Confermata l’assoluzione dell’imputato che ha omesso il versamento IVA per pagare fornitori e dipendenti

Confermata anche dalla Suprema Corte l’assoluzione del legale rappresentante di una S.p.a. dal reato di omesso versamento dei tributi, preferendo provvedere al pagamento di fornitori e dipendenti in un’ottica di continuità aziendale.

Sul caso la Suprema Corte con la sentenza n. 42522/19, depositata il 16 ottobre. La vicenda. Decidendo sull’impugnazione della sentenza con cui il Tribunale di Modena aveva condannato il legale rappresentante di una S.p.a. per omesso versamento dell’acconto IVA, la Corte d’Appello di Bologna annullava la decisione assolvendo l’imputato perché il fatto non costituisce reato. Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello con un unico motivo con cui lamenta la violazione dell’art. 10- ter d.lgs. n. 74/200 e 43 c.p Configurabilità del reato. Richiamando i consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia, il Collegio ricorda che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 10- ter d.lgs. n. 74/2000 è richiesto il dolo generico integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità. Il ricorso richiama inoltre la possibilità di configurare una causa di giustificazione o di esclusione della colpevolezza ai fini dell’affermazione che la condotta non costituisce reato ma omette di indicare la portata di tale principio sul caso di specie. La Corte territoriale ha infatti correttamente valutato come non esigibile la condotta antidoverosa omessa in virtù del fatto che i soci di controllo della società capogruppo avevano adottato iniziative idonee a fronteggiare la crisi finanziaria che aveva colpito la società. È stata inoltre esclusa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, sottolineando come la scelta dell’imputato di provvedere al pagamento di fornitori e dipendenti abbia risposto ad una logica di prosecuzione dell’attività di impresa. Il ricorso viene in conclusione dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 giugno – 16 ottobre 2019, n. 42522 Presidente Rosi – Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 29 gennaio 2018 la Corte d’appello di Bologna, provvedendo sulla impugnazione proposta da B.M. nei confronti della sentenza del 13 febbraio 2017 del Tribunale di Modena, con cui, a seguito di giudizio abbreviato, lo stesso era stato dichiarato responsabile e condannato alla pena di nove mesi di reclusione in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter ascrittogli per avere, quale legale rappresentante della S.p.a. CAR MIX, omesso di presentare entro il termine stabilito per il versamento dell’acconto d’imposta relativo al periodo successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta per gli anni 2010 e 2011, pari, rispettivamente, a Euro 980.347,00 ed Euro 728.804 , ha assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato. La Corte territoriale, nell’accogliere l’impugnazione dell’imputato, ha, in particolare, escluso fosse certa la volontà dell’imputato di omettere la condotta doverosa. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Bologna, affidato a un unico motivo, mediante il quale ha denunciato l’errata applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter e art. 43 c.p., ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , lamentando il mancato assolvimento dell’obbligo di motivazione cosiddetta rafforzata, sussistente quando, come nel caso in esame nel quale alla pronuncia di condanna di primo grado aveva fatto seguito una decisione di assoluzione , venga riformata integralmente la decisione impugnata ha sottolineato, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 37424 del 2013, Romano, la sufficienza del dolo generico per poter ritenere integrato il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter contestato all’imputato, cioè la consapevolezza di omettere un versamento d’imposta di cui sia abbia la consapevolezza della debenza, e la mancata individuazione di cause di giustificazione idonee a scriminare la condotta illecita del B. o di cause di esclusione della colpevolezza, richiamando al riguardo la sentenza n. 6220 del 2018 di questa stessa Sezione. 3. L’imputato ha depositato una memoria difensiva, mediante la quale ha eccepito la genericità del ricorso del pubblico ministero, privo di confronto critico con l’analisi della vicenda contenuta nella sentenza impugnata e con il percorso argomentativo che aveva condotto la Corte d’appello a escludere vi fosse la certezza della volontarietà da parte dell’imputato della omissione della condotta doverosa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile a causa della sua genericità. Esso, come peraltro eccepito dall’imputato con la memoria difensiva, consiste nella sintesi delle ragioni poste a fondamento della decisione di assoluzione censurata e nel mero richiamo al principio, ormai non controverso, secondo cui ai fini della configurabilità del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto è richiesto il dolo generico, che è integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non rilevando i motivi della scelta dell’agente di non versare il tributo cfr. Sez. 3, n. 12248 del 22/01/2014, Faotto, Rv. 259806 Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 25/02/2015, Schirosi, Rv. 263127 Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 25/01/2016, Vanni, Rv. 265939 , oltre che alla necessità di poter configurabile una causa di giustificazione o di esclusione della colpevolezza per poter affermare che la condotta omissiva non costituisca reato, omettendo del tutto, però, sia di illustrare la portata di tali principi nel caso specifico e nella fattispecie concreta, che non è stata oggetto di analisi nel ricorso, con la conseguente mancanza della necessaria specificità intrinseca sia di considerare, tantomeno in modo critico, quanto esposto nella motivazione della sentenza impugnata, di cui non è stata analizzata la ratio decidendi e non ne sono stati individuati vizi, lacune o affermazioni contrarie alla legge, con il conseguente difetto anche della specificità estrinseca, ossia del necessario confronto critico con la motivazione e la ratio decidendi del provvedimento impugnato, da condurre in modo tale da individuarne lacune o errori tali da farne venir meno la portata giustificativa. La Corte territoriale è pervenuta alla assoluzione dell’imputato ritenendo non esigibile la condotta antidoverosa omessa, sulla base del rilievo che i soci di controllo della società capogruppo avevano adottato le iniziative idonee a tentare di fronteggiare la crisi finanziaria che aveva, tra le altre, colpito la società amministrata dall’imputato, facendo ricorso anche a beni personali allo scopo di reperire la liquidità necessaria per assolvere alle obbligazioni sociali, e anche insussistente l’elemento soggettivo del reato, sottolineando che la scelta dell’imputato di provvedere al pagamento di dipendenti e fornitori era avvenuta in una prospettiva di continuità aziendale, nella convinzione che tale opzione avrebbe consentito la prosecuzione dell’attività d’impresa, il conseguimento di ricavi e la produzione utili e, quindi, anche l’adempimento alla scadenza della obbligazione tributaria, con la conseguente insussistenza della rappresentazione da parte dell’imputato medesimo della mancanza delle risorse necessarie per assolvere a tale adempimento alla scadenza. Si tratta di considerazioni che sono lo sviluppo non illogico di principi più volte affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, che nel ricorso non sono state affatto considerate, in quanto il ricorrente non ha preso in esame i dubbi espressi dalla Corte territoriale sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, che hanno condotto alla assoluzione dell’imputato con formula dubitativa, nè è stata valutata l’idoneità delle condotte dei soci, sul piano della esigibilità della condotta, cosicché il ricorso, oltre al richiamo di pacifici e condivisibili principi già espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, risulta privo della necessaria considerazione delle ragioni della decisione, che non è idoneo a criticare nè, tantomeno, a sovvertire, con la conseguente inammissibilità del ricorso per difetto della necessaria specificità. 2. Il ricorso in esame deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, a causa della genericità delle doglianze cui è stato affidato. In applicazione del decreto del Primo Presidente di questa Corte n. 84 del 2016 la motivazione è redatta in forma semplificata, in quanto il ricorso non richiede, ad avviso del Collegio, l’esercizio della funzione di nomofilachia e solleva questioni giuridiche la cui soluzione comporta l’applicazione di principi di diritto già affermati e che il Collegio condivide. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Motivazione semplificata.