Il curatore può impugnare il sequestro preventivo, se intervenuto successivamente alla dichiarazione di fallimento

Con la decisione in oggetto, la Corte di Cassazione, in qualche modo anticipando gli effetti dell’imminente riforma connessa al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ha riconosciuto la legittimazione del curatore fallimentare a impugnare il decreto di sequestro di prevenzione, laddove il fallimento sia dichiarato prima dell’emissione di tale decreto.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 38573/19, depositata il giorno 18 settembre. La vicenda. La questione sorge in ragione del fatto che la giurisprudenza ha sempre ritenuto tassativo l’elenco dei soggetti legittimati ad impugnare il provvedimento de quo, soggetti identificati nel proprietario o in coloro che vantano diritti reali o di garanzia sui beni. Il curatore, non potendosi considerare a stretto rigore rappresentante né del fallito né dei creditori – così si è lungamente argomentato – non può neppure rappresentare i soci di minoranza. Da ciò l’esclusione di ogni sua legittimazione. Tale principio è stato recentemente ribadito dalla Suprema corte, nel caso in cui il fallimento sia dichiarato successivamente all’emissione del decreto. Si è infatti affermato che il curatore fallimentare non è titolare di alcun diritto sui beni del fallito, né in proprio né quale rappresentante dei creditori del fallito Cass. Pen. Sez. III n. 42469/2016 . Nella specie, tuttavia, la Cassazione ha innanzi tutto notato che il fallimento sarebbe intervenuto prima dell’emissione del decreto ed in secondo luogo come gli artt. 63 e 63 D. lgs. N. 159/2011 implichino la partecipazione del curatore o, meglio una sua interlocuzione, di tal ché deve essergli riconosciuta la qualifica di parte almeno in senso sostanziale. Ma se ciò è, allora potrà anche impugnare il decreto di sequestro in questione che è comunque un provvedimento per sua natura non definitivo, potendo essere in tutto o in parte revocato . Da qui la conclusione sopra accennata. Si tratta di una decisione, come indicato, che in qualche modo anticipa gli effetti della riforma dove la legittimazione in proposito è espressamente riconosciuta. Nel merito la decisione può anche essere condivisibile, posto che se è vero che il curatore non rappresenta tecnicamente soci, società o creditori, è pur vero che è il solo o comunque privilegiato canale attraverso il quale poter proteggere i beni sociali e gli interessi dei creditori. La formalità è indispensabile, ma il troppo formalismo, uccide i diritti, anche quelli più elementari.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 maggio – 18 settembre 2019, n. 38573 Presidente De Crescienzo – Relatore Mantovano Ritenuto in fatto 1. Con decreto in data 22/10/2018 la CORTE di APPELLO di PALERMO dichiarava inammissibile l’appello proposto dai Curatori del fallimento di omissis s.p.a. - in liquidazione dall’ omissis , fallita il 18/12/2012 - contro il decreto di sequestro di prevenzione disposto dal TRIBUNALE di TRAPANI in data 17/07/2018 a carico di S.G. e dei suoi familiari, che comprendeva anche quote del capitale della anzidetta s.p.a., pari al 63,75%, nonché il compendio aziendale della società medesima. Richiamata la valutazione del TRIBUNALE in ordine alla pericolosità sociale, generica e qualificata, di S. e la riferibilità a costui della omissis s.p.a., in quanto volta a sostenere le esigenze dell’associazione di tipo mafioso nella quale S. era inserito, la CORTE rilevava che, in coerenza con il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 20, il TRIBUNALE aveva sequestrato in vista della confisca di prevenzione l’intero compendio aziendale della s.p.a. poiché il proposto risultava avere la disponibilità, in via diretta o per interposta persona, di più del 50% del capitale sociale. A fronte dell’appello proposto dai Curatori fallimentari contro il decreto di primo grado, limitatamente al compendio aziendale della omissis s.p.a., senza ipotizzare alcuna censura sulla pericolosità sociale di S. , la CORTE di APPELLO riteneva la carenza di legittimazione dei curatori medesimi, sottolineando come il D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 63 e 64, abbiano confermato il principio, già espresso da questa S.C., della prevalenza del sequestro e della confisca di prevenzione sul fallimento. 2. Mentre gli appellanti avevano prospettato l’interesse all’impugnazione da parte della curatela per tutelare le esigenze pubblicistiche poste a base della procedura concorsuale, che soccomberebbe rispetto alla misura di prevenzione solo se il vincolo proprio di quest’ultima sia stato disposto sulla base degli elementi di fatto previsti dalla legge - l’interesse della massa dei creditori è invero quello di escludere che beni di legittima provenienza siano assoggettati alla procedura di prevenzione -, per la CORTE di APPELLO la scelta del legislatore del 2011 è quella comunque della prevalenza della prevenzione sul fallimento, indipendentemente dal momento in cui interviene la declaratoria di quest’ultimo, e cioè indifferentemente prima o dopo l’adozione del decreto di sequestro. Lo strumento a garanzia dei creditori, se la massa fallimentare coincide con i beni sottoposti al sequestro, è secondo la CORTE territoriale il subprocedimento di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 52 ss., in virtù del quale il Tribunale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, dichiara chiuso il fallimento, con possibilità per i creditori di essere soddisfatti davanti al Giudice della prevenzione, previa verifica della loro buona fede e del carattere non strumentale dei crediti all’attività illecita. Le norme menzionate garantiscono l’equilibrio fra i terzi in buona fede e l’esigenza che le finalità della prevenzione non siano distolte precostituendo posizioni creditorie di comodo, e appaiono per la CORTE di APPELLO in linea con la previsione costituzionale - che vede prevalere l’interesse pubblico sotteso al sistema della prevenzione - oltre che con il consolidato orientamento della Cassazione, i cui precedenti vengono richiamati, fino alla sentenza delle Sezioni Unite penali del 25/09/2014, che pure ha riguardato una ipotesi di sequestro preventivo per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis. 3. La CORTE di APPELLO conclude che, sulla scorta del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 27 e 10, allorché la facoltà di impugnare il sequestro è individuata in capo agli interessati , questi ultimi in materia di prevenzione sono il proposto e, D.Lgs. cit., ex art. 23, i proprietari o i comproprietari dei beni sequestrati, ovvero coloro che vantano diritti reali o personali di godimento o diritti reali di garanzia sui beni oggetto del sequestro il curatore del fallimento non rientra in nessuna di tali categorie, non rappresenta il fallito o i creditori, avendo compiti esclusivamente gestionali del patrimonio fallimentare, e non può agire in rappresentanza dei soci di minoranza della società fallita. Peraltro nel caso della omissis s.p.a. questi ultimi non hanno proposto appello contro il decreto del TRIBUNALE. 4. I Curatori del fallimento della omissis s.p.a. propongono ricorso per cassazione per i motivi che seguono - come primo motivo, deducono violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 10, 27, 63 e 64, e rilevano che la CORTE territoriale confonde l’interesse a impugnare con la legittimazione a impugnare. Se viene affermata la prevalenza della prevenzione sul fallimento, ciò per i ricorrenti non incide sulla legittimazione all’impugnazione, bensì sulla disciplina del concorso tra i vincoli delle due procedure che riguardino il medesimo bene. Sarebbe inappropriato il richiamo operato dalla CORTE alla sentenza SSUU , poiché sono differenti i presupposti rispetto al caso in esame a esso viene opposto altro orientamento di legittimità, in virtù del quale il solo soggetto legittimato ad agire per la restituzione dei beni è il curatore del fallimento, poiché a seguito della relativa declaratoria il fallito perde la disponibilità del beni rientranti nel suo patrimonio, la cui amministrazione e gestione sono trasferite al curatore costui è pertanto il solo interlocutore dell’autorità giudiziaria. L’equivoco del decreto oggetto del ricorso starebbe nel ritenere che il D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 63 e 64, attengano alla legittimazione a impugnare essi invece disciplinano, come si è detto, il concorso di vincoli di diversa fonte sul medesimo bene. La società fallita è terzo nel procedimento di prevenzione, e ciò imporrebbe un accertamento differente rispetto a quello che è stato compiuto nei confronti del proposto ad avviso dei ricorrenti, come non si può negare l’intervento nella procedura di prevenzione all’amministratore della società in bonis il cui patrimonio sia colpito dalla misura patrimoniale, per analogia la medesima legittimazione a intervenire compete per legge a chi amministra i beni della società fallita. La questione, peraltro, non attiene come parrebbe evincersi da un passaggio del decreto impugnato - alla proprietà dei beni, bensì alla individuazione del soggetto legittimato a esercitarne i diritti perché a ciò legalmente demandato - qualora questa S.C. condivida l’esegesi data al D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 63 e 64, dalla CORTE territoriale, gli appellanti col secondo motivo di ricorso ipotizzano il contrasto di quelle con gli artt. 3, 24, 41 e 42 Cost. e sollevano la relativa eccezione di legittimità delle disposizioni prima menzionate. Il tema che essi pongono, qualora non sia data loro la possibilità di interloquire, è se l’interesse pubblico su cui si fonda la procedura di fallimento sia sacrificabile anche a fronte di un provvedimento di prevenzione cautelare reale illegittimo, che farebbe venir meno l’interesse pubblico alla prevenzione - il terzo motivo di ricorso attiene al merito, e deduce la violazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 20, dal momento che la proposta di prevenzione aveva riguardato soltanto la quota di S. del capitale della omissis s.p.a. il TRIBUNALE ha dato una interpretazione estesa al menzionato art. 20, leggendo il riferimento che esso fa alle partecipazioni sociali totalitarie quale base per colpire tutti i beni aziendali come attinente pure alle partecipazioni che, come nella specie, superano il 50% del valore del capitale. Ciò però lascia senza tutela i soci di minoranza, che nella specie coincidono con Invitalia s.p.a., società a capitale pubblico. Per i ricorrenti sarebbe illegittimo colpire le quote di omissis s.p.a. per le quali non sia provata l’illecita provenienza, poiché o il terzo è in buona fede e la sua partecipazione alla società non ha carattere fittizio - quindi deve avere la possibilità di far valere le proprie ragioni -, ovvero non lo è, ma in tal caso il sequestro dovrebbe colpire direttamente la quota del terzo, senza passare dall’applicazione dell’art. 20, perché costituente una interposizione fittizia. I ricorrenti contestano infine che il sequestro di prevenzione abbia colpito pure il saldo attivo del conto corrente intestato alla procedura fallimentare, poiché esso non è il frutto di attività illecita, bensì della lecita attività svolta dalla curatela. 5. Il PROCURATORE GENERALE di questa S.C. ha fatto prevenire le proprie conclusioni scritte, chiedendo l’annullamento con rinvio del decreto della CORTE territoriale. Ha rilevato che, in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155, il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, il c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, al titolo VIII Liquidazione giudiziale e misure cautelari penali introduce l’art. 320 Legittimazione del curatore , in virtù del quale Contro il decreto di sequestro e le ordinanze in materia di sequestro il curatore può proporre richiesta di riesame e appello nei casi, nei termini e con le modalità previsti dal codice di procedura penale. Nei predetti termini e modalità il curatore è legittimato a proporre ricorso per cassazione. L’art. 317 Principio di prevalenza delle misure cautelari reali e tutela dei terzi sancisce che Le condizioni e i criteri di prevalenza rispetto alla gestione concorsuale delle misure cautelari reali sulle cose indicate dall’art. 142 sono regolate dalle disposizioni del Libro I, titolo IV del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, salvo quanto previsto dagli artt. 318, 319 e 320. Ciò estenderebbe la legittimazione del curatore anche alle misure di prevenzione reali. Tali disposizioni entrano però in vigore il 15/08/2020, e quindi a partire da tale data l’operatività della norma supererà il contrasto giurisprudenziale culminato con la sentenza delle Sezioni Unite c.d. . Nel frattempo la 3^ sezione penale della Cassazione con ordinanza in data 16/04/2019 ha rimesso alle stesse Sezioni Unite il quesito se il curatore fallimentare sia legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini della confisca, e a impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale, quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento. La posizione del P.G. è di adesione alla tesi dei Curatori fallimentari, secondo cui il D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 63 e 64, non attengono alla legittimazione a impugnare, bensì alla disciplina del concorso di vincoli di diversa fonte sul medesimo bene. Considerato in diritto Il decreto oggetto del ricorso va annullato e rinviato alla CORTE di APPELLO di PALERMO per un nuovo giudizio. 1. Va detto in premessa che le disposizioni di cui al D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, il c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, menzionate nelle conclusioni scritte del PROCURATORE GENERALE, entrano in vigore il 15/08/2020, come ricordato dallo stesso P.G., e quindi non sono evocabili nel presente giudizio. Il loro contenuto peraltro non appare necessario per affrontare questo procedimento, essendo sufficienti la ricognizione e il coordinamento della normativa vigente e dei relativi orientamenti giurisprudenziali. Si è prima ricordato come per la CORTE di APPELLO le esigenze della prevenzione prevalgano sempre sul fallimento, indipendentemente dal momento in cui interviene la declaratoria di quest’ultimo, e quindi prima o dopo l’adozione del decreto di sequestro, identificandosi lo strumento a garanzia dei creditori, se la massa fallimentare coincide con i beni sottoposti al sequestro, solo nel subprocedimento di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 52 ss. in base a esso il Tribunale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, dichiara chiuso il fallimento, con possibilità per i creditori di essere soddisfatti davanti al Giudice della prevenzione, previa verifica della loro buona fede e del carattere non strumentale dei crediti all’attività illecita. Ciò troverebbe conferma in Sezioni Unite, sentenza n. 11170 del 25/09/2014 dep. 17/03/2015 Rv. 263685-01 s.p.a. e altro, secondo cui in tema di responsabilità da reato degli enti, il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita , con la precisazione in motivazione che il curatore, in quanto soggetto terzo rispetto al procedimento cautelare, non è titolare di diritti sui beni in sequestro, nè può agire in rappresentanza dei creditori, non essendo anche questi ultimi, prima della assegnazione dei beni e della conclusione della procedura concorsuale, titolari di alcun diritto sugli stessi . 2. Deve però ricordarsi le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 52 ss., disciplinano le relazioni fra i beni attinenti ai diritti dei terzi e il provvedimento di prevenzione reale, anzitutto quando questo corrisponde alla confisca artt. 52 e 53 , non già alla misura cautelare del sequestro, e fanno riferimento al sequestro solo per dirimere le sorti transitorie dei crediti sorti anteriormente al sequestro. La disciplina da prendere in considerazione per regolare le connessioni tra sequestro di prevenzione e fallimento è in realtà quella di cui agli artt. 63 e 64 la prima disposizione riguarda il caso in cui il fallimento sia dichiarato dopo il sequestro di prevenzione, la seconda riguarda l’ipotesi opposta. 3. Deve altresì riscontarsi qualche differenza fra il caso e quello oggetto del presente giudizio a in la concorrenza era fra un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per responsabilità di enti ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001 e l’avvio di una procedura fallimentare, mentre qui il fallimento concorre con un sequestro finalizzato alla confisca quale misura di prevenzione. L’autonoma ricorribilità del sequestro nel procedimento di prevenzione reale è stata introdotta col D.Lgs. n. 161 del 2017, e ciò spiega perché non si è ancora formato un orientamento di legittimità sulle interferenze fra quest’ultimo e altre procedure, quale quella fallimentare b in , nell’ambito del procedimento penale teso ad accertare la responsabilità dell’ente, quest’ultimo era stato dichiarato fallito e ammesso alla procedura concorsuale è stata prima ammessa al concordato preventivo e poi dichiarata fallita . Al contrario nel presente procedimento omissis s.p.a. era già stata interessata dal fallimento, in data 18/12/2012, e quindi su di essa - sulla maggioranza delle quote del suo capitale e sull’intero compendio aziendale della società medesima - il TRIBUNALE di TRAPANI in data 17/07/2018 è intervenuto con il sequestro di prevenzione. 4. Non vi è ragione per attendere a pronuncia delle Sezioni Unite perché, come ha ricordato il PROCURATORE GENERALE, la questione posta dalla 3^ sezione penale riguarda se il curatore fallimentare sia legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e a impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale, quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento nel presente giudizio invece il sequestro è intervenuto dopo la dichiarazione di fallimento, e comunque non nell’ambito di un procedimento penale bensì di una misura di prevenzione. 5. Il nodo da sciogliere riguarda dunque la legittimazione a impugnare il sequestro di prevenzione da parte del curatore fallimentare figura - quest’ultima - che, a differenza di quanto osservato dalla CORTE di APPELLO, sfugge alla assimilazione, sulla scorta del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 27 e 10, con coloro che in tali norme sono indicati come gli interessati , e cioè il proposto ovvero, D.Lgs. cit., ex art. 23, i proprietari o i comproprietari dei beni sequestrati, ovvero coloro che vantano diritti reali o personali di godimento o diritti reali di garanzia sui beni oggetto del sequestro. La CORTE territoriale, come s’è visto, ne trae spunto per concludere che il curatore del fallimento non rientra in nessuna di tali categorie, non rappresenta il fallito o i creditori e, avendo compiti di gestione del patrimonio fallimentare, non può agire in rappresentanza dei soci della società fallita, nè di maggioranza nè di minoranza. È quanto enunciato, fra le altre da Sez. 3, Sentenza n. 42469 del 12/07/2016 dep. 7/10/2016 Rv. 268015-01 Imputato Amista, secondo cui Il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo, anche per equivalente, emesso anteriormente alla dichiarazione di fallimento di un’impresa in quanto non è titolare di alcun diritto sui beni del fallito, nè in proprio, nè quale rappresentante dei creditori del fallito i quali, prima della conclusione della procedura concorsuale, non hanno alcun diritto restitutorio sui beni. In motivazione la Corte ha precisato che la legittimazione per impugnare consegue alla effettiva disponibilità del bene e che, invece, la dichiarazione di fallimento successiva al sequestro non conferisce alla procedura la disponibilità dei beni del fallito in considerazione del fatto che, da un lato, questi ne conserva il diritto di proprietà e, dall’altro, che il pregresso vincolo penale assorbe ogni potere fattuale su tali beni, escludendo ogni disponibilità diversa sugli stessi . 6. Il curatore fallimentare è un soggetto che al momento del fallimento diventa titolare di posizione processuali proprie, poiché subentra in tutte le azioni attive e passive che si rinvengono nel patrimonio dell’impresa fallita. Come hanno sottolineato, occupandosi delle connessioni fra sequestro preventivo finalizzato alla confisca penale e fallimento, le stesse Sezioni Unite Focarelli n. 29951 del 24/05/2004 e Sezioni Unite cit., il ruolo del curatore fallimentare, quale emerge dalle fonti del suo potere, dalle finalità istituzionalmente collegate al suo agire e dai controlli che presidiano la sua attività gestoria esclude che lo si possa ritenere semplicemente come un soggetto privato che agisca in rappresentanza o sostituzione del fallito e/o dei creditori, ma piuttosto come organo che svolge una funzione pubblica nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, incardinato nell’ufficio fallimentare a fianco del tribunale e del giudice delegato . In realtà, proprio la combinazione fra la nuova disciplina del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 63 e 64 e la novità costituita dalla autonoma appellabilità del sequestro finalizzato alla confisca di prevenzione, permette di distinguere la figura del curatore fallimentare nell’ambito del procedimento di prevenzione reale rispetto a quella che esso riveste in procedimenti similari, e di riconoscergli la legittimazione a impugnare la misura cautelare reale nell’ipotesi di fallimento in precedenza già dichiarato. Se invero la confisca di prevenzione interviene in modo definitivo sui beni colpiti da una procedura esecutiva e dal fallimento, trasferendo al giudice delegato la competenza a decidere sui crediti dei terzi, secondo quanto previsto dagli artt. 52 e ss., il caso in esame attiene al sequestro che, in quanto misura di cautela, e quindi provvisoria, può anche essere in tutto o in parte revocato o annullato, facendo con ciò recuperare al curatore, nel coordinamento con gli altri organi del fallimento, la potestà gestoria sui beni della massa fallimentare. 7. Autorizzano tale conclusioni le disposizioni contenute agli artt. 63 e 64, che riconoscono al curatore una interlocuzione prima sconosciuta dal sistema. L’art. 64, comma 1, è illuminante in tale direzione allorché stabilisce, nell’ipotesi - quale è quella in esame - di sequestro di prevenzione che colpisce i beni compresi nel fallimento, che il giudice delegato al fallimento, sentito il curatore e il comitato dei creditori, dispone con decreto non reclamabile la separazione di tali beni dalla massa attiva del fallimento e la loro consegna all’amministratore giudiziario . L’inserimento, avvenuto col D.Lgs. n. 161 del 2017, dell’espressione sentito il curatore ha il senso di sottolineare la funzione pubblica del curatore medesimo, che sviluppa una interlocuzione ritenuta necessaria con gli altri organi del fallimento ai fini della individuazione dei beni da conferire all’amministratore della procedura di prevenzione. E quando l’art. 64, comma 4, dispone che se sono pendenti, con riferimento ai crediti e ai diritti inerenti ai rapporti per cui interviene il sequestro, i giudizi di impugnazione , il tribunale fallimentare sospende il giudizio sino all’esito del procedimento di prevenzione , con ciò stesso dichiara che essi possono riprendere vigore a seconda delle sorti del sequestro medesimo. Tant’è che l’ultima parte del comma sancisce che le parti interessate, in caso di revoca del sequestro, dovranno riassumere il giudizio a conferma, insieme col carattere provvisorio del sequestro, che il curatore può riprendere a esercitare le proprie funzioni se la misura cautelare, in tutto o in parte, viene meno. Quel che invece non accade nell’ipotesi della confisca. 8. Perfino l’art. 63, che pure - come si è ricordato - disciplina la dichiarazione di fallimento successiva al sequestro, rafforza il ruolo attivo e l’interlocuzione del curatore. Al comma 6, dopo aver ribadito che se nella massa attiva del fallimento sono ricompresi esclusivamente i beni sottoposti a sequestro, il tribunale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, dichiara chiuso il fallimento , nella formulazione modificata dal D.Lgs. n. 161 del 2017 vede soppresso l’ultimo alinea della norma precedentemente in vigore si applicano in tal caso le disposizioni del presente decreto, artt. 52 e seguenti . Questo conferisce al curatore più accentuata responsabilità al provvedimento di chiusura del fallimento, sul quale, ancora una volta, egli va sentito . La ratio di tali modifiche ricollega con tutta evidenza la legittimazione dei curatori a interloquire in quanto terzi nella fase della prevenzione alla esigenza di delimitare e circoscrivere l’area dei beni colpita dal sequestro - un’area attingibile dal provvedimento definitivo della confisca -, al fine di tutelare, nei limiti del compatibile, per riprendere ancora una volta la qualifica sancita dalle Sezioni Unite Focarelli e , non già la rappresentanza o sostituzione del fallito e/o dei creditori , bensì l’esercizio di una funzione pubblica nell’ambito dell’amministrazione della giustizia . Che il Legislatore, come ha rilevato il PROCURATORE GENERALE, in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155, nella redazione del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 - il c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza - al titolo VIII, abbia introdotto l’art. 320 che legittima il curatore alla richiesta di riesame e appello contro il decreto di sequestro e le ordinanze in materia di sequestro, oltre che a proporre ricorso per cassazione, se pure con decorrenza a partire dall’ omissis , conferma la correttezza della soluzione adottata con la presente sentenza, rispondendo all’esigenza di renderla più chiara ed esplicita, non soggetta a incertezze esegetiche. Alla stregua di tali principio, il decreto in data 22/10/2018 della CORTE di APPELLO di PALERMO va annullato e inviato per un nuovo esame alla CORTE medesima, in differente composizione. P.Q.M. Annulla il decreto impugnato con rinvio alla Corte di Appello di Palermo per un nuovo giudizio.