Squilli e messaggi a ripetizione: violata la libertà individuale del destinatario

Definitiva la condanna di un uomo, che ha ‘bombardato’ con messaggi e squilli la donna con cui aveva intrattenuto una relazione a distanza. Per lui pena fissata in 320 euro di ammenda e obbligo di versare alla sua ex partner virtuale 3mila e 500 euro come risarcimento.

Messaggi e squilli a ripetizione non graditi sono elementi sufficienti per parlare di molestie”. Esemplare la condanna di un uomo, punito con 320 euro di ammenda per avere arrecato disturbo a una donna con cui aveva intrattenuto una relazione a distanza tramite messaggi e brevi squilli, quasi sempre in orario serale e notturno Cassazione, sentenza n. 45315/19, sez. Feriale Penale, depositata oggi . Tabulati. Per ben quattro mesi una donna ha dovuto sopportare che il suo cellulare segnalasse in continuazione l’arrivo di messaggi e di brevi squilli. Alla fine, ha deciso di denunciare il misterioso mittente, rivelatosi poi essere l’uomo con cui aveva intrattenuto una relazione a distanza. Una volta esaminati i tabulati telefonici relativi al numero di cellulare della donna, i Giudici hanno ritenuto evidente il disturbo arrecatole attraverso l’invio di messaggi e l’effettuazione di brevi squilli, quasi sempre in orario serale e notturno . Consequenziale la condanna dell’uomo, punito con un’ammenda di 320 euro e con l’obbligo di versare alla donna 3mila e 500 euro a titolo di risarcimento danni . Turbamento. Inutile si rivela ora il ricorso proposto in Cassazione dal legale dell’uomo. Per i Giudici, difatti, va confermata la condanna così come stabilita in appello. Decisiva la constatazione che gli squilli telefonici e i messaggi ripetuti nel tempo, certamente non graditi alla destinataria, hanno rappresentato una forma di arbitraria introduzione nella sua sfera di libertà individuale, nonché un non indifferente turbamento della sua serenità e della sua vita quotidiana .

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 27 giugno – 7 novembre 2019, n. 45315 Presidente Di Nicola – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 22/2/2019, il Tribunale di Verona condannò Fa. Ma. alla pena di 320,00 Euro di ammenda in quanto ritenuto colpevole, con le attenuanti generiche, della contravvenzione di cui all'art. 660 cod. pen., per avere, per petulanza o altro biasimevole motivo, recato disturbo a La. Pa. mediante utilizzo dell'utenza cellulare omissis a lui intestata, inviando molteplici messaggi e chiamando l'utenza cellulare omissis in uso alla persona offesa, tramite semplici squilli in orario quasi sempre serale e notturno in Affi, dal giugno al settembre 2013. Con lo stesso provvedimento Ma. fu condannato al pagamento, in favore della persona offesa costituita parte civile, della somma di 3.500,00 Euro, oltre agli interessi legali, a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti al reato. 2. Secondo quanto emerso dall'istruttoria dibattimentale, a seguito della interruzione della relazione virtuale intrattenuta con Ma., conosciuto nel 2007 in una chat, La. Pa. aveva iniziato a ricevere, sull'utenza cellulare a lei intestata, a partire dal giugno 2013, numerose chiamate, con squilli insistenti, provenienti da un numero poi risultato intestato all'imputato, nonché messaggi di testo cd. sms , alcuni dei quali firmati con il nome orsettino , utilizzato da Ma. nel corso della loro relazione. A seguito delle chiamate e dei messaggi, effettuati, in diverse ore del giorno e della notte, sino al settembre 2013, la Pa., infastidita dalla loro frequenza, aveva risposto, in alcune occasioni, tramite sms , chiedendo all'interlocutore di essere lasciata in pace, giungendo a presentare denuncia all'autorità giudiziaria, dapprima nell'agosto 2013 e, successivamente, nell'ottobre dello stesso anno. Dall'esame dei tabulati dell'utenza mobile in uso alla donna era, così, emersa la ricezione di chiamate e di sms provenienti da un'utenza cellulare attivata da Ma. nell'agosto 2012, in giorni e orari compatibili con quanto denunciato dalla persona offesa chiamate che, in molti casi, per la durata di pochi secondi, erano da considerarsi dei semplici squilli . Dopo avere riepilogato i requisiti strutturali del reato previsto dall'art. 660 cod. pen., il Tribunale sottolineò che le condotte poste in essere in danno della Pa. integravano indubbiamente l'elemento materiale del reato, atteso che squilli telefonici e sms , ripetuti nel tempo e certamente non graditi alla destinataria, costituivano, pacificamente, una forma di arbitraria introduzione nella sfera di libertà individuale della vittima e un non indifferente turbamento della sua serenità e della sua vita quotidiana. Quanto all'elemento soggettivo, la sentenza ribadì che in presenza di una condotta oggettivamente caratterizzata dalla petulanza , ossia da un modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente, per ciò solo idoneo a interferire sgradevolmente nella sfera di libertà delle persone, doveva ritenersi sufficiente la coscienza e volontà della condotta. 3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso Ma. per mezzo del difensore di fiducia, avv. Andrea Rossato, deducendo, due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 3.1. Con il primo di essi, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., l'inosservanza o erronea applicazione degli artt. 660 e 42 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'omessa considerazione del tabulato, rilasciato dalla compagnia telefonica Vodafone, da cui si ricaverebbe che, nel periodo in contestazione, vi sarebbero stati reciproci contatti, telefonici e via sms , tra l'utenza cellulare intestata alla persona offesa e quella intestata all'imputato in particolare La. Pa. avrebbe effettuato 17 chiamate e avrebbe inviato 16 sms , spesso a brevissima distanza dalle chiamate ricevute dal cellulare dell'imputato, in una occasione, in data 7/6/2013, con diverse comunicazioni e sms e, in ben quattro occasioni, finanche assumendo l'iniziativa, come il 10/6/2013, alle ore 17 01,50, il 19/7/2013, alle ore 00 50,24, il 22/7/2013, alle ore 1 06,43 e il 7/9/2013 . Ciò dimostrerebbe sia la volontà della persona offesa di avere particolare interesse a coltivare la relazione telefonica con l'imputato, già in essere da qualche tempo e, dunque, smentendo che le chiamate non fossero gradite dalla donna sia la falsità delle affermazioni di quest'ultima, che avrebbe dichiarato di essersi limitata a inviare qualche messaggio con il quale chiedeva di essere lasciata in pace e, in definitiva, il vizio di motivazione della sentenza sul punto sia l'assenza di volontà, nell'imputato, di recare molestia alla persona con cui aveva avuto una relazione, non avendo costei dimostrato di essersi opposta alle comunicazioni, nonostante che ella fosse nelle condizioni di esibire sia i messaggi ricevuti dall'imputato, sia i messaggi che gli avrebbe inviato per chiedere la cessazione di ogni contatto. Omettendo di analizzare la reciprocità dei contatti e il numero degli stessi, il Giudice avrebbe, inoltre, errato, alla luce del rapporto sentimentale intrattenuto tra i due esclusivamente con il mezzo del telefono, nel ritenere sproporzionate le comunicazioni da parte dell'imputato. 3.2. Con il secondo motivo, la difesa di Ma. censura, ex art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., l'inosservanza o erronea applicazione dell'art 660 cod. pen., non avendo il Giudice di merito verificato se la persona offesa avrebbe potuto fare cessare le comunicazioni eventualmente non gradite con il semplice blocco del contatto da cui provenivano, senza con ciò alterare la propria condotta di vita. Infatti, mentre in passato la giurisprudenza di legittimità avrebbe ritenuto che comunicazione telefonica indesiderata ledesse sempre il diritto alla comunicazione del destinatario, costretto a chiudere o evitare la conversazione e, nel caso dell'invio di sms al cellulare, ad aprire il messaggio prima di poter identificare la provenienza cfr. Cassazione n. 26776/2016 e 30294/2011 , i moderni dispositivi di telefonia consentirebbero di impedire il singolo contatto non desiderato, senza che l'utilizzatore sia costretto a spegnere il proprio apparecchio cellulare, così alterando la propria condotta di vita. Pertanto, se la persona offesa avesse effettivamente voluto evitare qualsivoglia contatto con l'imputato, ella avrebbe semplicemente potuto bloccare tale utenza, che la donna ben conosceva, secondo quanto dalla stessa ammesso a dibattimento e il fatto che non vi abbia provveduto dimostrerebbe che la Pa. non intendeva interrompere i contatti con l'imputato, come dimostrato dal fatto, già sottolineato nel primo motivo di impugnazione, che ella aveva comunque continuato a coltivare la corrispondenza con Ma Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Preliminarmente, occorre ricordare che la fattispecie contravvenzionale prevista dall'art. 660 cod. pen. punisce colui il quale in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo . Muovendo dall'analisi del primo motivo, la difesa deduce la presenza di una fitta interlocuzione telefonica con la persona offesa, a sua volta autrice di chiamate e dell'invio di sms all'indirizzo di Ma. ciò che imporrebbe di escludere la configurabilità del reato, che la giurisprudenza di legittimità ritiene non resti integrato quando vi sia reciprocità o ritorsione delle molestie, in quanto, in tal caso, non potrebbe ritenersi sussistente la condotta tipica descritta dalla norma incriminatrice, difettando quella connotazione di petulanza o altro biasimevole motivo cui è subordinata l'illiceità penale del fatto Sez. 1, n. 23262 del 23/2/2016, Candela, Rv. 267221 . Va, tuttavia, osservato che la censura in esame si configura, essenzialmente, come una questione fattuale, mai sottoposta ai Giudici di merito, la quale, pertanto, non può ritenersi scrutinabile in sede di legittimità. Infatti, il motivo è stato articolato dalla difesa in maniera del tutto congetturale. Non è noto, invero, il contenuto delle telefonate e degli sms richiamati dal ricorrente contenuto che ben avrebbe potuto essere sottoposto, in chiave critica, al Giudice di merito sicché non può in alcun modo verificarsi, in questa sede, se, attraverso le cennate comunicazioni, la Pa. stesse cercando di coltivare la relazione telefonica con l'imputato, come dedotto dalla difesa, ovvero, al contrario, ella stesse tentando di sottrarsi all'azione molesta da parte dello stesso Ma., rappresentando con forza la propria indisponibilità a proseguire il rapporto. 3. Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso. 3.1. In premessa, deve riconoscersi che, come dedotto in sede di impugnazione, la giurisprudenza di legittimità ritiene, per la configurazione dell'elemento oggettivo della contravvenzione in esame, che sia necessaria una significativa intrusione nell'altrui sfera personale, la quale, per questa via, assurga al livello di molestia o disturbo ingenerato dall'attività di comunicazione in sé considerata e a prescindere dal suo contenuto. Al contempo, corretta è anche l'affermazione secondo cui l'intrusione nella sfera personale del destinatario dell'azione illecita deve essere effettiva, sicché, ad esempio, si è ritenuto non costituisse reato il semplice invio di una mail dal contenuto molesto, atteso che l'invio di messaggi di posta elettronica consente al destinatario di non aprire il messaggio Sez. 1, n. 36779 del 27/9/2011, Ballarino, Rv. 250807 Sez. 1, n. 24510 del 17/6/2010, D'Alessandro, Rv. 247558 . 3.2. Nondimeno, deve, altresì, darsi atto che la sentenza impugnata ha spiegato, con motivazione congrua e logica, le ragioni per le quali le condotte dell'imputato dovevano essere qualificate in termini di molestia e disturbo , sottolineando come gli squilli telefonici e gli sms, ripetuti nel tempo , certamente non graditi dalla destinataria, costituissero una forma di arbitraria introduzione nella sfera di libertà individuale della vittima, nonché un non indifferente turbamento della sua serenità e della sua vita quotidiana v. pag. 7 della sentenza impugnata . Di conseguenza le doglianze articolate con il secondo motivo si configurano come manifestamente infondate, oltre che generiche, non avendo il ricorso spiegato le ragioni per cui tale valutazione da parte del Giudice di merito fosse manifestamente illogica o per cui, comunque, le condotte ascritte all'imputato non rientrassero, così qualificate, nella nozione giuridica in esame. Quanto, poi, all'affermazione secondo cui l'intrusione nella sfera personale del destinatario non possa prescindere da una dimensione temporale del fenomeno, il quale dovrebbe raggiungere una certa consistenza, tale tesi, pur sostenuta da un minoritario indirizzo interpretativo v., in proposito, Sez. 5, n. 52585 del 27/10/2017, Gullo, Rv. 271634 appare avversata dalla prevalente opinione giurisprudenziale secondo cui il reato in questione non si configura come necessariamente abituale, in quanto suscettibile di perfezionarsi anche con il compimento di una sola azione da cui derivino gli effetti indicati dall'art. 660 cod. pen. Sez. 1, n. 19631 del 12/6/2018, dep. 2019, Papagni, Rv. 276309 Sez. 1, n. 11514 del 16/3/2010, Zamò, Rv. 246792 Sez. 1, n. 17787 del 9/4/2008, Tamburrini, Rv. 239848 . In ogni caso, il riferimento contenuto nella sentenza alla avvenuta realizzazione di condotte ripetute nel tempo rende aspecifica la menzionata deduzione difensiva, atteso che, attraverso l'accertata reiterazione delle predette condotte, il cennato requisito di fattispecie sarebbe rimasto integrato, anche a voler aderire all'indirizzo minoritario. Quanto, infine, alla possibilità, per la persona offesa, di sottrarsi alla comunicazione invasiva attraverso il blocco dell'utente con il proprio dispositivo telefonico, osserva il Collegio che la relativa censura si configura come eminentemente fattuale, come tale inammissibile. Infatti, si assume, in tesi, che l'apparecchio telefonico in uso alla persona offesa consentisse, dal punto di vista tecnico, di bloccare l'utenza dell'imputato e, tuttavia, tale premessa è del tutto indimostrata, nulla avendo specificato la sentenza impugnata con riferimento alle caratteristiche tecniche del telefono cellulare in uso a La. Pa 4. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.