Ingiusta detenzione: l’interessato non ha la facoltà di scegliere tra scomputo della pena e indennizzo

I periodi di custodia cautelare relativi a fatti per i quali il condannato abbia ottenuto la riparazione per ingiusta detenzione, devono essere computati ai fini della determinazione della pena da eseguire, dovendosi escludere la possibilità di scelta tra il ristoro pecuniario ex art. 314 c.p.p. e lo scomputo della pena da espiare.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 41307/19, depositata il 9 ottobre, decidendo sul ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso l’ordinanza con cui la Corte d’Appello di Perugia, in accoglimento dell’istanza di cui all’art. 314 c.p.p., aveva pronunciato la condanna al pagamento di una somma per l’ingiusta detenzione cautelare subita da due imputati. Il Ministero ricorrente lamenta, per quanto d’interesse, la mancata verifica della fungibilità della detenzione cautelare patita con la pena risultante dalla condanna definitiva pronunciata a carico dell’istante. Fungibilità della detenzione cautelare. Il Collegio ricorda che, secondo la consolidata giurisprudenza SS.UU. n. 31416/08 , ai fini della determinazione della pena da eseguire devono essere computati anche i periodi di custodia cautelare relativi a fatti per i quali il condannato abbia già ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, dovendosi escludere la possibilità di scelta in capo all’interessato tra il ristoro pecuniario ex art. 314 c.p.p. e lo scomputo della pena da espiare. Resta comunque fermo che, al fine di evitare che l’interessato consegua una indebita locupletazione, il giudice investito della richiesta di riparazione può sospendere il relativo procedimento, ove gli risulti l’esistenza di una condanna non ancora definitiva a pena dalla quale possa essere scomputato il periodo di custodia cautelare cui la detta richiesta si riferisce . Laddove la somma così liquidata sia invece già stata corrisposta, lo Stato ha la possibilità di agire per il recupero esperendo l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c Poteri del giudice della riparazione. Nella sentenza in commento si aggiunge inoltre che al giudice della riparazione sono riconosciuti poteri officiosi tenuto conto del carattere pubblico del rapporto e della ratio solidaristica dell’istituto . Tale procedimento infatti, pur ispirato ai principi generali del processo civile, attiene ad un rapporto obbligatorio di diritto pubblico, con la conseguenza che il giudice ha la possibilità di deliberare sulla scorta di atti non prodotti dalle parti ai quali sia pervenuto attraverso la richiesta ex artt. 213 o 378 c.p.c. di copie o informazioni alla P.A In conclusione, come si legge nella pronuncia in commento, il giudice della riparazione deve verificare, anche d’ufficio, l’eventuale computo o computabilità ex art. 657 c.p.p. del periodo di detenzione cautelare, oggetto del procedimento attivato ai sensi dell’art. 314 c.p.p., nella determinazione di una pena definitiva che l’interessato deve scontare . In conclusione, il provvedimento impugnato, risultando carente dal punto di vista motivazionale circa il profilo della fungibilità della pena, viene annullato con rinvio al giudice della riparazione che dovrà valutare la rilevanza delle condanne che emergono dal certificato del casellario giudiziale dell’istante.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 2 – 9 ottobre 2019, n. 41307 Presidente Piccialli – Relatore Picardi Ritenuto in fatto 1. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha impugnato l’ordinanza della Corte di Appello di Perugia, con cui, in accoglimento dell’istanza ex art. 314 c.p.p., è stato condannato al pagamento di Euro 36.316,28 in favore di S.F. alias C.E. e S.I. alias I.R. , con gli interessi legali a decorrere dall’irrevocabilità del provvedimento, ed alla rifusione delle spese di lite nei loro confronti. In particolare l’Amministrazione ha dedotto 1 la violazione dell’art. 314 c.p.p., comma 4, e art. 315 c.p.p. ed il vizio motivazionale, non essendo stata compiuta alcuna verifica circa la fungibilità della detenzione cautelare patita con la pena risultante da condanna definitiva nei confronti di S.F. 2 l’inosservanza di legge ed il vizio di motivazione in ordine all’insussistenza della colpa grave degli istanti, nonostante le loro frequentazioni con soggetti pregiudicati e coinvolti in attività illecite, il loro comportamento elusivo, che ha comportato l’esecuzione della misura a tre anni di distanza dall’emissione del provvedimento cautelare, l’atteggiamento difensivo passivo 3 l’erronea applicazione della legge ed il vizio motivazionale relativamente alla quantificazione dell’indennizzo, sia in considerazione dei giorni riconosciuti 154 in luogo di 153 sia in considerazione dell’importo giornaliero, che avrebbe dovuto essere ridotto tenuto conto della personalità dei ricorrenti, gravati da precedenti penali 4 l’inosservanza di legge relativamente alle spese processuali che, nonostante la soccombenza reciproca, dovuta alla liquidazione di un importo inferiore a quello richiesto pari a Euro 46.500,00 , non sono state compensate. 2. S.F. e S.I. hanno dedotto la tardività del ricorso per cassazione e la sua infondatezza, ma hanno riconosciuto che è stato liquidato l’indennizzo per un giorno di detenzione cautelare in più rispetto a quelli patiti. 5. La Procura Generale ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnati limitatamente a S.F. , al fine di verificare la sussistenza di presupposti applicativi di cui all’art. 314 c.p.p., comma 4, e per l’eventuale rideterminazione della somma liquidata in considerazione dell’esatto numero dei giorni di detenzione cautelare 153 e non 154 . Ritenuto in diritto 1.In via preliminare va rigettata l’eccezione di tardività, formulata dai resistenti, atteso che il provvedimento impugnato è stato notificato il 19 gennaio 2019 ed il ricorso per cassazione è stato depositato il 4 febbraio 2019, cadendo il 3 febbraio 2019 di domenica. In proposito va ribadito che il termine per la proposizione del ricorso per cassazione, avverso l’ordinanza che decide sulla domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione è, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a , di quindici giorni che decorrono dalla notifica della predetta ordinanza conclusiva del procedimento, a cui, ancorché concernente l’esistenza di una obbligazione pecuniaria nei confronti del soggetto colpito da custodia cautelare, si applicano ie norme del codice di rito penale Sez. 3, n. 26370 del 25/03/2014 Cc. - dep. 18/06/2014, Rv. 259187 - 01 . Nel caso di specie, tuttavia, opera la proroga prevista dall’art. 172 c.p.p., comma 2, ai sensi del quale il termine stabilito a giorni, il quale scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo. 2. In ordine al primo motivo, con cui si è dedotta l’omessa verifica della fungibilità della detenzione cautelare patita S.F. con la pena definitiva a cui risulta condannato dal certificato del casellario in atti, occorre ricordare che, come chiarito dalle Sezioni Unite Sez. U, n. 31416 del 10/07/2008 Cc. - dep. 25/07/2008, Rv. 240113 - 01 , ai fini della determinazione della pena da eseguire vanno computati anche i periodi di custodia cautelare relativi ad altri fatti, per i quali il condannato abbia già ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, stante la inderogabilità della disciplina dettata dall’anzidetta disposizione normativa e dovendosi escludere l’esistenza di una facoltà di scelta, da parte dell’interessato pur quando ne sussisterebbe la possibilità, attesa la già intervenuta esecutività della sentenza di condanna all’atto della richiesta di riparazione , tra il ristoro pecuniario di cui all’art. 314 c.p.p. e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta, fermo restando che, al fine di evitare che l’interessato consegua una indebita locupletazione, il giudice investito della richiesta di riparazione può sospendere il relativo procedimento, ove gli risulti l’esistenza di una condanna non ancora definitiva a pena dalla quale possa essere scomputato il periodo di custodia cautelare cui la detta richiesta si riferisce, e che, ove la somma liquidata a titolo di riparazione sia stata già corrisposta, lo Stato può agire per il suo recupero esperendo l’azione di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 c.c Risultano, dunque, superati, alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite, gli orientamenti relativi alla esistenza di una facoltà irretrattabile di scelta, da parte dell’interessato, tra gli istituti della fungibilità e della riparazione v. Sez. 4, n. 50327 del 24/10/2018 Cc. - dep. 07/11/2018, Rv. 274051 - 01, secondo cui, in tema di esecuzione, il criterio di fungibilità previsto dall’art. 657 c.p.p. impone al pubblico ministero di tener conto, a fini di scomputo, di tutti i periodi di custodia cautelare in precedenza sofferti dal condannato sempre che la misura sia stata subita successivamente alla commissione del reato per cui va determinata la pena da eseguire ne consegue che deve escludersi l’esistenza di una facoltà di scelta, da parte dell’interessato, tra il ristoro pecuniario e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta . Da tale premessa deriva anche che non risulta più attuale, dopo la pronuncia delle Sezioni Unite del 2008, il principio enunciato da Sez. 4, n. 2391 del 13/04/2000 cc. - dep. 07/06/2000, Rv. 217691 - 01, secondo cui il giudice competente in materia di riparazione per ingiusta detenzione, individuato a norma dell’art. 315 c.p.p., non ha poteri d’ufficio rapportabili a quelli previsti per il giudice dell’esecuzione dall’art. 657 c.p.p., sicché non gli è consentito considerare fungibile il periodo di ingiusta detenzione con la pena da espiare per altro reato, anche se definitiva tale posizione si fondava, difatti, non sull’esclusione di poteri officiosi del giudice della riparazione, ma proprio sulla facoltà di scelta, da parte dell’interessato, tra la riparazione e la fungibilità, facoltà di scelta che, al contrario, non è configurabile. Al giudice della riparazione sono, peraltro, riconosciuti poteri officiosi, tenuto conto del carattere pubblico del rapporto e della ratio solidaristica dell’istituto v., tra le altre, Sez. 4 n. 46468 del 14/09/2018 Cc. - dep. 12/10/2018, Rv. 274353 - 01, secondo cui, pur essendo onere dell’interessato, in base ai principi civilistici, dimostrare i fatti posti a base della domanda, e cioè la sofferta custodia cautelare e la sopravvenuta assoluzione, avuto anche riguardo al fondamento solidaristico dell’istituto in questione, il giudice, avvalendosi dei poteri istruttori d’ufficio, ha il potere-dovere di acquisire i documenti ritenuti necessari ai fini della decisione, sempre che gli stessi siano conosciuti o conoscibili dalle parti . Difatti, il procedimento per la riparazione della ingiusta detenzione, per quanto ispirato ai principi generali del processo civile, attiene ad un rapporto obbligatorio regolato dal diritto pubblico da ciò consegue la possibilità per il giudice di deliberare sulla scorta di atti non prodotti dalle parti, alla cui conoscenza può pervenire anche attraverso la richiesta ex artt. 213 o 738 c.p.c. di copie o informazioni alla Pubblica Amministrazione ed alla stessa Amministrazione della giustizia. Tale potere di acquisizione può esercitarsi anche al fine di verificare, d’ufficio o su richiesta della parte pubblica, se ostino all’accoglimento della domanda fattori preclusivi all’indennizzo tra le tante, Sez. 4, n. 4377 del 10/12/2002 Cc. - dep. 30/01/2003, Rv. 226062 - 01 . Da tale premessa deriva che il giudice della riparazione deve verificare, anche d’ufficio, l’eventuale computo o computabilità ex art. 657 c.p.p. del periodo di detenzione cautelare, oggetto del procedimento attivato ai sensi dell’art. 314 c.p.p., nella determinazione di una pena definitiva che l’interessato deve scontare. L’officiosità di tale verifica discende dalla necessità del coordinamento tra gli istituti esistenti ai fini della ragionevole durata del processo, che impone, in un’ottica di economia processuale, di evitare il proliferare dei processi e procedimenti, mentre il riconoscimento ed il pagamento di un indennizzo non dovuto costringerebbero lo Stato all’esercizio di un’azione di accertamento negativo o di indebito arricchimento. Alla luce di tale principi, la motivazione del provvedimento impugnato, in cui si legge che neppure è dato ravvisare le condizioni ostative di cui all’art. 314 c.p.p., comma 4 relative alla fungibilità della pena neanche concretamente rappresentante dal P.G. in sede , risulta lacunosa, tenuto conto delle deduzioni difensive dell’Amministrazione resistente e del contenuto del certificato del casellario giudiziale relativo a S.F. che avrebbe dovuto essere acquisito anche d’ufficio e, comunque, secondo le deduzioni delle parti, era in atti , da cui si evince che lo stesso ha riportato una serie di condanne, di cui una alla pena della reclusione di 9 mesi, divenuta irrevocabile in data 11 febbraio 2016 e, quindi, successivamente al periodo di custodia cautelare sofferto dal 13 febbraio al 15 luglio 2015, condanne a cui non è stato fatto alcun riferimento. Il provvedimento impugnato deve, quindi, essere annullato sul punto, dovendo il giudice della riparazione valutare la rilevanza, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 4, delle condanne che emergono dal certificato del casellario giudiziale dell’istante S.F. . 3. La seconda censura, con cui si denuncia l’inosservanza di legge ed il vizio di motivazione in ordine all’insussistenza della colpa grave degli istanti, è del tutto a-specifica e, pertanto, inammissibile, in quanto l’Amministrazione, da un lato, non indica gli atti processuali da cui è possibile desumere un comportamento gravemente colposo degli istanti, rilevante ai fini dell’adozione o protrazione della misura cautelare, e, dall’altro lato, non spiega in che modo le asserite frequentazioni degli istanti, il loro atteggiamento difensivo o il loro comportamento elusivo della misura abbiano avuto una rilevanza eziologica rispetto alla privazione della libertà. In definitiva, la ricorrente si è limitata a prospettare in via del tutto ipotetica la colpa grave degli istanti, senza, tuttavia, individuare una effettiva violazione di legge o un concreto vizio motivazionale, idonei a scalfire l’accertamento effettuato dal giudice della riparazione che ha escluso una condotta dolosa o colposa degli istanti in rapporto alla vicenda giudiziaria esaminata. 4. Il terzo motivo relativo alla quantificazione dell’indennizzo risulta assorbito nei confronti di S.F. , nei cui confronti il provvedimento va annullato con rinvio al fine di verificare la sussistenza di eventuali preclusioni ex art. 314 c.p.p., comma 4. Il motivo, che deve, dunque, essere affrontato limitatamente a S.I. , è fondato, come riconosciuto anche dai resistenti, in ordine al calcolo dei giorni di custodia ingiustamente patiti, che sono 153 e non 154, mentre non può essere accolto quanto al parametro determinativo usato, costituito da quello matematico, che è giustificato da una motivazione congrua e non manifestamente illogica. Del resto, in tema di ingiusta detenzione, il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione è sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non sindacare la sufficienza o insufficienza dell’indennità liquidata, a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta Sez. 4, n. 10690 del 25/02/2010 Cc. - dep. 18/03/2010, Rv. 246424 - 01 . A ciò si aggiunga che, secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, in tema di ingiusta detenzione, è illegittima la decisione con cui il giudice riduca automaticamente, come chiesto dall’Amministrazione, l’importo da liquidarsi, determinato secondo il criterio aritmetico, per il solo fatto che il soggetto abbia già subito precedenti periodi di sottoposizione a regime carcerario Sez. 4, n. 18364 del 18/01/2019 Cc. - dep. 03/05/2019, Rv. 275706 - 01 . 5. Anche l’ultima censura, avente ad oggetto la mancata compensazione delle spese di lite del procedimento a quo, risulta assorbita nei confronti di S.F. , nei cui confronti il provvedimento va annullato con rinvio al fine di verificare la sussistenza di eventuali preclusioni ex art. 314 c.p.p., comma 4, con conseguente nuova regolamentazione delle spese di lite, mentre deve essere affrontato con riferimento a S.I. . In proposito, occorre preliminarmente verificare se sia ancora valido, alla luce delle recenti modifiche che hanno investito l’art. 92 c.p.c., il principio enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è a contraddittorio necessario - che si instaura con la notifica della domanda, a cura della cancelleria, al Ministero dell’economia e delle finanze - ma non a carattere contenzioso necessario, in quanto l’Amministrazione intimata può non costituirsi ovvero costituirsi aderendo alla richiesta del privato o rimettersi al giudice, sicché in questi ultimi casi, non essendovi contrasto di interessi da dirimere, non v’è soccombenza dell’Amministrazione e non può essere pronunciata la sua condanna alla rifusione delle spese, nonché degli eventuali diritti e onorari di rappresentanza e difesa in favore della controparte, mentre, qualora essa si costituisca, svolgendo una qualsiasi eccezione diretta a paralizzare o ridurre la pretesa dell’istante e veda rigettate le sue deduzioni o conclusioni, il contraddittorio si connota di carattere contenzioso e il giudice deve porre le spese stesse, nonché gli eventuali diritti e onorari a carico dell’Amministrazione soccombente o, se ne sussistono le condizioni, dichiararle totalmente o parzialmente compensate Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002 Cc. - dep. 15/10/2002, Rv. 222264 . Difatti, l’art. 92 c.p.c., nella attuale versione, introdotta dal D.L. n. 132 del 2014 e convertito in L. n. 162 del 2014, applicabile ratione temporis al procedimento in esame, dispone che il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, soltanto laddove vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti e, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018 anteriore al provvedimento impugnato , qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. Va, tuttavia, considerato che l’attivazione della procedura giudiziale è assolutamente necessaria perché il privato consegua l’indennizzo dovuto, sicché lo Stato, e per esso il Ministero dell’Economia e delle Finanze già del Tesoro , non può spontaneamente procedere extra-giudizialmente a alcuna determinazione, nè relativamente all’an, nè relativamente al quantum debeatur in ordine alla pretesa del privato. Ne consegue che ove la Pubblica Amministrazione non si opponga affatto alla richiesta del privato, nè sull’an, nè sul quantum della pretesa fatta valere, essa non può essere considerata soccombente nella relativa procedura e non può, quindi, essere condannata al rimborso delle spese processuali sostenute dalla parte privata, conformemente all’orientamento giurisprudenziale formatosi prima delle modifiche dell’art. 92 c.p.c. così Sez. 4, n. 15209 del 26/02/2015 Cc.- dep. 13/04/2015, Rv. 263141 . Nel caso in esame, tuttavia, l’Amministrazione resistente si è costituita ed opposta alla pretesa dell’istante, sicché la regolamentazione delle spese va effettuata in applicazione dell’art. 92 c.p.c., nell’attuale formulazione. Alla regola generale della condanna alle spese della parte soccombente può derogarsi, quindi, con la compensazione integrale o parziale, soltanto in caso di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. Deve osservarsi, quanto al concetto di soccombenza parziale, che, secondo l’orientamento consolidato della corte di legittimità, la nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, sottende - anche in relazione al principio di causalità - una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo così Sez. 6-2 civile, n. 21684 del 23/09/2013, Rv. 627822 v. anche Sez. civile 2, n. 22021 del 11/09/2018, Rv. 650070 01, secondo cui, invece, la differenza fra il quantum richiesto e quello ottenuto può assurgere a sintomo di quelle gravi ed eccezionali ragioni che giustificano la compensazione totale o parziale . Nondimeno, nel presente procedimento, la Corte di Appello, pur valutando l’accoglimento non integrale della domanda, ha ritenuto che la soccombenza parziale non giustificasse la deroga alla regola generale all’accoglimento, pur non integrale della domanda, consegue la condanna della P.A. resistente alla refusione delle spese di lite , con una decisione che non viola la legge e non presenta alcuna manifesta illogicità o contraddittorietà, tenuto conto dei parametri non certi di liquidazione dell’indennizzo e della differenza non particolarmente significativa tra l’entità dell’importo richiesto e di quello riconosciuto. 5. In conclusione, il provvedimento impugnato va annullato con rinvio alla Corte di Appello, cui è rimessa anche la liquidazione delle spese di lite, per nuovo giudizio nei confronti di S.F. limitatamente alla verifica della causa ostativa all’indennizzo di cui all’art. 314 c.p.p., comma 4, mentre deve essere annullato senza rinvio nei confronti di S.I. , potendosi rideterminare, in questa sede, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l, l’indennizzo riconosciuto in Euro 36.080,46. Le spese del presente procedimento tra l’Amministrazione ricorrente e S.I. devono essere integralmente compensate, in considerazione della soccombenza reciproca. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di S.F. e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Perugia, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato nei confronti di S.I. limitatamente all’entità dell’indennizzo, riquantificando la somma in Euro 36.080,46 Dichiara, con riferimento a tale ultima posizione, integralmente compensate le spese di lite tra le parti del presente giudizio di legittimità.