Esclusa la condanna per le false dichiarazioni reddituali nell’istanza di gratuito patrocinio se il falso è “inutile”

Ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115/2002, se sussistono le effettive condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato.

Così la Corte di legittimità con la sentenza n. 49572/19, depositata il 6 dicembre. Il caso. La Corte d’Appello di Caltanissetta confermava la condanna di prime cure per il reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115/2002 ascritto all’imputato per aver falsamente dichiarato i redditi percepiti dal proprio nucleo familiare nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio. La condotta era stata ritenuta penalmente rilevante anche se il reddito dichiarato rientrava nei limiti consentiti, risultando nondimeno omessa la dichiarazione dell’imputato. E proprio su questo profilo si articola il ricorso per cassazione presentato dalla difesa. Elemento soggettivo. In particolare, il ricorrente nega la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in quanto avrebbe omesso di dichiarare i propri redditi familiari in modo assolutamente incolpevole e non per dolo. La doglianza si rileva però priva di fondamento. in tema di gratuito patrocinio, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115/2002, se sussistono le effettive condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato al fine di escludere l’eventuale inutilità del falso. Sul punto, la motivazione offerta dalla sentenza impugnata si rivela adeguata avendo la Corte territoriale adeguatamente. Per questo motivo, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 27 novembre – 6 dicembre 2019, n. 49572 Presidente Menichetti – Relatore Pavich Ritenuto in fatto 1. M.V. , per il tramite del suo difensore di fiducia, ricorre avverso la sentenza con la quale, in data 25 febbraio 2019, la Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la condanna pronunziata a suo carico dal Tribunale nisseno in data 15 febbraio 2018 in relazione al reato p.e p. dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, ascritto al M. per avere egli, secondo l’imputazione, falsamente dichiarato, nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio da lui presentata il 21 maggio 2012, che nè lui, nè i componenti il suo nucleo familiare percepissero redditi per l’anno 2011, laddove successivamente si appurava che egli aveva percepito, per quell’anno, un reddito di Euro 150, mentre la moglie aveva percepito un reddito pari a 6.260,00 il reato - contestato al M. con la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale - consisteva nel fatto che il reddito suddetto era bensì rientrante nei limiti di quello consentito, ma nondimeno la relativa dichiarazione era stata omessa dall’imputato, a nulla rilevando la non decisività di esso ai fini dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio. 1.1. Nell’unico motivo di ricorso, il M. lamenta carenza di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui essa non argomenta adeguatamente la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, a fronte del fatto che l’odierno ricorrente aveva lamentato di avere omesso di dichiarare i predetti redditi in modo assolutamente inconsapevole e non per dolo. Sul punto la motivazione offerta dalla Corte di merito riguarda solo la pacifica sussistenza della falsità e l’asserita configurabilità del dolo generico, ma non si è soffermata sul fatto che essa fosse ininfluente ai fini dell’ammissione al beneficio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. In proposito, è ben vero che, in tema di gratuito patrocinio a spese dello Stato, ai fini della integrazione del reato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 95, in caso di effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato, al fine di escludere l’eventuale inutilità del falso cfr. Sez. 4, Sentenza n. 45786 del 04/05/2017, Bonofiglio, Rv. 271051 Sez. 4, Sentenza n. 7192 del 11/01/2018, Zappia, Rv. 272192 . Se, cioè, è ben vero che il reato sussiste anche quando la falsità o l’omissione riguardi redditi in concreto rientranti nei limiti massimi stabiliti dalla legge per ottenere il beneficio del patrocinio per non abbienti a spese dello Stato, nondimeno in tal caso occorre verificare con particolare attenzione se, alla stregua delle risultanze processuali, la falsità o l’omissione fosse realmente espressiva di deliberato mendacio o reticenza sulle effettive condizioni reddituali o non fosse piuttosto frutto di disattenzione, come tale non qualificabile come dolo. Sulla questione tuttavia la Corte di merito ha specificamente motivato, escludendo che la dichiarazione difforme dal vero resa dal M. il quale nel giudizio di merito aveva sostenuto che non era in grado di comprendere quanto risultante dall’ISEE, stante il suo basso grado di istruzione potesse essere frutto di mera negligenza, atteso che la dichiarazione da lui rilasciata fa specifico riferimento all’assenza di qualunque introito, e che il reddito percepito dalla moglie convivente, per quanto modesto, non è di entità assolutamente irrisoria, attestandosi pur sempre attorno ai 6.000 Euro annui. In aggiunta a quanto precede, è opportuno rammentare che il D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 76, che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui al cit. D.Lgs., art. 95, non costituisce legge extrapenale in ordine alla quale l’errore da parte del soggetto attivo possa avere incidenza scusante. Ciò in quanto deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per legge diversa dalla legge penale ai sensi dell’art. 47 c.p. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015, Bucca, Rv. 263013 . 2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.