Diverbio per questioni di parcheggio, lei ‘preannuncia’ danni alla macchina di lui: condannata

Confermata la responsabilità di una donna per le espressioni minatorie rivolte a un uomo. Decisiva la constatazione che quest’ultimo ha deciso di rimanere nei pressi della propria auto, in sosta sulla pubblica via, per evitare che essa potesse subire danneggiamenti.

Tensione altissima in strada per una questione di parcheggio. Lo scontro – fisico e verbale – vede coinvolti una donna e un uomo, con la prima a ‘promettere’ al secondo di arrecare danni alla sua vettura, costringendolo così a restare di guardia per sicurezza. Inevitabile, per i Giudici, la condanna della donna per il reato di minaccia Cassazione, sentenza n. 38088/19, sez. V Penale, depositata oggi . Scontro. Il fattaccio risale all’estate del 2014 e si verifica lungo una strada in provincia di Chieti. A fronteggiarsi, con le parole e con le mani, sono due automobilisti, una donna e un uomo. A causare lo scontro una incomprensione sul parcheggio delle rispettive vetture. Il diverbio è però caratterizzato dalle parole forti che la donna rivolge all’uomo. Nello specifico, lei gli prospetta la possibilità che possa ritrovare danneggiata la sua automobile quando andrà a riprenderla per andare via E ciò è sufficiente, secondo il Giudice di pace, per ritenere la donna colpevole del reato di minaccia. Identica posizione assume anche la Cassazione, che respinge il ricorso proposto dal legale della donna. In sostanza, per i Giudici del ‘Palazzaccio’ non vi sono dubbi sul carattere minatorio delle espressioni utilizzate dalla donna. A conferma di questa visione il fatto che il comportamento da lei tenuto ha minato la libertà psichica dell’uomo , tanto da indurlo a non allontanarsi dai pressi della sua vettura, parcheggiata sulla pubblica via, per evitare che essa potesse subire le conseguenze dannose prospettate dalla donna.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 maggio – 13 settembre 2019, n. 38088 Presidente Sabeone – Relatore Mazzitelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza, emessa in data 21 maggio 2018, il Giudice di Pace di Vasto ha condannato Ab. Ra., per il reato, di cui all'art. 612 c.p., commesso in danno di Pi. La. Ga., in occasione di un diverbio stradale fatto avvenuto, in Vasto, in data 25/07/2014 . 2. L'imputata, tramite difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, con cui ha dedotto i seguenti motivi. 2.1 Vizio di motivazione, ex art. 606, comma 1, lett. e , codice di rito, per illogicità e carenza della motivazione, travisamento della prova, nonché omissione di valutazione di tutte le prove testimoniali. Il giudice avrebbe reso una motivazione illogica, posto che l'esponente non aveva alcun motivo di chiedere alla parte lesa di spostare la macchina, avendo già parcheggiato il proprio mezzo. La stessa parte lesa non aveva mai sostenuto che il parcheggio di tale veicolo fosse irregolare. Le risultanze dibattimentali dimostrerebbero un sorpruso, commesso dal Pi., che voleva ottenere lo spostamento del veicolo della ricorrente, e non il contrario, come invece sostenuto dalla tesi accusatoria. Considerato in diritto 1. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali per tutte Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944 tra le più recenti Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369 . La novella codicistica, introdotta con la L. del 20 febbraio 2006, n. 46 ,che ha riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell'ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta, comunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova. Ed è stato ulteriormente precisato che la modifica dell'art. 606 lett. e cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu oculi , dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze. Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099 A ciò si aggiunga inoltre che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di ricorso per cassazione, non è possibile dedurre come motivo il travisamento del fatto , giacché è preclusa la possibilità per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. E' consentito, art. 606 lett. e cod.proc.pen. , dedurre il travisamento della prova , che ricorre nei casi in cui si sostiene che il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. In quest'ultimo caso, infatti, non si tratta di re interpreta re gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se questi elementi esistano. Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006 - dep. 06/02/2007, P.G. in proc. Bartalini e altri, Rv. 235656 2. Ciò posto, in linea generale, va osservato che i motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere un'inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento. Ed invero, dalla sentenza impugnata si evince che a seguito di un diverbio stradale, di per sé non rilevante, il Pi., la vittima del reato, fu destinatario di espressioni minatorie, ad opera dell'odierna ricorrente, in compagnia di altra coimputata, poi prosciolta dal reato di lesioni. Sia il comportamento minaccioso dell'esponente sia il comportamento aggressivo della sua accompagnatrice, secondo il giudice del merito, minarono la libertà psichica del Pi., che fu indotto a non allontanarsi dai pressi della sua vettura, parcheggiata sulla pubblica via, per evitare conseguenze dannose alla stessa, così come paventato dall'attuale ricorrente. Sia il Pi. che l'odierna ricorrente hanno riportato conseguenze fisiche durante la colluttazione e a seguito della stessa il primo ha subito in separata sede altro procedimento, il che rende ulteriormente irrilevanti le circostanze dedotte dalla parte ricorrente, residuando, invece, in via esclusiva, l'accertamento, sorretto da adeguata motivazione, della valenza intimidatoria delle espressioni utilizzate dalla Ab. Ra Le censure sono manifestamente infondate. 2. Sulla base delle considerazioni esposte, si deve dichiarare inammissibile il ricorso, con contestuale condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento di una somma, che si reputa equo determinare in Euro 3.000,00, in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.