Procedibilità a querela dell’appropriazione indebita: limiti ed effetti

In linea di principio, quando un reato procedibile d’ufficio lo diventi a querela, il giudice deve prosciogliere l’imputato per mancanza della condizione di procedibilità qualora la parte offesa non abbia presentato querela. Ma a tale regola ostano, a volte, alcune condizioni.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 48958/19, depositata il 2 dicembre. Il caso. La Corte d’Appello, in conferma della sentenza di primo grado, riteneva responsabile per il reato di concorso in appropriazione indebita di somme di pertinenza di un condominio dell’amministratrice dello stesso e la condannava alla pena di giustizia e a risarcire la parte civile di quanto indebitamente percepito. L’imputata ricorre in Cassazione. Appropriazione indebita e procedibilità a querela. Il provvedimento con cui il giudice di merito pronuncia condanna generica dell’imputata al risarcimento del danno alla parte civile, non è impugnabile per cassazione, poiché per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dalla liquidazione effettiva dell’integrale risarcimento. Con riferimento a ciò, la S.C. quindi affronta la questione relativa all’entrata in vigore, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, dell’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 36/2018 che ha abrogato la previsione di cui all’art. 646, comma 3, c.p. che rendeva procedibile d’ufficio il reato in oggetto se ricorreva una delle circostanze di cui all’art. 61, n. 11, c.p., facendo divenire così tale fattispecie perseguibile a querela. Solitamente, quando un reato procedibile d’ufficio lo diventi a querela, il giudice deve prosciogliere l’imputato per mancanza della condizione di procedibilità qualora la parte offesa non abbia presentato querela. Ma a tale regola, nel caso in esame, ostano due condizioni l’introduzione di una specifica disciplina transitoria in virtù della quale, così come era stato fatto per il reato di furto dall’art. 19 della l. n. 205/1999, per i reati perseguibili a querela commessi prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato – e nel caso in esame avendo la persona offesa manifestato l’intento punitivo attraverso la costituzione di parte civile, risulta integrata la condizione di procedibilità di cui all’art. 646 c.p.- , e la declaratoria di inammissibilità del ricorso con riferimento a ciò la S.C. ha escluso che la sopravvenienza della procedibilità a querela e, prima, la procedura volta all’eventuale accertamento della improcedibilità per mancanza di querela a seguito dell’esito negativo della informativa data alla persona offesa, si considerano idonee ad operare come ipotesi di abolitio criminis che prevale sull’inammissibilità del ricorso . Pertanto, la declaratoria di inammissibilità del presente ricorso preclude qualsiasi verifica dello stato di condizione di procedibilità.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 25 giugno – 2 dicembre 2019, n. 48958 Presidente Verga – Relatore Di Pisa Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12/02/2018 la Corte di Appello di Messina confermava la sentenza del Tribunale di Messina in data 24/01/2017 in forza della quale P.A. era stata ritenuta responsabile del reato di concorso in appropriazione indebita, aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11, di somme di pertinenza del Condominio omissis da lei amministrato e condannata alla pena di giustizia nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile, riconoscendo a quest’ ultima, in parziale riforma della sentenza di primo grado, la provvisionale di Euro 20.000,00. 2. Avverso detta sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputata, a mezzo difensore, formulando i seguenti motivi - violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b ed e quanto alla omessa declaratoria di intervenuta prescrizione. Assume che mentre i fatti in questione erano stati contestati come commessi sino alla data del 31 Marzo 2011 in realtà il tempus commissi delitti andava collocato all’epoca dell’1 Luglio 2010, momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore - violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. d per mancata ammissione di una prova decisiva. Rileva che per quanto vi era stata una ammissione della appropriazione di somme di pertinenza del condominio a fronte della specifica contestazione degli importi effettivamente sottratti di cui al capo di imputazione si rendeva indispensabile una perizia contabile - violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b in relazione agli artt. 25 e 27 Cost Lamenta la ricorrente che era stata condannata per responsabilità oggettiva e che la corte di appello non aveva tenuto distinta la condotta a lei imputabile e quella imputabile al padre e coimputato P.V. la cui posizione era stata stralciata per la di lui accertata incapacità di stare in giudizio, laddove gli stessi condomini escussi come testimoni non erano stati in grado di indicare quali specifici fatti di reato erano riferibili alla stessa, posto che l’imputata era subentrata al padre il quale ultimo, secondo quanto riferito dal teste L. , aveva continuato a gestire tutto - violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. d mancata ammissione di una prova decisiva in relazione alla intervenuta revoca della lista testi. Evidenzia che i giudici di merito con motivazione abnorme avevano revocato l’ammissione della lista testi così precludendo l’esame di P.S. che avrebbe dovuto riferire sullo stato di bisogno che giustificava l’iniziale appropriazione delle somme nonché in relazione all’intervenuta restituzione delle stesse. Rileva che il tribunale del tutto illogicamente ed in modo arbitrario prima aveva rinviato per procedere all’audizione di teste, successivamente revocando l’ordinanza ammissiva ritenendo il processo sufficientemente istruito e ciò sebbene il teste doveva deporre su fatti nuovi non ancora esaminati dal giudice - violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. d e violazione dell’art. 24 Cost. per mancata ammissione di una prova decisiva. Lamenta che i giudici di merito avevano violato i diritti della difesa non avendo consentito l’esame dell’imputata la quale non era comparsa all’udienza fissata per la sua audizione per una sindrome influenzale documentata mentre i giudici di merito avevano ritenuto ingiustificata la sua assenza così privandola del diritto di interloquire nel processo - violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche pur trattandosi di persona incensurata la quale aveva tenuto un comportamento resipiscente e collaborante - violazione dell’art. 606 lett. b c.p.p. in relazione all’art. 539 c.p.p. per avere la corte di appello liquidato una provvisionale di Euro 20.000,00 in difetto di prova del concreto danno subito dal condominio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo, relativo alla omessa declaratoria della intervenuta prescrizione, è manifestamente infondato in quanto generico ed aspecifico dal momento che non si confronta in alcun modo con le argomentazioni spese sul punto dalla corte territoriale la quale ha precisato che, pur individuando come data del commesso il reato il giorno 1 Luglio 2010, all’epoca della decisione non era maturata alcuna prescrizione tenuto conto dei periodi di sospensione pari a mesi tre e gg. quattro , profilo non censurato in alcun modo dalla ricorrente. 3. Il secondo, il quarto ed il quinto motivo - i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto fra loro connessi - sono meramente reiterativi di censure già disattese dalla corte di appello con motivazione congrua in fatto e corretta in diritto e, comunque, generici e manifestamente infondati. 3.1. In ordine alla mancata effettuazione di una perizia contabile finalizzata ad accertare il quantum delle somme di cui l’imputata si sarebbe appropriata va osservato che il motivo è manifestamente infondato sulla scorta del principio secondo cui la mancata effettuazione di un accertamento peritale nella specie sulla capacità a testimoniare di un minore vittima di violenza sessuale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d , in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova neutro , sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495 c.p.p., comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017 - dep. 31/08/2017, A e altro, Rv. 27093601 . 3.2. Per quanto concerne la omessa audizione dell’imputata va precisato che l’esame dell’imputato, risolvendosi in una diversa prospettazione valutativa nell’ambito della normale dialettica tra le differenti tesi processuali, non è un mezzo di prova che può assumere valore decisivo ai fini del giudizio, con la conseguenza che la sua mancata assunzione non costituisce motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d Sez. 5, n. 17916 del 10/01/2019 - dep. 30/04/2019, SCORSOLINI MORENO, Rv. 27590901 , sicché la censura appare priva di fondamento alcuno. 3.3. Va, quindi, rilevato che il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse è, nel corso del dibattimento, più ampio di quello esercitabile all’inizio del dibattimento stesso, momento in cui il giudice può non ammettere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue o irrilevanti con la conseguenza che la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova già ammessa, in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione, raffrontata al materiale probatorio raccolto e valutato. Sez. 3, n. 13095 del 17/01/2017 - dep. 17/03/2017, S, Rv. 26933101 . 3.3.1. Orbene nella specie i giudici di merito hanno chiarito con adeguata motivazione le ragioni per le quali l’audizione del teste P.S. era del tutto irrilevante non potendo le sue dichiarazioni circa la situazione di bisogno in cui versata la famiglia P. incidere sulla configurabilità del reato contestato e risultando già congruamente accertata l’avvenuta appropriazione di somme di pertinenza del condominio. 4. Il terzo motivo è anch’ esso privo di fondamento alcuno. La corte di appello ha chiarito che sulla scorta delle complessive emergenze istruttorie ed, in particolare, tenuto conto di quanto dichiarato dal teste escusso L.G. nuovo amministratore del condominio OMISSIS - il quale aveva riferito di avere provveduto a ricostruire la contabilità del condominio, accertando che mancavano dalla cassa Euro 39.919,83 -, in forza delle stesse ammissioni dell’imputata nonché di quanto dichiarato dai condomini escussi quali testi R. , Ri. e L. risultava pienamente dimostrata l’appropriazione indebita contestata all’imputata, precisando come l’affermazione che la P. fosse una mera prestanome del padre costituiva una mera enunciazione dell’atto di appello smentita oltre che dal dato formale della nomina ad amministratore del condominio avvenuta nel 2005, da quanto riferito da tutti i testi circa il rapporto diretto che essi avevano con la prevenuta . 4.1. Pertanto non essendo evidenziabile alcuno dei vizi motivazionali deducibili in questa sede quanto alla affermazione della penale responsabilità dell’imputata in ordine al reato di cui sopra e non essendo configurabile, quindi, le illegittimità della motivazione paventate anche tenuto conto dei poteri del giudice di merito in ordine alla valutazione della prova, le censure formulate con il terzo motivo, essendo sostanzialmente tutte incentrate su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mere merito, appaiono del tutto infondate. 5. La motivazione si appalesa congrua in fatto e corretta in diritto nella parte in cui la corte territoriale ha escluso l’applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. in ragione delle entità del danno modalità e delle della condotta, consistita nella reiterata appropriazione di somme del condominio nel corso degli anni. 5.1. Occorre, quindi, osservare che i giudici di merito, nel negare le circostanze attenuanti generiche all’imputata, hanno correttamente valutato i criteri di cui all’art. 133 c.p., evidenziando anche l’assenza di elementi di segno positivo nonché la sua confessione solo parziale a fronte delle prove acquisite a suo carico. La Suprema Corte ha, d’altronde, più volte affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. Si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/1072004 Ud. - dep. 25/01/2005 - Rv. 230691 , sicché la sentenza sul punto è immune da censure. 6. Anche l’ultimo motivo, riguardante la quantificazione della provvisionale, è inammissibile trattandosi di statuizione non impugnabile in questa sede. Ed, invero, il provvedimento con il quale il giudice di merito nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento. Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990 - dep. 19/02/1991, Capelli, Rv. 18672201 . 7. Tanto precisato in ordine ai profili di inammissibilità del ricorso, va affrontata la questione - seppur non oggetto di motivi formulati da parte ricorrente - relativa alla entrata in vigore, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, del D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36, art. 10, comma 1, che ha abrogato la previsione di cui all’art. 646 c.p., comma 3, che rendeva procedibile d’ufficio il reato se ricorreva taluna delle circostanze indicate nell’art. 61 c.p., n. 11. Tale fattispecie è divenuta, quindi, perseguibile a querela. In linea generale, il giudice, allorché un reato procedibile d’ufficio lo diventi a querela, in ossequio alla previsione di cui all’art. 2 c.p., comma 4, deve prosciogliere l’imputato per mancanza o difetto della condizione di procedibilità tutte le volte in cui la persona offesa non abbia presentato querela. Nel caso in esame, tuttavia, ad un tale esito processuale ostano due condizioni l’introduzione di una specifica disciplina transitoria e la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 7.1. Quanto al primo profilo ostativo, il legislatore, infatti, sulla scorta anche di quanto già avvenuto con la L. 25 giugno 1999, n. 205, art. 19, in particolare in tema di furto , ha dettato all’art. 12 una specifica disciplina transitoria in forza della quale per i reati perseguibili a querela in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato comma 1 . Si prevede poi che se è pendente il procedimento, il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l’esercizio dell’azione penale, anche, se necessario, previa ricerca anagrafica, informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata comma 2 . Si vuole, dunque, impedire che i procedimenti promossi per reati originariamente perseguibili di ufficio possano chiudersi con una sentenza di proscioglimento per mancanza di querela sulla base della fictio legis e non già a seguito di una formale informativa rivolta dal giudice alla persona offesa in ordine alla facoltà di esercizio della privata doglianza. Pertanto, è al momento dell’entrata in vigore della nuova legge ovvero da quello in cui la persona offesa ha avuto notizia della facoltà di proporre querela che vanno svolte le valutazioni relative alla ritualità della condizione di procedibilità, a nulla rilevando eventuali difetti legati a momenti processuali differenti in cui tale condizione non era affatto richiesta. Trattasi, invero, di due segmenti procedimentali diversi rispetto ai quali il regime transitorio determina un’autonoma apertura del termine per proporre l’istanza di punizione in tutti i casi in cui in precedenza la procedibilità era - come nel caso di specie - ex officio. Altrimenti si giungerebbe all’irragionevole risultato di consentire la procedibilità ex art. 12 della nuova legge a mere denunzie alle quali è poi seguita una manifestazione di volontà di punizione, escludendola rispetto ad atti, quale quello costituito da una querela tardiva che, in ragione del regime di procedibilità ex officio del tempo del commesso reato, avevano, ai fini della procedibilità, l’identica valenza di notitia criminis. 7.1.2. Avendo nel caso in esame la persona offesa chiaramente manifestato l’intento punitivo attraverso la costituzione di parte civile, coltivata nel corso dei giudizi di merito, risulta pienamente integrata la condizione di procedibilità per come richiesta dalla nuova disposizione di cui all’art. 646 c.p. anche nei casi aggravati di cui all’art. 61 c.p., n. 11. A conferma di tale assunto, l’orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione ne consegue che tale volontà può essere riconosciuta anche nell’atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio Sez. un., n. 40150 del 21/6/2018, Rv. 273551 . 7.2. Quanto al secondo aspetto ostativo, va, poi, evidenziato che le stesse Sezioni unite nella richiamata decisione hanno chiaramente escluso che la sopravvenienza della procedibilità a querela e, ancor prima, la procedura finalizzata all’eventuale accertamento della improcedibilità per mancanza di querela a seguito dell’esito negativo della informativa data alla persona offesa, possano essere ritenute idonee ad operare come una ipotesi di abolitio criminis e finalizzazione all’accertamento di abolitio criminis , capace di prevalere sulla inammissibilità del ricorso. Nel caso che ci occupa, la disciplina transitoria del D.Lgs. n. 36 del 2018, art. 12, ha regolato positivamente la retroattività del nuovo regime di procedibilità e le condizioni alle quali esso opera, senza peraltro che dalla norma stessa o dalla disciplina codicistica dei mutamenti normativi favorevoli diversi dalla abolitio criminis possano trarsi argomenti per sostenere che le innovazioni che introducono la procedibilità a querela, nel rapporto con il ricorso inammissibile, non sarebbero da uniformare al trattamento riservato, in base alla giurisprudenza assolutamente prevalente, ai mutamenti favorevoli in tema, in generale, di cause di non punibilità ed in particolare di cause estintive del reato, aventi natura più marcatamente sostanziale retroattività, col limite della presentazione di ricorso inammissibile. Di conseguenza, la declaratoria di inammissibilità del presente ricorso finisce per precludere qualsiasi verifica, in questa sede, dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa subentrata e, dunque, anche della questione, peraltro superabile per quanto affermato sopra, della verifica degli aspetti di legittimità di tale condizione. 8. Dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.