6, n. 20532 del 01/03/2018, A., Rv. 273420 – 01 . In motivazione, in tale sentenza si afferma che l’elezione di domicilio, avendo natura di dichiarazione di volontà a carattere negozial-processuale - necessitante, ai fini della sua validità, del rispetto di determinate formalità - può essere superata, solo in forza di un atto formale di revoca e non in ragione di elementi fattuali. È, quindi, valida la notifica eseguita presso il domicilio eletto dall’imputato detenuto e non presso il luogo di detenzione, atteso che anche l’imputato detenuto ha facoltà di dichiarare o eleggere domicilio ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 1. La previsione di cui all’art. 156 c.p.p. - per la quale le notificazioni all’imputato detenuto debbono essere eseguite nel luogo di detenzione - non contiene, del resto, una disciplina derogatoria rispetto a quella generale in tema di notificazioni, e quindi anche all’imputato detenuto è consentito avvalersi della facoltà di dichiarare o eleggere domicilio a norma dell’art. 161 c.p.p., comma 1, Sez. 6, n. 42306 del 07/10/2008, Rv. 241877 . Cfr. nello stesso senso Sez. 2, n. 15102 del 28/02/2017, Gulizzi, Rv. 269863, per cui è valida la notifica eseguita presso il domicilio eletto dall’imputato detenuto e non presso il luogo di detenzione, atteso che anche l’imputato detenuto ha facoltà di dichiarare o eleggere domicilio ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 1 in motivazione la S.C. ha, altresì, precisato che l’elezione di domicilio, avendo natura di dichiarazione di volontà a carattere negozial-processuale necessitante, ai fini della sua validità, del rispetto di determinate formalità - può essere superata, solo in forza di un atto formale di revoca e non in ragione di elementi fattuali. Nello stesso senso Sez. 2, n. 21787 del 04/10/2018, dep. 2019, Casali, Rv. 275592 - 01, che ha affermato che è valida la notifica eseguita presso il domicilio eletto dall’imputato detenuto e non presso il luogo di detenzione noto all’autorità procedente, atteso che anche l’imputato detenuto ha facoltà di dichiarare o eleggere domicilio ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 1. Cfr. Sez. 3, n. 42223 del 06/02/2015, N., Rv. 264963 - 01 per cui è valida la notifica all’imputato detenuto, anche per altra causa, eseguita presso il domicilio eletto dal medesimo e non presso il luogo di detenzione, avendo anche l’imputato detenuto la facoltà di dichiarare o eleggere domicilio ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 1, Fattispecie relativa alla notifica del decreto di rinvio a giudizio eseguita presso il difensore di ufficio domiciliatario, in cui la Suprema Corte ha precisato che anche in tale ipotesi si può ritenere che si sia instaurato un legame di affidamento tra l’indagato ed il difensore . 3. Va preliminarmente rilevato che ove trovasse applicazione l’art. 156 c.p.p., la notifica nel caso de quo dovrebbe ritenersi omessa, secondo i principi espressi da Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016, dep. 2017, Amato, Rv. 269028 - 01 e da Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221402 - 01 ciò sia per l’applicabilità dell’art. 161 c.p.p., solo all’imputato o indagato libero, per le argomentazioni che seguono in particolare sul dato letterale dei commi 1 e 3 di tale norma, sia perché il decreto di giudizio immediato contiene anche l’avviso che l’imputato può chiedere i riti alternativi e dalla notifica a mani proprie all’imputato detenuto del decreto decorrono i termini per la proposizione della relativa richiesta. Inoltre, ai sensi dell’art. 457 c.p.p., solo dopo il decorso di tali termini, può procedersi alla formazione del fascicolo per il dibattimento ed alla sua trasmissione per la prosecuzione del giudizio. Dalla notifica all’imputato detenuto, pertanto, deriva l’esercizio dei diritti difensivi sui riti alternativi, diritti che possono essere esercitati, ex art. 438 o art. 446 c.p.p., comma 3, solo dall’imputato personalmente o per mezzo del procuratore speciale le due norme prevedono infatti che La volontà dell’imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall’art. 583, comma 3 . L’elezione di domicilio nel caso de quo è stata infatti effettuata in pendenza dello stato detentivo, all’atto dell’esecuzione della misura cautelare. 4. Ritiene la Corte di dover condividere i principi affermati dalla sentenza El Cherquoi la quale attribuisce all’art. 156 c.p.p. una valenza di carattere generale, distinguendo le notifiche da effettuarsi all’imputato detenuto - che vanno sempre eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona, come recita la rubrica dell’art. 156 c.p.p. notificazioni all’imputato detenuto - da quelle da effettuarsi all’imputato non detenuto. 4.1. Per altro, l’art. 156 c.p.p., comma 4 estende l’applicazione dell’art. 156 c.p.p., comma 1 anche all’imputato detenuto per causa diversa dal procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione, quando risulti tale causa di diversa detenzione. Ne consegue che, ove l’imputato sia detenuto nel procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione, lo stato di detenzione risulta ex actis, e non può essere ignorato. 4.2. La rubrica dell’art. 157 c.p.p. recita Prima notificazione all’imputato non detenuto , ribadendo la distinzione tra il procedimento di notificazione all’imputato non detenuto da quello dell’imputato detenuto. L’inciso Salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162 c.p.p. contenuto nel primo periodo dell’art. 157 c.p.p., comma 1, si riferisce all’eccezione alla regola generale costituita dalla consegna a mani proprie perché nel domicilio eletto o dichiarato la consegna può avvenire anche presso il domiciliatario nel domicilio dichiarato l’eccezione è costituita dalla possibile consegna a persona diversa senza procedere alle ulteriori ricerche previste dal secondo periodo dell’art. 157 c.p.p L’eccezione, dunque, non si riferisce alla possibilità di estendere le notifiche ex artt. 161 e 162 c.p.p. all’imputato detenuto. 4.3. In coerenza con la distinzione tra le modalità di notifica all’imputato detenuto ex art. 156 c.p.p. e quello libero, l’art. 161 c.p.p., comma 1 prevede che Il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con l’intervento della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato non detenuto nè internato, lo invitano a dichiarare uno dei luoghi indicati nell’art. 157, comma 1 ovvero a eleggere domicilio per le notificazioni, avvertendolo che, nella sua qualità di persona sottoposta alle indagini o di imputato, ha l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore. Della dichiarazione o della elezione di domicilio, ovvero del rifiuto di compierla, è fatta menzione nel verbale . Dunque, l’art. 161 c.p.p., comma 1 impone all’imputato o indagato libero, perché non detenuto nè internato, all’atto del primo contatto con l’autorità giudiziaria o con la polizia giudiziaria, di procedere alla dichiarazione o all’elezione di domicilio, imponendo un obbligo di collaborazione con l’autorità giudiziaria sulla sua reperibilità obbligo che non ha senso nei confronti dell’indagato o imputato detenuto, la cui reperibilità è ex actis. 4.4. Lo stato di detenzione nel processo non costituisce un volontario mutamento di domicilio o di residenza rispetto a quello dichiarato o eletto da cui può derivare l’effetto latu sensu sanzionatorio ex art. 161 c.p.p., collegato all’omessa comunicazione del mutamento. Lo stato di detenzione è l’effetto legale dell’esecuzione del provvedimento dell’autorità giudiziaria e determina di conseguenza l’applicazione dell’art. 156 c.p.p., in relazione al luogo certo in cui si trova l’indagato o l’imputato, al fine di procedere alla notifica a mani proprie . Non può essere pertanto considerato un elemento fattuale, ma l’effetto legale dell’esecuzione dell’ordinanza emessa dall’autorità giudiziaria. 4.5. Nè lo stato di detenzione nel processo può essere assimilato al comportamento di chi viola l’obbligo di collaborazione con l’autorità giudiziaria assunto con la dichiarazione o elezione di domicilio ex art. 161 c.p.p Per altro, nel caso del detenuto per altro, l’obbligo di comunicazione dello stato di detenzione, per beneficiare degli effetti della notifica ex art. 156 c.p.p. presso il luogo di detenzione, deriva semmai dall’art. 156 c.p.p., comma 4, che consente l’applicazione dell’art. 156 c.p.p., comma 1, solo se all’autorità giudiziaria risulta lo stato di detenzione per altro, e non dagli art. 161 c.p.p., commi 1 o 4. 4.6. Un ulteriore argomento a sostegno della tesi della sentenza El Cherquoi si rinviene nell’art. 161 c.p.p., comma 3 che prevede, fra l’altro, che l’imputato o l’indagato detenuto che deve essere scarcerato per causa diversa dal proscioglimento definitivo, all’atto della scarcerazione ha l’obbligo di fare la dichiarazione o l’elezione di domicilio. Se l’elezione o dichiarazione di domicilio precedente allo stato di detenzione o quella fatta ad esempio nell’interrogatorio di garanzia o nell’udienza di convalida avessero ancora effetto, non vi sarebbe alcun bisogno di obbligare il detenuto ad indicare i luoghi in cui potrà essere trovato ed imporgli nuovamente l’obbligo di collaborazione con l’autorità giudiziaria ai fini delle notifiche. Cfr. sul punto le Sezioni Unite, con la sentenza n. 41280 del 17/10/2006, C., Rv. 234905 - 01, ha affermato il principio per cui In tema di notificazioni, la dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio, pur non espressamente revocata. Fattispecie in cui l’indagato, al momento della scarcerazione per applicazione degli arresti domiciliari, aveva dichiarato il domicilio nel luogo di abitazione, senza revocare la precedente elezione di domicilio presso il difensore . Ciò conferma dunque che la detenzione, anche se sopravvenuta, rende applicabile esclusivamente l’art. 156 c.p.p Corte di cassazione sulla seguente questione se la notifica del decreto di giudizio immediato all’imputato detenuto che abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia debba essere effettuata ex art. 156 c.p.p., comma 1 o presso il domicilio eletto. P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.