Moglie vittima di angherie psicologiche, condannato il marito

Ricostruito l’incubo domestico vissuto dalla donna, presa di mira dal coniuge e fatta oggetto di ingiurie e vessazioni. Impossibile parlare di condotte non abituali respinta su questo punto la linea difensiva.

Le continue vessazioni psicologiche compiute ai danni della moglie sono sufficienti per ritenere il marito colpevole del delitto di maltrattamenti. Secondario il fatto che in un solo episodio si sia verificata una concreta aggressione fisica ai danni della donna Cassazione, sentenza n. 45521/19, sez.VI Penale, depositata l’8 novembre . Vessazioni. Ricostruita nei dettagli la vita da incubo vissuta tra le mura domestiche da una donna, fatta oggetto di continue angherie dal marito, i giudici, prima in Tribunale e poi in Appello, ritengono l’uomo colpevole di maltrattamenti e fissano la pena in quattordici mesi di reclusione con annesso risarcimento del danno in favore della moglie costituitasi parte civile . Inutili le obiezioni proposte in Cassazione dal legale dell’uomo e finalizzate a ridimensionarne la gravità dei comportamenti tenuti a casa ai danni della moglie. Per i Giudici, difatti, le parole della donna sono state chiarissime e hanno fatto emergere una lunga convivenza caratterizzata da continue minacce, aggressioni e offese . In quel quadro, poi, si è inserito anche l’episodio più grave che ha visto la moglie, aggredita dall’uomo, riportare serie lesioni, ossia frattura delle ossa nasali e rottura degli incisivi . In sostanza, è evidente la sistematica volontà dell’uomo di imporre alla moglie un regime di vita mortificante e violento , e quella volontà non può essere considerata meno grave alla luce del fatto che in alcune occasioni la donna abbia reagito . Al contrario, è fondamentale ‘pesare’ le continue angherie psicologiche da lei subite e lesive della sua dignità di donna e di madre . Logico, quindi, parlare di abitualità della condotta , alla luce del terribile contesto familiare, caratterizzato da plurimi e ripetuti atti d’ingiurie – anche per accadimenti banali, quale la preparazione errata della colazione –, minacce e percosse, tali da sottoporre la donna a un regime di vita vessatorio .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 ottobre – 8 novembre 2019, n. 45521 Presidente Mogini – Relatore Giorgi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe la Corte d'appello di Milano ha confermato, ad eccezione del punto riguardante la subordinazione della pena sospesa al pagamento della provvisionale, la sentenza in data 26/11/2018 del G.u.p. presso il Tribunale di Pavia, che aveva dichiarato all'esito di giudizio abbreviato Ro. Pi. colpevole dei reati di cui agli artt. 572 aggravato ai sensi dell'art. 61 n. 11-quinquies e 582-585-576 n. 5 cod. pen., per avere nel corso della convivenza familiare commesso atti di maltrattamento nei confronti della moglie convivente So. Ba. anche in presenza dei figli minori Ri. e Fe Pi. è stato dichiarato colpevole anche del reato di lesioni per avere colpito la Ba. al volto e alla nuca e condannato, con le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante, ritenuta la continuazione e con la diminuente di rito, alla pena complessiva di anni 1 e mesi 2 di reclusione, oltre al risarcimento del danno a favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede, con assegnazione di una provvisionale di 7.000,00 Euro. La Corte ripercorreva nel merito le motivazioni svolte dal primo giudice circa la consistenza in fatto dei reati contestati a Pi. e riteneva non fondati i rilievi difensivi in ordine all'inattendibilità e alla erronea valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, quanto alla descrizione delle reiterate condotte ingiuriose, aggressive, lesive e vessatorie poste in essere dal marito, ritenute viceversa lineari ed efficacemente riscontrate dalla certificazione medica relativa alle lesioni riportate il 28/06/2014, dalla documentazione fotografica eseguita dai militari intervenuti delle tumefazioni presenti sul volto della donna, ma anche dalle stesse dichiarazioni dell'imputato, che ha confermato molti degli episodi narrati dalla moglie, salvo poi dare una spiegazione alternativa della loro genesi e negare di avere trasmodato in reazioni violente o minacciose. La Corte condivideva altresì la valutazione del giudice di primo grado circa la sufficienza delle risultanze istruttorie per valutare compiutamente i fatti senza che occorresse procedere all'integrazione testimoniale richiesta che avrebbe riguardato elementi di contorno, privi del connotato di indispensabilità. I giudici di appello ritenevano inoltre correttamente configurata l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11-quinquies cod. pen. in relazione alle circostanze della condotta nel suo complesso. Ritenendo infine adeguato il trattamento sanzionatorio, revocava la subordinazione della pena sospesa al pagamento della provvisionale che risultava corrisposta nelle more del procedimento. 2. Il difensore di Pi. ha presentato ricorso per cassazione avverso la citata sentenza e ne ha chiesto l'annullamento, denunziando 2.1. erronea applicazione di legge e vizio di motivazione quanto alla qualificazione giuridica dei fatti come delitto di maltrattamenti, facendo difetto il requisito dell'abitualità dei comportamenti vessatori e lo stato di prostrazione fisica o morale della persona offesa 2.2. vizio di motivazione in relazione all'inadeguata valutazione delle affermazioni della persona offesa, la quale, costituitasi parte civile, è portatrice di una pretesa economica specifica che avrebbe reso necessario un accurato controllo delle dichiarazioni rese, che, siccome generiche e non contestualizzate, risultano prove di riscontri estrinseci e connotate da contraddizioni e inverosimiglianze 2.3. erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato di maltrattamenti, poiché la convivenza della coppia era stata difficoltosa ma non vi era stato intento di vessazione 2.4. violazione di legge e travisamento della prova con riguardo alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 11-quinquies cod. pen. 2.5. travisamento delle prove quanto al reato di lesioni personali, privo dell'elemento soggettivo della condotta o scriminato ai sensi dell'art. 52 cod. pen., comunque riferibile ad eccesso colposo di legittima difesa o attenuato ai sensi dell'art. 62 n. 2 cod. pen. 2.6. omessa motivazione in ordine al mancato contenimento della pena nei minimi edittali, con particolare riferimento all'aumento effettuato per la continuazione 2.7. omessa motivazione quanto alle statuizioni inerenti al risarcimento dei danni e alla concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso non sono fondati e il ricorso va rigettato. 2. Vanno congiuntamente trattati il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, diretti a contestare il giudizio di sussistenza degli estremi oggettivi e soggettivi del reato di maltrattamenti in ragione degli esiti di prova raccolti. Il reato di maltrattamenti è un reato abituale essendo costituito da una pluralità di fatti commessi reiteratamente dall'agente con l'intenzione di sottoporre il soggetto passivo a sofferenze fisiche e morali, per una serialità minima in cui ogni condotta successiva si riallaccia alla precedente dando vita ad un illecito strutturalmente unitario Sez. 6, n. 56961 del 19/10/2017, F., Rv. 272200 . Sono manifestamente infondate le censure con le quali il ricorrente denuncia vizio di motivazione sul giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e sulla conseguente possibilità di configurare, sulla scorta del racconto della Ba., il reato di maltrattamenti. Esse, infatti, appaiono sostanzialmente orientate a riprodurre un quadro di argomentazioni già esposte dinanzi ai giudici di merito, ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, ovvero intese a sollecitare una rivisitazione delle risultanze processuali, in tal guisa richiedendo, sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa sede, a fronte della linearità e della logica consequenzialità che caratterizza la scansione delle sequenze motivazionali della sentenza nella ricostruzione del compendio storico-fattuale posto alla base dei temi d'accusa. 3. In particolare, il contributo narrativo offerto dalla persona offesa è stato attentamente e criticamente esaminato dalla Corte territoriale, che si è confrontata con la portata delle dichiarazioni esplicative della lunga convivenza con l'imputato, caratterizzata da continue minacce, aggressioni e offese, come appariva confermato dalla documentazione medica prodotta in merito all'episodio occorso il 28/06/2014, in occasione del quale la donna aveva riportato frattura delle ossa nasali e rottura degli incisivi. Può, quindi, concludersi nel senso che la Corte ha compiutamente argomentato il giudizio di attendibilità del complessivo resoconto compiuto da So. Ba., sottolineando la mancanza di fratture logiche nella concatenazione della ricostruzione compiuta e valorizzandone i riscontri esterni. Ineccepibile si appalesa pertanto l'inquadramento giuridico della fattispecie avendo i giudici di merito accertato la sistematica volontà dell'imputato di imporre alla moglie un regime di vita mortificante e violento, non posto in dubbio dal fatto che la parte offesa abbia in alcune occasioni a sua volta reagito. La Corte territoriale, nel fare buon governo degli esiti di prova, ha evidenziato le continue angherie psicologiche, lesive della dignità di donna e di madre, sofferte dalla moglie dell'imputato e gli atteggiamenti violenti avuti dal coniuge. Sono state indicate dai giudici di appello, oltre all'aggressione già ricordata, i vari episodi in cui Pi. l'aveva presa per il collo per poi sbatterla contro il muro, l'occasione in cui l'aveva cacciata di casa, le esplosioni di smodata collera a fronte di accadimenti banali, quali la preparazione asseritamente errata del thè o della colazione. Affatto generica e contrastata dai rilievi fattuali dei giudici di merito appare, infine, la doglianza del ricorrente circa l'unicità dell'episodio lesivo del 28/06/2014, che priverebbe la fattispecie del requisito di abitualità della condotta, a fronte della puntuale ricostruzione probatoria del contesto familiare caratterizzato invece da plurimi e ripetuti atti d'ingiurie, minacce e percosse, tali da sottoporre la persona offesa a un regime di vita vessatorio. Ogni ulteriore argomento difensivo è portatore di una lettura alternativa che, sostenuta da una reciproca conflittualità di coppia e dalla volontà di minimizzare l'accaduto, viene correttamente indicata in sentenza come illogica e risulta comunque soccombente nel raffronto con gli argomenti contrari. 4. Quanto alla doglianza circa l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11-quinquies cod. pen. la sentenza impugnata con sintetica ma congrua motivazione ha rappresentato che essa è correttamente correlata alle circostanze della condotta nel suo complesso. Dalla relazione clinica dell'ASST di Pavia in data 26/01/2016 risulta infatti che il minore Ri. ha assistito ad episodi di violenza in cui la madre è stata malmenata e a diverse liti negli anni fra i genitori. Né può chiedersi alla Corte di cassazione di valutare i fatti attraverso nuovi e diversi parametri di giudizio, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito operazione, questa, preclusa in sede di controllo di legittimità del provvedimento impugnato. 5. Parimenti prive di pregio sono le censure relative al reato di lesioni. Con percorso motivazionale immune da discrasie logiche i giudici di merito hanno escluso che, diversamente da quanto prospettato dalla difesa, l'episodio possa essere ricondotto ad un'ipotesi di eccesso colposo, che richiederebbe un'aggressione di iniziativa della donna, tale da rendere necessaria una reazione difensiva dell'imputato, che non ha trovato alcun riscontro probatorio. È piuttosto emersa una violenta e smodata reattività ad un'azione una gomitata, a dire dello stesso imputato peraltro scaturita dal comportamento prevaricatore del Pi., che aveva rimproverato la moglie per avere acconsentito a che il figlio più piccolo facesse uno spuntino. Correttamente dunque la Corte ha osservato che, data la premessa dell'episodio nato dal contesto maltrattante, non può trovare applicazione l'attenuante di cui all'art. 62 n. 2 cod. pen. 7. Manifestamente infondati sono anche i motivi di ricorso in punto di trattamento sanzionatorio. Nella specie, la Corte di merito ha spiegato adeguatamente che le valutazioni effettuate dal Tribunale sono corrette le attenuanti generiche sono state riconosciute prevalenti sull'aggravante e riconosciute nella loro massima estensione ed è stata applicata una pena base pari al minimo edittale e che anche le caratteristiche della condotta che ha caratterizzato il reato di lesioni, posto in continuazione, comportano un apprezzamento di conferma della statuizione del primo giudice in ordine al quantum sanzionatorio. Il ricorrente pretende che si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il relativo potere discrezionale concesso dall'ordinamento operazione, questa, intrisa di merito e preclusa in sede di sindacato di legittimità del provvedimento impugnato. 8. Manifestamente infondate ed aspecifiche si palesano infine le doglianze relative alle statuizioni civili, posto che il danno derivato dai reati posti in essere è stato demandato, quanto alla liquidazione, alla competente sede. Anche la provvisionale è stata correttamente quantificata, avendo la Corte dato atto che essa si giustifica quantomeno a titolo di danno morale in ragione della durata nel tempo del reato di maltrattamenti e della entità delle lesioni subite. 9. Il ricorso proposto dall'imputato va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Va altresì disposta, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen., 83, comma 2, 110 D.P.R. n. 115 del 2002, la condanna del ricorrente alla rifusione in favore dello Stato delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà separatamente liquidata dal competente giudice di merito Sez. U., 26/09/2019, De Falco . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile ammessa al gratuito patrocinio nella misura che sarà separatamente liquidata dal competente giudice di merito e ne dispone il pagamento in favore dello Stato.