Insoddisfatto della prestazione, ruba la borsa alla ‘lucciola’: è rapina

Respinta l’ipotesi difensiva secondo cui l’uomo mirava semplicemente a riavere indietro il denaro versato anticipatamente come corrispettivo per il rapporto sessuale. A inchiodarlo, subito arrestato, è stato il racconto della prostituta, da lui confermato nella sostanza.

Va sanzionato il cliente – insoddisfatto – che pretende dalla prostituta la restituzione del prezzo pagato per la prestazione appena consumata. Logico parlare di rapina”, spiegano i Giudici, ribadendo la condanna per un uomo che, armato di coltello, aveva strappato la borsa a una ‘lucciola’ Cassazione, sentenza n. 42025/19, sez. II Penale, depositata oggi . Corrispettivo. Linea di pensiero comune per i Giudici del Tribunale e per quelli della Corte d’Appello l’uomo sotto processo va condannato per il reato di rapina consumato ai danni di una prostituta con cui prima aveva consumato un rapporto sessuale a pagamento e a cui poi aveva sottratto la borsa per riavere indietro il denaro versato come pagamento. La fuga dell’uomo è durata pochissimo egli è stato prontamente tratto in arresto. E proprio lui ha confermato il racconto della donna, precisando però che era sua intenzione farsi restituire la somma pagata, in ragione della scarsa soddisfazione avuta dalla prestazione sessuale comprata . Questa lettura dell’episodio viene però respinta anche dalla Cassazione, che conferma la condanna dell’uomo per il reato di rapina. In sostanza, i giudici ritengono che la pretesa avanzata dall’uomo – armato di coltello – nei confronti della prostituta non fosse fondata sulla ragionevole convinzione di esercitare un proprio diritto, bensì fosse caratterizzata dalla consapevolezza di perseguire un ingiusto profitto . Allargando l’orizzonte, poi, viene precisato che anche nell’ipotesi che la prestazione sessuale pattuita non fosse stata eseguita, l’uomo non avrebbe potuto recuperare la somma già eventualmente versata come corrispettivo, trattandosi di un contratto a causa illecita . Peraltro, in questa vicenda si è appurato che l’uomo aveva consumato il rapporto sessuale , e solo a posteriori aveva sostenuto di essere rimasto non soddisfatto e di avere voluto non rapinare la prostituta ma solo riavere indietro la cifra versata come corrispettivo per la prestazione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 giugno – 14 ottobre 2019, numero 42025 Presidente Cervadoro – Relatore Borsellino Ritenuto in fatto 1. La CORTE di APPELLO di PALERMO, con la sentenza impugnata ha confermato la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal G.U.P. del TRIBUNALE di Palermo, in data 13 dicembre 2016, nei confronti di GI. CA., in relazione ai reati di rapina aggravata e di porto di coltello. 2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, deducendo i seguenti motivi 2.1 violazione degli articoli 628 e 393 cod.penumero poiché il fine perseguito dall'imputato era quello di ottenere la restituzione della somma di Euro 30 poco prima versata alla persona offesa per la fruizione di una prestazione sessuale, che non gli era stata corrisposta. Secondo la prospettazione del ricorrente sussiste nel caso di specie il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni poiché l'imputato era soggettivamente convinto dell'esistenza del proprio diritto e ha agito nella ragionevole opinione di esercitarlo. Il ricorrente richiama a sostegno di tale assunto una pronunzia risalente di questa corte secondo cui integra il tentativo del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e non di rapina la condotta di un soggetto che aveva cercato di impossessarsi con violenza della somma di denaro poco prima consegnata come compenso per una prestazione sessuale poi non ottenuta. Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 62 numero 4 e 6 cod. penumero , poiché la sentenza impugnata non ha riconosciuto l'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, in ragione del valore dei beni sottratti alla persona offesa, e non ha considerato che la borsa è stata immediatamente restituita prima del giudizio e non risulta che la persona offesa abbia avanzato richiesta di risarcimento danni. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché generico in quanto ripropone le medesime questioni sollevate con l'atto di gravame senza confrontarsi con le esaustive e corrette risposte che la corte di appello ha fornito. 1.1 Dalla lettura della sentenza emerge, in punto di fatto, che il prevenuto dopo avere consumato in auto un rapporto sessuale mercenario con la persona offesa e averla fatta scendere dal veicolo, tornava sui suoi passi e le strappava la borsa, pronunciando frasi minacciose e tenendo in mano un coltello quindi si dava alla fuga, ma veniva poco dopo tratto in arresto. Ca. in sede di interrogatorio ammetteva i fatti, precisando che era sua intenzione farsi restituire la somma pagata alla donna, in ragione della scarsa soddisfazione avuta dalla prestazione sessuale comprata. In punto di diritto la corte ha respinto l'istanza di riqualificazione giuridica della condotta addebitata all'imputato ai sensi dell'articolo 393 codice penale, poiché ha ritenuto che la pretesa dell'imputato non fosse fondata sulla ragionevole convinzione di esercitare un proprio diritto, ma fosse caratterizzata dalla consapevolezza di perseguire un ingiusto profitto. Ed infatti è noto che questa corte ha in più occasioni avuto modo di precisare che -L'elemento distintivo del delitto di rapina da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone risiede nell'elemento soggettivo, perché nel primo caso l'autore agisce al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nell'altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli competa. In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna per il delitto di rapina pronunciata nei confronti degli imputati, che, vantando un credito riconducibile alla mancata restituzione di una modesta somma di denaro elargita alla persona offesa, l'avevano inseguita e, nel corso della colluttazione successivamente sviluppatasi, le avevano sottratto il cellulare . Sez. 2, numero 11484 del 14/12/2016 - dep. 09/03/2017, Marni e altro, Rv. 26968501 Deve però rilevarsi che, fermo restando che la linea di demarcazione tra rapina ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni è sancita dall'elemento intenzionale, non sono indifferenti, ai fini della qualificazione giuridica del fatto, la gravità della violenza e l'intensità della minaccia che, per essere ricondotte alla fattispecie meno grave, non devono trasmodare in manifestazioni sproporzionate e gratuite, travalicanti il ragionevole intento di far valere un diritto. Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto immune da censure l'ordinanza cautelare che aveva qualificato come rapina la condotta dei ricorrenti che, per riappropriarsi di un immobile, avevano minacciato l'occupante con un bastone e l'avevano privata della libertà personale, sottraendole i documenti e altri effetti personali . Sez. 2, numero 56400 del 22/11/2018 - dep. 14/12/2018, IANNUZZI VALTER, Rv. 27425601 Il collegio conosce ma non condivide quella pronunzia isolata e risalente nel tempo secondo cui in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni artt. 392 e 393 cod. penumero , l'effettiva azionabilità della pretesa in sede giurisdizionale e la possibilità di realizzarla in virtù di una pronuncia giudiziale non costituiscono presupposto indefettibile per la configurabilità del reato, essendo a tal fine sufficiente la convinzione soggettiva - purché non arbitraria e pretestuosa, cioè tale da palesare che l'opinato diritto mascheri altre finalità, determinanti esse l'esplicazione della violenza o il ricorso alla minaccia - dell'esistenza del diritto tutelabile, posto che la possibilità di ricorso al giudice deve intendersi come possibilità di fatto, indipendentemente dalla fondatezza dell'azione e quindi dall'esito eventuale della stessa. In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto integrare il tentativo del delitto di ragion fattasi - e non di rapina - la condotta di un soggetto che aveva cercato di reimpossessarsi con violenza di una somma di denaro poco prima consegnata alla persona offesa come compenso per una prestazione sessuale poi non ottenuta, e ciò ancorché la pretesa di restituzione non corrispondesse ad un diritto azionabile, stante l'illiceità della causa del contratto su cui si fondava Sez. 2, numero 7911 del 27/02/1997 - dep. 12/08/1997, Marino, Rv. 20846501 Questa pronunzia è stata sostanzialmente superata dall'elaborazione giurisprudenziale in materia di estorsione connessa al reato di usura, laddove si è evidenziato che nell'ipotesi in cui un soggetto ponga in essere una minaccia per ottenere il pagamento degli interessi usurari, è configurabile il delitto di estorsione e non quello di ragion fattasi, poiché l'agente è consapevole di esercitare la minaccia stessa per ottenere il soddisfacimento dell'ingiusto profitto derivante da una pretesa contra ius . Egli non può avere infatti la ragionevole opinione di far valere un diritto tutelabile con l'azione giudiziaria, che gli è negata in considerazione dell'illiceità della pretesa. Conf mass n 159511 . Sez. 2, numero 1207 del 17/06/1986 - dep. 31/01/1987, SARACHELLA, Rv. 17496801 . In conclusione anche nell'indimostrata ipotesi che la prestazione sessuale pattuita non fosse stata eseguita, l'imputato non avrebbe potuto recuperare, nel rispetto dei principi del diritto civile, la somma già eventualmente versata come corrispettivo, trattandosi di un contratto a causa illecita che non dà diritto alla ripetizione dell'indebito. Ma deve peraltro sottolinearsi che anche in punto di fatto non ricorrono gli estremi di questa specifica ipotesi, poiché dalla sentenza emerge che l'imputato aveva consumato il rapporto sessuale pattuito e nell'aggredire la donna aveva pronunziato delle frasi del tutto incongrue rispetto al dichiarato fine di ottenere la restituzione della somma versata. 1.2 Il secondo motivo di ricorso relativo al diniego dell'attenuante prevista dall'articolo 62 numero quattro numero sei è manifestamente infondato poiché il collegio di appello ha correttamente affermato che il delitto di rapina è reato plurioffensivo e l'avere subito un'aggressione al coltello con minacce di morte unitamente all'impossessamento dei beni personali ha sicuramente cagionato alla persona offesa un danno morale non economicamente quantificabile, ma non infimo. Né ricorre l'attenuante prevista dall'articolo 62 numero sei codice penale poiché, come correttamente evidenziato dalla corte di appello, la borsetta e i vari effetti in essa contenuti sono stati restituiti alla persona offesa dalla Polizia e non spontaneamente dall'imputato. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, numero 186 , al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila a favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.