Collusione tra privato e Guardia di Finanza: il reato si consuma con la semplice conclusione dell’accordo collusivo

Nell’affrontare un caso di collusione tra privati e membri della Guardia di Finanza, la Suprema Corte ha avuto modo di ribadire come sul piano giuridico nei reati di pericolo a consumazione anticipata, tra cui quello previsto dall’art. 3 l. n. 1383/1941, la soglia punitiva è anticipata ad un momento tale per cui non è configurabile né un’ipotesi di tentativo, né – per conseguenza – la desistenza volontaria.

Più precisamente, si è affermato che il militare della Guardia di Finanza, che collude con estranei per frodare la finanza”, secondo quanto previsto dalla l 9 dicembre 1941 n. 1383, art. 3, realizza un delitto istantaneo a consumazione anticipata, punito per la sola conclusione dell’accordo collusivo col privato, che ne realizza la consumazione, il che rende non configurabile il tentativo e la desistenza volontaria . Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 37820/19 depositata il giorno 12 settembre. Le questioni. Si è poi affrontata la classica questione concernente l’assorbimento nel reato collusivo del reato di rivelazione di segreto d’ufficio, questione a cui è stata data risposta negativa, sulla falsa riga di analoghe impostazioni da tempo espresse dalla Corte di legittimità, posto che non necessariamente, in occasione della stipulazione dell’accordo collusivo, si rivelano segreti d’ufficio. Ciò naturalmente può avvenire sia nelle more delle trattative, sia successivamente, sia contestualmente. Ma poiché vi è diversità strutturale tra le fattispecie, non si può parlare di assorbimento ma, se del caso, di concorso formale ove compiuti contestualmente o di reato continuato ove i tempi di consumazione non coincidano . Il principio. Da qui il principio secondo cui la fattispecie prevista dall’art. 3 della legge 9 dicembre 1941 n. 1383 di collusione tra il privato e l’ufficiale della Guardia di Finanza, poiché è configurabile in presenza di un’intesa, libero o imposta, finalizzata a frodare la finanza, realizza un’ipotesi di concorso formale con il delitto di rivelazione di segreto d’ufficio, non essendo le due condotte incompatibili ed essendo distinte per i beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici identificabili nella regolarità del gettito fiscale, nonché nella disciplina del corpo della Guardia di Finanza nel primo e nel prestigio e nel buon funzionamento della pubblica amministrazione relativamente al secondo . I principi espressi sono alquanto consolidati, specie con riguardo a fattispecie analoghe, e quindi sufficientemente granitici. Tuttavia, non assorbono ogni questione, come pure la Corte ha riconosciuto, poiché ove la soglia di punibilità è così anticipata, la foga punitiva” può spingere i giudici a rinvenire in ogni atto e/o accordo successivo la realizzazione di altrettanti reati, eventualmente unificabili mediante la continuazione. Ciò, però, non può essere, proprio per la particolare struttura del delitto in questione. In fondo, in un sistema di garanzie, anticipare la punibilità non significa ammettere ogni punibilità, ma – semmai – assorbire gli atti esecutivi dell’accordo criminoso, atti che quand’anche astrattamente sussumibili nella fattispecie, proprio per la sussistenza della consumazione già avvenuta, non possono essere ulteriormente puniti, benché certamente rilevanti ai fini della definizione della pena concretamente irrogabile. Dopo tutto, il diritto penale, per quanto possa essere esteso il suo oggetto ed estendersi, per essere ragionevole ed accettabile, deve avere dei limiti e se i limiti sono anticipati, vuol dire che non può spingersi, per definizione, oltre gli stessi.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 giugno – 12 settembre 2019, n. 37820 Presidente Sandrini – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 6 febbraio 2018 la Corte militare di appello riformava parzialmente la sentenza emessa in data 8 maggio 2017 dal Tribunale militare di Verona e, per l’effetto, rideterminava in anni uno, mesi dieci di reclusione militare la pena inflitta all’imputato R.A.A. in relazione al delitto di cui alla L. n. 1383 del 1941, art. 3, in relazione all’art. 215 c.p.m.p. e art. 47 c.p.m.p., n. 2, contestatogli perché, nella qualità di Luogotenente della Guardia di Finanza in servizio presso il Comando provinciale Guardia di Finanza di Alessandria, all’epoca dei fatti Comandante del Nucleo Mobile della Compagnia Guardia di Finanza di Alessandria, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, colludeva con estranei per frodare la finanza mediante la reiterata rivelazione ad N.O. , titolare dell’impresa agricola N.U. e O. s.s. di notizie utili ad eludere i controlli della Guardia di Finanza, anticipando in prossimità del 17 ottobre 2013 l’ispezione che sarebbe stata condotta nei confronti dell’impresa volta a verificare la regolare assunzione del personale dipendente ed in altra occasione il 13 novembre 2013 fornendo informazioni utili sugli accertamenti in corso ed interferendo con il personale impegnato nell’esecuzione della verifica, con l’aggravante di essere militare rivestito di un grado, in omissis . 1.1 Le due conformi sentenze di merito si erano probatoriamente avvalse delle notizie fornite dal Comandante del Nucleo di Polizia Tributaria di Alessandria, colonnello P. , circa le informazioni, riferite da L.B.P. e da A.G. , su un’imminente verifica della G.d.f. e dell’Ispettorato del lavoro, di cui l’imprenditore N.O. era stato in possesso prima dell’inizio dell’attività ispettiva, tanto da avere deliberatamente lasciato aperti i cancelli di accesso all’azienda agricola, nonché dei dati ricavati dall’attività intercettativa relativa alle comunicazioni telefoniche intercorse tra la moglie del N. e l’imputato e tra costoro, finalizzate a conoscere il reparto di provenienza degli ispettori impegnati nella verifica condotta il omissis nei riguardi dell’impresa del N. stesso e le ragioni del controllo, dalle quali era altresì emerso l’interessamento del R. col comandante del Gruppo di Tortona per segnalargli la sovrapposizione di due diversi controlli in atto e la promessa di raggiungere personalmente la pattuglia di Tortona. Da altre conversazioni captate era emersa la conferma sulla anticipata conoscenza in capo al N. dell’imminente svolgimento nell’ottobre 2013 di un controllo finalizzato al riscontro sulla regolare assunzione della manodopera, cosa che gli aveva consentito di occultare documentazione extracontabile compromettente e della mancata acquisizione dallo stesso amico , che lo aveva informato in precedenza, della notizia circa la verifica successivamente condotta il omissis dallo stesso reparto. Ulteriore conferma della fondatezza dell’accusa era offerta dal teste G. circa il fatto che il N. gli aveva confidato di poter contare su un informatore della Guardia di Finanza, nonché dalla teste C. , già dipendente del N. , circa gli omaggi in prodotti in natura e gasolio che questi aveva elargito ad appartenenti all’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Se ne era dedotto che l’imputato, forte della sua posizione istituzionale, aveva consentito all’imprenditore l’elusione degli obblighi tributari ed aveva agito in forza di dolo specifico si riteneva la fattispecie contestata perfezionata con il semplice consenso tra le parti coinvolte a prescindere dal compimento di successivi atti di frode in grado di ledere in concreto l’interesse dello Stato alla riscossione delle entrate tributarie, cosa comunque verificatasi in occasione del controllo del 17 ottobre 2013, nel corso del quale erano sfuggiti all’acquisizione dei verificatori i quaderni contenenti l’annotazione delle ore di lavoro svolte da lavoratori extracomunitari, assunti irregolarmente dal N. , documentazione pCitasi reperire soltanto nel febbraio 2014 all’esito di perquisizione domiciliare presso le abitazioni del N. e del di lui suocero. Inoltre, la comunicazione preventiva del controllo da parte del sottufficiale ha consentito di vanificare del tutto la sua funzione di atto a sorpresa, mentre nell’altro episodio l’intervento dell’imputato presso il Comandante del Gruppo di Tortona aveva determinato il convincimento di una possibile inutile sovrapposizione di due verifiche. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per il tramite del proprio difensore, avv.to Gastini Luca, l’imputato il quale ha dedotto erronea applicazione della fattispecie di cui alla L. n. 1383 del 1941, art. 3 in relazione agli artt. 326 e 56 c.p. e vizio di motivazione. Secondo la difesa, sia l’atto di appello, che la sentenza impugnata prospettano la fattispecie penale contestata quale reato a consumazione anticipata, ma la Corte di appello ha errato nel ravvisarla nel caso specifico in conseguenza del travisamento dei dati probatori e dell’erronea applicazione delle norme penali. Quanto al primo addebito, la Corte di appello ha ritenuto di superare il motivo di gravame, col quale si era negata la configurabilità del delitto di collusione e dedotta la possibile individuazione del diverso reato di rivelazione di segreto di ufficio di cui all’art. 326 c.p. in assenza di un previo accordo tra privato e finanziere in forza della natura dei pregressi rapporti personali tra i due soggetti, ricostruiti tramite le conversazioni intercettate ed in particolare il tenore confidenziale, quasi familiare, dei dialoghi. La motivazione è però apparente, poiché i rapporti di affetto, parentela, amicizia, interesse possono costituire la ragione per la commissione di un favoritismo da parte di un pubblico ufficiale, ma non provare, in difetto di altro elemento dimostrativo, la preventiva sussistenza di un antecedente accordo col privato al contrario, la relazione di amicizia è di per sé sufficiente a dare conto del comportamento del pubblico ufficiale anche in assenza di un previo accordo col privato. La ritenuta frequentazione assidua dell’impresa del N. o le vanterie di questi sulle sue conoscenze tra gli appartenenti alle forze dell’ordine sono state ricostruite in base alle deposizioni delle testi C. e Ca. , non riportate nel testo della motivazione, ma frutto di travisamento, poiché le due testi non avevano riferito della frequente presenza del R. presso la cascina del N. ed avevano parlato di rifornimenti di gasolio e di prodotti agricoli, effettuati dal loro datore di lavoro in favore di singoli Carabinieri, circostanze apprese dalla Ca. indirettamente dal solo N. senza fosse emersa prova di una specifica elargizione di qualsivoglia genere in favore del ricorrente. Pertanto, l’anticipata rivelazione della prossima verifica ad opera dei colleghi del omissis integra unicamente la fattispecie di cui all’art. 326 c.p., per la quale è già pendente un procedimento davanti all’Autorità giudiziaria di Alessandria per il medesimo fatto storico. In merito al secondo addebito, consistente nell’avere fornito al N. il omissis indicazioni circa gli accertamenti in corso e nell’avere interferito con il personale impegnato nell’esecuzione della verifica, la sentenza ha ritenuto che prova idonea di responsabilità fosse rinvenibile nelle conversazioni intercettate e nella deposizione del maggiore Ri. , ma ancora una volta la Corte di appello è incorsa nel travisamento dei dati probatori, poiché non risponde al vero che il R. avesse contattato il N. o i suoi familiari, essendo stato chiamato al telefono da B.L. , moglie del N. , per cercare di comprendere i motivi di quell’ulteriore controllo in atto ed egli le aveva soltanto suggerito di comunicare al personale operante che l’azienda era stata già interessata da una verifica ad opera della Guardia di Finanza di Tortona , fornendole un consiglio privo di contenuto fraudolento egli si era limitato a telefonare al maggiore Ri. , prospettandogli la possibilità di un duplice controllo di competenza del omissis , circostanza priva di contenuti illeciti, tanto che lo stesso aveva indicato al N. di lasciar stare perché sarebbe sopraggiunta una pattuglia di Tortona a riscontrare che non ci fossero sovrapposizioni nei controlli da parte di due diversi reparti della stessa forza dell’ordine, evenienza non corretta e non consentita. Pertanto, nel comportamento tenuto non è dato ravvisare un espediente o un accorgimento fraudolento, necessario per frodare la finanza. Inoltre, al più la condotta potrebbe integrare una manifestazione di desistenza dalla collusione per il mancato volontario compimento dell’azione esecutiva intrapresa. In ogni caso dalla deposizione del maggiore Ri. non emerge nessun inganno ordito in suo danno, nè la natura indebita dell’interessamento del ricorrente, limitatosi ad una verifica informale circa la duplicazione del controllo nei riguardi del N. senza nessuna indebita interferenza nell’attività in atto. Considerato in diritto Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei limiti di quanto in seguito specificato. 1.Il primo motivo censura senza fondamento la correttezza giuridica della decisione, nonché la compiutezza e la logicità argomentativa della motivazione articolata dalla Corte militare nella ricostruzione probatoria del delitto di collusione aggravata contestato al ricorrente in ordine al primo episodio descritto nell’imputazione in riferimento all’anticipata rivelazione da parte del ricorrente al N. della data del controllo che l’impresa agricola di questi avrebbe subito di lì a breve ad opera della Guardia di Finanza e dell’Ispettorato del lavoro. 1.1 La sentenza impugnata sul punto, richiamato il contenuto degli apporti testimoniali offerti dai militari che avevano condotto le indagini, il colonnello P. ed il m.llo F. , nonché da L.B.P. e A.G. , questi ultimi in ordine alla circostanza, appresa dallo stesso N. , dell’imminente ispezione che sarebbe stata condotta nei confronti della sua impresa, come verificatosi il omissis , ha ritenuto non soltanto dimostrata l’acquisita informazione, ma anche la rilevanza penale di tale comportamento, rivelato con altrettanta concludenza probatoria dall’attività captativa. I dialoghi intercettati in occasione di ulteriore controllo operato il omissis nei confronti dell’azienda agricola del N. , ad avviso dei giudici militari, restituiscono un quadro attendibile e genuino di relazioni confidenziali tra il N. , la moglie ed il R. , interessato immediatamente dalla B. perché assumesse notizie sulla nuova verifica in corso ed autore del consiglio rivoltole di riferire al personale della G.d.F. impegnato che l’impresa era già stata sottoposta ad un recente controllo, circostanza successivamente riferita anche al maggiore Ri. unitamente alla richiesta di inviare una pattuglia presso la sede del contribuente per informarne i militari operanti ed evitare sovrapposizione di controlli. Nel medesimo contesto il N. era stato intercettato mentre aveva rivelato ad un interlocutore telefonico di avere subito un’ispezione da parte di una squadra di ventotto finanzieri e sette ispettori del lavoro, del cui accesso era stato preventivamente informato da un ispettore amico di omissis , notizia che gli aveva consentito di occultare i quaderni contenenti l’annotazione delle ore di lavoro effettuate irregolarmente dal personale dipendente marocchino e di evitare sanzioni, tanto che il verbale dell’ispezione non aveva riscontrato irregolarità, mentre a sorpresa si era successivamente presentata altra pattuglia senza che l’amico lo avesse preventivamente informato, nonostante si trattasse del suo stesso personale sottordinato. Ulteriori riscontri circa l’impiego di maestranze extracom unitarie, impiegate in modo irregolare in violazione della normativa previdenziale e contributiva, sono stati rinvenuti nelle deposizioni di C.V. e Ca.Fr. , impiegate a loro volta assunte in nero presso l’azienda del N. , occupatesi dell’annotazione in appositi quaderni delle ore di lavoro prestate dai dipendenti, mentre la prima era stata anche testimone di una visita effettuata presso l’impresa dal R. , presentatole dal datore di lavoro quale finanziere con la rassicurazione che da questi non c’era nulla da temere quanto a possibili controlli e la seconda aveva riconosciuto in fotografia l’imputato quale frequentatore dell’azienda agricola, beneficiato dell’omaggio di prodotti agricoli e di gasolio per autotrazione. Da tale univoco compendio probatorio i giudici di merito hanno inferito che l’informatore del N. fosse da individuarsi nel R. e tale assunto non è oggetto di contestazioni mosse col ricorso, impegnatosi piuttosto a negare in punto di diritto la riconducibilità del comportamento accertato alla fattispecie di collusione. 1.2 Ritiene il Collegio che la decisione non meriti censura. Entrambe le sintoniche sentenze di merito hanno rinvenuto sufficienti dati probatori per accertare l’avvenuta conclusione di un duraturo patto collusivo tra l’imputato e l’imprenditore N. , in forza del quale il primo aveva trasmesso al secondo in via anticipata l’informazione circa un’imminente visita ispettiva da parte della Guardia di Finanza e dell’Ispettorato del lavoro presso la sede della sua impresa, notizia che aveva consentito al N. di eliminare le tracce documentali degli illeciti commessi e di non far reperire nemmeno il personale occupato irregolarmente, evitando in tal modo le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte antigiuridiche. L’espediente fraudolento è stato ravvisato nel fornito preavviso dell’ispezione, apprezzato come idoneo ad esporre a pericolo il bene giuridico protetto, che si identifica nella regolare e completa riscossione dei tributi, interesse nel caso specifico anche concretamente violato, poiché l’avere avvertito in anticipo il contribuente ha frustrato gli esiti del controllo e ha impedito l’accertamento dell’evasione contributiva e previdenziale, commessa in pregiudizio dell’interesse erariale. 1.3 Le obiezioni difensive non colgono nel segno. 1.3.1 In primo luogo, non trova rispondenza negli atti la censura sul compiuto travisamento delle risultanze probatorie. Il richiamo per sintesi, e non nella loro integralità testuale, delle deposizioni delle testi C. e Ca. non compromette la logicità del ragionamento probatorio esposto in sentenza, dal momento che alcuni passaggi dei relativi verbali sono leggibili nella sentenza di primo grado alle pagg. 30-33 della relativa motivazione, laddove è riportato che le testi, nel periodo di attività prestato anche prima delle due verifiche del 17 ottobre e del omissis , avevano notato l’andirivieni presso l’azienda del N. di esponenti delle forze dell’ordine, Carabinieri, ma anche Guardia di Finanza, ed il prelievo da parte di tali soggetti di verdure e gasolio per le loro vetture private e, pur non avendo le stesse potuto verificare il mancato pagamento del corrispettivo, avevano appreso la circostanza dal N. stesso e dalla moglie L. , il primo solito vantarsi delle sue conoscenze in tali ambienti, la seconda lamentarsi dei costi sostenuti per ingraziarsi le forze dell’ordine, dalle quali essi avevano potuto conseguire ogni genere di favore . Tra tali frequentatori le due impiegate avevano inserito anche il R. . È stato ritenuto in tal senso significativo che la C. in un’occasione fosse stata rassicurata dal datore di lavoro sull’innocuità della visita del R. , sebbene la stessa fosse a sua volta occupata in nero e si fosse preoccupata di un eventuale controllo, perché tanto non succedeva niente tale sicurezza da parte del N. è stata ricollegata ad una relazione improntata allo scambio di reciproci favori tra il sottufficiale e l’imprenditore, mostratosi sicuro che il pubblico ufficiale non avrebbe condotto nessun pur doveroso accertamento, come in effetti accaduto, non già per la regolarità della propria conduzione dell’impresa, ma per effetto di un previo accordo illecito con il verificatore. Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, resta escluso che il R. fosse estraneo al sistema di visite effettuate da Carabinieri o Finanzieri all’azienda agricola del N. per il prelievo di prodotti naturali o gasolio e che la natura illecita del rapporto tra i due sia stata dedotta per effetto di un fraintendimento delle deposizioni citate, posto che le testi risultano avere rievocato circostanze apprese direttamente o per notizia loro fornita dai N. . Nelle sentenze è riportato poi un dialogo, captato il 20 novembre 2013 tra il N. ed il suo consulente fiscale, nel corso del quale il primo aveva riferito, vantandosene, di potersi rivolgere ad un informatore dal quale acquisire notizie su una vicenda di loro interesse e, all’esortazione alla cautela del professionista, l’imprenditore aveva replicato che avrebbe fatto come voleva perché colui al quale poteva rivolgersi l’aveva fatto mangiare e quindi era in grado di dirgli di passare per un colloquio personale, tanto che quando aveva subito il primo controllo costui lo aveva informato cinque giorni prima. Tale riferimento è stato logicamente collegato all’ispezione del precedente 17 ottobre, già oggetto delle vanterie da parte del N. con il proprio dipendente e con l’A. . Del resto convergenti indicazioni sono state tratte anche dal materiale captativo acquisito, dal quale, con corretto procedimento inferenziale, i giudici militari hanno ricavato conferma stimata attendibile, - perché proveniente dai diretti interessati, inconsapevolmente spontanei nell’esprimere timori e richieste-, del rapporto confidenziale e complice, già consolidato all’epoca dei fatti, esistente tra l’imputato ed il N. , tanto da essere stato il R. immediatamente informato dell’ispezione in atto il omissis e destinatario della richiesta di acquisire notizie per comprendere la finalità del controllo, cui non si era sottratto, mentre dopo le perquisizioni domiciliari del febbraio 2014 la B. , moglie del N. , aveva utilizzato l’espediente di chiamare la moglie del R. al fine di raggiungerlo indirettamente e concordare un incontro in campo neutro in modo tale da sottrarsi alle investigazioni in corso. Infine, l’intendimento di ostacolare l’attività investigativa della Guardia di Finanza e degli ispettori del lavoro per consentire l’impunità all’imprenditore e di proseguire nella gestione illegale del rapporto con la forza lavoro, impiegata in modo irregolare, sono stati fondatamente ritenuti integrare l’elemento psicologico del delitto contestato, caratterizzato dal dolo specifico dell’intento di frodare il fisco. 1.3.2 In punto di diritto la decisione rispetta il dettato normativo e l’interpretazione costante offertane dalla giurisprudenza di questa Corte, per la quale il reato del militare della Guardia di Finanza, che collude con estranei per frodare la finanza , previsto dalla L. 9 dicembre 1941, n. 1383, art. 3, configura un delitto istantaneo a consumazione anticipata e, in ragione della rilevanza attribuita al bene giuridico protetto costituito dalla regolare riscossione dei tributi, l’applicazione della sanzione penale è anticipata al momento dell’accordo collusivo, senza sia richiesto anche il reale conseguimento del risultato della frode . Il legislatore, in deroga al principio generale sancito dall’art. 115 c.p. di irrilevanza penale del mero accordo o dell’istigazione a delinquere, se non accolta e non seguita dalla effettiva commissione del reato concordato, fatta salva l’unica conseguenza della possibile applicazione di una misura di sicurezza, incrimina la sola intesa collusiva tra appartenente al corpo della Guardia di Finanza ed il privato anche quando essa sia diretta alla attuazione della frode fiscale mediante la commissione di illeciti finanziari non aventi rilevanza penale, ovvero mediante comportamenti diretti ad eludere o sviare l’attività di accertamento e controllo della polizia tributaria. È soltanto pretesa l’indicazione o l’adozione di un qualsiasi espediente, o altro mezzo fraudolento, in grado di ledere l’interesse dello Stato alla percezione dell’entrata tributaria, per cui tale interesse viene esposto a pericolo, sia da condotte finalizzate all’evasione di imposta, sia da quelle finalizzate ad impedirne l’accertamento Cass. sez. 1, n. 18545 del 16/03/2017, Rosini, non massimata sez. 1, n. 45864 del 15/10/2014, R. , rv. 260845 sez. 1, n. 12943 del 29/01/2014, Bausone, rv. 260135 sez. 1, n. 44514 del 28/09/2012, Nacca, rv. 253826 sez. 1, n. 25819 del 06/06/2007, Vitale, rv. 236894 sez. 1, n. 15019 del 15/12/2005, Moscuzza, rv. 234010 . Resta confermata dunque la correttezza giuridica dell’inquadramento della fattispecie concreta nella L. 9 dicembre 1941, n. 1383, art. 3, non già nell’art. 326 c.p. la prima disposizione incriminatrice è autonoma e dotata di distinta obiettività giuridica rispetto alla seconda per la specifica qualifica soggettiva del soggetto agente, l’altrettanto particolare interesse protetto nell’ambito dell’operato della pubblica amministrazione e per la previsione di una modalità della condotta materiale che deve essere caratterizzata dalla frode, ossia dall’adozione di un accorgimento ingannevole, tutti requisiti di cui la sentenza in esame dà ampiamente conto nella loro consistenza e negli elementi dimostrativi. A ben vedere le due ipotesi criminose, anche nel caso specifico in cui il militare risulti contestualmente sottoposto a procedimento penale per il delitto comune per la condotta di comunicazione della notizia riservata inerente l’imminente ispezione, possono realizzare il concorso formale di reati, non risolvibile in termini di specialità o di continenza con assorbimento di uno nell’altro, dal momento che la collusione postula il mero consenso del militare e del privato per il compimento di un’azione illecita, che non è richiesto si traduca in un effetto in concreto verificatosi nella realtà fenomenica, mentre la rivelazione di un segreto d’ufficio richiede la divulgazione di notizia, che deve rimanere inaccessibile, a tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione. In altri termini, l’informazione data di nascosto al privato circa un atto dell’ufficio a lui destinato non esaurisce il contenuto di disvalore del fatto perché rappresenta soltanto lo strumento attraverso il quale l’intesa illecita già raggiunta riceve attuazione. Principi analoghi, ma che si ritengono valevoli anche per il caso presente, sono stati già espressi da questa Corte in situazioni concrete in cui il concorso è stato ravvisato tra il delitto di collusione ed altre fattispecie offensive degli interessi della pubblica amministrazione, quali la concussione, la corruzione, il contrabbando, sul presupposto che, punendo la collusione il semplice accordo fraudolento tra finanziere e privato con pregiudizio economico per la finanza pubblica, ogni altra attività criminosa commessa dal finanziere in attuazione del patto criminoso, libero o imposto che sia, non può considerarsi assorbita nell’obiettività del delitto di collusione, ma conserva la propria autonomia giuridica e integra una distinta violazione della legge penale sez. 1, n. 1762 del 02/03/1999, P.M. in proc. Zuin, rv. 213291 sez. 6, n. 1319 del 28/11/1997, dep. 1998, Gilardino ed altri, rv. 210443 sez. 6, n. 2488 del 09/10/1990, dep. 1991, Perrella ed altri, rv. 186474 sez. 1, n. 4820 del 05/02/1991, P.M. e Aceto ed altri, rv. 187205 sez. 3, n. 5350 del 16/01/1986, Brunello, rv. 173079 . Deve dunque formularsi il seguente principio di diritto La fattispecie prevista dalla L. 9 dicembre 1941, n. 1383, art. 3 di collusione tra il privato e l’ufficiale della Guardia di finanza, poiché è configurabile in presenza di una intesa, libera o imposta, finalizzata a frodare la finanza, realizza un’ipotesi di concorso formale con il delitto di rivelazione di segreto d’ufficio, non essendo le due condotte incompatibili ed essendo distinte per i beni protetti dalle rispettive norme incriminatrici, identificabili nella regolarità del gettito fiscale, nonché nella disciplina del corpo della Guardia di finanza nel primo e nel prestigio e nel buon funzionamento della pubblica amministrazione relativamente al secondo . 2. Quanto al secondo addebito, la sentenza ha ravvisato la collusione per frodare la finanza anche nell’interessamento del R. per la vicenda dell’ispezione disposta il omissis nei confronti dell’azienda agricola del N. da parte di un reparto della Guardia di Finanza di omissis , condotta tradottasi nella richiesta di informazioni sull’operazione in corso, rivolta al superiore in grado, maggiore Ri. , e nella sollecitazione a disporre accertamenti per evitare la sovrapposizione di controlli con quello già effettuato il 17 ottobre. Il comportamento contestato è stato accertato alla stregua delle conversazioni intercettate e della testimonianza del Ri. ed è stato ricondotto a quell’accordo illecito, già raggiunto tra il R. ed il N. , sufficiente ad integrare il reato di collusione in sentenza si legge che l’imputato non si era limitato ad ascoltare la comunicazione della B. e ad impartile istruzioni su cosa riferire alla pattuglia impegnata nel controllo, ma aveva anche contattato il Ri. per appurare quale attività fosse in atto e con quali finalità, cercando di interromperne il corso con la prospettazione del precedente controllo già operato a breve distanza e col sufferimento, impartito al N. in successiva conversazione, di verificare la presenza del collega V. , cui era possibile parlare, e, appresane l’assenza, di lasciar perdere ogni tentativo di interferenza. L’azione fraudolenta è stata ravvisata nell’interessamento col superiore al fine apparente di evitare una duplicazione di attività d’istituto, ma in realtà per carpire notizie, che potessero tornare utili al contribuente ad evitare possibili responsabilità e sanzioni. 2.1 A fronte della chiara esposizione dei dati probatori valorizzati e di una loro disamina immune da vizi logici o giuridici, non si riesce ad apprezzare la fondatezza dell’obiezione difensiva, che pretende di ricondurre la condotta ad una manifestazione di desistenza dalla collusione al contrario, l’interferenza da parte del finanziere con l’operato di altro raggruppamento dello stesso corpo militare risulta essersi realmente verificata con l’acquisizione di informazioni riservate e con il suggerimento di inviare una pattuglia ad informare i colleghi impegnati nella verifica del precedente controllo per interromperne l’attività. 2.2 Inoltre, sul piano giuridico, se il delitto in esame si perfeziona con il raggiungimento di un accordo tra il militare ed altro soggetto e se lo stesso viene strutturato quale reato di pericolo a consumazione anticipata, in cui viene incriminata già la mera possibilità della lesione del bene giuridico tutelato, non si vede come poter configurare, nè il tentativo, nè la desistenza volontaria, prevista soltanto in riferimento alle fattispecie arrestatesi a livello di tentativo. In altri termini, la condotta tipica consistente nel compiere atti o utilizzare mezzi diretti all’offesa del bene protetto, ossia quel minimo di attività, che realizzerebbe il tentativo, già di per sé dà luogo alla consumazione del reato. In queste situazioni la configurazione giuridica tipica dell’illecito determina una strutturale anticipazione della soglia di tutela dell’interesse protetto e di punibilità dell’aggressore, per la quale il reato è già perfezionato in base a meri atti preparatori. Diversamente opinando, verrebbe incriminato il pericolo di un pericolo, con un inaccettabile arretramento della tutela ad una fase esecutiva che non realizza ancora l’offesa. I superiori principi, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e dalla quasi unanime dottrina in riferimento ai reati comuni, per la loro valenza generale non possono non essere riferiti anche ai reati militari sez. 1, n. 7203 del 28/6/2017, dep. 2018, Stefani ed altri, rv.272598 sez. 1, n. 6532 del 20/11/1997, dep. 1998, Confl.comp.in proc.Savarise, rv 209372 sez. 1, n. 11394 del 11/02/1991, Abel, Rv. 188642 sez. 5, n. 8605 del 27/05/1982, Caldogno, rv. 155363 sez. 2, n. 8088 del 12/06/1973, Valentini, rv. 125474 . Va dunque formulato anche il seguente principio di diritto il militare della Guardia di Finanza, che collude con estranei per frodare la finanza , secondo quanto previsto dalla L. 9 dicembre 1941, n. 1383, art. 3, realizza un delitto istantaneo a consumazione anticipata, punito per la sola conclusione dell’accordo collusivo col privato, che ne realizza la consumazione, il che rende non configurabile il tentativo e la desistenza volontaria . 3.L’unico punto per il quale la sentenza impugnata merita censura riguarda il riconoscimento e l’applicazione della continuazione tra i due episodi descritti nell’imputazione. Come segnalato anche nella requisitoria del Procuratore Generale, dalla descrizione normativa della fattispecie di collusione discende, secondo quanto già esposto, che le condotte che abbiano dato attuazione concreta al patto collusivo non assumono autonoma rilevanza e non integrano altrettanti fatti di collusione, ma rientrano nell’unica fattispecie consumata. Tanto induce ad escludere la configurabilità della continuazione e ad eliminare l’aumento di pena, applicato a tale titolo e pari a mesi due di reclusione militare. Per le considerazioni svolte la sentenza in esame va annullata senza rinvio limitatamente all’esclusione della continuazione ed all’eliminazione dell’aumento di mesi due di reclusione, con la conseguente rideterminazione della pena in anni uno, mesi otto di reclusione militare. Nel resto il ricorso va respinto. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aumento per la continuazione di mesi due di reclusione, aumento che esclude. Rigetta nel resto il ricorso e ridetermina la pena in anni uno mesi otto di reclusione militare.