Le Sezioni Unite: il curatore può sempre impugnare le misure cautelari reali…

Prevalgono le ragioni della procedura fallimentare – e dei creditori ammessi al fallimento - su quelle penali.

Così le Sezioni Unite Penali, n. 45936/19, depositata il 13 novembre. Le norme ed i poteri del curatore fallimentare. L’art. 42 della legge fallimentare priva il fallito della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione del fallimento e li trasferisce al curatore fallimentare, che tutela le ragioni dei creditori mediante la ricostruzione della massa attiva ed esercita, ai sensi dell’art. 43 della legge cit., la rappresentanza giudiziale dei rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento. Nulla quaestio in caso di impugnazione – mediante istanza di revoca, di riesame o ricorso per Cassazione – di misure cautelari reali emesse successivamente alla dichiarazione di fallimento – anche in virtù del novum ex art. 320 l. n. 14/2019 che esplicita la vigenza di siffatto potere dal 15 agosto 2020 -, dubbia è l’ammissione di analogo potere impugnatorio sulle misure apprensive emesse precedentemente. Una smentita soluzione civilista retrodatare i poteri del curatore alla data della domanda di concordato. Trattasi del principio di consecuzione delle procedure fallimentari – cfr. art. 69- bis r.d. n. 267/1942 - , che individua il dies a quo per poter proporre azioni revocatorie avverso atti dispositivi in danno della massa attiva al momento di proposizione della domanda di concordato. Il principio non può essere esteso oltre l’alveo normativo naturale durante la procedura di concordato permane la disponibilità dei beni in capo all’amministratore e non ha ancora operato alcun trasferimento di potere al curatore, pare abnorme potergli attribuire – mancando un requisito sostanziale - una legittimazione impugnatoria delle misure cautelari reali emesse precedentemente alla dichiarazione di fallimento e successivamente alla domanda di concordato. Il superamento della soluzione negativa. Le Sezioni Unite n. 11170 del 2014 valorizzavano le esigenze dell’accertamento penale sui beni del fallimento, finanche ad escludere che al curatore potesse – titolare di una generica disponibilità ed amministrazione dei beni, non della proprietà - spettare un generale potere impugnatorio delle misure cautelari reali emesse. I Giudici, evidentemente, rimettevano al Giudice ogni giudizio penale sulla confiscabilità dei beni da ritenersi prevalente sulle esigenze di tutela delle ragioni dei creditori del fallito. Il revirement delle Sezioni Unite. Invece, la lettura dell’art. 322- bis c.p.p. – Appello avverso le misure preventive - parrebbe suggerire una soluzione ampliativa quando – nell’individuare i legittimati ad impugnare il sequestro preventivo - aggiunge a colui a cui le cose sono state sequestrate” l’alternativo e non specificativo colui che avrebbe diritto alla restituzione” – analoghe previsioni sono previste in caso di richiesta di revoca ex art. 322 c.p.p. e ricorso per Cassazione ex art. 325 c.p.p. -. Siffatto diritto alla restituzione” sostanzierebbe un rapporto di fatto del curatore fallimentare con i beni del fallito – cioè la disponibilità – e non necessariamente la sussistenza di un diritto reale – la proprietà -. Il curatore fallimentare, in breve, può sempre impugnare le misure cautelari reali pregiudizievoli della massa attiva fallimentare a tutela delle ragioni dei creditori ammessi al passivo, sia quelle successive alla dichiarazione di fallimento che quelle precedentemente emesse.

Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 26 settembre – 13 novembre 2019, n. 45936 Presidente Carcano – Relatore Zaza Ritenuto in fatto 1. Il Fallimento omissis s.r.l. ricorreva avverso l’ordinanza del 8 ottobre 2018 con la quale il Tribunale di Mantova aveva rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale del 6 settembre 2018, dichiarativa di inammissibilità dell’istanza di dissequestro di somme oggetto del decreto di sequestro preventivo disposto nei confronti della omissis l’11 luglio 2018 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Mantova, e convalidato dal Giudice per le indagini preliminari in sede il successivo 13 luglio, per il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto relativa agli anni 2015 e 2016, ai sensi del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 12-bis. Posto che la omissis , in liquidazione dal 22 gennaio 2018, aveva presentato il 24 aprile 2018 domanda di ammissione al concordato preventivo, che all’esito della procedura, con sentenza pronunciata il 12 luglio 2018 e depositata il successivo 16 luglio, era stato dichiarato il fallimento della società, e che il sequestro era stato disposto fino al valore di Euro 181.671.356 ed eseguito su una somma giacente sul conto bancario della omissis dell’importo di Euro 11.593.85,54, oltre che su prodotti petroliferi rinvenuti presso una controllata estera, l’istanza era stata dichiarata inammissibile per carenza di legittimazione della curatela del fallimento ad impugnare il provvedimento ablativo, e quindi a richiedere il dissequestro, in quanto non titolare dei beni della fallita. 2. La curatela ricorrente, premesso che l’istanza di dissequestro aveva ad oggetto somme provenienti da rimesse effettuate sui conti correnti bancari della omissis successivamente alla data di presentazione dell’istanza di concordato preventivo, proponeva tre motivi. 2.1. Con il primo motivo deduceva violazione di legge sulla ritenuta sussistenza di un giudicato cautelare che avrebbe precluso alla curatela l’istanza di dissequestro, in conseguenza dell’ordinanza reiettiva pronunciata dal Tribunale di Mantova il 30 luglio 2018 sull’istanza di riesame del sequestro proposta dal legale rappresentante della omissis e non impugnata, e in particolare che - tale affermazione si poneva in contrasto con la previsione dell’art. 322-bis c.p.p. in tema di legittimazione dei terzi alla proposizione dell’appello in materia di sequestro preventivo, in quanto parti diverse da quelle della procedura di riesame - la decisione violava altresì l’art. 649 c.p.p. nel momento in cui l’istanza di dissequestro aveva contenuto diverso da quello della richiesta di riesame, riguardando somme affluite sul conto bancario della omissis successivamente alla domanda di concordato e perfino alla dichiarazione di fallimento - la questione del giudicato cautelare era comunque estranea all’appello, in quanto nel provvedimento appellato il Giudice per le indagini preliminari si era limitato a ritenere l’istanza di dissequestro inammissibile per carenza di legittimazione della curatela. 2.2. Con il secondo motivo deduceva violazione di legge sulla ritenuta correttezza della qualificazione delle somme sequestrate come provento del reato, e in particolare che - il Tribunale perveniva a tale conclusione osservando che, dopo aver omesso il versamento dell’imposta conseguendone il relativo profitto, la omissis versava la propria liquidità alla controllante DIPP Gmbh, e che, in mancanza di documentazione che ne attestasse una diversa provenienza, le somme presenti sul conto dovevano considerarsi derivanti dalla restituzione di quella liquidità al fine di sostenere la domanda di ammissione al concordato preventivo - tale argomentazione superava i limiti della nozione di profitto come vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dalla commissione del reato, estendendolo illegittimamente a versamenti di terzi successivi alla consumazione dell’illecito - nella stessa ordinanza impugnata si dava atto che la maggior parte delle somme sequestrate provenivano da versamenti effettuati per l’importo di Euro 9.993.080 dalla controllante Netsa SA, e non dalla Dipp, successivamente alla domanda di ammissione al concordato preventivo - la giurisprudenza più recente aveva riaffermato il principio stabilito dalla decisione delle Sezioni Unite Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli, Rv. 22865 in tema di valutazione in concreto delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle dei creditori della massa fallimentare - nel caso di specie, la dichiarazione di fallimento della omissis si poneva in continuità con la procedura di concordato preventivo, dovendo pertanto trovare applicazione il principio di consecuzione delle procedure concorsuali, con conseguente retrodatazione dell’efficacia della declaratoria di fallimento al momento della domanda di ammissione al concordato preventivo - l’argomentazione del provvedimento impugnato, per la quale detto principio non sarebbe applicabile al caso in esame in quanto espressivo di una mera fictio juris, finalizzata ad equiparare le posizioni creditorie sorte nel periodo di insolvenza, era fondata su una lettura semplificatoria di un quadro normativo in realtà complesso, che attribuisce al concordato preventivo una rilevanza pubblicistica omogenea a quella del fallimento con la sottrazione dei beni alla piena disponibilità del fallito e la loro destinazione al soddisfacimento dei creditori, rendendo tali beni sostanzialmente appartenenti a persona estranea al reato e quindi esclusi dall’area operativa della confisca ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis - una diversa interpretazione risulterebbe disincentivante del ricorso alle procedure concorsuali da parte di imprese che sarebbero soggette a provvedimenti di confisca tali da privarle degli elementi attivi. 2.3. Con il terzo motivo deduceva violazione di legge sull’esclusione della legittimazione della curatela a richiedere la revoca del sequestro, sottolineando che questa era in realtà l’unica questione trattata nel provvedimento appellato, e osservando in particolare che - quanto rilevato nel provvedimento impugnato in ordine al presupposto di tale legittimazione nella presenza di elementi sopravvenuti al sequestro, nella specie non addotti, era in contrasto sia con la previsione dell’art. 322-bis c.p.p., che consente l’appello al soggetto che avrebbe diritto alla restituzione delle cose sequestrate, sia con quella del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis che fa salvi i beni appartenenti a persone estranee al reato - la decisione delle Sezioni Unite richiamata dal Tribunale Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland s.p.a., Rv. 263685 non era applicabile al caso di specie ove la stessa riguardava la coesistenza dei vincoli, entrambi pubblicistici, derivanti il primo dal sequestro preventivo per equivalente previsto in materia di responsabilità da illecito degli enti e il secondo dalla procedura fallimentare, mentre nella specie si trattava di un sequestro, funzionale alla confisca diretta del profitto del reato, che attingeva beni non costituenti tale profitto e già nella disponibilità della procedura fallimentare. 3. Con ordinanza del 16 aprile 2019 la Terza Sezione penale di questa Corte, investita della decisione sul ricorso, rilevava il carattere preliminare della questione relativa alla legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti in tema di sequestro preventivo disposto precedentemente alla dichiarazione di fallimento, in quanto relativa alla stessa ammissibilità dell’impugnazione. Si premetteva a questo proposito nell’ordinanza che la sentenza delle Sezioni Unite Uniland, citata nel ricorso, aveva escluso tale legittimazione con una decisione la quale, pur se relativa ad un caso di confisca in materia di responsabilità amministrativa da illecito penale delle persone giuridiche, era fondata su argomenti generali di carattere sistematico in ordine alla mancanza, in capo al curatore, della titolarità di diritti sui beni della procedura che successive pronunce giurisprudenziali avevano dapprima ammesso la legittimazione del curatore nei casi in cui il sequestro fosse successivo alla dichiarazione di fallimento, e poi ne avevano esteso l’operatività in determinati casi a prescindere da detta condizione che il principio stabilito con la sentenza Uniland continua a precludere al curatore la possibilità di impugnare il sequestro o di chiederne la revoca quanto meno ove la dichiarazione di fallimento sia successiva all’imposizione del vincolo e che tanto era rilevante nel caso di specie, in cui il sequestro era disposto anteriormente al fallimento e non era invocabile in contrario il principio di consecuzione delle procedure concorsuali, in quanto attinente unicamente ai termini per la proposizione dell’azione revocatoria fallimentare, conservando per il resto il debitore, ammesso al concordato preventivo, non solo la proprietà, ma anche l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni. Si osservava tuttavia che vi erano ragioni per rivedere la menzionata decisione delle Sezioni Unite anche con riguardo al caso dell’anteriorità dell’apposizione del vincolo rispetto alla dichiarazione di fallimento, precisandosi in particolare che - il riferimento degli artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p., fra i soggetti legittimati all’impugnazione, alla persona che avrebbe diritto alla restituzione delle cose sequestrate, non è riconducibile esclusivamente al proprietario, valendo anzi in senso contrario la distinzione testuale di detta espressione da quella, precedentemente menzionata, della persona a cui le cose sono state sequestrate - l’attribuzione al curatore di poteri non solo di amministrazione dei beni del fallito, ma anche di recupero di beni anteriormente alienati, include lo stesso curatore fra i soggetti che hanno diritto alla restituzione delle cose sequestrate - non è persuasivo il richiamo della sentenza Uniland alla mancanza di un interesse concreto in capo al curatore, il quale è invece interessato a rimuovere il vincolo del sequestro nell’ambito della sua funzione di ricostituzione dell’attivo, altrimenti risultando privata di concreta tutela la posizione dei creditori - la sentenza delle Sezioni Unite Focarelli, anch’essa citata nel ricorso, aveva in precedenza affermato la legittimazione del curatore a proporre le istanze di riesame del sequestro preventivo e di revoca della misura, senza individuarne alcun limite con riguardo ai rapporti cronologici fra il sequestro e la dichiarazione di fallimento. Si rimetteva pertanto il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma 1-bis. 4. Con decreto del 5 giugno 2019 il Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissandone la trattazione per l’odierna udienza. 5. Con memoria depositata il 23 agosto 2019 la ricorrente, oltre a ribadire deduzioni sulle questioni relative al giudicato cautelare e all’impossibilità di qualificare le somme come profitto del reato, svolge ulteriori considerazioni sulla questione rimessa alle Sezioni Unite. Riprendendo quanto già sostenuto nel ricorso sull’applicabilità del principio affermato nella sentenza Uniland al solo caso della coesistenza sui beni sequestrati di due vincoli legittimi, ove si intenda far valere diritti di terzi in buona fede, e non a quelli in cui, come nel caso di specie, si contesti la legittimità del sequestro, ne desume che la titolarità del diritto di impugnazione può essere riconosciuta alla curatela ricorrente senza porre in discussione il principio di cui sopra. Ritiene comunque condivisibile quanto prospettato nell’ordinanza di rimessione sull’opportunità di rivalutare l’effettività di detto principio, aggiungendo, sulla base della previsione dell’art. 322-bis c.p.p. ove la stessa legittima all’impugnazione, oltre alla persona a cui le cose sono state sequestrate, anche l’avente diritto alla restituzione delle stesse, che nella sentenza Uniland non veniva approfondito il tema della riconducibilità della figura del curatore a quest’ultima categoria, in quanto soggetto deputato all’amministrazione dei beni del fallimento ed al recupero di quelli sottratti e sottolinea altresì gli effetti pregiudizievoli del principio della sentenza Uniland per i creditori, i cui diritti sarebbero singolarmente azionabili solo alla conclusione della procedura fallimentare e non sarebbero tutelati in sede penale, diversamente da quanto affermato nella sentenza, attesa la necessità di rispettare in quella fase la par condicio creditorum, rimanendo peraltro impedita ai creditori la possibilità di intervenire nel contraddittorio sulla legittimità del sequestro. 6. Il Procuratore generale in sede ha depositato note d’udienza a sostegno della conclusione del riconoscimento del curatore come soggetto legittimato all’impugnazione dei provvedimenti cautelari reali, in quanto titolare del diritto alla restituzione dei beni, e dell’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per le valutazioni sulla legittimità del sequestro. Considerato in diritto 1. La questione rimessa alle Sezioni Unite è posta nei seguenti termini Se il curatore fallimentare sia legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento . Si tratta di una questione che inerisce all’oggetto del terzo ed ultimo dei motivi del ricorso proposto dalla curatela del Fallimento omissis , concernente la legittimazione del curatore a richiedere la revoca del sequestro in esame e ad impugnare la relativa decisione, nell’ambito della più generale problematica relativa alla legittimità dell’impugnazione della curatela avverso i provvedimenti cautelari reali adottati precedentemente alla dichiarazione di fallimento. Come correttamente ritenuto nell’ordinanza di rimessione, tale motivo precede in realtà gli altri nell’ordine logico-giuridico la questione rimessa deve pertanto essere preliminarmente esaminata. 2. La rimessione sollecita, come rammentato in premessa, la revisione di un’affermazione di principio già formulata dalle Sezioni Unite nel senso della mancanza di legittimazione del curatore fallimentare a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland s.p.a., Rv. 263685 tanto in un caso nel quale il sequestro era stato disposto ai fini della confisca di beni costituenti il prezzo o il profitto del reato nei confronti di ente responsabile dello stesso, ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 19 ma in termini tali da assumere portata più ampiamente comprensiva dei provvedimenti cautelari adottati su beni nella disponibilità della curatela, come peraltro esplicitamente riconosciuto nella giurisprudenza di legittimità Sez. 3, n. 23388 del 01/03/2016, Ivone, Rv. 267346 , essendo la decisione fondata sull’esclusione di qualsiasi titolarità del curatore sui beni sequestrati. Nella sentenza Uniland si osservava infatti che la dichiarazione di fallimento non trasferisce alla curatela la proprietà dei beni del fallito, ma solo l’amministrazione e la disponibilità degli stessi. Se ne desumeva pertanto che nessun diritto reale su tali beni può essere riconosciuto al curatore, il quale ha unicamente compiti gestionali, mirati al soddisfacimento dei creditori e si aggiungeva che il curatore neppure esercita diritti in rappresentanza dei creditori stessi, i quali, fino alla conclusione della procedura concorsuale, vantano una mera pretesa sui beni del fallito e non hanno quindi alcun titolo per la restituzione degli stessi. Ponendosi altresì in dubbio, nella sentenza indicata, che il curatore abbia un interesse concreto tutelabile ad opporsi a provvedimenti di sequestro e confisca che non recano effettivo pregiudizio alla integrità della massa fallimentare, la cui tutela è oggetto delle funzioni della curatela, dal momento che lo Stato può far valere il suo diritto sui beni solo alla conclusione della procedura e con la salvaguardia dei diritti dei creditori. La questione rimessa in quel caso alle Sezioni Unite era per il vero diversa, riguardando l’ampiezza della valutazione del giudice penale, investito di una richiesta di applicazione del sequestro preventivo, fra gli estremi della limitazione all’accertamento della confiscabilità dei beni e dell’estensione ad un esame comparativo delle ragioni a sostegno della pretesa punitiva dello Stato e delle esigenze tutelate dalla procedura concorsuale nella tutela dei creditori in buona fede, nonché, in questa seconda prospettiva, la spettanza della verifica della buona fede dei singoli creditori allo stesso giudice penale ovvero al giudice fallimentare. A tale questione veniva data risposta nel senso della necessità di tale verifica e dell’attribuzione della stessa al giudice penale, anche in sede esecutiva. Nello sviluppo dell’argomentazione che conduceva a questa conclusione, l’esclusione della legittimazione del curatore all’impugnazione dei provvedimenti cautelari reali era tuttavia oggetto di una precisa indicazione di principio nell’ottica del cui superamento si giustifica la rimessione della relativa questione secondo la previsione dell’art. 618 c.p.p., comma 1-bis. 3. Il principio di cui si tratta è stato peraltro oggetto, nella successiva giurisprudenza di legittimità, di un’elaborazione che, riaffermandone la validità, ne ha tuttavia precisato e sostanzialmente limitato la portata. L’insussistenza in capo alla curatela di una generale facoltà di impugnazione dei provvedimenti cautelari reali, nella situazione normativa attualmente vigente, è stata recentemente ribadita anche rispetto all’intervenuta emanazione del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 320 la cui entrata in vigore è prevista dallo stesso decreto per il 15 agosto 2020, che attribuisce espressamente al curatore tale facoltà con riguardo alla proposizione della richiesta di riesame o di appello avverso i decreti e le ordinanze di sequestro, nonché del ricorso per cassazione avverso le decisioni su dette richieste, nei casi, nei termini e con le modalità previste dal codice di procedura penale. Si è invero rilevato sul punto come proprio il fatto che il legislatore abbia ritenuto di dover conferire al curatore tale facoltà confermi la mancanza della stessa nell’attuale assetto normativo Sez. 2, n. 27262 del 16/04/2019, Fallimento Eurocoop s.coop., Rv. 276284 . Da un dato momento, però, si è aperta nella giurisprudenza una prospettiva diversa, là dove tale carenza di legittimazione è stata confermata con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti di sequestro emessi anteriormente alla dichiarazione di fallimento Sez. 3, n. 42469 del 12/07/2016, Amista, Rv. 268015 . Rilevante, in questo senso, è il riferimento, ai fini della decisione indicata, al presupposto della legittimazione in esame nella effettiva disponibilità dei beni sequestrati, ed alla circostanza per la quale la dichiarazione di fallimento successiva al sequestro non attribuirebbe alla curatela la disponibilità dei beni del fallito nel momento in cui per un verso quest’ultimo conserva il diritto di proprietà degli stessi, e per altro il vincolo penale già esistente assorbirebbe ogni potere fattuale sui beni. Ne segue infatti l’implicita conseguenza che, nell’opposta situazione in cui la dichiarazione di fallimento precede il sequestro, per effetto della prima il sequestro interviene su beni già nella disponibilità della curatela, nei confronti della quale si realizzerebbe pertanto il presupposto della legittimazione all’impugnazione. Questa sostanziale limitazione dell’operatività del principio, stabilito con la sentenza Uniland, ai casi nei quali la dichiarazione di fallimento sia successiva al sequestro, è stata successivamente confermata in base alla considerazione per la quale il fallimento non determina una successione a titolo particolare della curatela nei diritti del fallito Sez. 3, n. 28090 del 16/05/2017, Falcone . Ma le conclusioni della sentenza Amista, nella parte in cui risultano ammissive della legittimazione del curatore all’impugnazione là dove il sequestro sia invece successivo alla dichiarazione di fallimento, hanno trovato positiva affermazione nell’esclusione della possibilità di eseguire il sequestro su beni appartenenti alla massa fallimentare, e quindi in una situazione cronologica di posteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento, in quanto sui beni che si trovano in questa condizione si è ormai costituito un potere di fatto della curatela Sez. 3, n. 45574 del 29/05/2018, Evangelista, Rv. 273951 . Questo orientamento giurisprudenziale, del resto, è alla base della formulazione del quesito posto con l’ordinanza di rimessione, nel senso della verifica della sussistenza o meno della legittimazione del curatore alla richiesta di revoca ed all’impugnazione dei provvedimenti cautelari reali nell’ipotesi in cui gli stessi siano stati disposti precedentemente alla dichiarazione di fallimento dandosi in tal modo per accertata l’esistenza di tale legittimazione con riguardo ai provvedimenti emessi successivamente alla dichiarazione di cui sopra. 4. A questo punto, è opportuno accennare alla tematica, evocata con opposte conclusioni nel ricorso e nell’ordinanza di rimessione, relativa alla possibilità della retrodatazione degli effetti del fallimento al momento della domanda di ammissione della OMISSIS al concordato preventivo, in applicazione del principio di consecuzione fra le procedure fallimentari, ed all’incidenza di essa sulla legittimazione della curatela alla richiesta di revoca del sequestro ed alle successive impugnazioni. Considerato infatti che il sequestro oggetto del ricorso veniva disposto alla data dell’11 luglio 2018, precedente sia pure di un solo giorno a quella della dichiarazione di fallimento, ma successiva a quella del 24 aprile 2018 nella quale veniva presentata la domanda di ammissione al concordato preventivo, qualora l’efficacia del fallimento si dovesse ritenere anticipata a quest’ultima data anche ai fini della successione cronologica fra il sequestro ed il fallimento per i relativi effetti sulla legittimazione della curatela ad agire, sarebbe applicabile nel caso di specie l’indirizzo giurisprudenziale prima indicato, riconoscendo detta legittimazione per essere il sequestro intervenuto successivamente ad un atto equiparato alla dichiarazione di fallimento. Il principio di consecuzione, come riconosciuto dalla giurisprudenza civilistica di legittimità Sez. 1 civ., n, 15724 del 11/06/2019, Rv. 654456 Sez. 1 civ., n. 25728 del 14/12/2016, Rv. 642756 , ha la sua espressione normativa nella previsione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 69-bis, comma 2, per la quale, nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini previsti per l’individuazione degli atti dispositivi soggetti ad azioni revocatorie, in quanto compiuti in un determinato periodo antecedente la declaratoria di fallimento, decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese. Come è evidente dalla lettura del testo normativo, l’operatività del principio vi è prevista limitatamente alla diversa decorrenza del computo del periodo in cui si collocano gli atti passibili di revocatoria. Anche la giurisprudenza civilistica ne racchiude l’applicazione in questo ristretto ambito Sez. 1 civ., n. 5924 del 14/03/2016, Rv. 639058 Sez. 1 civ., n. 2335 del 17/02/2012, Rv. 621348 implicitamente escludendo che il principio possa avere effetti ai fini che qui interessano. Ma la stessa giurisprudenza ha altresì precisato che il debitore ammesso al concordato preventivo subisce quello che viene definito uno spossessamento attenuato dei suoi beni, nel senso che di essi mantiene non solo la proprietà, ma anche l’amministrazione e la disponibilità, sia pure con le limitazioni proprie di quella particolare procedura concorsuale Sez. 5 civ., n. 4728 del 25/02/2008, Rv. 602013 Sez. 5 civ., n. 6211 del 16/03/2007, Rv. 597037 . E la conservazione dell’amministrazione e della disponibilità dei beni in capo al soggetto di cui sopra è stata affermata anche dalla giurisprudenza penale di legittimità, traendone la conseguenza dell’ammissibilità del sequestro di immobili in possesso dell’unico socio di una società ammessa al concordato preventivo Sez. 3, n. 13996 del 08/02/2012, Verlato, Rv. 252618 . Tanto ulteriormente conforta, identificandone il fondamento giustificativo, la lettura restrittiva degli effetti del principio di consecuzione, suggerita dal testo dell’art. 69-bis L. Fall., nella limitazione degli stessi a finalità per le quali non rileva la disponibilità dei beni del fallito, quali quelle espressamente indicate nella norma e, di contro, nell’esclusione di tali effetti laddove tale disponibilità viceversa abbia rilevanza. Orbene, questa seconda ipotesi è quella che ricorre con riguardo al tema della legittimazione del curatore all’impugnazione dei provvedimenti di sequestro. Proprio il passaggio dell’amministrazione e della disponibilità dei beni del fallito da quest’ultimo alla curatela, per effetto della dichiarazione di fallimento, costituisce infatti, come si è detto, il presupposto dell’orientamento che attribuisce al curatore la legittimazione all’impugnazione dei provvedimenti di sequestro disposti successivamente a quella declaratoria in mancanza del quale vengono meno i requisiti per il riconoscimento di tale legittimazione, secondo l’orientamento indicato, relativamente ai provvedimenti di sequestro emessi precedentemente alla dichiarazione di fallimento pur se di seguito a una pregressa domanda di ammissione del fallito al concordato preventivo, la quale non attribuisce alla curatela quel potere di fatto sui beni sequestrati che ne giustificherebbe la facoltà di impugnazione. Anche per il caso in esame, nel quale ricorrono le condizioni appena descritte, il principio affermato nella sentenza Uniland, pur se precisato dalla successiva giurisprudenza di cui si è detto, escluderebbe pertanto la legittimazione della curatela all’impugnazione che ha dato luogo all’ordinanza oggetto del ricorso in discussione. 5. Ancora con riguardo all’affermazione di cui alla sentenza Uniland, deve aggiungersi che altre pronunce giurisprudenziali si sono spinte oltre la distinzione dei provvedimenti impugnabili dalla curatela in base al riferimento cronologico segnato dalla posteriorità o meno degli stessi rispetto alla dichiarazione di fallimento. Si è in particolare ammessa la possibilità che, anche a prescindere da questo elemento, la legittimazione del curatore sia valutata secondo il concreto interesse dello stesso all’impugnazione, in quanto soggetto deputato all’amministrazione dei beni del fallimento Sez. 3, n. 37439 del 07/03/2017, Cosentino . Questo indirizzo, successivamente ribadito in più occasioni Sez. 6, n. 37638 del 13/02/2019, Fallimento OMISSIS s.r.l. Sez. 3, n. 17749 del 17/12/2018, dep. 2019, Casa di cura Trusso s.p.a., Rv. 275453 Sez. 3, n. 47737 del 24/09/2018, Fallimento OMISSIS s.p.a., Rv. 275438 Sez. 3, n. 45578 del 6/06/2018, Fallimento Laziale OMISSIS s.n.c. , richiama una precedente decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, che attribuiva al curatore la facoltà di proporre l’istanza di revoca di un provvedimento di sequestro preventivo, la richiesta di riesame dello stesso provvedimento e il ricorso per cassazione avverso la relativa decisione Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004 Focarelli, Rv. 228163 . Ciò, per un verso, nell’espletamento della funzione istituzionale di ricostruzione dell’attivo fallimentare, che implica l’interesse ad opporsi ad un atto pregiudizievole per l’integrità del relativo assetto patrimoniale quale provvedimento di sequestro e per altro sul presupposto della disponibilità giuridica e materiale dei beni del fallito, trasferita alla curatela con la dichiarazione di fallimento. Tanto evidenzia le incertezze e le perplessità manifestate dalla giurisprudenza di legittimità nell’applicazione del principio formulato con la sentenza Uniland, e, d’altra parte, il pensiero non univoco nel tempo delle stesse Sezioni Unite sull’argomento. 6. In questo contesto, senza dubbio problematico, vi è un dato certo di carattere normativo, che risulta determinante per la soluzione della questione. L’art. 322-bis c.p.p., nel disciplinare l’appello avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo, procedura sulla quale si è innestato il ricorso in discussione, indica quali soggetti legittimati a proporre l’impugnazione, oltre al pubblico ministero, all’imputato e al difensore di questi, anche la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione una disposizione, questa, peraltro già dettata nel precedente art. 322, in materia di riesame del decreto di sequestro preventivo, e puntualmente riportata nel successivo art. 325, a proposito del ricorso per cassazione avverso le ordinanze che decidono nelle procedure di riesame e di appello. Da questa formulazione risulta in primo luogo evidente il riferimento del legislatore alla persona alla quale le cose sono state sequestrate, ed a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, come soggetti diversi e non coincidenti per cui l’avente diritto alla restituzione, come del resto riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, può essere individuato in una persona diversa da quella a cui il bene è stato sequestrato Sez. 2, n. 51753 del 03/12/2013, Casella, Rv. 257359 Sez. 2, n. 39247 del 08/10/2010, Gaias, Rv. 248772 . L’avente diritto ha pertanto, nella previsione normativa, una sua distinta fisionomia, quale soggetto portatore di un proprio interesse meritevole di tutela Sez. 6, n. 2599 del 27/05/1994, Della Volta, Rv. 199051 . In secondo luogo, se di tali soggetti la persona alla quale le cose sono state sequestrate è testualmente identificata in base ad una circostanza di fatto, la persona che avrebbe diritto alla loro restituzione ha assunto, nell’interpretazione che a tale nozione è stata data in sede giurisprudenziale, una configurazione estesa all’esistenza di un rapporto di fatto della persona con il bene, non essendo necessario che sullo stesso la persona vanti un diritto reale. È sufficiente, a tali fini, che tale situazione di fatto sia tutelata dall’ordinamento, e che la stessa dia luogo ad una posizione giuridica autonoma del soggetto rispetto al bene Sez. 6, n. 3775 del 04/10/1994, Rapisarda, Rv. 199929 condizioni, queste, riconosciute in fattispecie di possesso o detenzione qualificata, come nei casi del conduttore di un immobile Sez. 3, n. 26196 del 22/04/2010, Vicidomini, Rv. 247693 o del promissario acquirente già immesso nel possesso del bene Sez. 3, n. 42918 del 22/10/2009, Soto, Rv. 245222 . La persona avente diritto alla restituzione della cosa sequestrata, legittimata all’impugnazione dei provvedimenti dispositivi o confermativi del sequestro, è dunque identificata dalla disponibilità autonoma e giuridicamente tutelata del bene. 7. Una disponibilità rispondente a queste caratteristiche è senza dubbio esistente in capo al curatore rispetto ai beni del fallimento. Come disposto dall’art. 42, comma 1, L. Fall., la sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento . La disponibilità di tali beni, da quel momento, si trasferisce dal fallito agli organi della procedura fallimentare. Di essi, il curatore è incaricato dell’amministrazione della massa attiva nella prospettiva della conservazione della stessa ai fini della tutela dell’interesse dei creditori, come indiscutibilmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità Sez. 3, n. 17749 del 17/12/2018, dep. 2019, Casa di cura Trusso s.p.a., Rv. 275453 Sez. 5, n. 48804 del 09/10/2013, Fallimento OMISSIS , Rv. 257553 ed in questa veste, l’art. 43 L. Fall. gli attribuisce la rappresentanza in giudizio dei rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento Sez. 2 civ., n. 11737 del 15/05/2013, Rv. 626734 . La giurisprudenza civilistica qualifica esplicitamente il curatore come detentore dei beni del fallimento Sez. 2 civ., n. 16853 del 11/08/2005, Rv. 585055 . E si tratta senz’altro di una detenzione qualificata, anche per il carattere pubblicistico della funzione per la quale la stessa è attribuita. La stessa sentenza Uniland ammette la natura pubblica della figura del curatore nella gestione dei beni del fallimento e su questo aspetto è concorde con quanto già affermato nella sentenza Focarelli, peraltro richiamando consolidati principi civilistici Sez. 1 civ., n. 2570 del 06/03/1995, Rv. 490929 , in ordine alla qualificazione del curatore come organo che esercita una pubblica funzione nell’ambito dell’amministrazione della giustizia. La disponibilità dei beni del fallimento, di cui il curatore è titolare, è dunque riconosciuta dall’ordinamento e oggetto di una posizione giuridicamente autonoma nell’esercizio dei poteri di amministrazione e di rappresentanza in giudizio che al curatore sono per quanto detto conferiti. Ed è sulla base di queste considerazioni che la giurisprudenza di legittimità, del resto, ha espressamente ricondotto la posizione del curatore a quella della persona avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, ai fini della previsione di cui all’art. 322-bis c.p.p. Sez. 2, n. 24160 del 16/05/2003, Sajeva, Rv. 227479 . 8. Il tema dell’attribuibilità al curatore della legittimazione ad impugnare i provvedimenti cautelari reali adottati sui beni del fallimento, in quanto persona avente diritto alla restituzione di essi in caso di dissequestro, non veniva affrontato nella sentenza Uniland. Come opportunamente osservato nell’ordinanza di rimessione, le conclusioni formulate in quella sede si limitavano ad escludere che il curatore fosse titolare di diritti reali sui beni in questione titolarità che, come si è detto, non esaurisce le situazioni nelle quali il soggetto assume la posizione di avente diritto alla restituzione del bene secondo al previsione normativa. Nella stessa sentenza, peraltro, si dava atto della funzione gestionale svolta dal curatore nell’interesse dei creditori ma la rilevanza di tale funzione, anche nella sua pur riconosciuta dimensione pubblicistica, non veniva esaminata nell’ottica della configurabilità di un diverso ed autonomo titolo di legittimazione del curatore all’impugnazione. Guardando invece il problema da questo punto di vista, le conclusioni appena raggiunte sulla qualificazione del curatore come persona avente diritto alla restituzione dei beni, nella sua funzione di conservazione e reintegrazione della massa attiva del fallimento ai fini del soddisfacimento delle ragioni dei creditori a cui la procedura fallimentare è istituzionalmente destinata, consentono di riconoscere a tale soggetto la legittimazione all’impugnazione in materia di sequestri di beni facenti parte del compendio fallimentare, derivante dalla predetta posizione secondo l’espressa previsione delle norme del codice di procedura penale. Non senza considerare, d’altra parte, che il curatore si appalesa anche in termini di fatto come l’unico soggetto destinatario dell’eventuale restituzione del bene, nelle sue funzioni di rappresentanza del fallimento e di amministrazione del relativo patrimonio. Tanto supera altresì i dubbi espressi nella sentenza Uniland sulla ravvisabilità di un concreto interesse della curatela ad impugnare provvedimenti non immediatamente pregiudizievoli dell’integrità della massa fallimentare, in quanto appositivi di un vincolo a tutela di diritti che lo Stato potrà far valere sui beni solo alla conclusione della procedura fallimentare. Nella prospettiva dell’inclusione o meno del curatore fra i soggetti legittimati all’impugnazione, la descritta funzione di salvaguardia della massa fallimentare esercitata dallo stesso non consente infatti di escludere l’attualità di un siffatto interesse nella rimozione di vincoli comunque potenzialmente incidenti sulla valutazione della consistenza patrimoniale dell’attivo. 9. La risposta al quesito proposto a queste Sezioni Unite, nei termini nei quali è specificamente formulato, impone da ultimo di precisare come non abbia fondamento, nella ricostruzione appena esposta, la limitazione della legittimazione del curatore alle impugnazioni riguardanti beni sequestrati successivamente alla dichiarazione di fallimento, prospettata dall’indirizzo giurisprudenziale formatosi successivamente alla sentenza Uniland. La legittimazione all’impugnazione del curatore, in quanto derivante dalla sua posizione di soggetto avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, investe necessariamente la totalità dei beni facenti parte dell’attivo fallimentare. Ciò corrisponde peraltro al dato normativo rinvenibile nel già rammentato contenuto dell’art. 42 L. Fall., per il quale la dichiarazione di fallimento, privandone il fallito, conferisce alla curatela la disponibilità di tutti i beni di quest’ultimo esistenti alla data del fallimento e quindi anche di quelli già sottoposti a sequestro. Non può pertanto essere impedito al curatore di far valere le ragioni della procedura fallimentare con riguardo a tali beni, essi pure facenti parte dell’attivo fallimentare entrato nella disponibilità della curatela, avverso il vincolo apposto sugli stessi. 9. Deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto Il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale . 10. Alla luce del principio appena formulato, è all’evidenza fondato il motivo dedotto dalla ricorrente sull’esclusione della legittimazione della curatela a richiedere la revoca del sequestro e ad impugnare i relativi provvedimenti reiettivi. La stessa affermazione di principio implica altresì la fondatezza del motivo dedotto sulla ritenuta sussistenza del giudicato cautelare. Una volta ritenuta l’autonoma legittimazione della curatela all’impugnazione dei provvedimenti in materia di sequestro, la decisione sull’istanza di riesame del sequestro proposta dalla OMISSIS , pronunciata in un giudizio al quale la curatela era estranea, non può considerarsi in alcun modo preclusiva dell’impugnazione del curatore, intesa a far valere le diverse ragioni attinenti al rapporto fra il vincolo penale sotteso al sequestro e quello derivante dalla procedura fallimentare, evidentemente estranee al giudizio di riesame attivata dalla società dichiarata fallita. 11. È invece infondato il motivo dedotto sulla ritenuta correttezza della qualificazione delle somme sequestrate come provento del reato. Va premesso che, sebbene con l’ordinanza del 6 settembre 2018 il Giudice per le indagini preliminari si fosse limitato a dichiarare l’inammissibilità dell’istanza di revoca del sequestro per carenza di legittimazione della curatela del fallimento a proporla, il punto era oggetto di specifica motivazione nel provvedimento impugnato, pronunciato in sede di appello avverso l’ordinanza di cui sopra in detto provvedimento, infatti, pur rilevandosi la mancanza di legittimazione della curatela anche con riguardo all’impugnazione, si argomentava comunque sulla sussistenza dei presupposti del sequestro. Il Tribunale osservava in particolare che le disponibilità patrimoniali della omissis venivano ridotte da diverse operazioni di versamento di somme in favore di società controllanti, dapprima la Netsa SA e poi la DIPP Gmbh, formalmente giustificate nell’ambito di rapporti di cash pooling, ossia di tesoreria accentrata gestita da dette società nell’ambito del gruppo del quale la OMISSIS faceva parte per effetto delle quali, tuttavia, quest’ultima veniva privata della liquidità necessaria per il pagamento delle imposte. Le somme sequestrate, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, provenivano da rimesse effettuate dalla DIPP e dalla Netsa in concomitanza con la presentazione della domanda di ammissione della OMISSIS al concordato preventivo e con il conseguente svolgimento della relativa procedura e dovevano pertanto ritenersi facenti parte dei flussi finanziari usciti dalla società in corrispondenza dell’evasione delle imposte, e fatte rientrare al solo fine di reintegrare le consistenze patrimoniali della omissis a sostegno della richiesta procedura concorsuale. In questi termini, l’ordinanza era coerentemente motivata, nella valorizzazione dei dati cronologici sull’uscita e sul reingresso delle somme, in ordine alla riconducibilità del denaro sequestrato al profitto dell’evasione fiscale. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il sequestro non era confermato in base alla mera esistenza di versamenti di terzi successivi all’evasione ma veniva logicamente argomentata la provenienza delle somme sequestrate dal denaro precedentemente uscito dalla omissis , e quindi sottratto all’imposizione nel momento in cui le disponibilità residue erano insufficienti a tal fine, mediante il passaggio meramente strumentale attraverso le società controllanti. Le conclusioni del Tribunale erano pertanto conformi ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di qualificazione, come profitto del reato tributario, del risparmio di spesa corrispondente al mancato decremento del patrimonio del debitore per effetto dell’adempimento dell’obbligazione fiscale Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036 Sez. 3, n. 6348 del 04/10/2018, Torelli, Rv. 274859 Sez. 3, n. 8995 del 30/10/2017, Barletta, Rv. 272353 , e di riconducibilità a tale profitto del denaro corrispondente per valore alla somma sottratta, attesa la natura fungibile del bene, anche in difetto di elementi indicativi della diretta provenienza dal reato della somma sequestrata Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437 Sez. 3, n. 4609 del 28/03/2018, Carriero, Rv. 274561 Sez. 5, n. 23393 del 29/03/2017, Garau, Rv. 270134 . La concludenza della motivazione del provvedimento impugnato non è inficiata dal riferimento della ricorrente alla provenienza della maggior parte delle somme sequestrate dalla Netsa e non dalla Dipp, ultima controllante beneficiaria dei versamenti effettuati dalla OMISSIS , nel momento in cui i giudici di merito evidenziavano come anche nei confronti della Netsa fossero state effettuate analoghe operazioni depauperative del patrimonio della società successivamente dichiarata fallita. Nel ricorso, con riguardo alla riconducibilità delle somme sequestrate al profitto del reato, sono per il resto proposte censure attinenti alla logicità della motivazione, non deducibili in sede di legittimità in questa materia, e peraltro generiche là dove, a fronte delle considerazioni del Tribunale sulla riferibilità delle somme ad un mero giroconto intercorso fra la omissis e le controllanti, non viene dedotto in contrario alcun elemento indicativo di una diversa derivazione del denaro, in adempimento dell’onere di allegazione che la giurisprudenza di legittimità attribuisce in proposito al soggetto che ritiene di avere diritto alla restituzione dei beni in sequestro Sez. 3, n. 41104 del 12/07/2018, Vincenzini, Rv. 274307 . L’argomentazione del Tribunale, come precedentemente illustrata, evidenzia altresì l’insussistenza del vizio di carenza motivazionale, indicato dal Procuratore generale a sostegno della sua richiesta di annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, in ordine all’acquisizione delle somme sequestrate da parte della omissis successivamente alla scadenza del termine per il versamento delle imposta. Tale acquisizione veniva infatti ricostruita come meramente apparente, trattandosi nella realtà del rientro di disponibilità finanziarie della omissis trasferite alle controllanti, e in tal modo sottratte agli obblighi tributari, in epoca precedente al decorso del termine per l’adempimento degli stessi. Per ciò che riguarda infine il richiamo della ricorrente al principio di consecuzione delle procedure concorsuali ed alla conseguente pertinenza originaria al fallimento delle somme, per essere le stesse pervenute alla omissis successivamente alla domanda di ammissione al concordato preventivo, oltre a quanto già osservato in precedenza in ordine all’efficacia di tale principio ai limitati fini della decorrenza del termine di individuazione degli atti soggetti alla revocatoria fallimentare, deve aggiungersi che anche questo rilievo è superato da quanto argomentato dal Tribunale sulla riconducibilità delle somme a pregresse disponibilità della società. La prevalenza delle ragioni sottese alla confiscabilità delle somme, rispetto a quelle del fallimento, era comunque motivata nel provvedimento impugnato con riguardo all’insufficienza del vincolo inerente alla procedura fallimentare nell’assicurare che le somme non venissero disperse tanto in conformità alle indicazioni normative provenienti, in termini di prevalenza del vincolo del sequestro su quello del fallimento, dalla previsione del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, artt. 63 e 64 per la quale i beni sequestrati anche successivamente alla dichiarazione di fallimento sono esclusi dalla massa attiva, potendo giungersi, nel caso in cui tali beni esauriscano la massa, alla chiusura del fallimento per mancanza di attivo. 12. Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendone la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente curatela al pagamento delle spese processuali.