L’infermità psichica sopravvenuta può condurre alla detenzione domiciliare

Lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare l’applicazione della detenzione domiciliare, non è limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita, dovendosi avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento psicologico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di quella soglia di dignità che va garantita anche in condizione di restrizione carceraria, dovendo contemplarsi l’esigenza di non ledere il fondamentale diritto alla salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 39797 depositata il 27 settembre 2019. La vicenda. Il Tribunale di sorveglianza di Taranto rigettava l’istanza di applicazione della detenzione domiciliare o di differimento dell’esecuzione della pena per ragioni di salute avanzata nell’interesse dell’imputato, ritenendo che le condizioni dello stesso non fossero incompatibili con il regime carcerario, dato che la patologia psichiatrica di cui soffriva non determinava alcuna grave ripercussione sulle funzioni vitali. Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, lamentando travisamento della prova in ordine agli elementi emergenti dalla cartella clinica – che registravano il crescente stato di cattiva salute dell’imputato accompagnato da evidenti limitazioni manifestate dalla struttura carceraria nella gestione dal paziente – nonché omessa valutazione di elementi contenuti nella consulenza tecnica e nelle perizie disposte, orientate nel senso dell’incompatibilità del quadro psicopatologico manifestato dal detenuto con il regime carcerario. Secondo il ricorrente, la detenzione domiciliare risultava la misura prevista dall’ordinamento volta ad evitare che lo scadimento delle condizioni psicofisiche del recluso lo releghi in una situazione in cui non sia più assicurata quella soglia di dignità che anche in carcere deve essere sempre rispettata. Parziale incostituzionalità dell’art. 47-ter ord.pen La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso, muovendo i suoi passi dalla pronuncia di incostituzionalità dell’art. 47- ter , comma 1- ter , ord. pen., nella parte in cui non prevede che - nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta - il Tribunale di sorveglianza possa disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1. Rileva la Corte come la chiusura degli ospedali psichiatri giudiziari non sia stato compensato da previsione adeguate alla situazione dei detenuti con gravi malattie psichiche sopravvenute, mancando la previsione di idonei trattamenti terapeutici e riabilitativi, anche attraverso misure alternative alla detenzione, oltre che attraverso la creazione di nuove strutture sanitarie interne al carcere. Inoltre, l’istituzione delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza REMS non è riuscita a compensare tale deficit, giacché esse sono rivolte esclusivamente ai malati psichiatrici destinatari di una misura di sicurezza. Si è quindi rimarcata la carenza dell’impianto normativo inerente alla condizione dei detenuti affetti da infermità psichica sopravvenuta, i quali non hanno accesso alle REMS, né ad altre misure alternative al carcere qualora abbiano da scontare una pena superiore ai quattro anni, né possono accedere agli istituti del rinvio obbligatorio – perché la patologia psichica non integra il presupposto della malattia grave in fase avanzata – o a quello del rinvio facoltativo della pena, poiché tale previsione riguarda solo i casi di grave infermità fisica. Anche l’infermità psichica sopravvenuta può essere incompatibile con il regime carcerario. Così, essendo innegabile che la malattia psichica è fonte di sofferenze non meno della malattia fisica, è necessario che il giudice possa disporre che la pena venga eseguita fuori dagli istituti di detenzione, anche qualora emerga una malattia mentale idonea a determinare una sofferenza talmente grave che, cumulata con l’ordinaria afflittività del carcere, dia luogo a un supplemento di pena contrario al senso di umanità. Da ciò, la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 47- ter ord. pen. nella parte in cui non consente che la detenzione domiciliare umanitaria sia disposta anche nelle ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta. Nel caso concreto, il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto tener conto delle condizioni complessive di salute e di detenzione, attraverso un giudizio di effettivo accesso alle cure praticabili e di concreta adeguatezza delle stesse. Inoltre, lo stato di salute – ora anche psichica – incompatibile con il regime carcerario, non è limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita, dovendosi avere riguardo ad ogni stato morboso capace di determina una situazione di esistenza al di sotto della dignità umana e dovendosi contemplare l’esigenza di non ledere il diritto alla salute e il divieto di trattamenti umani e degradanti.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 16 maggio – 27 settembre 2019, n. 39797 Presidente Tardio – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe emessa il 24 - 30 ottobre 2018, il Tribunale di sorveglianza di Taranto, dichiarata irrilevante e manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale pure posta, ha rigettato l’istanza di applicazione della detenzione domiciliare o di differimento dell’esecuzione della pena per ragioni di salute ex art. 47-ter c.p., comma 1-ter, e art. 147 c.p. avanzata nell’interesse di M.F., detenuto nella Casa circondariale di Taranto, in espiazione pena avente fine al 10 settembre 2024. Il Tribunale ha premesso che il Magistrato di sorveglianza - esaminata l’istanza di provvisoria applicazione della detenzione domiciliare che il detenuto aveva avanzata allegando la relazione di consulenza di parte a firma del Dott. P.G. , con diagnosi di disturbo bipolare con episodi di agitazione psicomotoria e valutazione del peggioramento del quadro psichiatrico determinato dallo stato detentivo - l’aveva rigettata, con provvedimento del 20 luglio 2018, ritenendo che le condizioni di M. non fossero incompatibili con il regime carcerario, dato che la patologia psichiatrica non determinava alcuna grave ripercussione sulle funzioni vitali, richiamando il pregresso provvedimento di rigetto dell’istanza di detenzione domiciliare emesso dal Tribunale di sorveglianza in data 17 maggio 2017, in relazione al quale era stata espletata perizia da parte del Dott. S.F È stato poi considerato che M. , gravato da numerosi e seri precedenti, era in espiazione pena per detenzione illegale di armi e munizioni, detenzione di sostanze stupefacenti, tentata estorsione, lesioni personali, resistenza a pubblico ufficiale e ricettazione, era considerato soggetto di spiccata pericolosità e inserito in organizzazioni criminali mafiose, di recente, era stato condannato con sentenza di appello, non irrevocabile, alla pena di anni sette, mesi quattro di reclusione per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. e altri delitti, senza che nei processi svolti a suo carico a M. fosse stata riconosciuta una condizione di infermità psichica al momento dei fatti si sono rilevati decisivi elementi di segno opposto dalle relazioni sanitarie, mentre poi sono stati reputati insussistenti i presupposti della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter pure sollevata dall’istante. 2. Avverso questa ordinanza ha proposto ricorso il difensore di M. chiedendone l’annullamento e formulando due motivi. 2.1. Con il primo motivo, si lamentano violazione degli artt. 47-ter Ord. Pen. e art. 147 c.p. e vizio della motivazione, con travisamento della prova. Il ricorrente evidenzia che, al di là dei dati richiamati nel provvedimento impugnato, il Tribunale ha omesso di conferire il dovuto rilievo agli ulteriori elementi emergenti dalla cartella clinica prodotta nel corso del procedimento, da cui si trae, invece, il rilievo della persistenza dell’insonnia e il comportamento di tipo tossicomanico del detenuto, che aveva evidenziato la sua resistenza a qualsiasi trattamento farmacologico, elementi da cui avrebbe dovuto trarsi il corollario dell’inefficacia delle terapie somministrate. Inoltre, sostiene la difesa, la consulenza del Dott. P. segnalava l’aumento di diversi valori, anche a livelli elevatissimi, con peggioramento delle crisi nel marzo del 2018, nonché evidenziava le limitazioni manifestate dalla struttura penitenziaria nella gestione del paziente, dati da cui si è evinto che nella seconda parte del 2018 le condizioni detentive di M. , per le innumerevoli crisi epilettiformi, erano divenute inumanamente incompatibili con il regime detentivo. D’altro canto, sottolinea il ricorrente, la sollecitazione rivolta dal DAP di valutare l’opportunità della collocazione del detenuto in un’articolazione interna per la tutela della salute mentale corrobora le notazioni critiche suindicate, senza che tuttavia possa delegarsi all’autorità amministrativa la salvaguardia delle condizioni di salute di M. , essendo la detenzione domiciliare la misura prevista a tal fine dall’ordinamento, onde evitare che lo scadimento delle condizioni psicofisiche del recluso lo releghi in una situazione in cui non sia più assicurata quella soglia di dignità che anche in carcere deve essere sempre rispettata in tal senso, con le considerazioni rese dal consulente di parte, il Tribunale avrebbe dovuto considerare quelle, richiamate dal suddetto ausiliare, espresse dalle precedenti perizie dei Dott. C. e S., entrambe orientate nel senso dell’incompatibilità del quadro psicopatologico manifestato dal detenuto con il regime carcerario, ma di tutti questi elementi i giudici di sorveglianza hanno erroneamente omesso di tener conto. 2.2. Con il secondo motivo si denunciano violazione degli artt. 2, 3, 24, 27, 32, 117 e 101 Cost., art. 3 CEDU e art. 47-ter Ord. pen., della cui incostituzionalità si reitera la prospettazione nei sensi già indicati. Sull’argomento, il ricorrente contesta la carenza di rilevanza ritenuta dal Tribunale di sorveglianza, sottolineando che la gravità dell’infermità psichica non avrebbe potuto essere esclusa sulla sola base delle due relazioni dei sanitari del carcere, senza però considerare gli altri documenti di sicuro interesse, ossia la cartella clinica del detenuto e le - sopra indicate - relazioni di consulenza in atti. È del pari contestata la ritenuta manifesta infondatezza della questione, su tale versante la difesa riportandosi alle ragioni di diritto svolte dalle ordinanze giurisdizionali che anche i giudici di legittimità avevano emesso sull’argomento del citato quadro normativo, dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e la sostituzioni degli stessi con le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza REMS , destinate soltanto all’applicazione di queste misure, con le implicazioni conseguenti. 3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, osservando che l’impugnazione ha riproposto le questioni già prospettate ai giudici di sorveglianza, sia in tema di valutazione delle condizioni cliniche del detenuto, sia in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter Ord. Pen., ma la motivazione ha dato conto in modo analitico delle condizioni di salute del detenuto, senza che la diversa impostazione della consulenza della difesa, formulando valutazioni alternative, possa rilevare in sede di legittimità, essendo per il resto irrilevante la questione di legittimità costituzionale, dato che non è risultata la possibilità di ritenere aggravate a seguito della detenzione le condizioni psicofisiche di M. , proprio in ragione dell’accertata adeguatezza del trattamento a cui egli è stato ed è sottoposto. Considerato in diritto 1. L’impugnazione è, per quanto di ragione, fondata e va accolta, anche a seguito della sopravvenienza di cui in prosieguo. 2. È utile precisare che il Tribunale di sorveglianza, oltre alle notazioni già richiamate, ha posto a ragione del provvedimento reiettivo la riflessione secondo cui dall’esame delle relazioni sanitarie non è emerso che la situazione psicopatologica del detenuto sia di grado tale da determinare una sua grave infermità fisica, essendo il disturbo bipolare contrastato da trattamento farmacologico adeguato, senza che gli esami strumentali abbiano segnalato importanti anomalie. Il Tribunale, in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter Ord. Pen. sollevata dalla difesa nella parte in cui la norma non prevede l’applicazione dell’istituto della detenzione domiciliare anche nelle ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta durante l’esecuzione della pena, ha considerato la questione stessa non rilevante e manifestamente infondata con particolare riferimento al primo presupposto, i giudici di sorveglianza hanno ritenuto che M. non sia risultato affetto da una condizione di grave infermità psichica, dal momento che nelle relazioni sanitarie si era evidenziato che, anche attualmente, in costanza di trattamento farmacologico, il detenuto appariva vigile e con parametri vitali nella norma sono, poi, seguite articolate considerazioni per sostenere la conclusione di manifesta infondatezza della questione, avendo - i giudici di sorveglianza - escluso che le condizioni psichiche del detenuto fossero tali da integrare la situazione che, alla stregua dell’art. 148 c.p., avrebbe determinato la collocazione del condannato nelle strutture oggi soppresse, essendosi, per il resto, ritenuto che non siano emerse patologie fisiche gravi che, correlate alla condizione psichica e al suo trattamento farmacologico, siano tali da non poter essere fronteggiate con cure adeguate all’interno del circuito penitenziario. Si è, in definitiva, concluso che M. è portatore di una condizione di sofferenza psichica connessa allo stato detentivo e al pregresso uso di sostanze stupefacenti, ossia di un disturbo dell’adattamento e di una depressione psichica, da affrontarsi necessariamente all’interno delle strutture penitenziarie, se del caso con la sua assegnazione a una delle articolazioni interne destinate alla tutela della salute mentale. 3. Va, prima di ogni altra verifica, rilevato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 99 del 2019, depositata il 19 aprile 2019 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2019 , ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 1-ter, nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza possa disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter. Rimandando per ogni dettaglio alla completa disamina compiuta dal Giudice delle leggi nella richiamata decisione, basti qui considerare che la Corte costituzionale ha preso atto del fatto che il processo riformatore che ha condotto alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari non è stato completato con previsioni adeguate alla situazione dei detenuti con gravi malattie psichiche sopravvenute, essendo rimasta incompiuta quella parte della delega disposta dalla L. n. 103 del 2017, relativa ai detenuti malati psichici, volta a garantire loro adeguati trattamenti terapeutici e riabilitativi, anche attraverso misure alternative alla detenzione, oltre che attraverso la creazione di nuove strutture sanitarie interne al carcere, mentre l’istituzione delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza REMS introdotte dalla riforma non rimedia alla lacuna determinatasi, giacché esse non sono destinate a sostituire i soppressi ospedali psichiatrici sotto altra veste i vecchi ospedali psichiatrici ospitavano tutti i malati psichiatrici gravi in qualsiasi modo venuti a contatto con la giurisdizione penale e, dunque, anche i condannati con infermità psichica sopravvenuta alla condanna, laddove le REMS sono destinate esclusivamente ai malati psichiatrici che sono stati ritenuti non imputabili in sede di giudizio penale o che, condannati per delitto non colposo a una pena diminuita per cagione di infermità psichica, sono stati sottoposti a una misura di sicurezza D.L. n. 211 del 2011, ex art. 3-ter, comma 2, introdotto dalla legge di conversione n. 9 del 2012, successivamente attuato con decreto del Ministro della salute adottato di concerto con il Ministro della giustizia 1 ottobre 2012 . Si è, quindi, rimarcata la carenza dell’impianto normativo inerente alla situazione specifica che riguarda la condizione dei detenuti affetti da infermità psichica sopravvenuta, i quali non hanno accesso alle REMS, nè ad altre misure alternative al carcere, qualora abbiano un residuo di pena superiore a quattro anni, nè possono accedere all’istituto del rinvio obbligatorio della esecuzione della pena di cui all’art. 146 c.p., comma 1, n. 3 , perché la grave patologia psichica non integra il presupposto ivi previsto della malattia grave, in fase così avanzata da essere refrattaria alle terapie, e nemmeno hanno titolo di beneficiare del rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena di cui all’art. 147 c.p., comma 1, n. 2 , perché questa previsione riguarda solo i casi di grave infermità fisica, espressione chiara, senza margini per una diversa interpretazione, tale da renderla applicabile anche al detenuto che soffra di una patologia psichica. Corollario coerente di questo quadro normativo era che i malati psichici non potevano giovarsi neppure della detenzione domiciliare umanitaria o in deroga, di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen., che nel definire il suo ambito di applicazione rinvia agli artt. 146 e 147 cit Sicché, essendo innegabile che la malattia psichica è fonte di sofferenze non meno della malattia fisica, pur non obliterando che la tutela della salute mentale dei detenuti richiede interventi complessi e integrati, radicati in primo luogo nel potenziamento delle strutture sanitarie in carcere, la Corte costituzionale ha fatto emergere l’esigenza che l’ordinamento preveda anche percorsi terapeutici esterni, almeno per i casi di accertata incompatibilità con l’ambiente carcerario, con misure alternative alla detenzione carceraria che il giudice possa disporre caso per caso, momento per momento, modulando il percorso penitenziario tenendo conto e della tutela della salute dei malati psichici e della pericolosità del condannato, di modo che non siano sacrificate le esigenze della sicurezza collettiva . Per tali ragioni, la Corte costituzionale ha ritenuto contrastante con i principi costituzionali di cui agli artt. 2 e 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3, art. 32 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, l’assenza di ogni alternativa al carcere, che impedisce al giudice di disporre che la pena sia eseguita fuori dagli istituti di detenzione, anche qualora, a seguito di tutti i necessari accertamenti medici, emerga una malattia mentale idonea a determinare una sofferenza talmente grave che, cumulata con l’ordinaria afflittività del carcere, dia luogo a un supplemento di pena contrario al senso di umanità e ha, conclusivamente, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen., nella parte in cui non consente che la detenzione domiciliare umanitaria sia disposta anche nelle ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta. Questo approdo impone di considerare superate le riflessioni svolte dal Tribunale di sorveglianza in punto di manifesta infondatezza della questione di costituzionalità prospettata dal ricorrente l’ordinamento deve ritenersi integrato dal più ampio spettro applicativo dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen. determinato dalla citata pronuncia di incostituzionalità. 4. Naturalmente, residua la verifica dell’adeguatezza della motivazione fornita dal Tribunale laddove, corrispondentemente alla ritenuta non rilevanza della succitata questione di legittimità costituzionale, non ha considerato sussistente in persona di M. un’infermità psichica di grado grave. Ebbene, tale verifica non consente di ritenere adeguata e coerente la motivazione addotta dai giudici di sorveglianza sul punto, dal momento che gli elementi valorizzati da parte del Tribunale in ordine al contenuto delle relazioni sanitarie appaiono trattati a livello molto generale, livello che, vieppiù se coniugato con l’incompleta disamina degli altri dati clinici e delle ulteriori valutazioni specialistiche presenti agli atti, si profila generico e, per sé, insufficiente. Va, al riguardo, particolarmente evidenziato che le relazioni di consulenza e di perizia pure citate non appaiono analizzate in modo adeguato, con riferimento al di là della relazione di consulenza di parte rassegnata dalla difesa del detenuto alla relazione redatta dal Dott. C. , all’esito di considerazioni medico-legali svolte nel 2016, nel procedimento di cognizione, e soprattutto con riferimento alla relazione redatta dal Dott. S. , resa nel 2017, nel precedente procedimento di sorveglianza. Specialmente quest’ultima, dopo aver concluso che M.F. è affetto da disturbo bipolare con episodi di agitazione psicomotoria in trattamento psicofarmacologico continuo, in soggetto con disturbo di personalità antisociale e discontrollo degli impulsi, ha espressamente affermato - come ha notato il ricorrente - che il succitato quadro psicopatologico costituisce allo stato patologia grave, in rapporto alla quale sussiste l’incompatibilità della patologia stessa con il regime carcerario, e, sulla scorta delle norme in allora vigenti, ha individuato la soluzione nel provvisorio ricovero del detenuto presso una comunità psichiatrica ad alta protezione. Il Tribunale di sorveglianza ha dequotato, oltre all’altro, anche questo esito specialistico osservando che dall’analisi peritale era emersa l’assenza di una grave infermità fisica fatto rilevante nell’assetto dell’istituto della detenzione domiciliare umanitaria prima della sentenza n. 99 del 2019 della Corte costituzionale non più, dopo tale sentenza. È dunque vero che, sulla scorta delle conclusioni rese dal suddetto ausiliare, il Tribunale di sorveglianza aveva già rigettato, con il provvedimento del 17 maggio 2017, citato nell’ordinanza impugnata, l’istanza di differimento pena e detenzione domiciliare formulata dal detenuto. È del pari certo, però, che il rigetto della proroga della detenzione domiciliare che era stato assunto con quel provvedimento aveva individuato la sua ratio decidendi principale, per come poi valutata dalla susseguente sentenza di legittimità che ha dichiarato inammissibile la corrispondente impugnazione Sez. 1, n. 45043 del 08/02/2018 , nel fatto che - appunto - il quadro morboso emerso era di natura psichica, e non fisica, sempre in rapporto al regime giuridico al tempo vigente. In definitiva, la complessiva valutazione compiuta dal Tribunale di sorveglianza in ordine alla gravità dell’infermità psichica di cui è portatore M. non risulta fondata su motivazione adeguata, risentendo - le considerazioni svolte nel provvedimento impugnato - del riferimento al regime giuridico all’epoca vigente, regime ora inciso in modo notevole dalla richiamata decisione della Corte costituzionale. Sotto l’aspetto così enucleato, il profilo di insufficienza e contraddittorietà del discorso giustificativo denunciato dal ricorrente appare, quindi, sussistente. 5. Assodato ciò, deve, alla luce della novità ordinamentale emersa, inquadrata nell’alveo della sedimentata elaborazione ermeneutica, ritenersi che lo stato di salute - ora anche psichica - incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare l’applicazione della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen., non è limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita, dovendosi avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento psicofisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria, dovendo contemplarsi, nella valutazione conclusiva, l’esigenza di non ledere il fondamentale diritto alla salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, ex artt. 32 e 27 Cost. Sez. 1, n. 3262 del 01/12/2015, dep. 2016, Petronella, Rv. 265722 Sez. 1, n. 16681 del 24/01/2011, Buonanno, Rv. 249966 Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009, Aquino, Rv. 244132 . La valutazione relativa alla compatibilità tra regime detentivo carcerario e condizioni di salute del recluso, ovvero la verifica della possibilità del mantenimento o meno dello stato di detenzione carceraria di persona gravemente debilitata e/o ammalata, rifluisce nella valutazione sul se il trattamento detentivo possa scadere in ambito inumano o degradante, costituzionalmente e convenzionalmente inibito. Essa, dunque, deve essere effettuata tenendo comparativamente conto delle condizioni complessive di salute e di detenzione e implica un giudizio - non soltanto di astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici in potenza a disposizione del detenuto, a seconda del regime impostogli, ma anche - di effettivo accesso alle cure praticabili e di concreta adeguatezza delle stesse. Poi - il punto non va obliterato - occorrerà comunque procedere, una volta accertata in modo congruo l’entità della malattia in questo caso psichica, alla verifica della sussistenza, o meno, della pericolosità del condannato e, secondo l’esito, all’eventuale valutazione comparativa fra quegli elementi, giacché il giudice, quando è chiamato a decidere sul differimento dell’esecuzione della pena o, in subordine, sull’applicazione della detenzione domiciliare per motivi di salute, deve effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali correlate alla pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest’ultimo, con riguardo sia all’astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici disponibili, sia alla concreta adeguatezza della possibilità di cura ed assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto valutando anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico Sez. 1, n. 37062 del 09/04/2018, Acampa, Rv. 273699 . 6. Ferma restando la cornice dell’istituto, come disegnata anche da queste ultime puntualizzazioni, resta il dato di fatto che la motivazione del provvedimento impugnato si è connotata per l’insufficiente e contraddittoria struttura argomentativa già segnalata in punto di accertamento e valutazione della grave infermità psichica, da ponderarsi alla stregua del nuovo e più ampio spettro normativo determinato dall’indicata pronuncia della Corte costituzionale. Il ricorso, per tale ragione, deve essere accolto con il conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata ed il rinvio al Tribunale di sorveglianza di Taranto per il nuovo esame da svolgersi nell’osservanza degli indicati principi. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Taranto.