La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione tra Lucrezio e discrasie…

La mancata valutazione di un atto di ricorso per cassazione, proposto dal difensore dell’imputato avverso lo stesso provvedimento sfavorevole già impugnato personalmente dall’imputato con atto dichiarato inammissibile dalla Corte di cassazione a ragione della trasmissione in tempi differenti dei due atti di impugnazione da parte della cancelleria del giudice che l’ha pronunciato, costituisce un’omissione materiale, che deve essere emendata anche d’ufficio con la procedura di correzione di cui all’art. 625- bis , comma 3, c.p.p., la cui attivazione non è soggetta al rispetto del termine di novanta giorni dalla deliberazione della sentenza, prescritto soltanto per il ricorso straordinario per errore percettivo.

Il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione, sentenza n. 33567/19, consente al commentatore, di restringere al massimo la descrizione del fatto. L’imputato aveva proposto ricorso per cassazione in riferimento ad un’ordinanza resa dal giudice dell’esecuzione in tema di applicazione dell’indulto. Avverso la medesima ordinanza aveva proposto ricorso anche il difensore dell’imputato. I due atti avevano subito diversa sorte in relazione alla loro trasmissione alla Suprema Corte, tanto che il primo, ovvero quello formato dall’imputato in proprio veniva dichiarato inammissibile, mentre in relazione al secondo la Corte attivava l’ufficio ai sensi dell’art. 625- bis , comma 3, c.p.p., procedimento per l’eliminazione dell’errore materiale connesso all’omesso esame di tale seconda impugnazione . L’articolo 625-bis c.p.p La norma recita è ammessa, a favore del condannato, la richiesta per la correzione dell'errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla corte di cassazione. La richiesta è proposta dal procuratore generale o dal condannato, con ricorso presentato alla corte di cassazione entro centottanta giorni dal deposito del provvedimento. La presentazione del ricorso non sospende gli effetti del provvedimento, ma, nei casi di eccezionale gravità, la corte provvede, con ordinanza, alla sospensione. L'errore materiale di cui al comma 1 può essere rilevato dalla corte di cassazione, d'ufficio, in ogni momento e senza formalità. L'errore di fatto può essere rilevato dalla Corte di Cassazione, d'ufficio, entro 90 giorni dalla deliberazione. Quando la richiesta è proposta fuori dell'ipotesi prevista al comma 1 o, quando essa riguardi la correzione di un errore di fatto, fuori del termine previsto al comma 2, ovvero risulta manifestamente infondata, la corte, anche d'ufficio, ne dichiara con ordinanza l'inammissibilità altrimenti procede in camera di consiglio, a norma dell'art. 127 e, se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l'errore . Il ricorso straordinario introdotto dall’art. 625- bis c.p.p. costituisce lo strumento per la correzione dell’errore materiale o di fatto contenuti nei provvedimenti pronunciati dalla Corte di cassazione. Detto rimedio è attivabile ad istanza del procuratore generale o del condannato a mezzo di ricorso da formularsi nei centoottanta giorni dal deposito del provvedimento. Dunque l’errore materiale o di fatto contenuto nel provvedimento emesso dalla Corte di Cassazione può essere emendato, a richiesta di part, a mezzo di una procedura attivabile entro i centoottanta giorni successiva al deposito della sentenza. Ovvero le parti, ai fini di poter verificare la sussistenza dell’errore di fatto o materiale, debbono poter essere posti a conoscenza non solo, ed è ovvio, del contenuto della pronuncia, rectius di ciò che segue l’acronimo p.q.m., ma, anche e soprattutto della motivazione del provvedimento da cui potranno emergere gli errori materiali o di fatto che hanno provocato la pronuncia di cui si chiede la correzione. Il terzo comma della disposizione in commento si riferisce alla possibilità della Corte di rilevare ex officio la presenza di errori materiali o di fatto e di autonomamente procedere alla loro eliminazione con l’emissione, ovvia, di altro e differente provvedimento. Per comodità espositiva è utile richiamarne il testo l'errore materiale di cui al comma 1 può essere rilevato dalla corte di cassazione, d'ufficio, in ogni momento e senza formalità. L'errore di fatto può essere rilevato dalla Corte di Cassazione, d'ufficio, entro 90 giorni dalla deliberazione . Appare come la disciplina dettata in tema di poteri attribuiti ex officio alla Corte di Cassazione in relazione agli errori materiali o di fatto contenuti nei provvedimenti da questa emessi, sia differente a seconda che si tratti di errori materiali, prima parte del comma 3 dell’articolo in commento, o di fatto, seconda parte del comma 3 dell’art. 625- bis c.p.p La disciplina è poi costruita attorno a termini temporali differenti rispetto a quelli riservati alle parti ai fini di attivare la procedura di errore della correzione. La ratio della evidenziata differenza di termini è evidente le parti necessitano di avere un termine più lungo per conoscere e comprendere il ragionamento seguito dal Giudice rispetto a quello assegnato dal Legislatore al Giudice stesso che, del ragionamento, è l’artefice. Dato conto della ragione dei differenti termini attribuiti alle parti, è interessante notare come il solo errore materiale contenuto nel provvedimento reso dalla Corte può essere da questa rilevato ex officio senza limiti di tempo e senza alcuna formalità. In altre parole la presenza di un errore materiale nella pronuncia resa dalla Corte assoggetta il provvedimento in cui esso è contenuto ad una sorta di possibile modifica non soggetta ad alcun limite temporale, quanto al suo necessario verificarsi, né a nessuna formalità. L’errore materiale. Ovvio che innanzi ad una simile capacità dell’errore materiale di rendere un provvedimento della Corte soggetto a modifiche senza limiti di tempo e formalità, la giurisprudenza abbia dato corso ad una profonda attività interpretativa finalizzata ad individuare i parametri e le caratteristiche che consentono di distinguere l’errore materiale dall’errore di fatto. Gli arresti giurisprudenziali fondamentali, citati peraltro anche nella pronuncia in commento, possono essere rinvenuti nelle pronunce delle SS.UU. n. 198543/1994, n. 206176/1996, n. 16103/2002, n. 16102/2002 con le quali si è definito questo errore quale rappresentazione del frutto di una svista, di un lapsus espressivo, da cui deriva, ed emerge, il divario tra la volontà del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica. Con la conseguente difformità espressa tra il pensiero del decidente e l’estrinsecazione formale dello stesso. Un errore che non ha dunque alcuna incidenza sul processo cognitivo e valutativo da cui scaturisce la decisione. Il che è ovviamente e pacificamente in linea con il potere attribuito alla Corte di correggerlo senza limiti di tempo e osservanza di formalità l’errore non rileva nella formazione del convincimento del giudice, la cui valutazione e cognizione e scevra da errore, ma semplicemente sull’esposizione grafica del pensiero sotteso ed espresso al e nel suo ragionamento. Il principio del giudicato” inteso nell’accezione della certezza della pronuncia è salvo. Il giudicato deve essere solo corretto da un punto di vista formale e non sostanziale. L’errore di fatto. All’enucleazione delle caratteristiche dell’eroe materiale ha fatto da contraltare la necessaria individuazione delle caratteristiche tipiche dell’errore di fatto. Errore che incide invece sul e nel processo cognitivo e valutativo del giudice. L’errore di fatto può verificarsi e manifestarsi nel caso di travisamento degli atti interni al giudizio di legittimità. Travisamento che, come insegna il giudice nomofilattico, può presentarsi nelle forme dell’omissione o dell’invenzione. Omissione e travisamento di atti interni al procedimento di legittimità. Anche se pare ultroneo ricordarlo il vizio deve essere relativo ed individuato in relazione ai soli atti interni al procedimento di legittimità. Il travisamento per omissione si realizza quando sia omessa la considerazione di uno o più motivi del ricorso per cassazione nel senso che le doglianze riguardanti un capo o un punto della decisione sia totalmente pretermesse . Il travisamento per invenzione consiste nell’errore di percezione in cui sia incorsa la Corte di cassazione nella lettura degli atti del giudizio di legittimità . I vizi dedotti debbono aver condizionato in modo decisivo il convincimento formatosi per l’inesatta o equivocata comprensione dell’ambito delle censure proposte col ricorso o delle risultanze processuali in modo che ne sia derivata la pronuncia di una sentenza differente da quella che in assenza dell’omissione o dell’errore, sarebbe stata emessa. Un errore capace quindi non solo di intervenire nel processo cognitivo e valutativo del giudice ma in grado di condizionarlo al punto dall’esserne uno dei pilastri portanti. Il caso concreto. Nella vicenda, la Corte ha ascritto alla tipologia dell’errore materiale la formazione di due fascicoli processuali inerenti la medesima vicenda, dei quali uno contente il ricorso formato dall’imputato ed uno quello formato dal suo difensore. La Prima Sezione Penale afferma per quanto l’effetto prodottosi consista nella mancata delibazione dei motivi articolati nell’autonomo atto impugnatorio proposto dal suo difensore, ciò nonostante quello in cui è incorsa la Corte di cassazione non è un errore percettivo di tipo omissivo, integrante il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 625- bis , comma 1, c.p.p., poiché non si è realizzato nella mancata considerazione di un atto facente parte dell’incarto processuale, sfuggito alla considerazione giudiziale per una svista o per la superficialità della disamina. Al contrario, l’assenza dell’atto pretermesso tra i documenti disponibili e compulsabili, perché non inserito nel fascicolo e persino ignorato nella sua esistenza in quel momento a causa del descritto disguido, ha impedito di esprimere una qualsiasi determinazione al riguardo ed a tale inconveniente deve porsi rimedio a tutela dei diritti insopprimibili della parte ricorrente, del tutto estranea alla situazione venutasi a creare, mediante la correzione dell’omissione materiale ai sensi dell’art. 625, comma 3, c.p.p. .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 maggio – 24 luglio 2019, n. 33567 Presidente Mazzei – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza emessa in data 14 novembre 2018 la Prima sezione penale della Corte di cassazione dichiarava inammissibile il ricorso proposto personalmente da D.S.M. avverso l’ordinanza, emessa in data 16 luglio 2018 dal Tribunale di Taranto, quale giudice dell’esecuzione, che aveva rigettato l’opposizione dallo stesso proposta in riferimento al provvedimento dello stesso Tribunale, che il 26 febbraio 2018 aveva applicato nei suoi confronti l’indulto nella misura di mesi sei e giorni cinque di reclusione sulla maggior pena, determinata con decreto di unificazione di pene concorrenti, emesso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto il 24 novembre 2017. 1.1 A fondamento della decisione il Tribunale aveva rilevato che con l’originario incidente di esecuzione non era stata sollevata la questione, proposta, invece, con l’opposizione, circa la vanificazione degli effetti dell’indulto a ragione della già ottenuta unificazione per continuazione, giusta ordinanza del Tribunale di Taranto in data 8 febbraio 2017, dei reati giudicati con le sentenze del G.i.p. del Tribunale di Taranto del 28 febbraio 2011, irrevocabile il 29 dicembre 2014, di condanna alla pena di anni dieci di reclusione ed Euro 31.196 di multa e del G.i.p. del Tribunale di Brindisi del 15 dicembre 2005, irrevocabile il 28 gennaio 2008, di condanna alla pena di anni quattro, mesi due di reclusione ed Euro 18.000 di multa, con rideterminazione della pena complessiva in anni undici, mesi due, giorni venti di reclusione ed in Euro 34.000 di multa, cosa che avrebbe imposto l’applicazione del beneficio nella misura massima consentita. Rilevava poi, quanto al merito dell’opposizione, che la stessa era infondata poiché l’ordinanza applicativa della continuazione era definitiva e la questione ora sollevata non era stata proposta quando era stato chiesto il riconoscimento della continuazione, nonostante fosse stato già noto il provvedimento del Giudice dell’esecuzione di Brindisi del 9 aprile 2008, che aveva applicato l’indulto per anni due, mesi cinque e giorni venticinque di reclusione ed Euro 10.000 di multa sulla pena di cui alla sentenza del G.i.p. del Tribunale di brindisi del 15 dicembre 2005, irrevocabile il 28 gennaio 2008. Pertanto, correttamente il giudice dell’esecuzione col provvedimento opposto non aveva sciolto il cumulo giuridico di pene per individuare altro reato sul quale applicare l’indulto. 2. Soltanto in data 13 settembre 2018 la cancelleria del Tribunale di Taranto inviava alla Corte di cassazione il ricorso, presentato dal difensore del D.S. , avverso la medesima ordinanza, ricorso qui pervenuto in data 26 settembre 2018 e non trattato unitamente a quello presentato personalmente dall’interessato. Con tale atto il difensore ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, deducendo con unico motivo la violazione di norme di legge e di norme processuali penali in relazione alla L. n. 241 del 2006, art. 1, artt. 663 e 672 c.p.p., art. 174 c.p., comma 2. Secondo la difesa, l’ordinanza era erronea poiché rispetto al nuovo cumulo di pene derivante dal riconoscimento della continuazione non vi era nessuna questione da sollevare in riferimento all’applicazione dell’indulto e detto provvedimento è suscettibile di essere modificato in funzione degli eventi che riguardano la fase esecutiva. Pertanto, preso atto dell’unificazione per continuazione dei reati oggetto delle due sentenze del G.i.p. del Tribunale di Taranto del 28 febbraio 2011 e del G.i.p. del Tribunale di Brindisi del 15 dicembre 2005, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 672 c.p.p., provvedere ad applicare l’indulto per intero sulla pena unica cumulata. Inoltre, il ricorrente non aveva nessun titolo per impugnare l’ordinanza favorevole del giudice dell’esecuzione del Tribunale di Taranto dell’8 febbraio 2017, mentre non si è considerato che la pena di anni quattro, mesi due di reclusione ed Euro 18.000 di multa, di cui alla sentenza del G.i.p. del Tribunale di Brindisi del 15 dicembre 2005 non esiste più in quanto tale, perché era stata rideterminata per continuazione in anni due, mesi undici, giorni dieci di reclusione. 3. Poiché nel momento di trattazione del procedimento, instaurato a seguito del ricorso personale del condannato non era nota l’avvenuta proposizione di distinto ricorso da parte del suo difensore, veniva quindi attivato l’ufficio ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p., comma 3, il procedimento per eliminazione dell’errore materiale connesso all’omesso esame di tale seconda impugnazione. Considerato in diritto 1.Rileva il Collegio che la mancata conoscenza dell’avvenuta proposizione da parte del difensore dell’interessato, avv.to Esposito, di autonomo ricorso avverso la medesima ordinanza, già impugnata personalmente dal D.S. di propria iniziativa in data 21 luglio 2018, ha dato luogo ad una indebita duplicazione di procedimenti per la mancata trattazione unitaria dei due atti di ricorso nell’ambito del medesimo processo ed alla pronuncia di inammissibilità del ricorso personale del D.S. senza che fosse contestualmente esaminato anche quello a firma del suo legale. Tale situazione è frutto di un disguido della cancelleria del Tribunale di Taranto nella trasmissione in tempi differenziati dei due atti d’impugnazione, che ha condizionato la formazione di due distinti incarti processuali all’atto del loro arrivo presso la cancelleria centrale di questa Corte e la decisione in precedenza assunta da questa Corte, e che costituisce un errore di fatto, assimilabile all’errore materiale. 1.1 L’art. 625 bis c.p.p., contempla il ricorso straordinario quale strumento per la correzione dell’errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla Corte di cassazione, attivabile ad istanza di parte, oppure d’ufficio. Il comma 2 regola il caso della proposizione del ricorso ad iniziativa di una delle parti ed impone il rispetto del termine perentorio di centottanta giorni, decorrente dal deposito della motivazione della sentenza così impugnata il successivo comma 3, modificato dalla L. n. 103 del 2017, art. 1, comma 68, riconosce la possibilità dell’attivazione ufficiosa del rimedio inficiante le pronunce di legittimità, ma introduce un regime differenziato nel senso che, quando sia rilevato l’errore percettivo, il termine per l’introduzione del ricorso è di novanta giorni, decorrente dalla deliberazione della sentenza a differenza di quanto stabilito in caso di errore materiale, che può essere rilevato dalla corte di cassazione, d’ufficio in ogni momento . L’esenzione dal rispetto di termini perentori prescritti per la proposizione del ricorso della parte o d’ufficio, opera nel solo caso si debba emendare dai provvedimenti pronunciati dal giudice di legittimità un errore materiale e non un errore percettivo o di fatto. È illuminante quanto esposto nella relazione governativa sullo schema del disegno di legge, ove si è precisato che la previsione del termine abbreviato di novanta giorni, pari al triplo di quello previsto per il deposito della sentenza e decorre appunto dalla deliberazione, dal momento che è dalla rilettura degli atti del processo in sede di redazione della motivazione che la Corte può avvedersi, senza sollecitazione delle parti, dell’errore in cui è incorsa , mentre per le parti il termine prolungato sino a centottanta giorni si giustifica con la necessità di avere contezza della decisione, corredata dalla sua parte motiva, per poter riscontrare la presenza di errori percettivi degli atti interni al giudizio di legittimità. Non altrettanto è necessario per poter riconoscere l’errore o l’omissione materiale, la cui eliminazione, non apportando modifiche sostanziali al provvedimento giudiziale della Corte di cassazione, può intervenire in qualsiasi momento. 1.2 Nell’elaborazione esegetica, propria della giurisprudenza di legittimità, sono stati individuati i criteri che consentono di distinguere l’errore materiale da quello che ammette la proposizione del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p In particolare le Sezioni Unite hanno precisato che nella procedura di correzione degli errori materiali, prevista dall’art. 130 c.p.p., è assente la funzione sostitutiva propria dei mezzi di impugnazione, ordinari e straordinari Cass., Sez. Un., 9/10/1996, Armati, rv. 206176 Cass., Sez. Un., 18/05/1994, Armati, rv. 198543 . Anche nei successivi interventi delle Sezioni Unite è stata ribadita la linea interpretativa di rigida delimitazione degli interventi correttivi aventi ad oggetto gli errori materiali n. 16103 del 27/03/2002, Basile, rv. 221283 Sez. U, n. 16102 del 27/03/2002, Chiatellino, Rv. 221279 è stato rilevato che questo tipo di errori rappresenta il frutto di una svista, di un lapsus espressivo, da cui deriva il divario tra volontà del giudice e materiale rappresentazione grafica della stessa, con la conseguente difformità tra il pensiero del decidente e l’estrinsecazione formale dello stesso, senza alcuna incidenza sul processo cognitivo e valutativo da cui scaturisce la decisione. In coerenza con la predetta natura dell’errore materiale è stata individuata anche la finalità della procedura di correzione ai sensi dell’art. 130 c.p.p., che ha funzione meramente riparatoria, consistendo in una rettifica volta ad armonizzare l’estrinsecazione formale della decisione con il suo reale contenuto senza apportare nessuna modificazione essenziale del contenuto decisorio del provvedimento Cass., Sez. Un., 18 maggio 1994, Armati, cit. , il che avvalora anche la negazione della sua natura di mezzo di impugnazione. A nulla rileva sul piano sistematico che la stessa norma di legge, l’art. 625 bis c.p.p., contempli entrambi gli strumenti soltanto il ricorso straordinario per errore di fatto rappresenta un mezzo di impugnazione, mentre il ricorso relativo all’errore materiale, previsto nella medesima disposizione, rappresenta solo un rimedio correttivo speciale rispetto a quello previsto dall’art. 130 c.p.p., che, al pari di queste, non incide sul contenuto della decisione ed elimina la difformità rispetto a quanto realmente statuito dal giudice, sicché il suo esperimento non è soggetto al rispetto di un termine ed è sempre consentito. 1.3 Nella giurisprudenza di legittimità è stata altresì delineata la diversa nozione di errore di fatto, che è ravvisabile nei casi di travisamento degli atti interni al giudizio di legittimità e che può presentarsi nelle due forme dell’omissione o dell’invenzione la prima ipotesi si realizza quando sia omessa la considerazione di uno o più motivi del ricorso per cassazione nel senso che le doglianze riguardanti un capo o punto della decisione siano totalmente pretermesse la seconda ipotesi consiste nell’errore di percezione in cui sia incorsa la Corte di cassazione nella lettura degli atti del giudizio di legittimità. In entrambe le situazioni i vizi devono avere condizionato in modo decisivo il convincimento formatosi per l’inesatta o equivocata comprensione dell’ambito delle censure proposte col ricorso o delle risultanze processuali, in modo che ne sia derivata la pronuncia di una sentenza differente da quella che, in assenza dell’omissione o dell’errore, si sarebbe esitato. Quale ulteriore conseguenza si ricava in negativo che non rientrano nel concetto di errore di fatto gli errori di valutazione delle emergenze probatorie gli errori di giudizio e di applicazione di norme di legge gli errori percettivi che hanno inciso sul processo formativo della volontà dei giudici di merito, che, per essersi tradotti in un travisamento del fatto, devono essere dedotti con gli strumenti impugnatori ordinari, oppure mediante la domanda di revisione Cass. sez. 1, n. 17362 del 15/04/2009, Di Matteo, rv. 244067 S.U., n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, rv. 250527 Corte Cost., sentenza n. 395 del 2000 . 2. Tanto premesso, ritiene il Collegio che nel caso specifico si sia verificato un errore materiale nella formazione di due distinti fascicoli processuali, uno per ciascun atto d’impugnazione, sebbene essi siano afferenti alla medesima posizione sostanziale ed allo stesso provvedimento impugnato e tale errore ha incolpevolmente indotto questa sezione a pronunciare l’ordinanza del 14/11/2018 in merito al solo atto d’impugnazione proposto personalmente dal D.S. . Per quanto l’effetto prodottosi consista nella mancata delibazione dei motivi articolati nell’autonomo atto impugnatorio proposto dal suo difensore, ciò nonostante quello in cui è incorsa la Corte di cassazione non è un errore percettivo di tipo omissivo, integrante il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p., comma 1, poiché non si è realizzato nella mancata considerazione di un atto facente parte dell’incarto processuale, sfuggito alla considerazione giudiziale per una svista o per la superficialità della disamina. Al contrario, l’assenza dell’atto pretermesso tra i documenti disponibili e compulsabili, perché non inserito nel fascicolo e persino ignorato nella sua esistenza in quel momento a causa del descritto disguido, ha impedito di esprimere una qualsiasi determinazione al riguardo ed a tale inconveniente deve porsi rimedio a tutela dei diritti insopprimibili della parte ricorrente, del tutto estranea alla situazione venutasi a creare, mediante la correzione dell’omissione materiale ai sensi dell’art. 625 c.p.p., comma 3, nel testo vigente. Può dunque formularsi il seguente principio di diritto la mancata valutazione di un atto di ricorso per cassazione, proposto dal difensore dell’imputato avverso lo stesso provvedimento sfavorevole già impugnato personalmente dall’imputato con atto dichiarato inammissibile dalla Corte di cassazione a ragione della trasmissione in tempi differenti dei due atti di impugnazione da parte della cancelleria del giudice che l’ha pronunciato, costituisce un’omissione materiale, che deve essere emendata anche d’ufficio con la procedura di correzione di cui all’art. 625 bis c.p.p., comma 3, la cui attivazione non è soggetta al rispetto del termine di novanta giorni dalla deliberazione della sentenza, prescritto soltanto per il ricorso straordinario per errore percettivo . Ne discende la revoca dell’ordinanza, emessa dalla prima sezione penale in data 14/11/2018, d’inammissibilità del ricorso personalmente proposto da D.S.M. e la necessità di una disamina contestuale di entrambi gli atti d’impugnazione, da considerarsi quali unico ricorso per cassazione, ancorché articolati in modo autonomo e separato. 3. Se dunque, da un lato l’iniziativa assunta dal D.S. risulta effettivamente inammissibile per non essere stata rispettata la prescrizione dettata dall’art. 613 c.p.p., nel testo novellato dalla L. n. 103 del 2017, che esclude la legittimazione personale dell’imputato o del condannato a proporre da sé ricorso per cassazione, ma pretende l’intervento di un difensore abilitato al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, dall’altro le doglianze espresse dal difensore, avv.to Esposito, meritano accoglimento. 3.1 Il giudice dell’esecuzione ha ritenuto di respingere l’opposizione proposta avverso l’ordinanza che ha applicato l’indulto nella misura di soli mesi sei e giorni cinque di reclusione e rideterminato in anni sei, mesi undici e giorni quindici di reclusione ed Euro 37.000 la pena da eseguire in forza del decreto di unificazione di pene concorrenti, emesso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto il 24 novembre 2017. 3.2 Le argomentazioni poste a giustificazione della decisione parzialmente reiettiva della domanda non convincono. 3.2.1 In primo luogo, non è pertinente e nemmeno dirimente il rilievo circa la mancata deduzione con l’incidente di esecuzione del tema degli effetti dell’intervenuta unificazione per continuazione dei reati giudicati con le sentenze del G.i.p. del Tribunale di Taranto del 28 febbraio 2011, irrevocabile il 29 dicembre 2014 e del G.i.p. del Tribunale di Brindisi del 15 dicembre 2005, irrevocabile il 28 gennaio 2008,e della vanificazione dell’indulto già applicato in favore del ricorrente. Invero, la questione è stata posta in relazione alla richiesta di applicazione nella massima estensione possibile del provvedimento indulgenziale rispetto alla pena unica in esecuzione, risultante dal nuovo provvedimento di cumulo materiale conseguente al riconoscimento in sede esecutiva della continuazione, sicché sino all’emissione del decreto del pubblico ministero l’interesse ad invocare il beneficio non era sussistente e nemmeno concreto. Inoltre, fondatamente la difesa ricorda, e va qui ribadito, che il provvedimento di cumulo è interpretato dalla giurisprudenza di legittimità quale atto amministrativo, suscettibile di essere modificato per intervento autonomo del pubblico ministero o disposto dal giudice dell’esecuzione al fine di adeguarlo al mutare della posizione esecutiva del condannato per fatti sopravvenuti. 3.2.2 Quanto all’ulteriore rilievo circa l’irrevocabilità della decisione di applicazione della continuazione e la mancata formulazione della richiesta di riconoscimento dell’indulto in uno con quella riguardante appunto la continuazione, si osserva che non può addebitarsi all’interessato di non avere impugnato il provvedimento a lui favorevole che aveva unificato ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., i reati giudicati con le sentenze indicate ai punti 2 e 3 del decreto di cumulo, in quanto sfornito di qualsiasi interesse al riguardo. L’interesse è sorto, invece, dalla considerazione che l’indulto era stato concesso in riferimento alla sola pena di anni quattro, mesi due di reclusione ed Euro 18.000 di multa, di cui alla sentenza del G.i.p. del Tribunale di Brindisi del 15 dicembre 2005 e che successivamente tale pena è venuta meno in quanto tale, perché, unificati i reati per continuazione con quelli di cui alla sentenza del G.i.p. del Tribunale di Taranto del 28 febbraio 2011, irrevocabile il 29/12/2014, la stessa è stata rideterminata in entità inferiore e pari ad anni due, mesi undici, giorni dieci di reclusione. 3.2.3 Pertanto, avrebbe dovuto verificarsi la possibilità di dare attuazione alla regola stabilita dall’art. 174 c.p., comma 2, per il quale nel concorso di più reati, l’indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene, secondo le norme concernenti il concorso dei reati , disposizione interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che, quando debbano eseguirsi pene inflitte con più sentenze distinte di condanna, l’indulto si applica non sulla singola pena, ma su quella determinata a seguito di provvedimento di unificazione ai sensi dell’art. 663 c.p.p. Cass., sez. 1, n. 8115 dell’11/02/2010, Di Rocco,rv. 246386 conformi sez. 1, n. 32017 del 17/05/2013, Giuliano, rv. 256296 sez. 1, n. 264 del 06/12/2007, dep. 2008, Bordoni, rv. 238773sez. 1, n. 46279 del 13/11/2007, Patanè, rv. 238427 L’ordinanza impugnata risulta dunque viziata da omessa applicazione della norma di legge citata e da motivazione manifestamente illogica va dunque annullata con rinvio al Tribunale di Taranto per nuovo esame dell’opposizione proposta dal D.S. . P.Q.M. Revoca l’ordinanza n. 7082 del 2019 emessa dalla prima sezione penale della Corte di cassazione ed annulla l’ordinanza impugnata del Tribunale di Taranto in data 16 luglio 2018 con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Taranto.