E’ stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 58-quater, comma 4, ord. pen., nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione che abbia cagionato la morte del sequestrato.
Così la Corte Costituzionale con la sentenza numero 229/19, depositata l’8 novembre. La questione. Sono stati il magistrato di sorveglianza di Milano e di Padova a sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 58-quater, comma 4, ord. penumero nella parte in cui prevede che i condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’articolo 630, comma 2, c.p., che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non siano ammessi ad alcuno dei benefici indicati dall’articolo 4-bis, comma 1, ord. penumero se non abbiano effettivamente espiato almeno due terzi della pena irrogata. La questione è sorta allorquando due detenuti hanno chiesto la concessione del permesso premio al fine di coltivare i propri affetti familiari, non avendo comunque espiato i due terzi della pena inflitta. Gli istanti affermavano che la preclusione dai benefici di cui all’articolo 4-bis ord. penumero non avesse dovuto applicarsi alle fattispecie di cui all’articolo 630, comma 2, c.p. riferito alla morte del sequestrato come conseguenza non voluta dal reo. Incostituzionalità. Riuniti i giudizi, il Giudice delle Leggi ha ritenuto fondate le questioni richiamando il rilievo già svolto nella sentenza numero 149/2018 in riferimento ai condannati all’ergastolo per il medesimo reato la rigida preclusione temporale prevista dalla norma censurata per l’accesso ai benefici «sovverte irragionevolmente la logica gradualistica sottesa al principio della progressività trattamentale e flessibilità della pena». In virtù del principio secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, la norma si pone infatti «in senso distonico rispetto all’obiettivo, costituzionalmente imposto, di consentire alla magistratura di sorveglianza di verificare gradualmente e prudentemente, anzitutto attraverso la concessione di permessi premio e l’autorizzazione al lavoro all’esterno, l’effettivo percorso rieducativo compiuto dal soggetto, prima di ammetterlo in una fase successiva dell’esecuzione». Come sottolineato dai giudici remittenti inoltre «la rimozione della preclusione contenuta nella disposizione censurata con riferimento ai condannati all’ergastolo da parte della sentenza numero 149/2018 ha prodotto l’irragionevole conseguenza che, oggi, essi godono di un trattamento penitenziario più favorevole rispetto a quello riservato ai condannati a pena detentiva temporanea per i medesimi titoli di reato». Evidenziata così l’esigenza di rimuovere la preclusione stabilita dall’articolo 58-quater, comma 4, ord. penumero anche con riferimento ai condannati a pena temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione che abbiano cagionato la morte del sequestrato, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’articolo 630 c.p. che abbiano cagionato la morte del sequestrato. In via consequenziale, la medesima norma è stata dichiarata incostituzionale nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’articolo 289-bis c.p. che abbiano cagionato la morte del sequestrato.
Corte Costituzionale, sentenza 9 ottobre – 8 novembre 2019, numero 229 Presidente Lattanzi – Redattore Viganò Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 14 maggio 2019 r. o. numero 131 del 2019 , il Magistrato di sorveglianza di Milano ha sollevato, in riferimento agli articolo 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, numero 354 Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà , nella parte in cui prevede che i condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’articolo 630, secondo comma, del codice penale, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati dall’articolo 4-bis, comma 1, ordinumero penit. se non abbiano effettivamente espiato almeno due terzi della pena irrogata. 1.1.– Espone il giudice rimettente di essere chiamato a decidere sull’istanza, formulata dalla detenuta A. C., di concessione del primo permesso premio al fine di coltivare i propri affetti familiari e, in particolare, con il figlio minorenne. Riferisce il giudice a quo – che la detenuta è stata condannata in via definitiva alla pena di ventiquattro anni di reclusione per concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravato dalla morte della persona sequestrata come conseguenza non voluta, ai sensi dell’articolo 630, secondo comma, cod. penumero , in relazione al ruolo da lei assunto nel rapimento di un bimbo, conclusosi con la sua uccisione da parte di altri correi – che, al momento della presentazione dell’istanza, la detenuta aveva espiato effettivamente tredici anni, un mese e dodici giorni di reclusione, avendo altresì maturato due anni, sette mesi e cinque giorni di liberazione anticipata – che nell’istanza la condannata aveva asserito la propria totale estraneità a contesti di criminalità organizzata e aveva dedotto, altresì, l’evidente impossibilità di una sua collaborazione “attiva”, in quanto le condotte a lei ascritte erano state integralmente accertate con sentenza passata in giudicato. Il rimettente ritiene, tuttavia, che alla stregua della disposizione censurata l’istanza dovrebbe essere ritenuta inammissibile, non avendo la condannata ancora espiato i due terzi della pena detentiva inflitta. Non avrebbe infatti pregio l’argomento dell’istante secondo cui la preclusione posta dall’articolo 58-quater, comma 4, ordinumero penit. non si applicherebbe all’ipotesi aggravata di cui all’articolo 630, secondo comma, cod. penumero , dal momento che – ad avviso del giudice a quo – l’espressione «che abbiano cagionato la morte del sequestrato» sarebbe riferibile tanto all’ipotesi – contemplata dall’articolo 630, terzo comma, cod. penumero – in cui il reo abbia volontariamente cagionato l’evento letale, quanto a quella – prevista dal secondo comma di tale disposizione – in cui la morte del sequestrato costituisca conseguenza non voluta della sua condotta. 1.2.– Il rimettente dubita, tuttavia, della compatibilità di tale preclusione con gli articolo 3 e 27, terzo comma, Cost. 1.3. – Le questioni sarebbero, anzitutto, rilevanti, in quanto soltanto la rimozione della preclusione in parola – non superabile in via interpretativa – consentirebbe di esaminare nel merito l’istanza proposta dalla condannata. 1.4.– Le questioni non potrebbero, d’altra parte, ritenersi manifestamente infondate. 1.4.1.– La preclusione posta dall’articolo 58-quater, comma 4, ordinumero penit. si esporrebbe, infatti, a tutte le censure di illegittimità costituzionale già ritenute fondate da questa Corte, sotto il profilo dell’articolo 27, terzo comma, Cost., con la sentenza numero 149 del 2018, censure richiamate per intero dal giudice a quo. 1.4.2.– La disciplina risultante dalla sentenza numero 149 del 2018 si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’articolo 3 Cost., risultando irragionevole – ed anzi paradossale – che per i condannati all’ergastolo sia oggi vigente una disciplina più favorevole di quella applicabile ai condannati a una mera pena detentiva temporanea. 2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto nel giudizio. 3.– La detenuta istante A. C. si è costituita in giudizio chiedendo che – ove questa Corte non ritenga possibile una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata nel senso di escludere l’operatività della preclusioni nei confronti dei condannati per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione che abbiano cagionato la morte del sequestrato come conseguenza non voluta – sia accolta la questione di legittimità costituzionale prospettata per i medesimi argomenti già sviluppati nell’ordinanza di rimessione. – Con ordinanza del 3 dicembre 2018 r. o. numero 55 del 2019 , il Magistrato di sorveglianza di Padova ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 58-quater, comma 4, ordinumero penit., in riferimento agli articolo 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede che i condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non siano ammessi ad alcuno dei benefici penitenziari indicati nel primo comma dell’articolo 4-bis ordinumero penit. se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata. 4.1.– Espone il rimettente di essere chiamato a decidere sull’istanza, formulata dal detenuto G. C., di un permesso premio presso l’abitazione della madre per coltivare gli affetti familiari, e in particolare con il figlio, portatore di grave patologia invalidante. Riferisce il giudice a quo – che il detenuto è stato condannato in via definitiva alla pena complessiva di venti anni e due mesi di reclusione, nonché di cinque mesi di arresto, di cui diciotto anni per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato ai sensi dell’articolo 630, terzo comma, cod. penumero , per avere egli cagionato volontariamente la morte del sequestrato – che, al momento della presentazione dell’istanza, il detenuto aveva espiato effettivamente la pena di nove anni, cinque mesi e venticinque giorni, avendo altresì maturato 630 giorni di liberazione anticipata – che nel 2014 lo stesso Magistrato di sorveglianza aveva riconosciuto che G. C. aveva prestato piena collaborazione con la giustizia. Ritiene tuttavia il rimettente che alla concessione del beneficio richiesto osti il disposto dell’articolo 58-quater, comma 4, ordinumero penit., che preclude ai condannati a pena temporanea per il delitto di sequestro a scopo di estorsione che abbiano cagionato la morte del sequestrato di accedere a qualsiasi beneficio penitenziario ove non abbiano effettivamente espiato i due terzi della pena irrogata. 4.2.– Il giudice a quo dubita, tuttavia, della compatibilità di tale disciplina con gli articolo 3 e 27, terzo comma, Cost. 4.3.– Le questioni sarebbero anzitutto rilevanti, dal momento che – in assenza della preclusione posta dalla disposizione censurata – l’istanza del condannato potrebbe senz’altro essere accolta. Avendo egli attivamente collaborato con la giustizia, l’accesso ai permessi premio gli sarebbe consentito una volta scontato il quarto della pena, ai sensi del combinato disposto degli articolo 58-ter, comma 1, e 30-ter, comma 4, lettera b , ordinumero penit. termine, questo, ormai abbondantemente scaduto. Il condannato avrebbe, inoltre, serbato regolare condotta all’interno dell’istituto penitenziario, come attestato anche dalla relazione favorevole del direttore del carcere e dalle molteplici evidenze relative alla partecipazione alle offerte trattamentali, alla rivisitazione critica del reato, ai tentativi di risarcimento posti in essere in favore dei familiari della vittima, al mantenimento di rapporti costanti con i familiari e in particolare con il figlio disabile, nonché all’assenza di elementi che lo colleghino alla criminalità organizzata. 4.4.– Le questioni sarebbero, altresì, non manifestamente infondate. 4.4.1.– Il rimettente rileva anzitutto che la disposizione censurata risulterebbe incompatibile con l’articolo 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevole disparità di trattamento venutasi a creare, in seguito alla sentenza numero 149 del 2018 di questa Corte, tra i condannati all’ergastolo e i condannati a pena detentiva temporanea, per i quali vigerebbe ormai un regime deteriore, potendo i primi essere ammessi a godere dei permessi premio una volta espiati dieci anni di pena ulteriormente riducibili per effetto dei periodi di liberazione anticipata maturati , a fronte della necessità di espiazione effettiva dei due terzi della pena per i secondi – e dunque di un periodo superiore a dieci anni, ogniqualvolta la pena irrogata sia superiore ai quindici anni di reclusione, come nel caso del detenuto istante. Di tale disparità di trattamento creata dalla sentenza numero 149 del 2018 sarebbe stata, del resto, consapevole anche questa Corte, che proprio per porre rimedio a tale effetto aveva invocato l’intervento correttivo del legislatore, a tutt’oggi non verificatosi. 4.4.2.– La disposizione censurata si esporrebbe, inoltre, a una seconda censura di irragionevole disparità di trattamento ex articolo 3 Cost., sottoponendo a un trattamento marcatamente deteriore i condannati per il delitto di cui all’articolo 630, terzo comma, cod. penumero che abbiano collaborato con la giustizia rispetto a quello riservato alla generalità dei condannati per taluno dei delitti previsti dall’articolo 4-bis ordinumero penit. che parimenti abbiano collaborato con la giustizia, e per i quali vigono – per effetto dell’articolo 58-ter, comma 1, ordinumero penit. – gli ordinari termini per l’accesso ai benefici penitenziari applicabili a qualsiasi condannato, e non già quelli più gravosi previsti per i condannati per i delitti previsti dallo stesso articolo 58-quater, comma 4, ordinumero penit. 4.4.3.– Infine, la disposizione censurata si esporrebbe a tutti i profili di contrasto con l’articolo 27, terzo comma, Cost. già riscontrati da questa Corte, con riferimento alla preclusione in precedenza vigente per i condannati all’ergastolo, nella sentenza numero 149 del 2018, la cui motivazione viene diffusamente richiamata dall’ordinanza di rimessione. 5. – Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto nel giudizio. Considerato in diritto 1.– Con ordinanze rispettivamente rubricate al numero 131 e al numero 55 del r. o. 2019, il Magistrato di sorveglianza di Milano e il Magistrato di sorveglianza di Padova hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, numero 354 Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà , in riferimento agli articolo 3 e 27, comma terzo, della Costituzione, nella parte in cui prevede che i condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non siano ammessi ad alcuno dei benefici penitenziari indicati nel primo comma dell’articolo 4-bis ordinumero penit., se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata. 2.– Deve preliminarmente disporsi la riunione dei predetti giudizi, che pongono questioni identiche e si fondano su argomenti in larga misura comuni. 3.– Le questioni sono ammissibili, avendo entrambi i rimettenti puntualmente chiarito che soltanto la preclusione posta dalla disposizione censurata impedisce l’esame nel merito, e l’eventuale accoglimento, dell’istanza di concessione di un permesso premio formulata da entrambi i detenuti nei giudizi a quibus. 3.1.– Il Magistrato di sorveglianza di Milano ha ritenuto d’altra parte che tale preclusione si estenda anche al condannato per sequestro di persona che abbia cagionato per mera colpa la morte del sequestrato ai sensi dell’articolo 630, secondo comma, del codice penale. Tale conclusione è contrastata dalla parte privata e dalla dottrina sinora espressasi sul punto, a parere delle quali il tenore letterale dell’articolo 58-quater, comma 4, ordinumero penit. farebbe inequivoco riferimento all’ipotesi dolosa, prevista dall’articolo 630, terzo comma, cod. penumero , in cui «il colpevole cagiona la morte del sequestrato», e non già a quella, prevista dal secondo comma, in cui «dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrato». Il giudice a quo, tuttavia, motiva in maniera non implausibile la propria scelta ermeneutica, argomentando nel senso della riconducibilità all’area semantica del verbo “cagionare” anche dell’ipotesi in cui la morte del sequestrato sia comunque “derivata”, in termini eziologici, dalla condotta dell’autore del reato, ancorché quest’ultimo non fosse animato dalla volontà di uccidere la vittima. Tanto basta ai fini dell’ammissibilità delle questioni prospettate dal Magistrato di sorveglianza di Milano, sotto il profilo della loro rilevanza nel giudizio a quo. 4.– Le questioni sono fondate, con riferimento a entrambi i parametri evocati. 4.1.– Anche per i condannati a pena temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione qualificato dalla causazione della morte della vittima vale anzitutto il rilievo, già svolto dalla sentenza numero 149 del 2018 in riferimento ai condannati all’ergastolo per il medesimo reato, che la rigida preclusione temporale posta dalla disposizione censurata all’accesso ai benefici sovverte irragionevolmente la logica gradualistica sottesa al principio della «progressività trattamentale e flessibilità della pena», già enucleato da numerose pronunce di questa Corte sentenze numero 257 del 2006, numero 255 del 2006, numero 445 del 1997 e numero 504 del 1995 come corollario del mandato costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, fissando l’unica e indifferenziata soglia dell’espiazione effettiva dei due terzi della pena irrogata quale condizione per l’accesso a tutti i benefici penitenziari. In tal modo, la disposizione opera in senso distonico rispetto all’obiettivo, costituzionalmente imposto, di consentire alla magistratura di sorveglianza di verificare gradualmente e prudentemente, anzitutto attraverso la concessione di permessi premio e l’autorizzazione al lavoro all’esterno, l’effettivo percorso rieducativo compiuto dal soggetto, prima di ammetterlo in una fase successiva dell’esecuzione – sulla base anche dell’esito positivo di quelle prime sperimentazioni – alla semilibertà e poi alla liberazione condizionale. Il che determina la violazione del combinato disposto degli articolo 3 e 27, terzo comma, Cost. 4.2. – Come giustamente rilevato da entrambi i giudici rimettenti, inoltre, la rimozione della preclusione contenuta nella disposizione censurata con riferimento ai condannati all’ergastolo da parte della sentenza numero 149 del 2018 ha prodotto l’irragionevole conseguenza che, oggi, essi godono di un trattamento penitenziario più favorevole rispetto a quello riservato ai condannati a pena detentiva temporanea per i medesimi titoli di reato. I condannati alla pena dell’ergastolo che abbiano cagionato la morte del sequestrato, infatti, possono – in forza della citata sentenza numero 149 del 2018 – accedere al beneficio del permesso premio, in caso di collaborazione o condizioni equiparate, dopo aver espiato dieci anni di pena, riducibili sino a otto anni grazie alla liberazione anticipata. I condannati a pena detentiva temporanea per il medesimo titolo delittuoso possono invece accedere al predetto beneficio, a parità di condizioni quanto alla collaborazione con la giustizia, solo dopo aver scontato i due terzi della pena inflitta, senza poter beneficiare di alcuna riduzione di tale termine a titolo di liberazione anticipata e cioè dopo aver scontato un periodo di detenzione che – tenuto conto delle elevatissime cornici edittali previste per le ipotesi delittuose in questione – è nella generalità dei casi ben superiore a otto anni, come mostrano del resto i due casi oggetto dei giudizi a quibus. Una tale conseguenza, evidentemente incompatibile con il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3, primo comma, Cost., era stata peraltro puntualmente segnalata all’attenzione del legislatore da parte di questa Corte nella sentenza numero 149 del 2018, senza che – tuttavia – a tale monito abbia fatto seguito la necessaria modifica della normativa vigente. 4.3.– Da tutto ciò consegue la necessità di rimuovere la preclusione stabilita dall’articolo 58-quater, comma 4, ordinumero penit. anche con riferimento ai condannati a pena temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione che abbiano cagionato dolosamente o colposamente la morte del sequestrato, con conseguente automatica riespansione, nei loro confronti, della disciplina applicabile alla generalità dei condannati per i delitti previsti dall’articolo 4-bis, comma 1, ordinumero penit. Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura formulati dalle ordinanze di rimessione in relazione ai medesimi parametri. 5.– Così come avvenuto nella sentenza numero 149 del 2018, la presente dichiarazione di illegittimità costituzionale deve essere estesa, ai sensi dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, numero 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , alla parte della disposizione censurata che si riferisce ai condannati a pene detentive temporanee per il delitto di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, di cui all’articolo 289-bis cod. penumero , che abbiano cagionato la morte del sequestrato. Per effetto della presente pronuncia, dunque, la disposizione di cui all’articolo 58-quater, comma 4, ordinumero penit. resta interamente caducata. Per questi motivi la Corte Costituzionale riuniti i giudizi, 1 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, numero 354 Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà , nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’articolo 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato 2 dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, numero 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , l’illegittimità costituzionale dell’articolo 58-quater, comma 4, ordinumero penit., nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’articolo 289-bis cod. penumero che abbiano cagionato la morte del sequestrato.