Auto danneggiata ripresa dalla videosorveglianza: sussiste l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede

La sussistenza di un sistema di videosorveglianza in grado di registrare il delitto di danneggiamento di un’autovettura parcheggiata su una strada pubblica non esclude l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, così come il fatto che l’auto sia parcheggiata di fronte all’abitazione del proprietario.

Così si esprime la Suprema Corte con la sentenza n. 35400/19, depositata il 1° agosto. La vicenda. La Corte d’Appello di Catania confermava la decisione adottata dal Tribunale di Ragusa che aveva riconosciuto la penale responsabilità dell’imputato per avere danneggiato, sparando con un’arma ad aria compressa, due autovetture parcheggiate nella medesima pubblica via, da considerarsi, pertanto, esposte a pubblica fede. Contro tale decisione, l’imputato propone ricorso per cassazione, deducendo l’errore dei Giudici di merito nel non avere considerato che entrambe le autovetture non potevano considerarsi cose esposte alla pubblica fede, essendo sotto il diretto e costante controllo da parte dei rispettivi proprietari la prima poiché inquadrata da telecamera a circuito chiuso e la seconda perché parcheggiata di fronte all’abitazione del proprietario . L’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede. La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso, rilevando come esso investa solo il profilo relativo al riconoscimento degli estremi della contestata aggravante della esposizione alla pubblica fede. A tal proposito, la Corte evidenzia che la ratio di tale aggravante poggia sulla minorata possibilità di difesa collegata alla particolare situazione dei beni, perché posti al di fuori della sfera di diretto e continuo controllo del proprietario, e, dunque, affidati esclusivamente all’onestà e al rispetto altrui. Detto ciò, gli Ermellini osservano come l’errore in cui è incorsa la difesa risiede nell’aver confuso il profilo del controllo del bene da parte del proprietario come idoneo a scongiurare la consumazione del reato da parte di terzi con quello relativo alle misure e cautele che puntano all’individuazione dei responsabili, le quali non escludendo di per sé che il bene possa comunque ritenersi esposto alla pubblica fede, seppur presidiato. Una volta chiarito ciò, la Corte ribadisce che la circostanza aggravante in oggetto non è esclusa dalla sussistenza di un sistema di videoregistrazione nel luogo in cui si consuma il delitto, poiché esso non può ritenersi equivalente alla presenza costante e diretta da parte del proprietario o di altra persona addetta alla vigilanza, e a maggior ragione non può ritenersi esclusa dal fatto che l’auto sia parcheggiata di fronte all’abitazione del proprietario, non essendo tale situazione idonea a garantire la mancata consumazione dell’illecito da parte di terzi. Per questi motivi, gli Ermellini dichiarano inammissibile il ricorso e condannano il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 23 maggio – 1 agosto 2019, n. 35400 Presidente Cervadoro – Relatore Cianfrocca Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Catania, in data 24.11.2017, ha confermato quella con cui, il 6.10.2015, il Tribunale di Ragusa aveva riconosciuto I.R. responsabile del delitto ascrittogli in rubrica per avere danneggiato, sparando con una arma ad aria compressa, l’autovettura di proprietà di P.R. e quella di proprietà di D.R. , entrambe parcheggiate sulla pubblica via. omissis e, pertanto, da considerarsi esposte alla pubblica fede 2. ricorre per Cassazione il difensore di I.R. lamentando inosservanza ovvero erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 635 c.p., e art. 625 c.p., comma 2, n. 7 segnala in particolare l’errore in cui sarebbero incorsi entrambi i giudici di merito nel non considerare che sia la vettura di proprietà del P. , parcheggiata in un’area riservata al personale della Polizia Municipale inquadrata da una telecamera a circuito chiuso con monitor di controllo posto all’interno dei locali del comando, che quella di proprietà del D. , parcheggiata a sua volta di fronte alla abitazione del proprietario da dove poteva essere vista, non potevano essere considerate cose esposte alla pubblica fede essendo entrambe sotto il diretto e costante controllo dei rispettivi proprietari. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile perché articolato su una censura manifestamente infondata. 1. Il D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 2, comma 1, lett. l , ha riformulato l’art. 635 c.p., inserendo, al comma 1, quali elementi costitutivi del reato, l’uso della violenza o della minaccia alla persona ovvero, in alternativa, richiedendo che la condotta di danneggiamento sia realizzata in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall’art. 331 si è così pervenuti al risultato finale di elidere dall’ambito di rilevanza penale le condotte di danneggiamento che non siano realizzate con tali modalità ovvero che non siano consumate in tali contesti il legislatore delegato ha così operato in ossequio della L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 2, comma 3, lett. a , n. 5 , che aveva delegato il Governo alla adozione di decreti per la abrogazione di specifiche figure di reati tra cui, per l’appunto, quello di danneggiamento semplice richiamando espressamente la disposizione di cui all’art. 635 c.p., comma 1. Per altro verso, invece, l’art. 635 c.p., comma 2, salva la eliminazione delle aggravanti di cui ai numeri 1 e 2 , perché in tutto o in parte ora ricondotte ad elementi costitutivi della ipotesi prevista comma 1, e l’inserimento della ipotesi di cui al n. 5bis , è rimasto inalterato conservando rilevanza penale alle condotte ivi descritte indipendentemente dal fatto che esse siano o meno caratterizzate dalla concomitante violenza o minaccia alla persona ovvero dal fatto di essere realizzate in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero del delitto di cui all’art. 331 c.p Questa Corte, d’altra parte, ha già avuto modo di chiarire che v’è continuità del tipo di illecito tra la fattispecie di danneggiamento aggravato originariamente contestata al ricorrente e lo ius superveniens, nel senso che, immutati gli altri elementi del fatto tipico, talune circostanze aggravanti l’aver commesso il fatto su beni esposti per necessità, consuetudine e destinazione alla pubblica fede nonché, come nel caso di specie, l’aver commesso il fatto su beni destinati al pubblico servizio e utilità , pur costituendo ora elementi costitutivi del reato art. 635 c.p., comma 2 , rientrano nel modello legale del tipo di illecito sia con riferimento alla previgente formulazione della fattispecie incriminatrice sia con riferimento all’attuale formulazione cfr., Cass. Pen., Sez. 3, 10.2.2016 n. 15,460, Ingegneri Cass. Pen., 2, 26.5.2017 n. 28.360, Di Sarno e, con riguardo al rapporto tra la condotta di danneggiamento e l’uso della violenza o della minaccia alla persona, Cass. Pen., 6, n. 16.563 del 15.3.2016, Cava . Detto questo, è necessario allora puntualizzare che il ricorso non investe la qualificazione giuridica del fatto né la sua persistente rilevanza penale se non sotto il profilo del riconoscimento degli estremi della contestata aggravante della esposizione alla pubblica fede su cui tale rilevanza penale, come si è appena chiarito, attualmente si fonda. 2. La censura difensiva è tuttavia manifestamente infondata. Non è infatti inutile ribadire che la ratio della maggiore tutela accordata alle cose esposte per necessità, per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede va individuata nella minorata possibilità di difesa connessa alla particolare situazione dei beni, in quanto posti al di fuori dalla sfera di diretta e continuativa vigilanza del proprietario e, quindi, affidati interamente all’altrui senso di onestà e di rispetto. Se non ché, l’errore in cui è incorsa la difesa del ricorrente è quella di confondere il profilo del controllo del bene da parte del proprietario come idoneo di per sé a scongiurare la consumazione di fatti illeciti da parte di terzi rispetto alle cautele ed alle misure che, mirando in realtà alla pronta individuazione dei responsabili, solo indirettamente perseguono questo obiettivo ma che non escludono, di per sé, che il bene, ancorché presidiato, possa ritenersi in realtà esposto alla pubblica fede. Ed è in questa corretta prospettiva che questa Corte ha potuto più volte ribadire che la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videoregistrazione che non può considerarsi equivalente alla presenza di una diretta e continua custodia da parte del proprietario o di altra persona addetta alla vigilanza cfr., Cass. Pen., 5, 20.5.2010 n. 35.473, Canonica Cass. Pen., 15.5.2015 n. 45.172, Cacopardo cfr., anche, Cass. Pen., 5, 8.11.2007 n. 6.682, che ha ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 7, qualora il furto del motociclo esposto alla pubblica fede sia commesso in un luogo avente un sistema di videosorveglianza, il quale, ancorché consenta la conoscenza postuma delle immagini registrata dalla telecamera, non costituisce di per sé una difesa idonea a impedire la consumazione dell’illecito attraverso un immediato intervento ostativo cfr., nello stesso senso, Cass. Pen., 2, 26.11.2015 n. 2.724, Scalambrieri, in cui si è chiarito che l’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videosorveglianza, non garantisce l’interruzione immediata dell’azione criminosa, mentre soltanto una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del bene consente di escludere l’aggravante di cui all’art. 625 c.p.p., comma 1, n. 7 . Se questo è vero per la vettura del P. che, come si è accennato, era stata parcheggiata in un luogo inquadrato da una videocamera di sorveglianza le cui immagini potevano essere visionate da un monitor posto all’interno del comando di Polizia Municipale del Comune di , a maggior ragione lo è per l’autovettura di proprietà del D. , la cui visibilità della abitazione del proprietario non escludeva certo la sua esposizione alla pubblica fede non essendo certo questa situazione - peraltro evidentemente non continuativa e costante - idonea a garantire la mancata consumazione di fatti illeciti ad opera di terzi. 3. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.