Sotto accusa per mafia e costretto in carcere: niente domiciliari…

Respinta la richiesta del padre detenuto. Le difficoltà affrontate dalla donna, che deve dividersi tra attività lavorativa e assistenza alla figlia, sono superabili facendo ricorso all’aiuto dei familiari e di strutture pubbliche presenti sul territorio.

Lui è in carcere perché accusato di essere affiliato a una famiglia mafiosa. E la moglie deve dividersi tra il lavoro e il badare alla loro figlioletta. Immaginabili le difficoltà per la donna, ma esse non sono sufficienti per ritenere necessaria la presenza del marito a casa. Respinta, di conseguenza, dai giudici l’ipotesi della concessione all’uomo degli arresti domiciliari Cassazione, sentenza n. 40444/19, sez. V Penale, depositata il 2 ottobre . Lavoro. Obiettivo del ricorso presentato dall’avvocato del presunto mafioso è porre in evidenza la difficile gestione del contesto familiare del suo cliente. Nello specifico, viene messa sul tavolo l’impossibilità della moglie di essere presente in maniera continuativa nell’accudimento della figlia piccola, dato lo svolgimento di attività lavorativa . Questo dato è sufficiente, secondo il legale, per mettere in discussione la decisione con cui il Tribunale ha respinto l’istanza di sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari . I Giudici della Cassazione ritengono però priva di fondamento la visione tracciata dal difensore. Ciò perché l’attività lavorativa di una madre, ancorché spiegata giornalmente e con orari che impegnino per più di otto ore, non rappresenta automaticamente un impedimento della possibilità di assicurare assistenza alla figlia, anche piccolissima . E allargando l’orizzonte l’attività lavorativa dell’unico genitore o di entrambi i genitori non impedisce, in via generale, di prendersi cura dei figli, anche eventualmente con l’aiuto di familiari disponibili o con il ricorso a strutture pubbliche o private abilitate . Assistenza. Chiaro il principio tracciato dai Giudici la condizione di madre lavoratrice a – ma il ragionamento vale anche per il padre – non riveste quel carattere di assoluta impossibilità a cui fa riferimento la norma, considerando sia la legislazione speciale a favore del genitore lavoratore, sia la esistenza di strutture pubbliche e private di sostegno e supplenza delle figure genitoriali, nei periodi di tempo in cui sono impegnati nell’attività lavorativa . E ragionando in questa ottica non si può ipotizzare che al figlio debba essere garantita l’assistenza continuativa di almeno un genitore, ma solo la presenza attiva di uno di loro, di norma individuato nella madre . Così, sul fronte delle misure cautelari personali, bisogna tenere sì conto del diritto del minore all’assistenza genitoriale , ma la norma dispone che la tutela della prole può essere assicurata dal padre costretto in carcere solo nel caso in cui la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli . Di conseguenza, non è sufficiente il richiamo, come in questa vicenda, alla temporanea assenza dal domicilio della madre allo scopo di recarsi altrove per esigenze lavorative , anche perché non può parlarsi di assoluta impossibilità”, quanto di necessità di conciliare – per alcune ore al giorno – l’esercizio di attività diversa con gli ordinari compiti di vigilanza e di accudimento della prole . Ci si trova, difatti, di fronte a una condizione di fatto vissuta dalla maggior parte dei nuclei familiari con prole , osservano i giudici, e ciò non determina una necessaria modifica del regime di contenimento della constatata pericolosità sociale del padre . Tirando le somme, in questa vicenda è emerso che la difficoltà di esercizio dei compiti assistenziali a carico della lavoratrice madre – che comunque riesce a esercitare i propri compiti nelle ore diverse da quelle lavorative – risulta superabile, pur in assenza del padre detenuto , attraverso il supporto pedagogico assicurato da strutture pubbliche, presenti sul territorio, nonché attraverso l’intervento di altre figure di riferimento idonee ad assicurare la tutela della figlia . Impensabile, quindi, concedere all’uomo gli arresti domiciliari .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 maggio – 2 ottobre 2019, n. 40444 Presidente Miccoli – Relatore Belmonte Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza impugnata, il Tribunale di Palermo rigettava l'istanza di sostituzione, con gli arresti domiciliari, della custodia in carcere disposta nei confronti di Ma. Mi. in ordine al reato di cui all'art. 416 bis cod.pen., commesso in Menfi ,e altre località della provincia agrigentina, dal maggio 2004 fino all'attualità. 2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione l'indagato, per il tramite del suo difensore, il quale ne chiede l'annullamento svolgendo tre motivi. 2.1. Con il primo, deduce violazione del principio devolutivo da parte del Tribunale distrettuale in ordine alla ritenuta infondatezza della istanza difensiva, finalizzata a far valere le ragioni di incompatibilità con la custodia cautelare in carcere di cui all'art. 275 comma quarto cod.proc.pen. Si duole che il Tribunale del Riesame abbia fatto riferimento alla insussistenza dell'assoluto impedimento della moglie del prevenuto ad accudire la figlioletta di pochi mesi, mentre, nell'ordinanza reiettiva del giudice della cognizione, l'istanza difensiva era stata rigettata ritenendosi insussistenti profili di attenuazione delle esigenze cautelari, con riferimento anche a redditi significativi della moglie del Mi 2.2. Con il secondo motivo, denuncia l'erronea valutazione del profilo dell'assoluto impedimento, come declinato dall'art. 275 comma quarto cod.proc.pen., non essendo state adeguatamente valutate tutte le situazioni di fatto concretamente rappresentate dalla difesa, a tal fine. Da qui la erronea applicazione della disposizione citata, posto che era stata documentata la impossibilità della madre di essere presente in maniera continuativa nell'accudimento della prole, dato lo svolgimento di attività lavorativa, il che, sulla scia di altri precedenti arresti di questa Corte di legittimità, avrebbe dovuto consentire la sostituzione della misura. 3. Con il terzo motivo, ci si duole che il Tribunale non abbia adeguatamente vagliato il profilo della necessità di eccezionali ragioni di cautela, richiesto dall'art. 275 comma quarto cod.proc.pen., in presenza di detenuto con prole infraseienne, così omettendo l'adeguato contemperamento tra eccezionali esigenze di cautela processuale e tutela dei diritti fondamentali dell'infanzia. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. La prima doglianza è manifestamente infondata, poiché l'istanza di revoca/sostituzione della misura cautelare in corso e l'appello al tribunale distrettuale erano fondati sui medesimi motivi declinati con riferimento al parametro normativo di cui all'art. 275 comma 4 cod. proc. pen. 3. Quanto agli altri motivi, il Tribunale del riesame ha correttamente ispirato il proprio giudizio cautelare ai consolidati principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che qui si ribadiscono, secondo cui l'attività lavorativa della madre, ancorché spiegata giornalmente e con orari che impegnino per più di otto ore, non rappresenta automaticamente un impedimento della possibilità di assicurare assistenza al figlio, anche piccolissimo. E' principio affermato, con costanza e uniformità, che l’ attività lavorativa dell'unico genitore o di entrambi, non impedisce, in via generale, di prendersi cura dei figli, anche eventualmente con l'aiuto di familiari disponibili o con il ricorso a strutture pubbliche o private abilitate Cass. N. 47073 del 2003, rv. 226978 n. 20233 del 2006, rv. 234659 n. 33850 del 2006, rv. 235194 n. 38067 del 2006, rv. 235757 n. 5664 del 2007, rv. 236128 Sez. 6, n. 31772 del 08/07/2009 c.c. dep. 31/07/2009 Rv. 245196 . La suddetta condizione di madre lavoratrice, ma all'evidenza, il ragionamento vale anche per il padre, del tutto normale, ormai, per la gran parte delle famiglie italiane, non riveste quel carattere di assoluta impossibilità a cui fa riferimento la norma, considerando sia la legislazione speciale a favore del genitore lavoratore, sia la esistenza di strutture pubbliche e private di sostegno e supplenza delle figure genitoriali, nei periodi di tempo in cui sono impegnati nell'attività lavorativa. Viceversa, l'uso dell'avverbio assolutamente da parte della norma è riferibile a situazioni gravi, ben diverse da quella qui rappresentata. L'art. 275 comma quarto cod.proc.pen , invero, impone il bilanciamento tra le esigenze cautelari e il diritto del minore all'assistenza genitoriale, ma, per la sua natura derogatoria, la disposizione è di stretta interpretazione e non implica che il minore debba essere garantita l'assistenza continuativa di almeno un genitore ma solo la presenza attiva di uno di loro, di norma individuato nella madre infatti la norma dispone solo nel caso in cui la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza la tutela della prole può essere assicurata dal padre. La ragione di tale orientamento - che questo Collegio condivide - sta essenzialmente nella interpretazione della disposizione normativa per come la stessa è testualmente redatta. Assimilare l'ipotesi di madre 'deceduta' a quella di 'assoluta impossibilità a prestare assistenza' così come realizzato dal legislatore evoca, nel secondo caso, una nozione di impossibilità correlata ad un impedimento fisico o comunque funzionale di entità tale da determinare una oggettiva - e tendenzialmente duratura - impossibilità di prestare la dovuta assistenza, il che non equivale ad una 'temporanea assenza' dal domicilio della madre allo scopo di recarsi altrove per esigenze lavorative. In tal caso, infatti, non può parlarsi di assoluta impossibilità , quanto di necessità di conciliare - per alcune ore del giorno - l'esercizio di attività diversa con gli ordinari compiti di vigilanza e accudimento della prole. Si tratta, pertanto, di condizione di fatto vissuta dalla maggior parte dei nuclei familiari con prole, che non determina una necessaria modifica - nel sottostante bilanciamento degli interessi - del regime di contenimento della constatata pericolosità sociale del soggetto padre. La difficoltà di esercizio dei compiti assistenziali, che si determina a carico della 'lavoratrice madre' , se, da un lato, non equivale alla assoluta impossibilità perchè i compiti di assistenza risultano comunque esercitati nelle ore diverse da quelle lavorative dall'altro, risulta vincibile - pur in assenza del padre detenuto - attraverso il supporto pedagogico assicurato da strutture pubbliche, presenti sul territorio, nonché attraverso l'intervento di altre figure di riferimento idonee ad assicurare la tutela del minore. Solo in ipotesi di adeguata dimostrazione della totale assenza di strutture o di figure soggettive idonee a tale scopo potrebbe ritenersi rilevante la mera condizione di 'madre lavoratrice' al fine di ritenere applicabile la previsione di legge dell'art. 275 co.4 cod.proc.pen. nei confronti del detenuto padre. 3.1. Correttamente, dunque, il tribunale distrettuale ha ritenuto la mancanza di presupposti di fatto, ulteriori rispetto alla sola posizione di madre lavoratrice, per individuare la situazione di impossibilità di accudimento del figlio in tenera età e far ritenere la necessità della figura sostitutiva del padre, con effetto di mutamento del regime carcerario, non essendo stata dimostrata l'oggettiva impossibilità, per la madre, di conciliare le esigenze lavorative con l'assistenza alla prole, nonché di avvalersi dell'ausilio di parenti od altre figure di riferimento, ovvero di strutture pubbliche. Sez. 6, n. 18851 del 06/03/2018 , Rv. 273382 . Le valutazioni di fatto operate, sul tema, dal Tribunale non contengono alcun vizio di logicità e non sono pertanto sindacabili ulteriormente in questa sede. 4. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge art. 616 cod.proc.pen la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso sez. 2 n. 35443 del 06/07/2007 Rv 237957 , al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo fissare in Euro 3000,00 5. Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi - ai sensi dell'art. 94 comma Iter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale - che copia della ordinanza sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario in cui l'indagato si trova ristretto, per i provvedimenti stabiliti dal comma Ibis del citato art. 94. P.Q.M. Dichiara Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 comma 1 ter disp.att. cod.proc.pen.