Galli nel cortile condominiale: il loro canto è ripetuto e fastidioso. Condannato il proprietario

Venti giorni di arresto per l’imputato, che ha lasciato i suoi animali liberi di ‘esprimersi’ e di arrecare fastidio alle persone residenti nel palazzo. A certificare il problema anche due sopralluoghi di un tecnico dell’Arpa. Evidente la colpevolezza del padrone dei galli, che ha volutamente ignorato i richiami dell’amministratore condominiale e le proteste di alcuni residenti.

Pessima idea, senza dubbio, quella di tenere galli e galline in una baracca nel cortile di un condominio. Per gli animali, difatti, il contesto è ovviamente irrilevante, e non può certo ‘bloccare’ il loro istinto naturale, cioè ‘cantare’ a ripetizione. Immaginabili le lamentele di alcuni condomini, ed inevitabile la condanna per il proprietario degli animali, punito con 20 giorni di arresto per disturbo della quiete pubblica” Cassazione, sentenza n. 41601/19, sez. III Penale, depositata il 10 ottobre . Canto libero. L’assurda vicenda ha come scenario un immobile nella zona di Forlì. Lì, nel cortile di un condominio, all’interno di una baracca, un uomo tiene galli e galline che ovviamente ‘cantano’ a ripetizione. A finire nel mirino sono soprattutto i tre galli, e, ovviamente, il loro padrone, che viene prima bersagliato dalle proteste degli altri condomini e poi finisce sotto accusa per disturbo della quiete pubblica . Lo strano processo si conclude, sia in Tribunale che in Corte d’appello, con una condanna dell’uomo, ritenuto colpevole di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone e punito con 20 giorni di arresto . A inchiodarlo, secondo i giudici, la constatazione che egli non ha impedito il canto di tre galli di sua proprietà, che venivano lasciati liberi in orario notturno e senza le opportune cautele volte al contenimento delle emissioni sonore, nonostante le segnalazioni ricevute da alcuni condomini. A rendere più grave la sua condotta, poi, il fatto che il disagio si sia protratto per un anno e mezzo. Impatto. Identica posizione assume anche la Cassazione, che respinge difatti il ricorso proposto dal legale dell’uomo, confermandone quindi la condanna. Fondamentale il quadro probatorio, correttamente ‘letto’ in appello. I testimoni – tra cui anche una condomina che alla fine, disperata, si è decisa a cambiare casa – hanno certificato che i galli e le galline, tenuti nel cortile del complesso condominiale, erano soliti cantare di giorno e di notte, alla vista della luce naturale, dei lampioni e dei fari delle automobili . Tale situazione è durata ben diciotto mesi, nonostante le proteste dei condomini e i richiami formali dell’amministratore di condominio al proprietario degli animali, e ha avuto come conseguenza quella di impedire alle persone presenti nel palazzo di dormire regolarmente e di compiere durante il giorno le ordinarie attività domestiche senza fastidi . Significativi, poi, anche gli esiti dei sopralluoghi effettuati da un tecnico dell’Arpa. In due diverse occasioni, difatti, si è verificato che i galli, rinchiusi in una baracca, cantavano per 5-6 minuti a intervalli di 20-30 minuti, venendo calcolati in 18 minuti ben 106 eventi sonori percepibili anche dalla strada con una frequenza di 10 secondi l’uno dall’altro . Nessun dubbio, quindi, sulla molestia arrecata agli abitanti del palazzo. Nessun dubbio, allo stesso tempo, sulla colpevolezza del proprietario dei galli l’uomo non ha mai assunto, difatti, alcuna cautela per contenere l’impatto esterno delle emissioni sonore prodotte dai galli di sua proprietà, pur essendo stato destinatario di una serie di richiami e di segnalazioni non solo da parte dell’amministratore del condominio ma anche dalle persone lì residenti , concludono i Giudici.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 giugno – 10 ottobre 2019, n. 41601 Presidente Lapalorcia – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 4 maggio 2018, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza del 26 gennaio 2017, con cui il Tribunale di Forlì, per quanto in questa sede rileva, aveva condannato Gi. Be. alla pena di giorni 20 di arresto, perchè ritenuto colpevole del reato di cui agli art. 81 e 659 cod. pen., a lui contestato capo A perché, non impedendo il canto di tre galli di sua proprietà, che venivano lasciati liberi in orario notturno e senza le opportune cautele volte al contenimento delle emissioni sonore, nonostante le segnalazioni ricevute, disturbava il riposo di una quantità indeterminata di persone fatto commesso in Forlì dal 30 gennaio 2013 al 4 giugno 2014. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello emiliana, Be., tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi. Con il primo, la difesa lamenta la violazione dell'art. 131 bis cod. pen. e la totale omissione di motivazione sul punto, evidenziando che il giudizio di tenuità dell'offesa può essere compiuto anche d'ufficio dalla Corte di cassazione. Con il secondo motivo, è stata eccepita la violazione degli art. 659 cod. pen. e 530 comma 2 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, rimarcandosi come, nel caso di specie, non fosse stato compiuto alcun adeguato accertamento volto a stabilire, in concreto, il superamento della soglia di normale tollerabilità delle emissioni sonore e dunque la messa in pericolo del bene giuridico protetto, ovvero l'idoneità della condotta del soggetto agente a disturbare un numero indeterminato di persone. Dunque, alla luce del fatto che le verifiche svolte, oltre a essere state eseguite senza idonea strumentazione tecnica, avevano riguardato un arco temporale molto ristretto, non poteva ritenersi comprovato l'elemento oggettivo del reato contestato, e ciò anche in ragione del fatto che i condomini effettivamente disturbati dalle emissioni sonore dei galli di proprietà di Be. era solo tre e nessuno, al di fuori del condominio, ha mai avanzato delle lamentele. Con il terzo motivo, la difesa deduce la violazione degli art. 42 e 659 cod. pen. per la mancanza della suitas della condotta da parte di Be., oltre che dell'elemento soggettivo, osservando che, nel periodo oggetto di contestazione, Be. non ha mai avuto coscienza e volontà che la propria condotta omissiva potesse elidere la tranquillità pubblica, ritenendo egli, con assoluta certezza, che le emissioni provenissero dai galli di proprietà dell'altro vicino di casa, coimputato nel medesimo procedimento né comunque poteva ritenersi integrata la colpa generica ascritta a Be., non essendosi tenuto conto della sua buona fede, senz'altro idonea a incidere sulla valutazione dell'elemento soggettivo. Con il quarto motivo, infine, viene censurato il vizio di motivazione della sentenza rispetto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, non essendo affatto comprovato che le emissioni sonore si siano protratte per un lungo periodo, in quanto le rilevazioni del tecnico dell'Arpa sono state effettuate solo due volte e in uno strettissimo lasso di tempo, non avendo inoltre la Corte di appello considerato la circostanza che Be., anche tenuto conto della sua età, aveva comunque adottato ogni accorgimento per impedire qualunque emissione sonora, tenendo inoltre un comportamento processuale sempre collaborativo. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato. 1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare, in primo luogo, che, con l'atto di appello, non fu avanzata alcuna richiesta volta a ottenere l'applicazione dell'istituto di cui all'art. 131 bis cod. pen., per cui sul punto alcun difetto motivazionale appare ravvisabile, fermo restando che, nel merito, l'estensione temporale della condotta contestata, protrattasi dal gennaio 2013 al giugno 2014, non consente di qualificare come occasionale il fatto per cui si procede. Di qui l'inammissibilità della doglianza difensiva. 2. Passando alla disamina del secondo e del terzo motivo, suscettibili di essere trattati in maniera unitaria perché concernenti il giudizio di colpevolezza dell'imputato, deve rilevarsi che sul punto non sono ravvisabili vizi di legittimità. Ed invero le due conformi sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a integrarsi un corpus argomentativo unitario, hanno innanzitutto operato una adeguata disamina della vicenda, richiamando le deposizioni dei testi Ma., Me. e Li., i quali hanno riferito che i galli e le galline, tenuti da Be. nel cortile del complesso condominiale dove abitavano, erano soliti cantare di giorno e di notte, alla vista della luce naturale, dei lampioni e dei fari delle automobili. Tale situazione, prolungatasi almeno dal gennaio 2013 al giugno 2014, nonostante le proteste degli interessati e i richiami formali dell'amministratore di condominio, provocava non pochi disagi ai condomini, impedendo loro di dormire regolarmente e di compiere durante il giorno le ordinarie attività domestiche senza fastidi, al punto che la Ma. decideva per questo di cambiare casa. Le dichiarazioni delle persone offese, tra loro convergenti, hanno peraltro trovato riscontro nell'accertamento compiuto dal tecnico dell'Arpa Ro. Ne., che, in occasione di due sopralluoghi eseguiti l'8 e l'11 aprile 2014, verificava che i galli di proprietà di Be., rinchiusi in una baracca, cantavano per 5-6 minuti a intervalli di 20-30 minuti, venendo calcolati in 18 minuti 106 eventi sonori, percepibili anche dalla strada, con una frequenza di 10 secondi uno dall'altro. Peraltro, i galli di proprietà di Be. rispondevano ai richiami dei galli di proprietà del coimputato Mu. Ka., presenti nelle vicinanze, il che, soprattutto in orario notturno, amplificava i suoni esterni percepiti dai condomini. Alla stregua di tale ricostruzione fattuale, scaturita da un'attenta disamina delle risultanze probatorie, che invero non ha trovato alcuna smentita ex adverso, correttamente è stata ritenuta sussistente la fattispecie contravvenzionale prevista dall'art. 659 cod. pen., per la cui configurabilità, come più volte precisato da questa Corte cfr. in termini Sez. 3, n. 18521 dell'11/01/2018, Rv. 273216 , non sono necessarie né la vastità dell'area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che i rumori siano idonei ad arrecare disturbo a un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in un ambito ristretto, come un condominio. In applicazione di tale premessa interpretativa, l'elemento oggettivo del reato nel caso di specie risulta ampiamente comprovato, dovendosi ritenere superata la normale tollerabilità delle emissioni sonore, soprattutto nella fascia notturna, e ciò alla luce della prolungata estensione temporale dei fatti che certo non possono essere circoscritti alle sole date dei rilievi dell'Arpa , che hanno provocato, a più di un condomino, disturbi del sonno debitamente documentati. Allo stesso modo, correttamente è stato ritenuto ravvisabile anche l'elemento soggettivo della fattispecie, peraltro integrato dalla sola colpa, avendo in tal senso i giudici di merito ragionevolmente rimarcato che la prova delle lamentele dei condomini risale già al 2011 e da allora la condotta illecita si è protratta per almeno tre anni, senza che Be. abbia assunto alcuna cautela per contenere l'impatto esterno delle emissioni sonore prodotte dai galli di sua proprietà, pur essendo stato destinatario di una serie di richiami e di segnalazioni non solo da parte dell'amministratore del condominio, ma anche dalle persone ivi residenti. Le obiezioni difensive sull'assenza della suitas della condotta e dell'elemento soggettivo non risultano dunque pertinenti, potendosi anzi affermare che la condotta di Benino, rimasto indifferente alle sollecitazioni ricevute negli anni, appare inquadrabile più nell'alveo del dolo eventuale che in quello della colpa. Deve pertanto ribadirsi che il giudizio di colpevolezza dell'imputato in ordine alla fattispecie a lui ascritta non presta il fianco alle censure difensive, che invero risultano formulate in termini assertivi e non adeguatamente specifici. 3. Venendo infine al motivo riguardante il diniego delle attenuanti generiche in favore dell'imputato, deve ugualmente escludersi che sul punto il percorso motivazionale delle sentenze di merito presti il fianco alle censure difensive. In proposito occorre premettere che, secondo il costante orientamento di questa Corte cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 , in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. È stato inoltre precisato cfr. ex multis Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899 che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione. Orbene, in applicazione di tali coordinate interpretative, devono ritenersi non configurabili il difetto o l'illogicità della motivazione evocati dalla difesa, avendo i giudici di merito sottolineato, in senso ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche, la circostanza che l'imputato, peraltro gravato da precedenti penali anche specifici, ha manifestato una totale noncuranza nei confronti dei propri vicini, dimostrandosi sordo alle loro rimostranze per un prolungato temporale. Orbene, a fronte di tale rilievo, privo di elementi di illogicità, la difesa ha opposto considerazioni generiche e non dirimenti circa il comportamento processuale ed extraprocessuale dell'imputato e la sua età, peraltro neanche tanto avanzata, senza tuttavia fornire concreti elementi meritevoli di positivo apprezzamento, o comunque in grado di rivelare l'incoerenza del giudizio della Corte di appello. 3. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell'interesse di Be. deve essere quindi dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.