Spazzacorrotti nella fase esecutiva: prime applicazioni e questioni di incostituzionalità

La legge 9 gennaio 2019, n. 3 recante Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici , in vigore dal 31 gennaio 2019 salvo le disposizioni in tema di prescrizione, che saranno operative dal 1° gennaio 2020 è nota anche con l’infelice termine di Spazzacorrotti”.

Nel presente speciale l’avv. Carmelo Minnella tanta di fare ordine tra le varie e complesse ipotesi di applicazione della spazzacorrotti, cercando di affrontare i nodi problematici della disciplina, in attesa delle pronunce della Corte costituzionale, chiamata in causa sul doppio versante dell’assenza di una norma transitoria e della irragionevole inclusione dei reati contro la pubblica amministrazione nel binario differenziato 4-bis, anche alla luce delle problematiche legate alla possibilità di fornire una collaborazione, quale condicio sine qua non per ottenere i benefici penitenziari.

Ordini di carcerazione revocati. Per districarsi dalle varie ipotesi in cui verificare se trovi applicazione della l. n. 3/2019, alcune procure che, in un primo momento avevano sospeso l’ordine di carcerazione e nel frattempo il condannato aveva richiesto la concessione di misure alternative alla detenzione , una volta entrata in vigore la spazzacorrotti, revocavano il suddetto ordine, con conseguente ingresso in carcere per il condannato di un reato contro la pubblica amministrazione. Tempus regit actum. Il Tribunale di Napoli, con decisione del 28 febbraio 2019, invece rimetteva in libertà il condannato perché, pur ritenendo le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive aventi carattere non sostanziale, ma processuale, e soggiacciono al tempus regit actum , proprio in applicazione di quest’ultimo le successive modifiche non possono interferire con i provvedimenti di esecuzione con sospensione già emessi trattasi peraltro di provvedimenti interlocutori, spettando poi all’udienza dinanzi al tribunale di sorveglianza le valutazioni circa le modalità della pena quindi, se il condannato potrà usufruire delle misure alternative alla detenzione o se si aprono per lui le porte del carcere. Atto complesso La Procura proponeva ricorso in cassazione che è stato respinto dalla sentenza della prima sezione della Suprema Corte n. 25212/19 in quanto l’atto complesso – costituito dalla sospensione dell’ordine, dalla proposizione dell’istanza e dalla decisione del tribunale di sorveglianza – è stato già compito al momento dell’entrata in vigore della l. n. 3/2019, in alcuni tasselli essenziali, sicché la sopravvenienza normativa che aumenta il novero dei delitti di cui al catalogo contenuto nell’art. 4- bis , richiamato dall’art. 656, comma 9, c.p.p., ai fini del divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione, non può comportare la revoca della sospensione già disposta e il mutamento delle regole per la eventuale concessione delle misure alternative richieste. non retroattivo. Pertanto, ammettere che una nuova legge incide sull’atto finale della sequenza decisione del tribunale di sorveglianza comporterebbe una indiretta incidenza retroattiva anche sugli atti strumentali emessi in precedenza privandoli, a posteriori, di fondamento giustificativo costituito dalla prospettazione di una decisione favorevole, comportando una rivalutazione dell’atto già emesso che diventerebbe inutiliter datum . In definitiva, emerge un primo dato certo per gli ordini di carcerazione emessi prima del 31 gennaio 2019 non si applica la spazzacorrotti.

Ordine emettibile” prima della l. n. 3/2019. Nella pratica si è anche posto il caso in cui la sentenza che abbia condannato per un delitto contro la pubblica amministrazione sia divenuta definitiva prima dell’entrata in vigore della l. n. 3/2019 e l’ordine di esecuzione sia stata emesso dopo il 31 gennaio 2019. Quando ha inizio la fase esecutiva? Con la irrevocabilità della sentenza La risposta a tale quesito dipende e varia a seconda da quando si ritiene inizi la fase esecutiva. La Corte di Appello di Catania, con due pronunce del 23 marzo 2019, risponde nel momento in cui la sentenza diviene irrevocabile, ponendo in libertà due condannati i cui ordini di carcerazione di una sentenza passata in giudicato a metà gennaio 2019 era stato emesso il 2 febbraio 2019. Si fa riferimento al combinato disposto degli artt. 650 a norma del quale le sentenze hanno forza esecutiva quando sono divenuti irrevocabili e 656 c.p.p. che prescrive al pubblico ministero di emettere l’ordine di esecuzione quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva . Quindi, la spazzacorrotti non trova applicazione per le pronunce di condanne divenute definitive entro il 30 gennaio 2019 posto che la fase esecutiva deve ritenersi avviata e quindi vincolata al momento della definitività del giudicato. o con l’emissione dell’ordine di carcerazione? Di diverso avviso la Procura territoriale che, nel proporre ricorso in cassazione, sposta in avanti l’inizio della fase esecutiva ritenendo applicabile la legge spazzacorrotti quando cioè viene lavorato dalla cancelleria il fascicolo ed emesso l’ordine di esecuzione della pena detentiva. Nel ricorso si evidenzia che il principio affermato dalla Corte si porrebbe in aperto contrasto con i principi costantemente affermati dalla Suprema Corte e ribaditi nella sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite il 30.5.2006, n. 24561 , la quale ha ritenuto la natura processuale della norma di cui all’art. 656 comma 5 e qualificato il rinvio contenuto nel comma 9 lett. a all’art. 4- bis dell’ordinamento penitenziario, come di tipo formale e non recettizio, sicché ogni modifica legislativa che investa le categorie di delitti per i quali l’art. 4- bis ponga limiti o escluda la stessa possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione influisce direttamente sulla possibilità di sospendere per quei delitti l’ordine di esecuzione e ciò a prescindere dalla data di commissione del reato divenuto ostativo e dalla data di passaggio in giudicato della sentenza, dovendosi applicare la nuova normativa, in assenza di norme transitorie che diversamente dispongano, a tutti i rapporti esecutivi non esauriti . Si nega che il passaggio in giudicato sia lo spartiacque della fase esecutiva. In nessuno dei casi affrontati dalla Suprema Corte – si legge nel ricorso della Procura etnea – è stato mai affermato che il passaggio in giudicato del provvedimento da eseguire segna il momento in cui si apre il rapporto processuale di esecuzione e che la data del passaggio in giudicato cristallizza il contesto normativo che definisce le modalità di esecuzione della pena , essendo piuttosto quello della cd. situazione esecutiva esaurita” – e mai quello della data del passaggio in giudicato della sentenza, l’elemento che è stato prescelto come spartiacque per decidere l’applicabilità in questa materia di norme sopravvenute più restrittive . Cancelliere regit actum? In dottrina si è evidenziato come tale conclusione avallata dalla Procura Generale comporterebbe una vistosa disparità di trattamento legata di fronte a due condannati prima della spazzacorrotti ai diversi tempi di lavorazione del fascicolo da parte della Procura uno lavorato prima del 31 gennaio 2019 e magari uno in data successiva . Per tali ragioni, la Corte d’appello etnea afferma che l’affidamento al condannato a che l’esecuzione della pena avvenga con modalità previste dalla legge allora vigente, strettamente connesso alla libertà personale, fa sì che lo spatium deliberandi intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza e l’emissione dell’ordine di carcerazione, nel quale si insinua la novella legislativa che introduce nuove ipotesi ostative all’accesso dei benefici penitenziari, non può essere posto a detrimento del condannato. Un recente obiter dictum della Suprema Corte. In attesa di vedere cosa deciderà sul punto la Cassazione, una recente pronuncia di legittimità – la 31853/19 – richiamando la 25212/19 facendo riferimento ad una logica tesa a preservare gli effetti di una fattispecie processuale complessa, lì dove ne sia venuto in essere, nel vigore della precedente legge più favorevole, un segmento iniziale , indica chiaramente nella irrevocabilità della sentenza” il momento che segna l’apertura della fase esecutiva.

Dovrebbe scattare l’ordine di carcerazione L’ipotesi più frequente riguarda e riguarderà sempre più quella che vede la sentenza di condanna per delitti contro la pubblica amministrazione passata in giudicato dopo il 31 gennaio 2019, ossia con l’entrata in vigore della l. n. 3/2019. In questi casi, per le condanne a pene detentive non superiori a quattro anni, sembrano esserci pochi spazi per sospendere l’ordine di carcerazione e per il condannato si aprono le porte dell’istituto penitenziario. Manca però una disciplina transitoria, non prevista dal legislatore della spazzacorrotti. Che succede allora? a meno che si propenda per la natura di norme sostanziali. Per evitare l’applicazione della modifica in peius della spazzacorrotti occorrerebbe seguire la strada della natura sostanziale, e non processuale, delle disposizioni di nuovo conio, con conseguente applicazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, attraverso l’applicazione della norma esecutiva più favorevole al condannato. Più precisamente, in ossequio ai principi espressi nell’art. 25 Cost., nell’art. 2 c.p. e nell’art. 7 CEDU, va dichiarata la irretroattività della norma penale più sfavorevole per i condannati che abbiano commesso il fatto-reato in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge peggiorativa. Strada seguita da una parte della giurisprudenza di merito GIP di Como, 8.3.2019 per la quale in assenza di una disciplina transitoria, deve intendersi che la nuova norma introdotta dalla Legge n. 3/2019, che ha inserito i reati contro la P.A. nell’elenco di cui all’art. 4- bis ord. penit, richiamato dall’art. 656 comma 9 lett. a c.p.p., non possa trovare applicazione nel caso di specie avendo un contenuto intrinsecamente afflittivo e sanzionatorio. Rifiutare approccio formalistico truffa delle etichette. Dopo aver ricordato che la giurisprudenza consolidata ha sempre ribadito che le norme dell’ordinamento penitenziario avrebbero natura processuale, tale posizione giurisprudenziale ha ritenuto di non poter aderire a tale soluzione interpretativa, ancorata ad un approccio formalistico senza mai affrontare in concreto la questione degli effetti sostanziali prodotti dall’applicazione della norma . Tenuto conto dell’ampiezza degli istituti applicabili in sede di esecuzione della pena non può non riconoscersi oggi che quelle che, con una truffa delle etichette, vengono considerate norme meramente processuali, perché attinenti alle modalità di esecuzione della pena, siano in realtà norme che incidono sostanzialmente sulla natura afflittiva della pena una modifica legislativa peggiorativa di tali norme, conseguentemente, può determinare gravi pregiudizi per il condannato e aggredire in modo significativo il bene della libertà personale . Violazione del principio di legalità. Le conseguenze dell’applicazione di tale norma per colui che ha commesso il fatto prima della sua approvazione – continua il GIP di Como – si riverberano in fatto, non semplicemente sulla modalità di esecuzione della pena, ma sulla stessa natura della sanzione che nella sua fase iniziale impone la detenzione anche se il soggetto risulterà meritevole di una misura alternativa con possibilità di accesso alla misura alternativa solo in un secondo momento . Per cui applicare retroattivamente una norma che trasfigura il contenuto della sanzione – conclude l’ordinanza – significa violare l’art. 117 Cost. integrato dall’art. 7 CEDU nonché gli art. 25 Cost. e l’art. 2 c.p., norme il cui raggio di operatività non può non estendersi a tutte le disposizioni che, a prescindere dalle etichette, abbiano, come nel caso di specie, un contenuto afflittivo o intrinsecamente punitivo. L’illusione di una pronuncia della Cassazione sulla natura sostanziale. Anche la Suprema Corte, in una delle prime pronunce in materia aveva preso atto che per il diritto vivente le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, sono considerate norme penali processuali e non sostanziali e, pertanto, ritenute soggette – in assenza di una specifica disciplina transitoria – al principio tempus regit actum e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 c.p e dall’art. 25 Cost. Sez. I, n. 12541/19 . La natura sostanzialistica” della pena nella giurisprudenza di Strasburgo. Tuttavia, sembrava dare un preavviso di bocciatura dell’orientamento costante, affermando che nella più recente giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo – prosegue la Corte, facendo in particolare riferimento alla sentenza Del Rio Prada contro Spagna del 21.10.2013 – ai fini del riconoscimento delle garanzie convenzionali, i concetti di illecito penale e di pena hanno assunto una connotazione antiformalista” e sostanzialista”, privilegiandosi alla qualificazione formale data dall’ordinamento all’ etichetta” assegnata , la valutazione in ordine al tipo, alla durata, agli effetti nonché alle modalità di esecuzione della sanzione o della misura imposta . Niente passaggio a sorpresa imprevedibile. Alla luce di tale approdo della giurisprudenza di Strasburgo – si legge nella 12541/19 – non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale l’avere il legislatore cambiato in itinere le carte in tavola” senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformità con l’art. 7 CEDU e, quindi, con l’art. 117 Cost., là dove si traduce nei confronti del ricorrente nel passaggio – a sorpresa” e dunque non prevedibile – da una sanzione patteggiata senza assaggio di pena” ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il già rilevato operare del combinato disposto degli artt. 656, comma 9, lett. a , c.p.p. e 4- bis ord. penit. . Un raggio di sole si torna al buio della natura processuale. Tale arresto suggerirebbe la via per un revirement. Tuttavia, le successive pronunce di legittimità la 25212 e la 31853/19 tornano a cavalcare la tesi delle norme esecutive della pena quali processuali e non sostanziali. In particolare nella recente 31853/19 la Prima Sezione ritiene che in virtù della modifica intervenuta, con l’introduzione della presunzione legale di pericolosità del soggetto condannato per reati contro la pubblica amministrazione, delinea un diverso e peggiorativo assetto delle condizioni legali di accesso alle misure alternative e non può elevarsi a variazione” della tipologia di sanzione penale aspetto quest’ultimo trattato dalla sentenza Scoppola contro Italia del 2009 , né determina di per se una protrazione della durata della pena aspetto trattato dalla Corte EDU nel caso Del Rio Prada , il che esclude il diretto e immediato contrasto con le previsioni costituzionali e convenzionali che regolamentano la prevedibilità e l’accessibilità preventiva delle conseguenze penali della propria condotta. Norme a contenuto sostanziale. Vedremo come si pronuncerà la Consulta sul punto. Tuttavia, proprio la sentenza sul caso del Rio Prada avente ad oggetto un mutamento giurisprudenziale in senso più sfavorevole in tema di libertà anticipata, con conseguente slittamento del fine pena rende manifesta, a fortiori per tutte le altre misure alternative previste dal 4- bis la natura sostanziale delle norme che ne disciplinano l’accesso in fase esecutiva. Se una diversa lettura delle norme sulla liberazione anticipata inerisce alla natura sostanziale che influisce solo sul quantum” della sanzione detentiva , lo sono a maggior ragione quelle inerenti alle misure alternative che afferiscono alla qualità” dell’espiazione della pena detentiva .

Piovono le questioni di incostituzionalità. L’assenza di una norma transitoria ha portato parecchi giudici di merito a sollevare incidenti di costituzionalità dinanzi alla Consulta. Un primo filone riguarda quelle pronunce che, pur riconoscendo natura sostanziale” alle norme sull’esecuzione penale toccate dalla spazzacorrotti, non ritengono di poter seguire la strada della strada costituzionalmente e convenzionalmente orientata, sollevando quaestio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, l. n. 3/2019 nella parte in cui, nell’estendere il regime di cui all’art. 4- bis ord. penit. ad alcuni delitti contro la P.A., non ha previsto norme transitorie tale da rendere applicabile il nuovo regime ai soli fatti commessi dopo la sua entrata in vigore ordinanze del Tribunale di Sorveglianza di Venezia, 8 aprile 2019 Corti Appello Lecce, 4 aprile 2019, Reggio Calabria, 10 aprile 2019 e Palermo 29 maggio 2019 Tribunale di Brindisi, 30 aprile 2019, Tribunale di Potenza . Allinearsi all’approccio sostanzialistico. In particolare, il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha ricordato come la sentenza 12541/19 avesse aperto una breccia, fino ad oggi inscalfibile, prendendo le distanze da quella posizione, definita da autorevole dottrina come frutto di un criticabile bizantinismo classificatorio”, per allinearsi all’approccio sostanzialistico” adottato dalla giurisprudenza della Corte EDU sulla materia penale” . La questione della applicabilità ad una condanna relativa a fatti commessi anteriormente alla entrata in vigore della più restrittiva disciplina, oltre che rilevante, è stata ritenuta non manifestamente infondata da parte del Tribunale di Sorveglianza per contrasto con gli artt. 3, 25 comma 2, 27 comma 3, 117 Cost. e art. 7 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tutelare l’affidamento tutelato dalla irretroattività della legge penale in peius. Appare difficile – si legge nell’ordinanza – continuare a seguire l’affermazione della giurisprudenza di legittimità secondo cui si tratterebbe di norme processuali” non afferendo le medesime ai profili di accertamento del reato e di irrogazione della pena la violazione costituzionale sembra concretizzarsi, in questo caso, nella assenza di una disciplina transitoria che faccia decorrere l’efficacia delle più restrittive disposizioni dalla data di vigenza della l. n. 3/2019. La modifica peggiorativa sembra ledere anche il principio di affidamento tutelato dal principio di irretroattività in materia penale, irrimediabilmente travolto dalla immediata vigenza delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 6, l. n. 3/2019 . Mutamento della tipologia di pena esigibile La legge spazzacorrotti ha inciso, per dichiarata volontà dei suoi promotori, proprio sull’inasprimento del trattamento sanzionatorio per i colpevoli di delitti contro la P.A. con il preciso intento di politica criminale di rendere effettivo l’ordinario ricorso alla pena detentiva carceraria in quelle ipotesi in cui, nella normalità dei casi, i condannati potevano aspirare dallo status libertatis alla concessione di una pena non detentiva. Non si tratta, quindi, di modifiche intervenute sulle mere modalità esecutive della pena detentiva come potrebbero essere quelle, in ipotesi, introdotte per limitare il numero di telefonate o di colloqui esterni per i corruttori , ma di una vera e propria trasformazione della tipologia di pena eseguibile che da meramente limitativa della libertà diventa radicalmente privativa della libertà personale con l’obiettivo di un inasprimento della sanzione stessa sempre Tribunale di sorveglianza di Venezia . indipendente dalla sfera di controllo del condannato. Si è al cospetto di un mutamento imprevedibile e indipendente dalla sfera di controllo del soggetto, tale da modificare in senso sostanziale il quadro giuridico-normativo che il soggetto aveva di fronte a sé nel momento in cui si è determinato nella sua scelta delinquenziale, con piena consapevolezza delle relative conseguenze, così da poterne adeguatamente ponderare i benefici e gli svantaggi. Tutti questi punti fermi sono stati travolti dalla legge spazzacorrotti” che, cambiando le carte in tavola, ha trasformato radicalmente la risposta sanzionatoria prevedendo quale soluzione ordinaria l’esecuzione della pena in carcere e tempi molto più lunghi per il conseguimento degli effetti estintivi sopra indicati cd. daspo per i corruttori” determinando un vulnus nel principio di affidamento convenzionalmente e costituzionalmente tutelato. Innegabili riflessi sostanziali. Alle stesse conclusioni giungono altri giudici di merito Corte Appello Lecce 4 aprile 2019, Corte di Appello di Reggio Calabria, 10 aprile 2019 Tribunale di Brindisi, 30 aprile 2019 per i quali l’assenza di previsione di un regime intertemporale pone un serio profilo di incostituzionalità, ponendo sullo stesso piano, sotto il profilo della esecuzione della pena, chi ha commesso il reato potendo contare su un impianto normativo che gli avrebbe consentito di non scontare in carcere una pena, eventualmente residua, inferiore a 4 anni e chi ha commesso o commette il fatto dopo l’entrata in vigore della legge. La nuova norma si pone in contrasto con l’art. 25, comma 2, Cost. per i suoi indubbi riflessi sostanziali in punto di esecuzione della pena in concreto, frutto di un cambiamento delle regole successivo alla data del commesso reato. Ma si evidenziano, oltre alle inevitabili disparità di trattamento, pure le possibili frizioni con la finalità rieducativa della pena ex art. 27, comma 3, Cost Presunzione assoluta di pericolosità che prevale irragionevolmente sulla rieducazione. Anche la Corte d’appello di Palermo, con ordinanza del 29 maggio 2019 ha sollevato questione di legittimità costituzionale riguardo la mancanza di disciplina intertemporale. In via principale sostiene che l’introduzione in sé di tali reati tra quelli ostativi contrasti con il principio di ragionevolezza e con quello di uguaglianza, perché estende a essi una presunzione assoluta di pericolosità, non fondata su dati di esperienza generalizzati, che prevale irragionevolmente sulla finalità rieducativa della pena e sulla regola del minimo sacrificio necessario”. Ravvisato possibile contrasto con la Costituzione anche muovendosi sul piano della natura processuale. Anche il Tribunale di Napoli, Sezione GIP, 2 aprile 2019, dopo aver ribadito la natura processuale delle norme dell’ordinamento penitenziario – con conseguente inapplicabilità delle disposizioni che regolano la successione nel tempo delle leggi penali – ha ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale della legge spazzacorrotti nella parte in cui, ampliando il novero dei reati ostativi includendovi i reati contro la P.A, ha mancato di prevedere un regime intertemporale, con conseguente applicabilità immediata della nuova disciplina ai fatti commessi prima della entrata in vigore della legge . Scenari di soluzioni della Consulta. Nel tentativo di trarre delle conclusioni, in quello che appare un quadro abbastanza complesso di soluzioni e prospettive, si è correttamente sostenuto come pare improbabile che la Corte possa accogliere la questione di costituzionalità sotto il profilo dell’assenza di una disciplina di diritto transitorio per diversi motivi. In primis, perché non vi è alcun testo di legge che affermi la retroattività in malam partem della normativa, quindi il giudice di merito avrebbe il dovere di operare un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, correttamente considerando la nuova normativa come disciplina processuale ad effetti sostanziali”, per le ragioni sopra esposte, ed estendendovi la garanzia dell’irretroattività, distaccandosi dunque da quell’orientamento che, sebbene consolidato, ritenga di non poter condividere per gli esiti cui in concreto conduce. Ciò potrebbe determinare la Corte a pronunciarsi con una sentenza di inammissibilità per omesso tentativo di interpretazione conforme ovvero con una pronuncia interpretativa di rigetto, che circoscriva l’operatività della novella ai reati di futura commissione.

La Suprema Corte ha di recente escluso la fondatezza dell’incidente di costituzionalità sotto il versante del diritto intertemporale, continuando a sostenere la natura processuale e non sostanziale delle disposizioni concernenti l’esecuzione della pena sez. I, n. 31853/19 , con conseguente applicazione, in ossequio al tempus regit actum , della norma processuale vigente al momento in cui si compie lo specifico atto. La stessa pronuncia, tuttavia, ha sollevato questione di legittimità sotto altro profilo con riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, la quaestio ha ad oggetto l’art. 1, comma 6, lett. b, l. n. 3/2019, nella parte in cui inserisce all’art. 4- bis , comma 1, ord. penit in riferimento al delitto di peculato. Quindi con riferimento alle fattispecie di reato, lesive del bene giuridico della pubblica amministrazione, oggetto di implementazione del 4- bis . Il giudice dell’esecuzione può sindacare l’accrescimento dei reati ostativi? Sul punto, occorre premettere che la ricorsa ordinanza – quella del GIP di Como dell’8.3.2019, che, come visto supra, percorrendo il sentiero della interpretazione conforme a Costituzione e Cedu, ritiene di superare il diritto vivente cristallizzato in seno alla giurisprudenza di legittimità sulla natura processuale delle norme quali il 4- bis ord. penit. e il 656 c.p.p. , sull’esecuzione della pena conseguente alla sentenza di condanna, aderendo alla natura sostanziale della modifica legislativa della spazzacorrotti – non ritiene possibile la proposizione del giudizio incidentale di legittimità costituzionale in riferimento alla disposizione accrescitiva” del catalogo dei reati di cui all’art. 4- bis , posto che si afferma che il giudice dell’esecuzione non è competente in materia di applicazione dei benefici penitenziari, ma esercita i propri poteri di verifica sulla legittimità dell’ordine di carcerazione, potendo a più estendere il proprio sindacato solo alla disposizione dell’art. 656, comma 9, c.p.p Il caso Formigoni. Stesso ragionamento sviluppa anche la più nota ordinanza del 27 marzo 2019 della Corte di Appello di Milano, Sez. IV, quale giudice dell’esecuzione, che ha rigettato l’istanza di sospensione dell’ordine di carcerazione emesso il 22 febbraio 2019 nei confronti di Roberto Formigoni, ex Presidente della Regione Lombardia, condannato in via definitiva per corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio art. 319 c.p. all’epoca detenuto in carcere per espiare la pena di 5 anni e 10 mesi di reclusione. Per la Corte territoriale, se la pena da espiare è superiore a quattro anni la detenzione domiciliare può essere richiesta, dall’ultrasettantenne, solo dal carcere per l’impossibilità di sospendere l’esecuzione delle pene detentive, anche se inferiori al limite dei quattro anni art. 656, comma 9 c.p.p. , ma anche, per espressa previsione normativa – per quanto qui interessa –, la preclusione per gli ultrasettantenni all’accesso alla detenzione domiciliare ex art. 47 ter, comma 01 ord. penit Lo scorporo tra giudice dell’esecuzione che può vigilare sull’art. 656 e tribunale di sorveglianza che può valutare le questioni sul 4-bis . Anche la Corte d’Appello milanese ha respinto la questione di legittimità costituzionale relativa all’inclusione dei reati contro la P.A. tra quelli ostativi alla fruizione dei benefici penitenziari, senza prevedere una disciplina intertemporale mitigatrice degli effetti dell’immediata applicabilità della novella, in quanto dette questioni potranno, tuttavia, essere prospettate al Tribunale di Sorveglianza qualora sia avanzata richiesta di concessione della detenzione domiciliare . In questa evenienza, infatti, le questioni sarebbero rilevanti e sarebbe allora inevitabile affrontare ex professo il tema della loro non manifesta infondatezza, o meno. Lettura congiunta e non atomizzata del 4-bis e del 656. Di diverso avviso è l’ordinanza n. 31853/19 che sposa una lettura congiunta e di sistema dei due testi normativi, non apparendo corretto isolare uno dei momenti di costruzione del sottosistema esecutivo differenziato . Vi è in sostanza un legame inscindibile tra il 4- bis e il divieto di sospensione dell’esecuzione di cui al comma 9 dell’art. 656 c.p.p., posto che è quella” particolare presunzione di pericolosità sociale di cui all’art. 4- bis legata al titolo di reato a sbarrare la strada alla sospensione e a determinare l’immediato ingresso in carcere del condannato quale che sia l’entità della pena residua. Le due disposizioni 4-bis e 656 devono pertanto ritenersi entrambe applicate” lì dove si tratti di fattispecie che realizzano la condizione ostativa all’accesso ai benefici penitenziari. Nessuna zona franca sottratta al controllo di costituzionalità. Viene rifiutata quindi la posizione interpretativa assunta dal GIP di Como laddove atomizza la disposizione del 656, comma 9, c.p.p. rispetto a quella pregiudicante” del 4- bis , dovendosi verificare in via prioritaria se la novellazione accrescitiva, apportata dalla l. n. 3/2019 e nel caso di specie riferita al peculato, sia o meno immune da dubbi di legittimità costituzionale. Laddove infatti si ritenga – come ritiene la n. 3153/19 – che la presunzione legale di pericolosità per il delitto di peculato non trovi ragionevole giustificazione, in rapporto alla base empirica del ragionamento sottostante, ne risulterebbero violati il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e la finalità rieducativa della pena. Ciò anche per evitare zone franche sottratte al controllo della legittimità costituzionale delle opzioni legislative. Valutazione dei criteri di scelta adottati dal legislatore per selezionare i reati ostativi. La Cassazione prende atto che l’attuale formulazione dell’art. 4- bis si allontana dall’originario di tutela della collettività dalla drammatica aggressività del fenomeno mafioso, divenendo una sorta di norma-contenitore di fattispecie che di volta in volta si ritengono espressive di un consistente livello di pericolosità dell’autore con prevalenza della finalità di prevenzione generale rispetto alle esigenze di individualizzazione del trattamento esecutivo che dinamicamente dovrebbe tendere a risocializzare il condannato . Ma per fondare il dubbio di ragionevolezza occorre interrogarsi sui criteri di volta in volta scelti dal legislatore per selezionare le singole fattispecie e sul rispetto dei canoni di logicità e di base empirica della singola scelta. La presunzione di pericolosità per il peculato non risponde a dati generalizzati. Come si legge nell’ordinanza n. 31853/19, la struttura di tale delitto non appare contenere alcuno dei connotati idonei a sostenere una accentuata e generalizzata considerazione di elevata pericolosità del suo autore, trattandosi di condotta di approfittamento, a fini di arricchimento personale, di una particolare condizione di fatto il possesso di beni altrui per ragioni correlate al servizio preesistente, realizzata ontologicamente senza uso di violenza o minaccia verso terzi e difficilmente inquadrabile – sul piano della frequenza statistica delle forme di manifestazione – in contesti di criminalità organizzata o evocativi di condizionamenti omertosi . Contrasto con art. 3 della Costituzione. Ad avviso dei giudici, la connotazione di elevata pericolosità di ogni autore di simile condotta – che ben potrebbe risolversi in un’unica occasione di consumazione, isolata e marcatamente episodica – espressa dalla l. n. 3/2019 pare dunque contrastare con la mera osservazione delle caratteristiche obiettive del tipo legale, in chiave di dubbio circa il rispetto del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. non essendo neanche possibile rinvenire nell’esame dei lavori preparatori una esposizione chiara di criteri di metodo e di osservazione empirica idonei a giustificare simile scelta, di certo portatrice di forti limitazioni a diritti costituzionalmente garantiti . Tensione con la finalità rieducativa della pena. L’apprezzamento concreto delle caratteristiche obiettive del fatto e della personalità dell’autore viene peraltro sottratto – prosegue la Corte – alla discrezionalità del Tribunale di sorveglianza con anticipazione degli effetti pregiudizievoli in tema di libertà personale derivante dalla previsione di legge di cui all’art. 656, comma 9, c.p.p. finendo con il determinare l’ulteriore dubbio – che si intende esprimere – di concreto pregiudizio al principio di individualizzazione della pena e del finalismo rieducativo di cui all’art. 27 comma 3 Cost. La selezione delle fattispecie di reato ostative comporta l’attrazione dei condannati per tali fatti – al di là delle condizioni soggettive e dei profili di quantificazione concreta del trattamento sanzionatorio – in un sottosistema che nel rendere marginale la discrezionalità del giudice incide concretamente sulla dimensione rieducativa della pena, esaltandone – per converso – l’aspetto di prevenzione generale a fini di deterrenza .

La collaborazione quale meccanismo premiale di accesso ai benefici penitenziari. Le pronunce della Corte Costituzionale sulle questioni proposte potrebbe demolire l’impianto della spazzacorrotti o ridimensionarlo parecchio. In ogni caso, anche a voler superare gli scogli legati ai profili di tensione con la Costituzione e la Cedu, nella pratica è difficile fare operare la collaborazione” nei reati contro la P.A Lo snaturamento del 4- bis ha portato a far operare per il corrotto” uno strumento quello legato al collaborare con la giustizia originariamente pensato ed introdotto per il mafioso” e la lotta alla criminalità organizzata. In sostanza il legislatore ha previsto un meccanismo premiale ma non rieducativo ed incentivante per coloro che, indagati o imputati in un procedimento per uno dei reati ricompresi nell’art. 4- bis e che, pertanto, in caso di condanna si vedrebbero negata la possibilità di usufruire, ad esempio, delle misure alternative alla detenzione, decidano di aiutare le attività investigative o si adoperino affinché l’attività criminale non si protragga nel tempo. La difficile applicazione della collaborazione nei reati contro la P.A Se la concessione di tale beneficio, che in ultima analisi è l’unico strumento attraverso il quale il condannato ha la possibilità de evitare le rigide disposizioni dell’art. 4- bis , sembra essere, da un primo punto di vista teorico, di facile applicazione, tale non è nella prassi giudiziaria. Il riconoscimento della collaborazione infatti è lasciata alla discrezionalità, nella fase delle indagini preliminari, del Pubblico Ministero mentre dopo la condanna passata in giudicato è demandata al Tribunale di Sorveglianza. La difficile emersione della collaborazione se si opta per il rito alternativo. Ove il condannato abbia scelto la strada del rito alternativo, l’eliminazione del procedimento approfondito di formazione della prova e di ricostruzione del fatto che è tipico del dibattimento può portare a non far emergere gli aspetti collaborativi. E il Tribunale di sorveglianza avrà margini di manovra molto ridotti per portare alla luce l’eventuale apporto collaborativo del condannato per fattispecie corruttive. Nel dibattimento infatti il difensore ben potrebbe utilizzare gli strumenti dati dal legislatore, nella loro massima estensione, per dimostrare, ad esempio, la piena o impossibile collaborazione dell’imputato. La difficile lettura dell’impossibilità di collaborazione. Altro problema se si porrà nella pratica è che in molti casi di delitti contro la pubblica amministrazione la collaborazione è strutturalmente impossibile. Pertanto, essa verrà presumibilmente sostituita con altri indici quali il rivisitamento critico del pregresso deviante. Solo per citare l’ultimo caso eclatante, il Tribunale di sorveglianza di Milano, il 22 luglio 2019 hanno applicato a Formigoni la detenzione domiciliare speciale perché ultrasettantenne, dove i giudici tenendo conto anche le dichiarazioni rese nei giorni scorsi durante l’udienza dall’ex presidente di Regione Lombardia mi conformo alla sentenza di condanna e comprendo il disvalore dei miei comportamenti . Dunque, i giudici, in sostanza, da un lato valorizzano il suo percorso di cambiamento” e, dall’altro, spiegano che ha diritto ai benefici penitenziari, in questo caso ai domiciliari da ultrasettantenne, perché il presupposto della collaborazione è impossibile .

Reati contro la pubblica amministrazione nella famiglia” del 4-bis. Sotto l’etichetta della legge Spazzacorrotti si nasconde un messaggio molto chiaro anche i politici-corrotti entrano e restano in carcere. Infatti, attraverso l’implementazione dell’art. 4- bis dell’ordinamento penitenziario operata dall’art. 1, comma 6, l. n. 3/2019 includendo i reati contro la pubblica amministrazione di cui, nella fase di cognizione, è stato inasprito il quadro sanzionatorio, soprattutto a livello delle sanzioni accessorie, presenti anche qualora l’imputato scelga la strada del rito alternativo , si allarga il ventaglio dei delitti ostativi c.d. di prima fascia”, per i quali è prevista l’ostatività ex lege all’applicazione di misure alternative alla detenzione. L’art. 4- bis va letto in combinato disposto con l’art. 656 c.p.p. – che ha funzioni serventi e ancillari rispetto al primo – e comporta che l’ordine di carcerazione non può essere sospeso nemmeno se il residuo di pena da espiare rientra nel tetto dei quattro anni di pena detentiva. Il comma 9 dell’art. 656 c.p.p. prevede il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione posteriore alla irrevocabilità della sentenza nei confronti dei condannati 4- bis , in deroga alla sospensione della carcerazione prevista per le pene detentiva brevi, dal precedente comma 5 . Per il corrotto” niente misure alternative se non collabora. Quindi tra le categorie di delinquente tipico”, mentre ieri si intendeva colpire in modo esemplare il mafioso” e il terrorista”, oggi tocca al corrotto”, per il quale si impone l’assaggio di carcere ai condannati per peculato e le fattispecie corruttive e concussive impedendo che operino nei loro confronti, in difetto di collaborazione, le forme di esecuzione extramuraria lavoro all’esterno, permessi premio e le misure alternative alla detenzione . Circuito esecutivo differenziato. La ratio del divieto espresso nell’art. 656, comma 9, c.p.p. è quello di determinare immediatamente l’attivazione di un circuito esecutivo differenziato, in riferimento alla previa connotazione legislativa art. 4- bis di un particolare livello di pericolosità sociale del soggetto, ritenuto tendenzialmente insensibile” all’opera di rieducazione o comunque bisognoso di una particolare verifica di attendibilità soggettiva, con la condotta specifica della collaborazione con la giustizia tesa a determinare la riespansione della ordinaria discrezionalità del giudice per l’accesso agli strumenti rieducativi previsti dall’ordinamento penitenziario. Assenza di norme transitorie. Non essendo stata prevista alcuna disciplina transitoria, com’era ampiamente prevedibile, la novella legislativa sta comportando non pochi problemi dal punto di vista del diritto intertemporale, e sono già numerose, come analizzeremo più avanti, le questioni di legittimità costituzionale sollevate alla Consulta dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.