Abbatte il muro sul fondo del vicino: non applicabile la scriminante della difesa legittima

Confermata la condanna dell’imputato per avere demolito un muro sul fondo del vicino di cui ne lamentava l’arrecato pregiudizio sulla sua proprietà, in quanto l’arbitrarietà prevista dall’art. 392 c.p. può escludersi solo quando ricorra la difesa in continenti” del possesso ovvero la sua autoreintegrazione nell’immediatezza di uno spoglio violento da parte di altri.

Questa la decisione della Corte di Cassazione n. 36826/19, depositata il 2 settembre. La vicenda. La Corte d’Appello di Catanzaro confermava la sentenza con cui il Tribunale di Cosenza aveva condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 392 c.p., essendosi egli fatto giustizia da sé distruggendo il muro di cemento armato edificato dalla parte offesa sul proprio fondo. Contro tale provvedimento, l’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, l’errata qualificazione della situazione giuridica tutelata dall’ordinamento di cui egli era titolare, cioè di possesso e non di diritto di servitù, ai fini dell’applicazione della scriminante prevista dall’art. 52 c.p Esercizio arbitrario delle proprie ragioni e difesa legittima. La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso, sottolineando che nel caso di specie non esiste alcuna compromissione dei diritti del ricorrente, considerato che egli non è stato privato del possesso di alcunché ma, piuttosto, si è introdotto nel fondo della persona offesa per demolire il muro ivi edificato che, secondo lui, recava pregiudizio alla sua proprietà per il possibile passaggio delle acque meteoriche. La Corte osserva che tale argomentazione è infondata, tenendo conto dell’orientamento giurisprudenziale che sostiene che il requisito dell’arbitrarietà ex art. 392 c.p. può escludersi solo quando ricorra una causa di giustificazione prevista dalla legge penale ovvero da altre leggi o rientranti nell’ambito dei principi generali del diritto costituenti limiti taciti delle norme penali, i quali consentono in continenti la difesa del possesso o la sua autoreintegrazione nel caso di spoglio violento altrui. Proprio in relazione a tale situazione, gli Ermellini rilevano che la giurisprudenza ha recentemente ribadito che in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’arbitrarietà non può ritenersi sussistente qualora ricorra la difesa in continenti” del possesso o la autoreintegrazione di esso nell’immediatezza di uno spoglio violento da parte di altri, purché non si tratti di ipotesi di compossesso . Dunque, non rientrando il caso di specie in tali ultime ipotesi, e non potendosi configurare alcuna scriminante, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, nonché della somma di euro 2000 in favore della Cassa delle ammende.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 maggio – 2 settembre 2019, n. 36826 Presidente Mogini – Relatore Vigna Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza pronunciata in data 14 maggio 2015 dal Tribunale di Cosenza con la quale F.F. è stato giudicato responsabile del reato di cui all’art. 392 c.p. per essersi, in concorso con altri, fatto giustizia da sé, distruggendo il muro in cemento armato edificato da F.S. sul proprio fondo. 2. Ricorre per cassazione F.F. , a mezzo del difensore avv. Francesco Esposito, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata, denunciando 2.1. la mancata assunzione di una prova dichiarativa decisiva che avrebbe potuto riferire l’esistenza di un accordo fra le parti sulla costruzione del muro 2.2. la violazione di legge per l’errata qualificazione, quale possesso piuttosto che diritto di servitù, della situazione giuridica tutelata dall’ordinamento di cui era titolare l’imputato ai fini dell’applicazione della scriminante di cui all’art. 52 c.p Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché generico, assertivo e reiterativo di argomentazioni proposte nel giudizio di merito che sono state esaminate con motivazione che non viene specificamente criticata dal ricorso. 2. È inammissibile il primo motivo di ricorso che denuncia la mancata rinnovazione in appello dell’istruzione dibattimentale finalizzata all’esame del teste dedotto la difesa, testimone che il primo giudice, constatata la ingiustificata assenza e la superfluità, aveva revocato. Non viene dedotto alcun concreto interesse all’esame di detto testimone, laddove si afferma che lo stesso avrebbe dovuto confermare dell’esistenza di un accordo intercorso tra l’imputato la persona offesa relativo alle modalità di corretta costruzione del muro. Nel caso di specie, infatti, non costituisce oggetto di accertamento la legittimità della costruzione del muro sul fondo del vicino, ma semplicemente l’illiceità della demolizione di tale muro compiuta dall’imputato. Il ricorso non si confronta tale motivazione e si limita a reiterare la richiesta volta all’esame del testimone, di tal che appare corretta la valutazione compiuta dal giudice di merito che ha evidenziato come la circostanza della preesistenza di un accordo aggraverebbe la posizione dell’imputato, poiché confermerebbe che ha agito con violenza per fare valere quello che reputava un accordo già raggiunto . 3. È generico e manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso. I giudici di merito hanno evidenziato come non sussistesse alcuna immediata e irreparabile compromissione dei diritti dell’imputato che non era stato privato del possesso di alcunché, ma che, piuttosto, si era introdotto abusivamente del fondo altrui per demolire il muro ivi edificato il quale, secondo la prospettazione difensiva, recava pregiudizio alla proprietà dell’imputato a causa della possibile defluenza delle acque meteoriche. Il ricorso, che contesta la qualificazione in termini di eventuale diritto di servitù, piuttosto che in termini di possesso, è generico perché non si confronta con tale specifica motivazione resa dal giudice di merito. 3.1. Del resto, il motivo di ricorso è manifestamente infondato poiché la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che Il requisito dell’arbitrarietà, che concorre a determinare la punibilità della violenza reale, a norma dell’art. 392 c.p., si deve escludere solo nei casi in cui ricorre una causa di giustificazione secondo la legge penale artt. 50 c.p. e seguenti e in quelli stabiliti espressamente da altre norme di legge ex art. 638 c.p., u.c., e art. 896 c.c. , oppure rientranti nell’ambito dei principi generali del diritto di antica tradizione e costituenti limiti taciti della norma penale, che consentono in continenti la difesa del possesso o la auto-reintegrazione di esso in caso di spoglio violento da parte di altri. In questi ultimi casi è necessario peraltro che la eccezionale reazione legittima del privato sia posta in essere o per evitare la flagrante violazione della situazione possessoria, in corso di aggressione manifesta o subito dopo quasi flagranza l’esaurimento di essa nei riguardi della cosa contesa, per far si che non si verifichi, o immediatamente cessi, il nuovo possesso che su di essa tenti di instaurare, o sia riuscito del tutto precariamente ad instaurare, il soggetto verso cui e rivolta la reazione difensiva violenta del possessore Sez. 3, n. 4470 del 14/10/1977 dep. 1978, Sassone, Rv. 138615 . 3.2. Recentemente, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’arbitrarietà non può ritenersi sussistente qualora ricorra la difesa in continenti del possesso o la auto-reintegrazione di esso nell’immediatezza di uno spoglio violento da parte di altri, purché non si tratti di ipotesi di compossesso Sez. 6, n. 49760 del 27/11/2012, Raimondi, Rv. 254185 . 4. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000 , anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 2.000,00. L’imputato deve, infine, essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile F.S. . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile F.S. , che si liquidano in complessivi Euro tremilacinquecentodieci, oltre accessori di legge.