Lanciare un sanitario giù dal balcone vale una condanna per tentato omicidio

Non viene risparmiato dalla condanna per tentato omicidio l’imputato che, durante una lite, scaglia un sanitario dal balcone della propria abitazione contro l’avversario”. A nulla vale appigliarsi alla mancanza di volontà di ledere o uccidere e neppure tale condotta è giustificata dal fatto di essere stato provocato.

Così si è espressa la Suprema Corte con la sentenza n. 39347/19, depositata il 25 settembre. Bidet scagliato dal balcone. Un imputato veniva condannato per tentato omicidio sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello per aver scagliato, durante una lite, un bidet giù dal balcone del proprio appartamento e colpito un uomo ferendolo gravemente. Avverso la sentenza di condanna l’imputato propone ricorso in Cassazione lamentando che i giudici di merito non abbiano valutato concretamente la circostanza che il sanitario fosse stato lanciato lontano dalla folla, considerando solo in astratto la compatibilità del mezzo utilizzato a produrre l’evento morte in capo alla vittima. Inoltre, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia apoditticamente ritenuto non configurabile la legittima difesa, omettendo la verifica degli elementi su cui la difesa aveva domandato il riconoscimento della causa di giustificazione e abbia solo valutato la mancanza dell’attualità del pericolo. Inoltre, non è stato tenuto conto del fatto che l’imputato abbia manifestato l’assenza di volontà di colpire effettivamente le persone presenti e che il suo comportamento sia scaturito a seguito di provocazione. Reazione sproporzionata. La Suprema Corte, ritenendo infondato il ricorso, osserva che l’imputato ha lanciato il sanitario contro l’avversario nella lite” dall’interno del suo appartamento, circostanza dalla quale si desume l’insussistenza dell’elemento della costrizione dalla necessità di difesa. Inoltre, proseguono i Giudici, è infondata anche la censura che fa leva sulla provocazione, posto che vi è netta sproporzione tra le ragioni che hanno causato la lite e la condotta realizzante l’evento delittuoso. Infatti la circostanza aggravante in oggetto sussiste tutte le volte in cui la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di lieve entità, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune sentire, assolutamente proporzionato e insufficiente a motivare l’azione criminosa . Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 marzo – 25 settembre 2019, n. 39347 Presidente Iasillo – Relatore Fiordalisi Ritenuto in fatto 1. C.D. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 5 dicembre 2017, che ha confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Napoli del 27 settembre 2016, con la quale era stato condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, in ordine al delitto di tentato omicidio, ai sensi dell’art. 56 c.p., art. 61 c.p., comma 1, n. 1, e art. 575 c.p In particolare, secondo i giudici di merito, sulla base delle dichiarazioni dei Carabinieri intervenuti in occasione di un litigio e di quelle di Co.An. , compagna della persona offesa I.C. , per futili motivi e senza aver subito alcuna aggressione alla sua persona, aveva lanciato con forza verso I.C. , un bidet dal balcone dell’appartamento posto al primo piano dell’edificio sito in omissis , colpendo il predetto al capo, così ponendo in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte della persona offesa, che si accasciava al suolo, svenuta e perdendo molto sangue. L’imputato non riusciva nell’intento omicida per cause indipendenti dalla sua volontà, atteso che i Carabinieri presenti avevano subito fatto soccorrere la vittima dai sanitari del 118 . Più precisamente, secondo i giudici di merito i Carabinieri erano intervenuti in via Compagnone in Pozzuoli dopo che era stata segnalata una lite, e avevano trovato C.A. , sorella dell’imputato. Questa, mentre riferiva dell’accaduto, veniva chiamata al telefono dal fratello che l’invitava a raggiungerlo, perché lo stavano minacciando. I Carabinieri e la donna si recavano allora presso la casa di C. e lì vedevano sotto il balcone dell’imputato, tale I.C. con altri soggetti. Quindi gli stessi Carabinieri notavano una persona dal balcone gettare un bidet contro I.C. che veniva colpito al capo. Entravano subito nello stabile e vedevamo una donna colpire la porta dell’appartamento dell’imputato i Carabinieri riconoscevano l’autore del lancio dell’oggetto, come il soggetto che stava all’interno di detto appartamento. 2.1. Col primo motivo, il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 56 e 575 c.p. e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello, pur avendo fornito una motivazione per relationem della sentenza di primo grado, sarebbe giunta ad affermazioni in parte difformi o contrastanti con la stessa. I giudici di merito, inoltre, pur dando atto di evidenti discrasie emergenti tra le varie dichiarazioni rese dalle persone coinvolte nella vicenda, avevano ritenuto le stesse non influenti ai fini della ricostruzione del fatto in oggetto, operando una lettura esclusivamente contra reum. Il ricorrente, in particolare, dopo aver ripercorso i momenti più rilevanti del fatto storico accertato dai giudici di merito, evidenzia come la sentenza impugnata non abbia fornito alcuna motivazione in ordine alle ragioni per le quali non possa configurarsi la diversa fattispecie del delitto di lesioni personali. Del tutto illogico sarebbe l’iter argomentativo che aveva indotto i giudici di merito a ritenere sussistente i requisiti dell’idoneità dell’azione e della non equivocità degli atti, fondando tale conclusione su dati che non trovavano alcun riscontro negli atti processuali. I giudici, infatti, avevano fatto discendere da un unico e medesimo elemento quello della idoneità dell’azione la prova di tutti gli elementi necessari ed essenziali per l’accertamento dell’ipotesi di delitto tentato. La difesa, invero, nel proprio atto di appello aveva evidenziato la necessità che il giudizio di non equivocità doveva essere riferito non già all’ultimo degli atti posti in essere da C. , bensì a tutti gli atti facenti parte dell’azione, naturalisticamente intesa, legati da contestualità e connessione teleologica. Nel nostro ordinamento, infatti, trova applicazione il principio della c.d. prognosi postuma, per il quale l’accertamento di un delitto tentato deve passare attraverso un giudizio ex ante, che tenga conto in concreto delle circostanze conosciute e conoscibili dall’agente al momento dell’azione. La motivazione della sentenza impugnata, pertanto, risulterebbe illogica nel momento in cui, con un’evidente forzatura rispetto a quanto emerso dagli atti processuali, viene sottolineata la forza con la quale l’oggetto sarebbe stato lanciato dal balcone, anche se tale circostanza non era stata in alcun modo verificata nel corso del procedimento. I giudici di merito per di più si erano limitati ad una valutazione in astratto della compatibilità del mezzo utilizzato con la produzione dell’evento morte, nonostante C. avesse lanciato il bidet in un punto lontano da quello in cui erano raggruppate le persone presenti. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 52 c.p. e art. 59 c.p., comma 4, e vizio di motivazione sul punto, perché la Corte di appello avrebbe apoditticamente ritenuto non configurabile la legittima difesa, anche nella sua forma putativa, omettendo la verifica in ordine agli elementi sui quali la difesa aveva incentrato la richiesta di riconoscimento della causa di giustificazione. Il giudice di secondo grado, attraverso una ricostruzione parcellizzata della vicenda in esame, si era limitato ad affermare la mancanza dell’attualità del pericolo, fondando tale conclusione sulla circostanza che C. si trovava all’interno della propria abitazione al momento dei fatti accertati. A tal fine, i giudici di merito avevano anche smentito il fatto che la madre del ragazzo Ca.An. , con un coltello in mano li aveva aggrediti. La circostanza era stata affermata da M.V. , moglie di C.D. . In particolare, la sera del OMISSIS la stessa era stata contattata dal figlio M. di 10 anni, il quale le aveva riferito di essere stato picchiato poco prima da un ragazzo di 16 anni. Lei ed il marito si erano recati quindi sul posto dove avevano affrontato il giovane aggressore, per lamentare quanto era accaduto, e ricevevano da questi la risposta adesso ti mando mio padre la M. riferiva quindi che, poco dopo, il marito aveva ricevuto una telefonata dalla sorella che l’avvertiva che alcune persone 5 o 6 stavano andando presso la sua abitazione. Poi veniva chiamata da Co.An. madre del ragazzo di 16 anni la quale, portatasi presso la sua abitazione, le chiedeva dove fosse il marito durante l’incontro tra le donne, Co. dava uno schiaffo alla M. che si rifugiava a casa. Quindi Co. , in compagnia del figlio, suonava al campanello dell’abitazione e aggrediva la M. con un coltello. Queste circostanze, secondo i giudici di merito, trovavano conferma nelle dichiarazioni di C.A. sorella dell’imputato. Su tale punto, il ricorrente lamenta l’oggettiva carenza dell’attività investigativa, quale l’omessa perquisizione delle parti coinvolte subito dopo i fatti, che avrebbe potuto evidenziare con chiarezza l’attualità del pericolo, quantomeno percepito, che aveva spinto C. ad agire. Per C. , ritenere M. non credibile sul punto significherebbe escludere quella situazione di fatto che aveva inciso, in maniera determinante, sulla situazione di pericolo che in quel momento era stata percepita da chi si trovava all’interno dell’abitazione. L’imputato, infatti, aveva ammesso di aver lanciato il bidet in quella situazione, ma in assenza della volontà di colpire effettivamente le persone presenti. 2.3. Con ulteriore motivo di ricorso, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 61 c.p., comma 1, n. 1, art. 62 c.p., comma 1, n. 2, artt. 62 bis e 99 c.p. e vizio di motivazione della sentenza impugnata sul punto, perché la Corte di appello avrebbe illogicamente ritenuto sussistente l’aggravante dei futili motivi, agganciandola alla presunta necessità di C. di vendicarsi contro i familiari del ragazzo che aveva aggredito suo figlio. Tale ricostruzione appare non condivisibile già per il fatto che, qualora C. avesse voluto regolare i conti, certamente non avrebbe aspettato che le persone verso le quali voleva agire con tale intento si recassero proprio sotto la sua abitazione. 2.4. La Corte territoriale, inoltre, avrebbe erroneamente mancato di escludere la recidiva, ricollegando tale decisione ad una lettura asettica del casellario giudiziale di C. e di una precedente condanna penale che era molto risalente nel tempo. Il ricorrente, infine, denuncia la mancata concessione della circostanza attenuante della provocazione, perché la Corte di appello, omettendo del tutto di fornire un’adeguata motivazione sul punto, avrebbe affermato che l’applicazione dell’aggravante dei futili motivi sarebbe stata incompatibile con il riconoscimento della richiesta attenuante. Anche la mancata riduzione della pena nella massima misura per la concessione delle circostanze attenuanti generiche non era supportata da idonea motivazione, poiché il giudice si era limitato ad una mera formula di stile. Considerato in diritto 1. Ritiene la Corte che il ricorso appare infondato sotto ogni profilo. 1.1. Non sussiste il vizio denunciato col primo motivo di ricorso, atteso che la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla invocata riqualificazione nel delitto di lesioni personali è contenuta a pag. 7 della sentenza del G.i.p. del Tribunale di Napoli e alle pag. 5 e 6 della sentenza di appello che richiama la prima, sulle descritte modalità della condotta, sulla micidialità del mezzo e sulla zona del corpo attinta, sicché la ritenuta sussistenza del delitto di tentato omicidio esclude l’ipotesi minore di lesioni aggravate. 1.2. Anche sulla legittima difesa putativa i giudici di merito hanno svolto un ineccepibile valutazione fondata sul fatto che il bidet è stato lanciato dall’imputato dall’interno dell’appartamento in cui egli era chiuso contro le persone che si erano raccolte sotto l’abitazione ed alla presenza dei Carabinieri che erano sopraggiunti chiamati dalla sorella di C. , sicché la Corte territoriale in modo plausibile ha ritenuto insussistente l’elemento della costrizione dalla necessità di difesa, la proporzione tra azione e reazione di cui all’art. 52 c.p. e la legittima difesa putativa, stante la mancata prova di un’erronea rappresentazione di circostanze fattuali inerenti la scriminante. La motivazione è esaustiva mentre il ricorrente non spiega la rilevanza agli effetti della scriminante del contestato episodio dell’aggressione della Co. e del figlio armati di coltello che avevano bussato alla porta dell’abitazione in cui era chiuso l’imputato sicché eventuali divergenze di interpretazione dei fatti sono di per sé ininfluenti sulla valutazione dell’azione dell’imputato, che ha lanciato il bidet dal balcone di casa. 1.3. Infondata è, altresì, la censura sulla ritenuta circostanza aggravante dei futili motivi e sull’inesistenza della circostanza attenuante della provocazione, ai sensi dell’art. 577 c.p., comma 1, n. 4 e art. 61 c.p., comma 1, n. 1 atteso che la Corte territoriale ha svolto un attento e circostanziato esame del progressivo sviluppo della lite e delle specifiche motivazioni che hanno spinto l’imputato all’azione, che ben avrebbe potuto cagionare col suo gesto la morte della vittima colpita al capo dall’oggetto pesante. Infatti, la Corte di merito ha espressamente fatto riferimento alla sproporzione tra le ragioni che hanno determinato l’alterco tra l’imputato e la parte offesa e la condotta realizzante l’evento delittuoso. La circostanza aggravante in oggetto, infatti, sussiste tutte le volte in cui la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di lieve entità, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente sproporzionato e insufficiente a motivare l’azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014, Barnaba, Rv. 260360 . Conseguentemente, deve ritenersi infondato il motivo relativo alla mancata applicazione dell’attenuante della provocazione di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 2 che la giurisprudenza di legittimità ritiene intrinsecamente incompatibile con l’aggravante di cui sopra, non potendo coesistere stati d’animo così contrastanti Sez. 5, n. 41052 del 26/01/2010, Matei, Rv. 247223 . 1.4. Infine, appare incensurabile nel presente giudizio di legittimità la valutazione sulla ritenuta recidiva e sulla mancata riduzione della pena nel massimo consentito per le attenuanti generiche. Le attenuanti di cui all’art. 62-bis c.p. non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale concessione del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni oggettive e soggettive non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 c.p., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare considerazione ai fini della quantificazione della pena. In sostanza, la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, Vernucci, Rv. 260054 . Nel caso di specie, in ordine al trattamento sanzionatorio i giudici hanno svolto una congrua valutazione complessiva, prendendo in considerazione la personalità pericolosa per la pregressa condanna riportata per il delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri e il fatto oggetto dell’attuale procedimento accaduto sotto la diretta percezione dei Carabinieri presenti, sicché legittimamente la Corte territoriale ha disatteso la richiesta di massima riduzione della pena per le attenuanti generiche, motivata dalla difesa sulla base dell’ammissione da parte dell’imputato del fatto commesso. 2. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.