Telefono acquistato, ma oggetto di una denuncia di smarrimento: logico parlare di ricettazione

Confermata la condanna per l'imputato beccato in possesso di un cellulare oggetto di una denuncia di smarrimento da parte del legittimo proprietario. Ad inchiodarlo è soprattutto la scelta di avere effettuato l’acquisto non utilizzando i canali ufficiali di commercializzazione.

Pessima scelta quella di comprare un telefono cellulare evitando i canali ufficiali di commercializzazione”. L’oggetto acquistato si rivela essere, difatti, oggetto di una denuncia di smarrimento da parte del proprietario. E a fronte di tale quadro per i Giudici è logico parlare di ricettazione Cassazione, sentenza n. 34481/2019, Sezione Seconda Penale, depositata il 29 luglio 2019 . Acquisto. Concordi i Giudici di merito. Così, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, l’uomo sotto processo viene ritenuto colpevole per avere concorso alla ricettazione di un telefono cellulare . Inequivocabile il fatto che il proprietario del bene ne aveva denunciato lo smarrimento solo poche ore prima del momento in cui alcuni poliziotti avevano materialmente colto l’uomo sotto processo nel possesso del cellulare . Sulla stessa linea si assesta anche la Cassazione, che respinge il ricorso proposto dal legale dell’uomo sotto accusa per ricettazione . Innanzitutto, per i Giudici è decisiva la accertata, e mai convincentemente giustificata, disponibilità del telefonino di provenienza furtiva in oggetto, all’evidenza acquisita fuori dai canali ordinari e legittimi di circolazione . Legittimo perciò parlare di ricettazione , anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in malafede . Difatti, ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale , osservano i Giudici, quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa . Tirando le somme, in questa vicenda l’acquisto di un telefono cellulare fuori dai canali ufficiali di commercializzazione, per giunta da soggetto asseritamente ignoto, è certamente sintomatico del dolo , concludono i giudici della Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 giugno – 29 luglio 2019, n. 34481 Presidente Gallo – Relatore Filippini Considerato in fatto I. La CORTE APPELLO di BRESCIA, con sentenza in data 02/11/2017, confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal TRIBUNALE di BRESCIA, in data 15/12/2016, nei confronti di S.T. in relazione al concorso nella ricettazione di un telefono Nokia 610 del quale il proprietario C.A. aveva denunciato lo smarrimento verificatosi nella notte tra l’ omissis , solo poche ore prima del momento le ore 7,40 del settembre in cui alcuni poliziotti avevano materialmente colto l’imputato nel possesso del cellulare di causa. Secondo la Corte territoriale, non avevano pregio i motivi di impugnazione con i quali la difesa aveva chiesto la riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 647 c.p. alla quale doveva conseguire l’assoluzione, trattandosi di fattispecie non costituente più reato o, in subordine, in furto attenuato ai sensi dell’art. 62 c.p., n. 4. 2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, tramite difensore, deducendo i seguenti motivi - violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art. 143 c.p.p., comma 4., avendo la difesa, nel corso dell’udienza d’appello del 2.11.2017, rappresentato che in precedenti diversi giudizi come dimostrato dall’esibizione dei verbali del 23.6.2015 e 10.10.2016 altre autorità giudiziarie avessero nominato all’imputato un interprete la Corte territoriale ha invece rigettato l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio in primo grado fase svoltasi in assenza dell’imputato nonché l’istanza di nomina di un interprete in favore dell’imputato presente in appello e ciò sulla sola base di due affermazioni in atti attribuibili alla PG procedente della sufficiente conoscenza dell’italiano in capo al prevenuto, senza l’effettuazione di ulteriori accertamenti di sorta. - violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art. 420 bis, comma 2 codice di rito, dal momento che l’elezione di domicilio effettuata nell’immediatezza dei fatti deve ritenersi priva di valore, essendo stata effettuata da parte di soggetto che non comprendeva l’italiano e neppure ha percepito l’invito a comunicare i successivi mutamenti del domicilio e comunque, le predette circostanze impediscono di affermare che l’imputato, con certezza , fosse a conoscenza del procedimento e dunque che volontaria sia stata la sua assenza al dibattimento. Inoltre, l’elezione di domicilio è avvenuta prima che venisse formulata qualsiasi contestazione di reato, sicché, preesistendo al procedimento, non ne può certo assicurare la. conoscenza da parte del prevenuto. - violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata riqualificazione ai sensi dell’art. 647 c.p., negata con motivazione apodittica e fondando la prova del dolo sul silenzio dell’imputato, verificatosi nella descritta situazione di mancata comprensione della lingua italiana. - violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata riqualificazione ai sensi dell’art. 624 c.p., negata per la mancata indicazione, da parte del prevenuto, delle circostanze del furto, possibilità, come detto, da considerare sostanzialmente preclusa nella fattispecie dalla mancata conoscenza della lingua. Ritenuto in diritto Il ricorso è infondato. 1. Quanto al primo motivo, secondo condivisa giurisprudenza Sez. 2, n. 46139 del 28/10/2015, Rv. 265213 in tema di diritto alla traduzione degli atti, l’accertamento relativo alla conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana costituisce una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, se motivata in termini corretti ed esaustivi massime precedenti conformi n. 28697 del 2012 rv. 253250 - 01, n. 33775 del 2014 rv. 261640 - 01, n. 44016 del 2014 rv. 260997 . Nella fattispecie la Corte territoriale cfr. pag. 4 della sentenza impugnata ha adeguatamente motivato, per contrastare le avverse deduzioni sul punto, richiamando le più occasioni verbale di sottoposizione ad obblighi in data 28.9.2016 e annotazione attività di indagine del 9.9.2012 nelle quali la polizia giudiziaria procedente ha attestato che l’attuale giudicabile parla e comprende sufficientemente l’italiano. In aggiunta a ciò, si è ulteriormente osservato, con argomentazione utile a contrastare l’eccezione difensiva relativa alla mancata nomina di interprete per l’imputato presente all’udienza d’appello del 2.9.2017, che lo S. risiede in Italia da molti anni almeno dal 2011, cfr. anche certificato AFIS prodotto dalla difesa e che dunque risultava inverosimile, nel 2017, l’insussistenza di una sufficiente conoscenza della lingua italiana, anche in considerazione dei numerosi procedimenti penali che lo hanno riguardato. Ad ulteriore conferma della legittimità del giudizio espresso dalla Corte territoriale, il Collegio condivide l’insegnamento secondo cui, in tema di traduzione degli atti, l’accertamento di cui all’art. 143 c.p.p., come modificato dal D.Lgs. n. 32 del 2014, circa la conoscenza, da parte dell’imputato, della lingua italiana, non esige che ad effettuarlo sia direttamente l’autorità giudiziaria, nè che vi partecipi il difensore, in quanto trattasi di una semplice verifica di qualità e circostanze e non di un atto a valenza difensiva Sez. 2, n. 7913 del 31/01/2017, Rv. 269505 . Esattamente come accaduto nella fattispecie. Quanto poi all’eccepita insufficiente conoscenza della lingua al momento della elezione di domicilio o della notifica del decreto di citazione in primo grado, questa Corte ha già affermato che trattasi, laddove sussistenti, di nullità a regime intermedio, con la conseguenza che non possono più essere dedotte dopo la deliberazione della sentenza di primo grado Sez. 1, n. 32000 del 31/05/2013, Rv. 256113, quanto all’elezione di domicilio Sez. 3, n. 37364 del 05/06/2015, Rv. 265186, quanto al rinvio a giudizio e agli atti introduttivi dell’udienza preliminare . 2. In relazione al secondo motivo, sempre incentrato sulla pretesa invalidità dell’elezione di domicilio, già si è detto della tardività, e comunque dell’infondatezza, dell’eccezione stessa. Come pure già si è detto della tardività dell’eccezione relativa alla regolarità della citazione in primo grado. Profili, questi, assorbenti rispetto al tema della pretesa violazione dell’art. 420 bis c.p.p 3. Generici e in fatto sono i restanti motivi, che pure ulteriormente ripropongono la questione, come detto infondata, della mancanza di adeguata conoscenza delle lingua italiana da parte dell’imputato. 3.1. Quanto alla sussistenza dell’addebito di ricettazione, la Corte territoriale ha tenuto conto dell’accertata, e mai convincentemente giustificata, disponibilità del telefonino di provenienza furtiva in oggetto all’evidenza acquisita fuori dai canali ordinari e legittimi di circolazione . In tal modo, la Corte di appello si è correttamente conformata - quanto alla qualificazione giuridica del fatto accertato - al consolidato orientamento di questa Corte per tutte, Sez. II, n. 29198 del 25/05/ 2010, Fontanella, rv. 248265 , per il quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede d’altro canto Sez. II, n. 45256 del 22/11/2007, Lapertosa, Rv. 238515 , ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza. Né si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n. 35535 del 12/07/2007, CED Cass. n. 236914 . E, nel caso di specie, l’acquisto di un telefono cellulare fuori dai canali ufficiali di commercializzazione, per giunta da soggetto asseritamente ignoto, è certamente sintomatico del dolo quanto meno eventuale Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, 30/03/2010, Rv. 246324 . 3.2. Analoghe considerazioni debbono farsi rispetto alla questione della mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 624 c.p., essendo mancata, anche quando l’imputato è comparso, qualsiasi dichiarazione dello stesso al riguardo. E, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali per tutte Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944 tra le più recenti Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369 . 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.