Sospensione del procedimento con messa alla prova e onere motivazionale del giudice

Qualora il giudice, nel disporre la sospensione del procedimento con messa alla prova, si limiti a recepire il programma di trattamento, l’onere motivazionale che incombe su di lui si ritiene soddisfatto anche attraverso un semplice richiamo alla congruità del programma. Questo perché si tratta di un programma elaborato dall’UEPE in accordo con l’imputato.

Lo afferma la sentenza della Corte di Cassazione n. 48258/19, depositata il 27 novembre. La vicenda. Il Tribunale disponeva la sospensione del processo con messa alla prova per 2 anni nei confronti dei due imputati del reato di lesioni personali aggravate. Avverso tale ordinanza questi propongono ricorso per cassazione denunciando violazione di legge in relazione alla durata della messa alla prova, determinata nel massimo senza adeguata motivazione. Sospensione del procedimento con messa alla prova e programma di trattamento. Ai sensi dell’art. 464- bis , comma 4, c.p.p., alla richiesta dell’imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova è allegato un programma di trattamento, elaborato con l’ufficio di esecuzione penale sterna. Tale programma prevede le modalità di coinvolgimento dell’imputato e del suo nucleo familiare nel processo di reinserimento sociale le prescrizioni comportamentali che egli assume al fine di attenuare le conseguenze del reato. Il successivo art. 464- quater, comma 3, c.p.p., poi, stabilisce che la sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta dal giudice quando reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere altri reati. Infine, l’art. 168- bis, comma 3, c.p. stabilisce che la concessione della messa alla prova è subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Tale lavoro consiste in un’attività non retribuita, di durata non inferiore a 10 giorni, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, le aziende sanitarie o gli enti di assistenza. Richiamata la normativa specifica sul punto, i Giudici di legittimità affermano che, qualora il giudice, nel disporre la sospensione del procedimento con messa alla prova, si limiti a recepire il programma di trattamento, l’onere motivazionale che incombe su di lui si ritiene soddisfatto anche attraverso un semplice richiamo alla congruità del programma. Questo perché si tratta di un programma elaborato dall’UEPE in accordo con l’imputato e quindi conosciuto e condiviso da questi. Se invece il giudice non si limiti a recepire il contenuto del programma ma lo integri, è obbligato a fornire una motivazione, dando conto delle ragioni delle scelte operate in relazione alla peculiarità del caso concreto. Ciò detto può riscontrarsi nel caso in esame, in cui gli imputati hanno elaborato il programma di trattamento insieme all’Ufficio competente. Pertanto, il ricorso va accolto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 – 27 novembre 2019, n. 48258 Presidente Palla – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa il 27/05/2019 il Tribunale di Caltanissetta ha disposto la sospensione del processo con messa alla prova per la durata di 2 anni nei confronti di C.C. e G.U. , imputati del reato di lesioni personali aggravate. 2. Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione, con due distinti ma analoghi atti, il difensore di C.C. , Avv. Raffaele Palermo, ed il difensore di G.U. , Avv. Giuseppe Panepinto, deducendo due motivi di ricorso. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla durata della messa alla prova, determinata nel massimo, senza adeguata motivazione. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omessa considerazione, per la determinazione della durata, dell’attenuante del risarcimento del danno e delle attenuanti generiche. Considerato in diritto 1. - Il ricorso è fondato. 2. - L’art. 464 bis c.p.p., comma 4, prevede che, alla richiesta formulata dall’imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova, è allegato un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l’elaborazione, la richiesta di elaborazione del predetto programma, che prevede le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato di rilievo sociale. Il successivo art. 464 quater c.p.p., comma 3, stabilisce che la sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all’art. 133 c.p., reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. Il quadro è completato dall’art. 168 bis c.p., comma 3, che prevede La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore . Dalla lettura sistematica di tali disposizioni emerge che la previsione obbligatoria del lavoro di pubblica utilità costituisce il nucleo sanzionatorio del sistema della sospensione con messa alla prova si tratta, cioè, di una sanzione sostitutiva di tipo prescrittivo dotata di una indefettibile componente afflittiva. Tanto premesso, la connotazione sia pur latamente sanzionatoria del lavoro di pubblica utilità impone di rilevare, come una lacuna significativa, la mancata previsione dei criteri cui il giudice deve attenersi nel vaglio di congruità della sua durata complessiva e della sua intensità. Dalle norme sopra richiamate si evincono una durata minima di dieci giorni e una massima che, in mancanza di diverse indicazioni, non può che coincidere con i termini massimi di sospensione del procedimento uno o due anni, a seconda della natura della pena edittale un’intensità massima di otto ore giornaliere, senza indicazione del minimo. Non essendo previsto che la prestazione del lavoro gratuito debba necessariamente coprire l’intero periodo della sospensione - perché non avrebbe senso, altrimenti, la previsione di un limite minimo di dieci giorni occorre individuare indici di commisurazione sufficientemente certi. Non possono evidentemente trovare applicazione i criteri dettati nei casi in cui il lavoro gratuito è previsto come pena sostitutiva di quella detentiva sia perché la messa alla prova e la prestazione lavorativa che vi è inclusa si applicano anche a reati sanzionati con pena esclusivamente pecuniaria sia perché qui manca, per definizione, una condanna che possa fungere da limite e parametro di ragguaglio v., in tema di D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 Sez. 1, n. 30089 del 26 giugno 2009, Rv. 244812 Sez. 3, n. 40995 del 23 maggio 2013, Rv. 256958 in tema di violazioni del codice della strada Sez. 1, n. 12019 del 1 febbraio 2013, Rv. 255341 . Il criterio più affidabile, anche per i più solidi riferimento normativi, è, dunque, quello dell’applicazione in via analogica degli indici dettati dall’art. 133 c.p. per la commisurazione della pena, con una prospettiva che tenga conto a un tempo della valutazione virtuale della gravità concreta del reato e del quantum di colpevolezza dell’imputato, nonché delle sue necessità di risocializzazione. E, del resto, la necessità di riferirsi, in generale, ai parametri di valutazione di cui all’art. 133 c.p. è richiamata anche dalla Corte costituzionale ord. n. 54 del 2017 quale condizione per la compatibilità del sistema della messa alla prova e, nel suo ambito, del lavoro di pubblica utilità, con gli artt. 3, 24 e 27 Cost In tal senso, si è già pronunciata Sez. 3, n. 55511 del 19/09/2017, Zezza, Rv. 272066, affermando il principio, che questo Collegio condivide ed intende ribadire, secondo cui Ai fini della valutazione di idoneità del programma di trattamento per la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice, nella valutazione dell’idoneità del programma di trattamento presentato dal richiedente, è tenuto a compiere un vaglio di congruità sulla durata complessiva e sulla intensità del lavoro di pubblica utilità cui è subordinata la concessione, applicando in via analogica gli indici di cui all’art. 133 c.p. . A tali considerazioni deve aggiungersi che il quadro normativo sopra richiamato non fissa un confine rigido fra il programma di trattamento elaborato dal UEPE di intesa con l’imputato e il provvedimento del giudice con il quale si dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova. Non si prevede, in particolare, se la durata del lavoro di pubblica utilità debba essere fissata dal primo o dal secondo di tali atti, ferma restando come appena visto - la necessità di un controllo del giudice sulla sua congruità. Evidentemente, un tale controllo non può che comportare oneri motivazionali diversi a seconda che il programma, accettato espressamente dall’imputato, indichi la durata del lavoro di pubblica utilità ovvero non la indichi. Nel primo caso, infatti, la motivazione del successivo provvedimento del giudice potrà limitarsi a un richiamo alla congruità di quanto già previsto di intesa fra l’imputato e l’UEPE nel secondo caso, sarà invece necessaria una motivazione più pregnante in tal senso, Sez. 3, n. 55511 del 19/09/2017, Zezza, Rv. 272067 Il tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, qualora il giudice si limiti a recepire il programma di trattamento l’onere motivazionale su di lui incombente può intendersi soddisfatto anche attraverso un semplice richiamo alla sua congruità ove, invece, lo integri è tenuto a dar conto delle ragioni delle scelte operate in relazione alle peculiarità del caso concreto . E le considerazioni che precedono valgono per ogni altro aspetto non disciplinato, in tutto o in parte, dal programma di trattamento. Deve essere dunque espresso il seguente principio di diritto Qualora il giudice, nel disporre la sospensione del procedimento penale con messa alla prova, si limiti a recepire il programma di trattamento, l’onere motivazionale su di lui incombente può intendersi soddisfatto anche attraverso un semplice richiamo alla congruità del programma, trattandosi di un programma elaborato dall’UEPE di intesa con l’imputato e, dunque, conosciuto e condiviso da quest’ultimo. Qualora, invece, il giudice non si limiti a recepire il contenuto del programma ma lo integri ad esempio fissando la durata del lavoro di pubblica utilità, non determinata nel programma , deve fornire una motivazione che non può limitarsi ad un semplice richiamo al programma stesso o, genericamente, ai parametri dell’art. 133 c.p., ma deve dare conto delle ragioni delle scelte operate in relazione alle peculiarità del caso concreto . 3. - Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui gli imputati hanno elaborato il programma di trattamento di intesa con l’UEPE il programma prevede la necessità dello svolgimento del lavoro di pubblica utilità, ma non ne fissa la durata. Di conseguenza risulta insufficiente, perché priva di concreti riferimenti alla fattispecie, la motivazione del provvedimento impugnato, nella parte in cui si limita ad affermare l’idoneità del programma, determinando in due anni la durata della sospensione con messa alla prova, senza alcun richiamo alla concreta gravità dei fatti per i quali si procede e alla personalità degli imputati. 4. - Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Caltanissetta, perché proceda a nuovo esame alla luce dei principi di diritto sopra affermati. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Caltanissetta.