Un figlio in comune ma mai stati conviventi: escluso il reato di maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche al di fuori di una famiglia legittima, ma necessaria è la presenza di un rapporto di stabile convivenza, senza che sia richiesto che tale convivenza abbia una certa durata, purché sia stata istituita in una prospettiva di stabilità.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 37628/19, depositata l’11 settembre. L’imputato era stato condannato in corso di causa per maltrattamenti in danno alla madre del loro figlio comune. Nel ricorso da questi presentato si denuncia violazione degli artt. 572 e 612- bis c.p. per aver il giudice erroneamente ritenuto sussistente un rapporto di tipo familiare anche sulla base dell’avvenuto concepimento del figlio, trascurando però che i due non sono mai stati conviventi. Per quanto riguarda, inoltre, la configurabilità o meno del reato di percosse e minacce, si deduce mancanza di motivazione circa la sussistenza dell’ipotesi aggravata di cui all’art. 612- bis , comma 2, c.p., ma ricorrerebbe, sempre secondo la tesi difensiva, solo una minaccia semplice. Percosse e minacce. Soffermandosi dapprima su questo ultimo aspetto sollevato dalla tesi difensiva dell’odierno ricorrente, è opportuno, innanzitutto, ricordare che le dichiarazioni della persona offesa possono essere la base dell’affermazione della penale responsabilità, previa verifica, dell’imputato. E nel caso in esame, tali dichiarazioni si presentano chiare ed esaustive. Ma il motivo di ricorso risulta fondato nella parte in cui deduce che la condotta tenuta dall’imputato, una spinta, non costituisce vera e propria percossa in quanto inidonea a produrre dolore fisico infatti una spinta costituisce percossa solo se provoca al soggetto passivo una sensazione fisica di dolore, che, nel caso in esame, non risulta esserci stata . Proseguono ancora i giudici di legittimità sottolineando come le lesioni che risultano dalle dichiarazioni della persona offesa sono lesioni lievi, non qualificabili come percosse, ed infatti la sentenza impugnata non motiva circa la presenza dell’intento di ledere l’integrità fisica della persona offesa. Maltrattamenti in famiglia. Proseguono poi gli Ermellini ribadendo che il reato di maltrattamenti richiede una relazione, tra il soggetto agente e la vittima, ossia un rapporto stabile ispirato a fiducia e condivisione e l’esistenza di figli produce automaticamente un sistema di obblighi e doveri che i genitori devono rispettare anche se non conviventi. Ebbene, nel caso ora esaminato, la Corte territoriale sostiene che la convivenza non è presupposto fondamentale per configurare il reato di maltrattamenti, ritenendo sufficiente un vincolo di solidarietà volto a generare un rapporto dotato di stabilità tra i due soggetti, con annessi obblighi da rispettare. Ma la giurisprudenza costante del S.C. riconosce il reato di maltrattamenti anche in presenza di situazioni di non convivenza, pur se succedute a precedente convivenza. Pertanto, l’assenza di una anche solo inziale convivenza non esclude che la situazione di condivisa genitorialità derivante dalla filiazione possa produrre le condizioni per l’applicazione dell’art. 572 c.p., se però la filiazione non è stata un esito occasionale dei rapporti sessuali ma si è instaurata una relazione di carattere sentimentale. Sulla base di ciò e posto che tra il ricorrente e la persona offesa non ci sia mai stata convivenza, ma il solo concepimento del figlio comune, la sentenza impugnata deve essere annullata.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 25 giugno – 11 settembre 2019, n. 37628 Presidente Tronci – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 3328/2018 la Corte d’Appello di Messina ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Messina il 21/06/2017 a C.C. , condannato per i reati a lui ascritti ex art. 572 c.p., comma 1, capo A assorbito nello stesso il capo B , ex art. 61 c.p., n. 2, art. 81 c.p. e art. 614 c.p., comma 4, capo C, , ex art. 582 c.p. capo E, fatto del omissis , ex art. 582 c.p. capo F, fatto del omissis , ex artt. 81 e 581 c.p. e art. 612 c.p., comma 1 capo G , tutti in danno di B.O. , madre del figlio comune C.A. , riuniti ex art. 81 c.p., comma 2. 2. Nel ricorso presentato dal difensore del C. si chiede l’annullamento della sentenza. 2.1. Con il primo motivo si deducono inosservanza e erronea applicazione degli artt. 572 e 612 bis c.p. nel ritenere sussistente un rapporto di tipo familiare mentre il Giudice per le indagini preliminari aveva qualificato ex art. 612 bis c.p. i fatti contestati nei capi A e B anche sulla base dell’avvenuto concepimento del figlio, ma trascurando che C. e B. non sono mai stati conviventi e che i fatti sono avvenuti dopo la nascita del loro figlio, quando i due conducevano vite autonome, collegate solo dalla gestione del figlio, e che tutti i dati acquisiti la dichiarazione della persona offesa, di un altro suo figlio nato da un’altra unione della B. escludono l’esistenza di una relazione affettiva al momento dei fatti che, pertanto, dovrebbero qualificarsi ex art. 612-bis c.p 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce inosservanza dell’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2, mancando riscontri esterni che confermino e una valutazione circa la sua credibilità soggettiva e l’attendibilità del suo racconto considerata anche la conflittualità dei rapporti con l’imputato. Si evidenzia che la Bohomaz non risulta avere mai modificato il proprio sistema di vita, il che esclude che temesse C. , nè suo figlio ha mai riferito di aggressioni fisiche da parte dell’imputato. Inoltre, si rileva che il reato di violazione di domicilio capo C viene ravvisato sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa e senza risolvere la questione relativa alla compatibilità, fra i reati di maltrattamenti e la violazione di domicilio dovendosi presupporre un domicilio comune. Con riferimento ai capi E, F e G, si osserva che non è chiaro come la Corte ritenga le dichiarazioni di F.M. idonee a fornire un pieno riscontro alle accuse della persona offesa considerato che la teste ha escluso di avere assistito all’aggressione e di avere notato solo un arrossamento inidoneo a configurare una lesione , mentre, se sussistessero solo percosse, la condotta andrebbe assorbita nel reato di maltrattamenti. Con riferimento alle percosse e alle minacce capo G , si deduce mancanza di motivazione circa l’ipotesi aggravata ex art. 612 c.p., comma 2, per cui ricorrerebbe solo una minaccia semplice per la procedibilità del quale manca la querela, mentre, comunque, la condotta descritta nel capo G non costituisce percossa perché inidonea a produrre dolore fisico. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione degli artt. 88, 99 e 90 c.p. nel rigettare la richiesta di rinnovazione del dibattimento per valutare se lo stato di psicolabilità strutturato del ricorrente costituisca vizio totale o parziale di mente. 2.4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce erronea applicazione dell’art. 133 c.p. e art. 62 bis cod. nella determinazione della pena e nel diniego delle circostanze attenuanti generiche, non valorizzando il percorso terapeutico intrapreso e l’incensuratezza dell’imputato, così da ricondurre l’entità della sanzione a misura compatibile con la sospensione condizionale della pena. Considerato in diritto 1. Conviene trattare, anzitutto, il secondo composito motivo di ricorso che risulta parzialmente fondato nei termini che seguono. 1.1. Va ribadito che le dichiarazioni della persona offesa - alle quali non si applicano le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, - possono essere fondamento dell’affermazione della responsabilità penale, previa verifica, più rigorosa rispetto a quella cui vanno sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto ex multis Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104 Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Rv. 261730 . Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha rilevato che le dichiarazioni della persona offesa, rese sia nelle querele sia in sede di sommarie informazioni, acquisite con il consenso delle parti, e in dibattimento sono logiche, coerenti, circostanziate e dettagliate , oltretutto anche confermate dalla dichiarazione di altri testi escussi e dalla documentazione medica in atti. Invece, il ricorso non si confronta con la parte della sentenza che afferma che, a prescindere dalle dichiarazioni della persona offesa, i fatti trovano conferma nella documentazione medica in atti p. 8 . Pertanto, risulta, già sotto questo profilo, aspecifico, mentre, per altro verso, entra inammissibilmente nel merito delle convergenti valutazioni discrezionali del Tribunale e della Corte di appello senza evidenziarne manifeste illogicità. 1.2. Il motivo di ricorso risulta infondato anche nel contestare la sussistenza del reato di cui al capo C. La Corte indica quattro episodi sulla base delle dichiarazioni della persona offesa tre del OMISSIS in relazione alle quali il ricorso semplicemente adduce che C. era andato dalla B. esclusivamente per vedere il figlio A. e un quarto del OMISSIS relativamente al quale il ricorso non si confronta con le argomentazioni svolte dalla Corte di appello che ha considerato come sia stato lo stesso C. a preannunciare la sua condotta, chiamando la B. e minacciandola che, se non fosse tornata, avrebbe fatto a pezzi la casa. Nè, per altro verso, la Corte aveva motivo di rispondere alle deduzioni circa la incompatibilità fra la convivenza e la violazione di domicilio perché la sentenza non afferma che vi fosse convivenza fra l’imputato e la persona offesa. 1.3. Invece, il motivo di ricorso risulta fondato nella parte in cui deduce che la condotta una spinta descritta nel capo G non costituisce percossa perché inidonea a produrre dolore fisico, infatti la spinta costituisce percossa solo se provoca al soggetto passivo una sensazione fisica di dolore che, dalla ricostruzione del fatto offerta dalla sentenza p. 9 non risulta esservi stata Sez. 5, n. 33361 del 2506/2008, non mass. , come pure non emerge quella violenta manomissione dell’altrui persona fisica che è richiesta affinché una spinta integri il reato ex art. 581 c.p. Sez. 5, n. 51085 del 13/06/2014, Rv. 261451 Sez. 5, n. 11638, Rv. 252953 Sez. 5, n. 51085 del 13/06/2014, Rv. 261451 . Ne deriva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di percosse di cui al capo G perché il fatto non sussiste. 1.4. Il motivo di ricorso risulta fondato con riferimento ai reati di lesioni descritti nei capi E e F. La motivazione della sentenza impugnata risulta ellittica sul punto, genericamente assumendo che le lesioni risultano dalle dichiarazioni della persona offesa e trovano conferma nella documentazione medica in atti p. 8 e, dopo avere rilevato che trattasi di lesioni lievi, mentre correttamente esclude che queste possano qualificarsi come percosse condizione che comporterebbe l’assorbimento sotto il reato di maltrattamenti non motiva circa la presenza dell’intento di ledere l’integrità fisica della persona offesa, come è, invece, necessario per escludere l’assorbimento sotto il reato di maltrattamenti Sez. 5, n. 42599 del 18/07/2018, Rv. 274010 Sez. 3, n. 50208 del 29/04/2015, Rv. 267283 . Pertanto, la sentenza impugnata va annullata relativamente ai reati di lesioni personali sub E e F , con rinvio per nuovo giudizio che sopperisca alle carenze evidenziate. Invece, il reato di atti persecutori di cui al capo B, nel rispetto della clausola di sussidiarietà prevista dall’art. 612 bis c.p., comma 1, è assorbito in quello di maltrattamenti di cui al capo A Sez. 5, n. 41665 del 04/05/2016, Rv. 268464 Sez. 6, n. 7369 del 13/11/2012, dep. 2013, Rv. 254026 , non giustificandosi, allo stato, l’autonoma imputazione delineata nel capo B. 2. Il primo motivo di ricorso è fondato nei termini che seguono. Il reato di maltrattamenti presuppone una relazione tra agente e vittima che richiede un rapporto stabile di affidamento e solidarietà, per cui le aggressioni che il soggetto attivo compie - sul fisico e sulla psiche del soggetto passivo - ledono la dignità della persona infrangendo un rapporto che dovrebbe essere ispirato a fiducia e condivisione. In particolare, l’esistenza di una prole comune produce un sistema di obblighi e doveri che i genitori devono rispettare anche se non conviventi l’obbligo di mantenimento, di educazione, di istruzione e in generale di assistenza morale e materiale verso i figli, ai quali i genitori sono tenuti a rapportarsi e per l’interesse dei quali devono cooperare nel reciproco rispetto. La continuità dei contatti necessariamente connessa a questa situazione determina un ambito nel quale condotte lesive della dignità personale possono integrare il reato di maltrattamenti. Nel confermare la sentenza di primo grado, la Corte di appello ha affermato il principio secondo cui la convivenza non è un presupposto indispensabile per configurare il reato di maltrattamenti, ritenendo sufficiente al riguardo un vincolo di solidarietà atto a generare un rapporto dotato di una certa stabilità con doveri di reciproca assistenza, connesso a una stabile relazione discendente dal rapporto di filiazione p. 7 . La condivisibile giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto il reato di maltrattamenti anche in relazione a situazioni di non convivenza, ma in quanto succedute a precedente convivenza e, quindi, non nel senso di assenza di convivenza ma di cessata convivenza. Ha affermato che il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche al di fuori della famiglia legittima, in presenza di un rapporto di stabile convivenza, come tale suscettibile di determinare obblighi di solidarietà e di mutua assistenza, senza che sia richiesto che tale convivenza abbia una certa durata, quanto - piuttosto - che sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l’esito di tale comune decisione Sez. 6, n. 20647 del 29/01/2008, Rv. 239726 Sez. 3, n. 44262 dell’8/11/2005, Rv. 232904 Sez. 6, n. 21329 del 24/01/2007, Rv. 236757 Sez. 3, n. 44262 del 08/11/2005, Rv. 232904 . In particolare, ha ritenuto che pur mancando vincoli nascenti dal coniugio, il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile nei confronti di persona non più convivente more uxorio con l’agente purché questi conservi con la vittima una stabilità di rapporti dipendente dai doveri connessi alla filiazione Sez. 6, n. 25498 del 20/04/2017, Rv. 270673 . Sez. 6, n. 33882 del 08/07/2014, Rv. 262078 . Anche in presenza di una relazione sentimentale, che abbia comportato un’assidua frequentazione della abitazione della persona offesa tale da far sorgere sentimenti di solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale Sez. 5, n. 24688 del 17/03/2010, Rv. 248312 o di un rapporto familiare di mero fatto in assenza di una stabile convivenza ma con un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà e assistenza si è riconosciuto il reato di maltrattamenti Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, Rv. 25562 Sez. 6, n. 23830 del 07/05/2013, Rv. 256607 . In questa linea, deve ritenersi che, l’assenza di una anche solo iniziale materiale convivenza, non escluda che la situazione di condivisa genitorialità derivante dalla filiazione possa produrre le condizioni per l’applicabilità dell’art. 572 c.p., se la filiazione non è stata un esito occasionale dei rapporti sessuali ma - almeno nella fase iniziale del rapporto - si è instaurata una significativa relazione di carattere sentimentale, tale da ingenerare l’aspettativa di un vincolo di solidarietà personale autonoma rispetto ai vincoli giuridici derivanti dalla filiazione. Su queste basi, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per un nuovo esame degli eventuali elementi che consentano di affermare se prima della nascita del figlio avvenuta nel 2014, mentre il reato è contestato dal 2013 si era instaurata fra l’imputato e la persona offesa una relazione tale da ingenerare l’aspettativa di un vincolo di solidarietà personale. 3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile perché il ricorrente non si confronta con le argomentazioni a sostegno della sentenza impugnata secondo cui è infondata la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in quanto, già il Giudice in primo grado aveva evidenziato che la documentazione medica prodotta dalla difesa attestare solo uno stato ansioso e agitato dell’imputato, che non vale a escludere la punibilità. 4. Sulla base di quanto precede, perde rilevanza attuale il quarto motivo di ricorso concernente il diniego delle circostanze attenuanti generiche. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di percosse di cui al capo G perché il fatto non sussiste. Annulla la sentenza impugnata, relativamente al reato di maltrattamenti, ivi assorbito quello di cui al capo B della rubrica, ed ai reati di lesioni personali sub E ed F e rinvia per nuovo giudizio su tali capi alla Corte di appello di Reggio Calabria.