Principio del ne bis in idem e sua applicazione al c.d. giudicando cautelare

Il divieto di bis in idem costituisce un principio generale dell’ordinamento volto ad evitare che vi siano processi simultanei. Esso è operante anche in materia cautelare, compreso il giudicando cautelare. Sulla base di ciò, il potere del Pubblico Ministero di chiedere l’applicazione di una misura cautelare deve ritenersi esaurito con la prima richiesta e dunque non nuovamente esercitabile in assenza di elementi nuovi.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40132/19, depositata il 1° ottobre. Richiesta di emissione della misura cautelare. Il Tribunale emetteva verso l’indagato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere alla luce dei gravi indizi di colpevolezza sussistenti a suo carico. Nelle more del giudizio il medesimo veniva emessa un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del medesimo soggetto Pronunciandosi sulla questa questione, l’adito Tribunale del riesame sottolineava la legittimità della richiesta e dell’emissione di un nuovo titolo restrittivo in pendenza di un altro incidente cautelare, ritenendo che la sentenza di condanna fosse da considerare come elemento nuovo”. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto ricorso in Cassazione l’imputato a mezzo del suo difensore, lamentando che le sopradette ordinanze erano state emesse nonostante la preclusione processuale derivante dalla pendenza di un altro procedimento cautelare. Infatti, sostiene il ricorrente, in una situazione simile dovrebbe operare una preclusione processuale, posto che la nuova richiesta di emissione della misura cautelare fatta dal Pubblico ministero non si era basata su nuovi elementi ma sul medesimo capo d’imputazione e con il richiamo agli stessi elementi di prova. Principio del ne bis in idem. La Corte, ritenendo fondato il ricorso, ricorda la giurisprudenza secondo cui il divieto di bis in idem costituisce un principio generale dell’ordinamento volto ad evitare che vi siano processi simultanei esso è operante anche in materia cautelare, compreso il c.d. giudicando cautelare. Sulla base di ciò, il potere del Pubblico ministero di chiedere l’applicazione di una misura cautelare deve ritenersi esaurito con la prima richiesta e dunque non può essere nuovamente esercitato in pendenza del relativo procedimento cautelare, salvo che la richiesta si fondi su elementi nuovi” riguardanti gravi indizi di colpevolezza o le esigenze cautelari . Inoltre, continuano i Giudici, le Sezioni Unite hanno chiarito che il divieto di bis in idem rinviene la sua matrice nella categoria della preclusione processuale , la quale si risolve nell’impedimento dell’esercizio di un potere altrimenti attribuito ai soggetti del processo. Nel caso in esame infatti vi è stato un pregresso esercizio del potere, con conseguente consumazione dello stesso e paralisi della possibilità di promuovere di una nuova azione. Questo risponde all’esigenza di evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di un cambiamento del quadro procedimentale di riferimento e prevenire che si formino contrasti tra decisioni sulla stessa situazione. Inoltre è stato precisato che il procedimento cautelare postula la necessità che i suoi provvedimenti possano andare incontro ad un adeguamento al mutare delle situazioni sicché l’ idem , il cui bis è precluso, non può concretarsi ed esaurirsi, in ambito cautelare, come avviene per il processo cognitivo, nella mera identità del fatto, ma ricomprende necessariamente anche l’identità degli elementi posti a sostegno o a confutazione di esso e della sua rilevanza cautelare . Tale principio è stato accolto per il giudicato cautelare ed è stato esteso anche al giudicando cautelare. Nel caso di specie, rileva la Suprema Corte, la domanda custodiale è stata formulata, davanti al secondo Tribunale, in assenza di elementi nuovi. In questo modo si è dunque verificata una situazione di bis in idem , che ha portato alla sovrapposizione ad un provvedimento custodiale non ancora definitivo di un altro provvedimento cautelare nei confronti della stessa persona, per gli stessi fatti e in base agli stessi elementi fattuali. Rilevato ciò, la Cassazione accoglie il ricorso e annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 30 aprile – 1 ottobre 2019, n. 40132 Presidente Boni – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 22/3/2018, il Tribunale di Reggio Emilia in composizione collegiale aveva emesso, nei confronti di V.P. , un’ordinanza di custodia cautelare in carcere in considerazione dei gravi indizi di colpevolezza sussistenti a carico dell’indagato in relazione alla sua partecipazione a un’associazione mafiosa di matrice n’dranghetistica operante in Emilia Romagna. Con successiva ordinanza in data 4/4/2018, il Tribunale del riesame di Bologna aveva annullato il provvedimento genetico, rilevando che il primo Giudice non aveva compiuto un’autonoma valutazione degli elementi forniti dalla difesa. A seguito di impugnazione del Pubblico ministero, con sentenza n. 44930/18 del 15/6/2018, la Corte di cassazione dispose l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del riesame, rilevando il carattere meramente apparente della relativa motivazione. Secondo la sentenza rescindente, infatti, il Tribunale del riesame aveva omesso di indicare specificamente il contenuto e la natura degli elementi forniti dalla difesa e non considerati dal Tribunale di Reggio Emilia e che, al contrario, i Giudici del riesame avevano ritenuto inidonei a incidere sul quadro di gravità indiziaria. 2. Nelle more del giudizio di rinvio, in data 31/10/2018 il Tribunale di Reggio Emilia pronunciò sentenza di condanna, tra gli altri, a carico di V. , condannandolo, per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, alla pena di 16 anni di reclusione e con provvedimento in pari data emise, nei suoi confronti, una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere, rilevando, da un lato, la preclusione, derivante dalla condanna, sulle questioni relative ai gravi indizi di colpevolezza e, dall’altro, l’inesistenza di specifici elementi in grado di sovvertire la cd. doppia presunzione derivante, ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, dal titolo di reato ascritto all’imputato. 3. La nuova ordinanza genetica fu, a sua volta, impugnata davanti al Tribunale di Bologna, il quale, con provvedimento del 22/11/2018, rigettò il riesame. In particolare, dopo avere sottolineato la legittimità della emissione del nuovo titolo restrittivo, pur in pendenza di altro incidente cautelare, in considerazione della sopravvenienza di un elemento nuovo costituito dalla pronuncia di una sentenza di condanna, il Tribunale del riesame escluse la fondatezza della eccezione di nullità avanzata dalla difesa in relazione alla ipotizzata pretermissione degli elementi dalla stessa forniti per dar prova dell’insussistenza delle esigenze cautelari. Ciò in quanto, sotto un primo profilo, il Giudice della cautela aveva implicitamente ritenuto che. gli stessi non fossero concludenti essendo state le dichiarazioni a discolpa rese prima della cessazione della permanenza della condotta associativa in quanto non avrebbe potuto valorizzarsi, ai fini della ritenuta insussistenza delle esigenze cautelari, il fatto che l’imputato fosse sottoposto a misura di prevenzione presupponente la sua attuale pericolosità sociale e, infine, in quanto nella nozione di elementi di favore sarebbero dovuti rientrare soltanto i dati di natura oggettiva aventi rilievo concludente, con esclusione delle mere posizioni difensive negatorie o delle prospettazioni di tesi interpretative alternative, assorbite nell’apprezzamento complessivo cui procedeva il Giudice de libertate. Quanto, poi, alla valutazione sulle esigenze cautelari, il Tribunale bolognese richiamò la giurisprudenza di legittimità secondo la quale la previsione dell’art. 275 c.p.p., comma 1-bis, come la disposizione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, vadano tuttora lette in chiave di presunzione relativa di pericolosità sociale, consentendo al giudice di apprezzarne le ragioni di esclusione soltanto se queste siano state eventualmente evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti sicché, nel caso di imputati del reato di associazione mafiosa, la presunzione di pericolosità dovrebbe essere superata soltanto in caso di rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza mentre il trascorrere di un rilevante lasso di tempo dal momento della commissione dei fatti costituirebbe un fattore non autonomo di valutazione, ma da parametrare necessariamente alla gravità della condotta contestata. Ancora, quanto all’ulteriore eccezione di nullità del titolo, derivante dall’asserita mancata trasmissione di atti favorevoli all’indagato, essa avrebbe riguardato dichiarazioni rese dall’imputato, non qualificabili come elementi a suo favore, essendo esse funzionali a garantire che il tempestivo contraddittorio davanti al giudice del riesame, evitando ritardi per eventuali richieste di integrazioni di atti e riguardando l’obbligo di trasmissione degli atti, sanzionato a pena di inefficacia della misura, soltanto quelli funzionali alla decisione. Nel caso di specie, essendo l’imputato gravato da una condanna in primo grado ed essendo, conseguentemente, precluso, al giudice della cautela, fornire una difforme ricostruzione della vicenda rispetto a quella operata in sede di giudizio, con riferimento sia al tema della gravità indiziaria, sia in rapporto alla valutazione delle esigenze cautelari, in presenza di un’istanza di riesame avanzata avverso un’ordinanza genetica emessa per il delitto di partecipazione a un’organizzazione stampo ‘ndranghetistico, il Giudice procedente ben potrebbe trasmettere al Tribunale del riesame soltanto la sentenza, costituente il perimetro decisorio del Giudice del gravame cautelare, come delimitato dalle preclusioni processuali sorte e dal concreto e attuale interesse del ricorrente. Nel merito, rilevato che V. aveva riportato, per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p. commesso sino all’ , una condanna ben 16 anni di reclusione, conseguente al ruolo di rilievo da lui ricoperto all’interno del sodalizio e che l’imputato era stato sottoposto, in quanto socialmente pericolo, con decreto in data 15/5/2017 del Tribunale di Reggio Emilia, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, i Giudici del riesame ritennero che, non avendo egli manifestato alcuna resipiscenza nè un distacco dagli ambienti ‘ndranghetisti dovendo le mancate accuse all’indirizzo di G.A.N. interpretarsi come dovute soltanto al timore di gravi conseguenze da parte degli ambienti malavitosi calabresi , non vi fossero concreti elementi da cui evincere la sua presa di distanza dalle logiche criminali e, dunque, per ritenere vinta la presunzione relativa di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. 4. Con ordinanza del 23/11/2018, pronunciata in esito al giudizio di rinvio conseguente al citato annullamento da parte della Corte di cassazione, il Tribunale di Bologna rigettò il riesame proposto avverso la prima ordinanza, emessa in data 22/3/2018 dal Tribunale di Reggio Emilia. Nel frangente, i Giudici bolognesi rilevarono che era sopravvenuta la sentenza di condanna pronunciata, per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., a carico di V. . Tale condanna, di cui il Tribunale felsineo ritenne di poter avere cognizione in ragione dei poteri riconosciuti al Giudice del riesame in sede di rinvio, identici a quelli che aveva il Giudice il cui provvedimento era stato annullato, di estendere la propria base cognitiva anche a nuovi elementi processuali , doveva rendersi idonea a superare ogni questione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, non potendo la decisione cautelare porsi in contrasto con il contenuto della sentenza, pur non irrevocabile, emessa in ordine ai medesimi fatti nei confronti dello stesso soggetto, salvo che risultassero dedotti elementi di prova nuovi, suscettibili di dare ingresso a una possibile diversa lettura degli indizi al momento dell’adozione della misura cautelare situazione qui non sussistente. Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ritenne che in tema di custodia cautelare in carcere applicata, ex art. 275 c.p.p., comma 1-bis, nei confronti del condannato in primo grado per il delitto di associazione di tipo mafioso valessero le presunzioni previste dall’art. 275 c.p.p., comma 3 e che, dunque, sussistessero sia la presunzione relativa di pericolosità sociale, superabile solo quando l’imputato abbia rescisso i vincoli che lo legavano al sodalizio criminale o se ne sia irreversibilmente allontanato, sia la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, che, in caso di mancato superamento della presunzione relativa, impone l’applicazione della misura di maggior rigore. Inoltre, considerato il modesto arco temporale, pari a un mese, tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’imputato, esonerava dall’esigenza di motivare puntualmente in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari, fermo restando che, in caso di mancata dissociazione espressa dal sodalizio, non è richiesto un giudizio di attualità delle esigenze cautelari già insito nella disposizione speciale di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. Nè, secondo il Tribunale bolognese, potrebbe revocarsi in dubbio la perdurante operatività dell’associazione, di cui i due odierni imputati sono stati considerati componenti con condotte perduranti fino al febbraio del 2018. 5. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame emessa in data 22/11/2018 ha proposto ricorso per cassazione lo stesso V. per mezzo del difensore di fiducia, avv. Gaetano Pecorella, deducendo tre distinti motivi di doglianza, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p 5.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , la nullità dell’ordinanza per violazione della preclusione processuale derivante dalla pendenza di altro procedimento cautelare relativo ai medesimi fatti. Ciò in quanto sia l’ordinanza in data 31/10/2018 del Tribunale di Reggio Emilia, sia l’ordinanza del Tribunale del riesame di Bologna in data 22/11/2018, di rigetto dell’impugnazione proposta su quel provvedimento, erano state emesse in pendenza del procedimento cautelare nel cui ambito era stata poi emessa l’ordinanza in data 23/11/2018, cui si riferisce la presente impugnazione. Opererebbe, dunque, una preclusione processuale, atteso che il Pubblico ministero non avrebbe chiesto l’emissione di una misura cautelare sulla base di nuovi elementi, essendo state le richieste formulate sul medesimo capo d’imputazione e con il richiamo ai medesimi elementi di prova. 5.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c-bis e c , atteso che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale di Bologna, l’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia non avrebbe contenuto l’esposizione e l’autonoma valutazione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa con riguardo alla insussistenza di esigenze cautelari. Da un lato, infatti, il Tribunale non avrebbe preso posizione in relazione al fatto, segnalato dalla difesa con memoria depositata all’udienza in data 11/10/2018, della scrupolosa osservanza, da parte di V. , delle prescrizioni della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, essendosi egli dato alla ricerca di un lavoro e avendo presentato istanza di autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa e, dall’altro lato, il Tribunale di Reggio Emilia, soffermandosi specificamente sulle posizioni degli imputati M. e C. , ma non su quella di V.P. . Inoltre, il Tribunale del riesame, specificamente investito su tali questioni, non ne avrebbe fatto compiuta trattazione. Analogamente, quanto alla strategia difensiva seguita, con la quale V. avrebbe inteso discostarsi dalle indicazioni di S.G. , il quale intendeva accreditare la tesi secondo cui i fratelli V. fossero vittime delle condotte estorsive di G.A.N. , il Tribunale avrebbe motivato il fatto che l’indagato non avesse accusato quest’ultimo con il timore delle gravi conseguenze che sarebbero potute derivare una conclusione smentita da M.S. , secondo cui S.G. aveva rassicurato V. che le sue dichiarazioni contro G.A. e B. non avrebbero avuto alcuna conseguenza negativa. Nè il Tribunale avrebbe valorizzato elementi diversi dalla c.d. dissociazione, quali la sottoposizione di V. all’obbligo di soggiorno nel comune di Montecchio Emilia con stringenti prescrizioni sulla possibilità di avere contatti con l’esterno, tali da spezzare i legame con l’associazione, cui l’imputato si sarebbe scrupolosamente attenuto. 5.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 309 c.p.p., comma 5, non essendo stati trasmetti al Tribunale di Bologna tutti gli atti confluiti nel giudizio abbreviato, e, in particolare, le dichiarazioni di V.P. , le memorie della difesa, e gli atti di indagine su cui la misura si fondava elementi da ritenersi fondamentali per provare la totale dissociazione dell’indagato dall’associazione mafiosa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati. 2. Muovendo, secondo l’ordine logico, dal primo motivo di doglianza, va ricordato che secondo la prospettazione del ricorrente, sia l’ordinanza in data 31/10/2018 del Tribunale di Reggio Emilia, sia l’ordinanza del Tribunale del riesame di Bologna in data 22/11/2018 sarebbero state emesse nonostante la preclusione processuale derivante dalla pendenza di altro procedimento cautelare relativo ai medesimi fatti, con conseguente nullità di entrambi i provvedimenti. 2.1. In argomento, giova ricordare che secondo la giurisprudenza, anche a Sezioni unite, della Corte di cassazione, il divieto di bis in idem costituisce un principio generale dell’ordinamento finalizzato a impedire l’eventualità di processi simultanei in questo senso Corte Cost., n. 27 del 1995 ord. n. 318 del 2001 ord. n. 39 del 2002 principio operante anche in materia cautelare, ivi compreso l’ambito del c.d. giudicando cautelare. In base a tale principio, il potere del pubblico ministero di richiedere l’applicazione di una misura cautelare deve ritenersi esaurito con la prima richiesta, sicché esso non può essere esercitato nuovamente, in pendenza del relativo procedimento cautelare - pendenza conseguente, ad esempio, all’eventuale esperimento delle impugnazioni - salvo che la richiesta si fondi su elementi nuovi , riguardanti i gravi indizi di colpevolezza o le esigenze cautelari. Più specificamente, le Sezioni unite hanno precisato che il divieto di bis in idem, costituente principio generale dell’ordinamento ai sensi dell’art. 12 preleggi, rinviene la sua matrice nella categoria della preclusione processuale , la quale si risolve nell’impedimento dell’esercizio di un potere altrimenti attribuito ai soggetti del processo, come, per quanto qui di rilievo, nel caso di un pregresso esercizio dello stesso potere, con conseguente sua consumazione e inevitabile paralisi non solo della promovibilità dell’azione, ma anche del potere del giudice investito, precedentemente, della cognizione sull’identica regiudicanda e ciò al fine di impedire ulteriori interventi giudiziari in assenza di un mutamento del quadro procedimentale di riferimento e prevenire la formazione di contrasti tra decisioni, oltre la strumentalizzazione delle forme processuali Sez. U, n. 24655 del 28/6/2005, Donati, Rv 231800 . Nondimeno, è stato precisato che il procedimento cautelare, per la ratio che lo contraddistingue, postula la necessità che i suoi provvedimenti possano andare incontro a un tendenziale adeguamento al mutare delle situazioni sicché l’ idem , il cui bis è precluso, non può concretarsi ed esaurirsi, in ambito cautelare, come avviene invece nel processo cognitivo, nella mera identità del fatto, ma ricomprende, necessariamente, anche l’identità degli elementi posti e valutati a sostegno o a confutazione di esso e della sua rilevanza cautelare. Un principio, questo, pacificamente accolto in relazione al giudicato cautelare, ma esteso, per comunanza di ratio, anche al giudicando cautelare, essendo contrario alle esigenze di tempestività tipiche del procedimento cautelare che, a causa di una pendenza in atto, non possa essere consentito l’immediato utilizzo dei nova utili a sostenere una determinata posizione, paralizzando la nuova iniziativa del pubblico ministero fino alla definizione di quella pendenza così Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, dep. 2011, Testini, in motivazione cfr. altresì Sez. 2, n. 6459 del 14/2/2012, D’Agostino, Rv. 252112 . Una soluzione, quella illustrata, che non si pone in contrasto con le conclusioni cui le Sezioni unite erano pervenute in altra importante occasione, allorché era stato affermato che qualora il pubblico ministero, nelle more della decisione sull’appello proposto contro l’ordinanza reiettiva della richiesta di misura cautelare personale, rinnovi la domanda nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, allegando elementi probatori nuovi , preesistenti o sopravvenuti, debba ritenersi precluso al giudice, in pendenza del procedimento di appello, decidere in merito alla medesima domanda cautelare Sez. U, n. 18339 del 31/3/2004, Donelli, Rv. 227358 . Tale principio di diritto, infatti, diversamente dalla lettura offertane dalla difesa nel presente procedimento, comporta semplicemente la rimessione al pubblico ministero della scelta del veicolo processuale in cui utilizzare i nova, ferma restando la alternatività delle soluzioni esperibili, nel senso che, una volta operata la scelta, non può più, per lo stesso utilizzo, fare ricorso al veicolo alternativo eletta una via non datur recursus ad alteram , secondo una regola generale ritenuta estensibile a qualsiasi ipotesi di impugnazione incidentale de libertate così Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, dep. 2011, Testini, Rv. 249001 in termini Sez. 1, n. 47212 del 13/12/2005, Romito, Rv. 233272 Sez. 3, n. 40838 del 11/10/2005, Ighodaro, Rv. 232476 . 2.2. Coerentemente con tale impostazione è stato, quindi, affermato, nella giurisprudenza successiva, che in tema di misure cautelari, qualora il pubblico ministero, nelle more della decisione sui una impugnazione incidentale de libertate, intenda utilizzare, nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, elementi probatori nuovi , può scegliere se riversarli nel procedimento impugnatorio ovvero porli a fondamento di una nuova richiesta cautelare, ma, una volta effettuata in un senso la scelta, gli è precluso di coltivare l’altra Sez. 5, n. 29495 del 14/5/2018, Bavuso, Rv. 273482 e ancora che, in pendenza di un’impugnazione incidentale de libertate, il pubblico ministero, a fronte di sopravvenuti nuovi elementi, può avanzare per il medesimo fatto nuova richiesta cautelare al giudice per le indagini preliminari richiesta che, una volta accolta, rende improcedibile l’impugnazione pendente Sez. 3, n. 18031 del 18/1/2019, Basile, Rv. 275958 Sez. 1, n. 36679 del 20/6/2013, Borrelli, Rv. 256887 . 3. Nel caso di specie, tuttavia, deve osservarsi che il Pubblico ministero procedente ha formulato la nuova domanda custodiale, davanti al Tribunale di Reggio Emilia, in assenza di elementi realmente qualificabili come nuovi . Ciò in quanto, al momento della richiesta, avanzata in sede di requisitoria nel procedimento di cognizione, non era stata ancora pronunciata alcuna sentenza di condanna sentenza che, dunque, il Tribunale del riesame ha erroneamente individuato come circostanza sopravvenuta, legittimante la nuova iniziativa cautelare. In questo modo, tuttavia, si è evidentemente verificata una situazione di bis in idem, che ha portato alla sovrapposizione a un provvedimento custodiale non ancora definitivo di un altro provvedimento cautelare nei confronti della stessa persona, per gli stessi fatti e in base agli stessi elementi fattuali, nonostante la più sopra descritta situazione di improcedibillità dell’azione cautelare. 4. Dal riconoscimento della fondatezza del primo motivo di doglianza consegue l’assorbimento delle ulteriori censure, articolate con il secondo e il terzo motivo. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto. Pertanto, sia l’ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna in data 22/11/2018, sia l’ordinanza emessa dal Tribunale di Reggio Emilia in data 31/10/2018 devono essere annullate senza rinvio. P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e l’ordinanza emessa dal Tribunale di Reggio Emilia in data 31/10/2018. Si comunichi al Procuratore generale presso la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 626 c.p.p Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.